• C. 2893-A-bis EPUB presentata il 19 febbraio 2015. DURANTI Donatella, Relatore di minoranza per la Commissione IV Difesa - FARINA Daniele, Relatore di minoranza per la Commissione II Giustizia

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Atto a cui si riferisce:
C.2893 [Decreto Anti-Terrorismo] Conversione in legge del decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonche' proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione
approvato con il nuovo titolo
"Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonché proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione"


Frontespizio
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 2893-A-bis


DISEGNO DI LEGGE
presentato dal presidente del consiglio dei ministri
(RENZI)
dal ministro dell'interno
(ALFANO)
dal ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale
(GENTILONI SILVERI)
dal ministro della difesa
(PINOTTI)
e dal ministro della giustizia
(ORLANDO)
di concerto con il ministro dell'economia e delle finanze
(PADOAN)
Conversione in legge del decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonché proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione
Presentato il 19 febbraio 2015
(Relatori di minoranza: Daniele FARINA, per la II Commissione;
DURANTI, per la IV Commissione)

      Onorevoli Colleghi! – Le delicatissime misure in tema di contrasto del terrorismo, anche internazionale, nonché la proroga delle missioni internazionali, al nostro esame, sono previste da un decreto legge; strumento che, sulla scia della necessità ed urgenza delle norme ivi previste – requisiti che solo ne giustificano l'adozione, con entrata in vigore immediata – impedisce, di fatto, un'analisi da parte del Parlamento prima che le norme inizino ad avere efficacia; come anche un esame accurato nei 60 giorni previsti per la conversione in legge del decreto legge.
Tale premessa rispetto al «metodo» con il quale il governo è intervenuto su temi tanto rilevanti pare assolutamente necessaria, in quanto è intuibile la difficoltà con la quale il Parlamento è stato chiamato a valutare non solo norme che comprimono garanzie e diritti, ma anche le numerose missioni internazionale di cui si è disposta la proroga.
      Il provvedimento, inoltre, presenta contenuti non omogenei, in quanto accosta la materia del contrasto al terrorismo, anche internazionale, a quella delle missioni internazionali – differenti rispetto alla relativa natura – nonché alla cooperazione allo sviluppo. Ciò anche, e soprattutto, in considerazione delle norme introdotte nel corso dell'esame del testo da parte Commissioni riunite II e IV ad iniziativa del Governo.
      Nel primo capo del decreto legge si prevedono misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, un tema che avrebbe preteso provvedimenti per contemperare la sicurezza di tutti e la lotta al terrorismo con il rispetto dei diritti e delle garanzie costituzionali. Invece, nel testo in esame, si dà pari rilievo a grandezze costituzionali ineguali, non omogenee, quanto al peso: da un lato, il danno sicuro e attuale alle libertà fondamentali, oggetto di compressione; dall'altro, il vantaggio futuro e ipotetico al bene sicurezza, oggetto di espansione.
      Come anche riferito in audizione dalla Prof.ssa De Minico, ordinaria di Diritto Costituzionale presso l'Università degli studi di Napoli, Federico II, la giurisprudenza costituzionale, unitamente alla Supreme Court statunitense e alla Corte di Giustizia dell'Unione europea, ha delimitato la discrezionalità politica del legislatore con i criteri di precauzionalità e proporzionalità, quali parametri ai quali attenersi nella delicata individuazione della misura di contemperamento tra opposti valori.
      Le conclusioni cui pervengono le Supreme Corti richiamate sono le seguenti:

          a) quando il legislatore si trova a bilanciare un danno certo con un vantaggio incerto, deve accertare la concreta probabilità di accadimento dell'evento temuto, da non intendersi, dunque, come «in re ipsa». Invero, il legislatore si deve astenere da valutazioni legali tipiche e procedere a verificare con una prognosi ex ante la ragionevole possibilità di accadimento dell'evento temuto;

          b) la stessa asimmetria tra le grandezze ha convinto le Corti della necessità che il vantaggio al bene protetto (sicurezza), ancorché incerto, debba essere superiore al danno certo procurato al bene compresso (il diritto di libertà di volta in volta aggredito). In altri termini, in questo caso il criterio della equivalenza tra costi e benefici è piuttosto una disequivalenza,

in quanto le Corti esigono che il beneficio, appunto in quanto incerto, surclassi il danno, invece sicuro;

          c) da qui il ricorso alle rime obbligate per il Legislatore, cioè a una regolazione emergenziale a termine, che cioè ponga un limite massimo di durata della compressione dei diritti proprio in virtù di quella inequivalenza tra costi e benefici, recuperabile in parte con la temporaneità dello squilibrio regolativo. Insomma, la deroga alla legalità se è necessaria, deve però essere contenuta entro una parentesi temporale definita, altrimenti non di deroga si tratterebbe, ma di sostituzione di una nuova legalità speciale e leggera quanto alle garanzie ai diritti in luogo di quella generale e garantista.

      Punti che, evidentemente, purtroppo, non caratterizzano la normativa de qua.
      È vero, si è di fronte ad un terrorismo sempre più indiscriminato e crudele, ma si privilegia, quale riferimento primo ed unico per affrontare situazioni di crisi, un illusorio concetto di «sicurezza», spesso sganciato dai diritti e dalle garanzie di libertà che sono alla base di uno Stato di diritto e la cui limitazione ha, peraltro, sempre determinato l'aumento degli errori giudiziari.
      L'effetto distorto di norme controproducenti, come acclarato anche a livello internazionale da norme dello stesso tipo attuate dagli Stati a seguito dell'11 settembre 2001, sarà, non ultimo, il rischio concreto di reprimere il movimenti, anche di solidarietà internazionalistica, nonché l'opposizione sociale, di fatto trasformati in «sospetti» e, dunque, in presunti colpevoli.
      Se apprezzabili paiono le misure tese ad un maggior coordinamento delle indagini nei procedimenti per i delitti di terrorismo, nonché la creazione di una direzione nazionale antimafia che ricomprenda anche l'antiterrorismo, appaiono pericolose e controproducenti invece:

          a) l'allargamento del filone delle fattispecie dall'articolo 270 bis c.p. in poi, con confini poco precisi e troppo elastici; La finalità (del terrorismo), dalle maglie sempre più larghe, può essere discrezionalmente attribuita, con conseguenti abusi, rischi per determinatezza delle fattispecie, nonché per il principio di legalità (articolo 1);

          b) le aggravanti rispetto alle nuove fattispecie introdotte, ovvero se tali reati son commessi con strumenti informatici o telematici: ferme restando le criticità a monte espresse nel punto precedente, va tenuto sempre presente il dilagante rischio/pericolo di furto di identità informatica (articolo 2);

          c) l'ampliamento dei casi che prevedono l'immediata espulsione da parte del prefetto di immigrati, anche regolari, sospettati del reato, in base al decreto legge in esame, anche ex articolo 270 sexies c.p.. Una simile previsione era già prevista nel T.U. immigrazione in base ad una norma approvata nel decreto legge di contrasto al terrorismo del 2005: norma illegittima e criminogena, la cui applicazione, soprattutto su larga scala, finirà infatti con il lasciare in libertà soggetti che invece potrebbe essere opportuno controllare e, in presenza di indizi di colpevolezza, anche arrestare; e, nello stesso tempo porterà all'espulsione di molti che nulla hanno a che vedere con ambienti pericolosi, creando discriminazioni indegne in un Paese democratico, con violazione degli artt. 3, 13, 24, 25, 111 e 113 della Costituzione (articolo 4);

          d) il trattamento dei dati personali da parte di forze di polizia: la norma introduce una deroga, a regime, e non a tempo, e direttamente nel codice delle privacy del 2003 per l'esercizio di compiti di polizia per «prevenzione dei reati, tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, nonché di polizia giudiziaria svolti per la prevenzione e repressione dei reati». Il trattamento sarà individuato tramite decreto del Ministro dell'Interno, in particolare in una tabella C che verrà allegata al codice stesso. Forte è la preoccupazione per l'uso che se ne farà, anche in relazione al rischio, già espresso precedentemente in premessa, circa la

criminalizzazione del mero dissenso (articolo 7).

      Norme che, trattandosi di un decreto legge, sono in vigore sin dal 20 febbraio scorso, e – giova ricordarlo ancora una volta – a prescindere da un esame da parte del Parlamento.
      Inoltre, cosa ancor più grave, l'atto camera di conversione in legge del decreto è stato assegnato alle sole Commissioni riunite Giustizia e Difesa. Non anche alla Commissione Affari Costituzionali che, invece, coerentemente alle proprie competenze, avrebbe potuto contribuire in modo appropriato all'esame delle norme delicatissime in tema di trattamento dei dati personali da parte delle forze di polizia, previste nel decreto, nonché di quelle che prevedono gli ulteriori casi, inseriti a regime nel Testo Unico sulla immigrazione, di espulsioni amministrative nei confronti di immigrati.
      Analogamente è stato impedito alla Commissione Esteri di lavorare sulle questioni di sua competenza previste nel decreto, e a partire dalle missioni internazionali, slegandole, in tal modo, da una necessaria visione complessiva e strategica di politica estera, e confinando, dunque, l’ intervento su un profilo di esclusiva strategia militare.
      Quanto alle missioni internazionali, il richiamo ai requisiti di necessità e urgenza per la proroga appare, inoltre, azzardato, vista la natura periodica e, dunque, assolutamente prevedibile delle esigenze legate alle missioni internazionali. Il decreto-legge in titolo, soprattutto in relazione a tale aspetto, manca del requisito della «straordinarietà» dell'intervento governativo – come richiesto ex articolo 77 della Costituzione – anche alla luce del fatto che le missioni prorogate sono in itinere da svariati anni, con ciò negandosi, de facto, l'eventualità di una loro conclusione.
      Va, peraltro, segnalato che il decreto-legge n. 7 del 2015 è stato licenziato dal Consiglio dei Ministri solo in data 18 febbraio 2015, e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il successivo 19 febbraio, ovvero circa 49 giorni dopo la scadenza del precedente decreto-legge di proroga alle missioni internazionali.
      Sarebbe bene ricordare, a tal proposito, che il Governo è tenuto a riferire sullo stato delle missioni in corso alle Commissioni competenti ogni sei mesi. Le comunicazioni invero sono da sempre insufficienti, non riferiscono puntualmente gli esiti delle missioni (alcune delle quali come noto sono prorogate da oltre dieci anni), non danno conto dei risultati in riferimento alla natura ed agli scopi delle missioni stesse. Un esempio è rappresentato dalla interruzione delle due missioni in Libia, di cui non conosciamo i dettagli, e quindi gli esiti, decise con emendamento del Governo al provvedimento e, in particolare, con riferimento alla missione di addestramento del personale della Guardia costiera libica e per garantire la manutenzione ordinaria delle unità navali cedute dal Governo italiano al Governo libico; questa viene addirittura soppressa dal decreto senza fornire ulteriori dettagli su cosa sia accaduto, quantomeno, negli ultimi quattro mesi, visto che la missione veniva puntualmente prorogata a partire dal 1 gennaio 2015. A tal proposito, si sottolinea come alcune proposte di legge sulla legge quadro sulle missioni internazionali, a partire da quella presentata sin da inizio legislatura da SEL, pongono il tema e chiedono, inoltre, un comitato di controllo parlamentare. Proposta, questa, non accolta nel testo unificato prodotto dai due relatori, nel provvedimento attualmente all'attenzione delle Commissioni Esteri e Difesa della Camera.
      Con specifico riferimento alla situazione libica, SEL ritiene fondamentale ed imprescindibile che essa sia messa al primo posto della agenda politica italiana, con un dossier dedicato ed approfondito che formalizzi la strategia d'intervento, anche considerata la presenza nel Paese e gli interessi economici in gioco, cioè l'esatto opposto di quanto finora messo in campo da Governo e Stati maggiori.
      In Libia la minaccia terroristica è sempre stata marginale, ed è stata la nostra indifferenza a determinare le condizioni perché questa minaccia diventi concreta.

La verità è che in Libia si sta combattendo una guerra per procura, che gli interessi egiziani in quel Paese non sono neutri, che la Libia è la porta del nostro dirimpettaio e che noi avremmo dovuto mettere in campo su quella scena, intanto, un'assunzione di responsabilità. L'Italia ha delle responsabilità che non partono da oggi o da ieri, ma che partono dal 2011 e dalla partecipazione scellerata del nostro Paese a quel conflitto; e, soprattutto, abbiamo la responsabilità dell'inattività del nostro Paese in tutti gli anni successivi, nei quali abbiamo mantenuto un atteggiamento di indifferenza, invece di aiutare le istituzioni di quel Paese nella sua ricostruzione.
      Quello che l'Italia dovrebbe fare nell'immediato sarebbe porsi in Europa con una posizione diversa da quella paventata nei mesi scorsi incentrata sull'interventismo diretto con il dispiegamento di oltre 5 mila uomini. Bisognerebbe farsi carico di ospitare una conferenza delle istituzioni locali, che ancora esistono in Libia, delle tribù libiche, per verificare i processi di pace, e giocare direttamente un ruolo di neutralità, senza farci trascinare dalla Francia e da altri Paesi europei nella difesa di interessi che non ci appartengono.
      I nostri interessi nazionali, nello specifico quelli economici, si trovano infatti nella Tripolitania, e invece di costruire una azione di pace continuiamo a galleggiare dentro un dibattito internazionale, non muovendo niente e non coinvolgendo realmente il Parlamento nella discussione.
      Va segnalato che non vi sono Governi riconosciuti e Governi non riconosciuti, ma che è necessario dare vita in quel territorio ad un Governo di unità nazionale, e l'Italia si deve fare carico di avanzare una proposta per una transizione che porti alla nascita di un Governo democratico in Libia.
      Se il nostro Paese continuerà a schierarsi da una parte, continuando a fare gli interessi dell'Egitto in quella partita, non sarà mai un interlocutore credibile e non riuscirà mai a costruire una pace condizione e presupposto perché siano i libici a sconfiggere la minaccia terroristica che sta crescendo nella disperazione di quel popolo per una guerra che noi abbiamo contribuito a far nascere.
      Sempre a tal riguardo, SEL esprime la propria contrarietà assoluta all'idea ed alla natura stessa dell'operazione «Mare sicuro», autorizzata dal provvedimento.
      A quanto pare si vorrebbero impiegare – in quella che sarebbe la trasformazione di «Mare Aperto 2015»- ulteriori mille uomini, fra cui compagnie di fucilieri del San Marco, incursori della Marina Militare, altre 4 navi (di cui alcune dotate di elicotteri) ed aerei senza pilota «Predator» della Aeronautica per la sorveglianza dei cieli.
      Riteniamo assurdo valutare un'operazione di tal portata senza prima aver coinvolto il Parlamento e le Commissioni competenti nella discussione, rimandando tutte le valutazioni alla presentazione del Libro Bianco, così come dichiarato nei giorni scorsi alla stampa dalla Ministra della Difesa, che doveva già essere pronto sin dalla fine del 2014.
      Piuttosto che un'operazione di questo tipo, che ha un imprinting fortemente militaristico, per SEL sarebbe fondamentale puntare le risorse sulla creazione di «Mare Nostrum II-Multilaterale», che abbia principalmente compiti di soccorso e salvataggio in mare dei profughi che scappano dai conflitti caratterizzanti il Mediterraneo.
      Con riferimento alla missione di contrasto alla minaccia terroristica dell’Islamic State in Iraq and the Levant (ISIL), riscontriamo una grave mancanza di base di giuridica, in quanto tutto viene ricondotto alla scarno e vago impegno contenuto nella risoluzione approvata il 26 agosto 2014, nonché ad una incuranza del Governo alle prerogative del Parlamento. In definitiva le Camere si ritrovano esclusivamente a ratificare scelte, anche operative, del Governo.
      Vengono, altresì, stanziati dal decreto legge in esame fondi anche per interventi fatti prima del 1 gennaio 2015.
      Si interrompe la partecipazione italiana – con emendamento governativo al provvedimento – alle missioni Eufor RCA nella Repubblica centrafricana dell'Unione europea e della missione internazionale EMOCHM in Mozambico dove operano osservatori internazionali per vigilare sulla cessazione delle ostilità militari.
      In particolare, la motivazione del disimpegno dalla missione Eufor RCA sarebbe relativo alla conclusione della missione alla data del 31 marzo 2015. Tuttavia l'UE ha deciso di sostituire la missione Eufor RCA con la EUMAM RCA, e di avere un maggior impegno e supporto alla missione MINUSCA delle Nazioni Unite. Il Governo non dà conto di tali processi, né spiega o formalizza la partecipazione a tali missioni.
      Nonostante si spendano decine e centinaia milioni di euro in missioni come «Mare Sicuro» o «ISIL», il Governo, nella relazione introduttiva al provvedimento in oggetto ha annunciato che, in una «prospettiva di razionalizzazione del settore» cesserà la partecipazione alle missioni UNMOGIP, UNTSO e MINURSO.
      Con particolare riferimento a quest'ultima citata missione in Sahara occidentale, appare incomprensibile la scelta strategica del Governo, anche alla luce della circostanza che molti Paesi – come ad esempio la Norvegia – chiedono l'ampliamento della missione stessa, nonché una estensione del mandato anche alla verifica e al rispetto dei diritti umani nell'area.
      In ultimo, si segnala l'esiguità delle risorse destinate alla cooperazione allo sviluppo e dei fondi destinati ai processi di ricostruzione e di stabilizzazione delle aree di crisi, conflitto e post-conflitto; risorse andrebbero senza dubbio aumentate anche sopprimendo inutili e controproducenti missioni internazionali che hanno peggiorato la vita delle popolazioni e compromesso ancor di più gli standard democratici come in Iraq, Afghanistan e Libia, solo per citarne alcune, e delle più costose missioni «internazionali» alle quali abbiamo partecipato in questi anni.
      Il gruppo «Sinistra Ecologia Libertà», alla luce della fondamentale rilevanza e delicatezza dei temi in discussione, nonché della mancata presa in considerazione di proposte migliorative che pure aveva avanzato nel corso dei lavori delle Commissioni riunite II e IV, non può dunque non invitare il Parlamento tutto alla piena consapevolezza di quanto il Legislatore si accinge ad avallare, e che di certo non può trovare sostegno da parte di chi tiene particolarmente ai principi base di uno Stato di diritto.

Daniele FARINA, DURANTI