• C. 3484 EPUB Proposta di legge presentata il 10 dicembre 2015

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Atto a cui si riferisce:
C.3484 Istituzione del Dipartimento della difesa civile non armata e nonviolenta presso la Presidenza del Consiglio dei ministri


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
Testo senza riferimenti normativi
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 3484


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
MARCON, ZANIN, BASILIO, SBERNA, CIVATI, ARTINI
Istituzione del Dipartimento della difesa civile non armata e nonviolenta presso la Presidenza del Consiglio dei ministri
Presentata il 10 dicembre 2015


      

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Onorevoli Colleghi! Nel 2015 sei reti di associazioni, movimenti e organizzazioni attivi sui temi della pace e del disarmo, della nonviolenza e della solidarietà hanno raccolto decine di migliaia di firme per una proposta di legge d'iniziativa popolare per l'istituzione del Dipartimento della Difesa civile non armata e nonviolenta. La presente proposta di legge ripropone lo stesso testo della proposta di legge di iniziativa popolare, senza alcuna modifica.

1. Fondamenti costituzionali.

      Gli eletti all'Assemblea costituente, il 2 giugno 1946, conoscevano bene la guerra. E conoscevano bene la lingua italiana. Molti di loro erano stati in carcere, in esilio, sulle montagne partigiane, nelle città bombardate. Nell'Italia post bellica – nella quale la maggioranza del Paese era ancora analfabeta – scelsero di scrivere la Costituzione repubblicana usando una lingua chiara, semplice, accessibile a tutti. Non equivocabile. Per esempio, nei princìpi fondamentali decisero di segnare non solo il «rifiuto» ma addirittura il «ripudio» della guerra e all'articolo 52 usarono l'aggettivo «sacro» accanto al «dovere di difesa della Patria».
      Il verbo ripudiare ha la stessa radice etimologica di ripugnare, ed indica la ripulsa, la vergogna. La guerra, secondo i Costituenti, è qualcosa che il nostro Paese ha usato e della quale è necessario vergognarsi ed averne ripulsa. Non solo come «strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», che sarebbe (ma ancora non è)

ovvio, ma anche come «mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Non erano ingenui i padri della Repubblica, sapevano che le controversie, i conflitti internazionali ci sono e ci saranno, forse, sempre. Ma erano certi che la guerra non fosse il mezzo e lo strumento adeguato per affrontarli. È come se avessero voluto ammonire le generazioni successive: «noi siamo arrivati fino a questa consapevolezza, adesso tocca a voi completare l'opera: cercate mezzi e strumenti dei quali non vergognarsi». Mezzi e strumenti alternativi alla guerra.
      Nell'articolo 52, poi, separarono con attenzione il primo comma – «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino» (di tutti i cittadini) – dal secondo che parla dell'obbligo militare che è sottoposto ai vincoli di legge, infatti oggi non è più un obbligo. Eppure la difesa del Paese, continua ad essere compito «sacro», al quale tutti debbono dare il proprio contributo, «senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» per citare un altro principio fondamentale (articolo 3) della Costituzione. Non solo, ieri, gli «obbligati» abili e arruolati e, oggi, i volontari «combattenti» che vestono una divisa e imbracciano un fucile. Ma fu necessaria una sentenza della Corte costituzionale, arrivata quasi quarant'anni dopo (nel 1985), a sancire questa distinzione e ad affermare che c’è almeno un altro modo – «civile» – di difendere la Patria.

2. Fondamenti storici.

      Nello stesso periodo in cui veniva scritta e promulgata la Costituzione, e con essa sancito il ripudio repubblicano della guerra, un giovanissimo Pietro Pinna maturava il suo personale ripudio dello strumento che la prepara e la rende possibile: l'esercito. Dichiarandosi «obiettore di coscienza» quando questa scelta non aveva neanche un nome che la definisse. «Si lottava per liberare il mondo dalla violenza, e la violenza saliva a culmini inauditi» – scriverà di quella decisione, vent'anni dopo, nel 1968 – «Tutti combattevano per il bene e la verità, e intanto questi si trovavano ad essere – in una incoerenza flagrante – istantaneamente smarriti e sempre più asserviti dai modi pratici tenuti dai loro assertori. E allora erano i modi da mettere una buona volta in discussione, i mezzi di attuazione. Era la critica della violenza e della menzogna, del distacco tra le parole e i fatti: questo – insito in noi stessi – il grande nemico da abbattere, era questo il male sommo e preminente che, a partire da noi stessi, insidiava il progresso reale dell'uomo». Pinna fu recluso per tre anni nelle carceri militari e fu considerato pazzo, ma il suo caso fece aprire nel Paese il primo confronto, culturale e politico, sui temi dell'obiezione di coscienza, del servizio civile e sui mezzi alternativi alla violenza.
      Fu Aldo Capitini a cogliere in Pinna quell'intima persuasione che ne fa precursore di una realtà nuova, che può realizzarsi attraverso un compito politico, che – contemporaneamente – così descriveva: «i convegni, la propaganda, le varie iniziative che si fanno ora frequenti in Italia “per la pace”, hanno questo scopo più o memo chiaro. In uno di questi convegni ho fatto tre proposte:

          1) l'organizzazione di un'associazione di resistenti alla guerra, cioè di coloro che in tempo di guerra si rifiutano di uccidere, accettando altri servizi pur pericolosi, come per esempio di raccogliere feriti davanti alle prime linee;

          2 ) l'istituzione di un servizio civile, di altrettanto sacrificio che stia a fianco del servizio militare (finché durerà), in modo che i giovani possano scegliere;

          3) l'istituzione di un Ministero o Commissariato per la resistenza alla guerra. Esso dovrebbe addestrare tutti i cittadini, fin da fanciulli, alla non collaborazione nonviolenta con un eventuale invasore. In quanti modi si può ostacolare l'invasore senza uccidere nessuno! Ma bisogna imparare, bisogna aver pronti certi mezzi. Una non collaborazione attivissima

di moltitudini non è una terza via, oltre la guerra e il cedere? Oltre il prendere le armi, che oramai sarebbe sempre al servizio di altri, e il cedere a chi porti la guerra qui?
      L'Italia deve dare l'esempio a sé, all'Europa, e agli altri nel mondo, insensualiti dal possesso delle armi, di modi diversi nell'affermare la civiltà».
      Ci sembrano annunciati i temi che la presente proposta di legge vuole far diventare operativi.

      3. Dall'obiezione di coscienza alla difesa civile.

      È in quel giro di anni – tra la stesura meditata della Costituzione, la scelta solitaria di Pietro Pinna e il lavoro instancabile di Aldo Capitini – che si gettarono le basi giuridiche, politiche e culturali che porteranno al diritto all'obiezione di coscienza, al servizio civile nazionale prima e alla proposta di legge per la difesa civile, non armata e nonviolenta, oggi.
      Alcune tappe di questo percorso accidentato ed esaltante passano attraverso il processo a Lorenzo Milani e le sue lettere ai cappellani militari e ai giudici, la marcia della pace e la riconciliazione del popolo del 24 settembre 1961 da Perugia ad Assisi, la nascita del Movimento nonviolento e le azioni dirette del Gruppo di azione nonviolenta, le centinaia di obiettori di coscienza nelle carceri militari di Forte Boccea a Roma, Peschiera del Garda e Gaeta, le marce antimilitariste che ne chiedevano la liberazione, la nascita della Lega obiettori di coscienza eccetera. Passano dall'impegno di una minoranza che conquista, passo dopo passo, prima – con la legge n. 772 del 1972 – la concessione della possibilità dell'obiezione di coscienza, in alcuni specifici casi, dopo – con due sentenze della Corte costituzionale (n. 164 del 1985 e 470 del 1989) e con la legge n. 230 del 1998 – il diritto all'obiezione di coscienza per tutti e, infine – con la legge 64 del 2001 – il diritto al Servizio civile nazionale come «difesa della patria con mezzi e attività non militari».
      Già nella legge n. 230 del 1998 si parlava di «un servizio civile, diverso per natura e autonomo dal servizio militare, ma come questo rispondente al dovere costituzionale di difesa della Patria e ordinato ai fini enunciati nei princìpi fondamentali della Costituzione e, si attribuiva all'Ufficio nazionale per il servizio civile (UNSC) – istituito con la stessa legge – anche il compito di «predisporre, d'intesa con il Dipartimento per il coordinamento della protezione civile, forme di ricerca e di sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta». La legge vigente e il relativo decreto legislativo n. 77 del 2002 ribadiscono questo principio, così come fanno le Linee guida per la formazione generale dei volontari civili (emanate dall'UNSC nel 2013) che definiscono l'identità del Servizio civile nazionale in quanto «autonomo istituto repubblicano di difesa civile, alternativa a quella militare».
      Eppure, il servizio civile nazionale – che pur non esaurendo in sé integralmente il concetto di difesa civile, non armata e nonviolenta, ne costituisce la prima applicazione – anziché essere una vera e piena alternativa alla difesa militare, riesce con grande fatica a far partire, ogni anno (se va bene), solo poche migliaia di giovani (quest'anno appena 29.970). Con risorse di risulta e appoggiandosi a meri strumenti di lotta alla precarietà, come «Garanzia giovani».

4. La difesa civile, non armata e non violenta e il Dipartimento.

      Eppure la potenzialità della difesa civile e i suoi campi di applicazione sono incomparabilmente più ampi e profondi della difesa militare, che si basa esclusivamente sul principio della maggiore capacità distruttiva rispetto al «nemico», cioè esattamente sulla preparazione di quella guerra che la Costituzione – solennemente – ripudia. Nella preparazione della quale il nostro Paese continua a investire – anno dopo anno – impressionanti cifre del bilancio dello Stato, che

lo rendono la quinta potenza militare europea e tra le prime undici sul pianeta, ma tra le più fragili sul piano della sicurezza sociale delle persone, sul piano della difesa dei diritti civili dei cittadini, e su quello della protezione della democrazia dalle minacce del terrorismo e delle mafie, oltre che incapace di intervenire efficacemente nei conflitti internazionali, per aiutarne la risoluzione pacifica anziché la degenerazione violenta.
      La difesa civile, che – al contrario di quella militare – usa mezzi e strumenti coerenti con le finalità perseguite ha, tra gli obbiettivi dichiarati dalla presente proposta di legge, la difesa della Costituzione e dei diritti civili e sociali in essa enunciati; la predisposizione di piani per la difesa civile non armata e nonviolenta, compresa la formazione della popolazione; le attività di ricerca per la pace, il disarmo, la risoluzione dei conflitti e la conversione a fini civili delle industrie belliche; la prevenzione dei conflitti armati, la mediazione, la riconciliazione, la promozione dei diritti umani, l'educazione alla pace e al dialogo inter-religioso, in particolare nelle aree a rischio di conflitto, in stato di conflitto o di post-conflitto; il contrasto delle situazioni di degrado sociale, culturale e ambientale e la difesa della vita, dei beni e dell'ambiente; infine – affinché tutto ciò sia davvero possibile – l'organizzazione delle strutture della difesa civile non armata e nonviolenta, attraverso il Dipartimento preposto.
      La proposta di legge, composta da quattro articoli, prevede infatti l'istituzione del Dipartimento per la difesa civile non armata e nonviolenta, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, al quale afferiscono i corpi civili di pace (di cui una prima sperimentazione è inserita nella legge n. 147 del 2013 – legge di stabilità 2014) e l'Istituto di ricerca sulla pace e sul disarmo (da istituire con apposita legge successiva). Per la realizzazione dei suoi compiti, specifica l'articolo 1, il Dipartimento opererà in stretta collaborazione con il Dipartimento della protezione civile, con il Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile e con il Dipartimento della gioventù e del Servizio civile nazionale.
      Le attività del Dipartimento saranno inizialmente finanziate attraverso un apposito «Fondo nazionale per la difesa civile, non armata e nonviolenta» (articolo 2) con una dotazione di 100 milioni annui (dei quali solo il 10 per cento utilizzabile per le spese interne di funzionamento), recuperati dalla riduzione delle spese per i sistemi d'arma del Ministero della difesa (per esempio i caccia F35), ai quali si aggiungeranno man mano le quote derivanti dai cittadini contribuenti, che vorranno versare il 6 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF): una vera e propria «opzione fiscale» a beneficio della difesa civile (articolo 3). Il budget recuperato direttamente dai cittadini verrà integrato da corrispondenti risparmi nella spesa pubblica a valere sulla missione «Difesa e sicurezza del territorio» ossia con la dismissione delle caserme (articolo 4).

5. Il senso della proposta di legge.

      La campagna «Un'altra difesa è possibile» rappresenta un salto di qualità per il movimento per la pace. Fino a non molto tempo fa, di fronte alle diverse esplosioni belliche, i pacifisti spesso si limitavano a fare appelli o mobilitazioni estemporanee che servivano forse più a sentirsi a posto con la coscienza, a dare sfogo alla giusta indignazione, che a fermare realmente le guerre. Neanche l'enorme mobilitazione internazionale di piazza del 2003, contro la seconda guerra nel Golfo, è riuscita a bloccare o a rimandare la partenza di un solo bombardiere. Oggi – insieme alla campagna «Taglia le ali alle armi» contro i caccia che incalza i Governi con dati incontrovertibili obbligando i Parlamenti a pronunciarsi sui tagli – il movimento per la pace italiano ha avviato un nuovo percorso condiviso, con lo scopo di mettere al centro della propria azione gli unici strumenti davvero efficaci per una lungimirante politica di pace, cioè il disarmo e la costruzione delle alternative alla

guerra, agendo contemporaneamente sul piano organizzativo, politico e culturale.
      Sul piano organizzativo si è costituita una nuova alleanza tra il mondo del disarmo, della nonviolenza, del servizio civile nazionale: sei Reti – Rete italiana disarmo, Rete della pace, Tavolo interventi civili di pace, Sbilanciamoci!, Conferenza nazionale enti di servizio civile, Forum servizio civile – che raggruppano al loro interno gran parte del mondo associativo e cooperativo, culturale, solidale, ambientale, laico e religioso della società civile italiana. È il segno, in particolare, del nuovo incontro, dopo l'epoca dell'obiezione di coscienza, tra l'impegno per la pace e quello per il servizio civile. Se il primo ha avuto come obiettivo, per un periodo importante della nostra storia, proprio la conquista del diritto al servizio civile, entrambi hanno oggi l'obiettivo di fare un passo avanti per la conquista del diritto alla difesa civile.
      Sul piano politico la proposta di legge afferma un principio, ribadendolo: nella Costituzione non è prevista una sola forma di difesa, quella armata, ma i Costituenti, la Corte costituzionale e una legge dello Stato (la legge n. 64 del 2001 istitutiva del Servizio civile nazionale) ne sanciscono almeno altre due: a) la difesa dei diritti fondamentali costitutivi della vera «sicurezza», a partire dal diritto al lavoro (non è possibile che l'Italia abbia 10 milioni di poveri, una delle percentuali più alte d'Europa, e che sia tra gli ultimi Paesi come spesa per il welfare, mentre è tra i primi 10 Stati al mondo per spesa pubblica militare); b) la difesa della pace, attraverso la capacità di intervento nei conflitti con strumenti differenti dalla guerra, mezzo costituzionalmente ripudiato.
      Sul piano culturale, non è un caso che la campagna «Un'altra difesa è possibile» sia stata annunciata dalle Reti promotrici il 25 aprile dello scorso anno, a conclusione dall'imponente manifestazione dell'Arena di pace e disarmo di Verona e – a un anno di distanza – ne abbia costituito l'effettivo sviluppo politico. Lo slogan di quella giornata, «la liberazione oggi si chiama disarmo, la resistenza si chiama nonviolenza», significa che non ci si è liberati davvero dal fascismo finché non ci si è liberati dalla guerra (e dalla sua preparazione) che del fascismo è elemento costitutivo; il cui ripudio, ossia la ripugnanza, i Costituenti non a caso posero tra i princìpi fondamentali della Repubblica antifascista e fondata sul lavoro. Eppure, ancora una volta, i dati dell'Eurostat (e la precarietà diffusa) ci dicono che il nostro Paese è sestultimo nell'Unione europea per occupazione e, addirittura, ultimo per occupazione giovanile. Invece, ancora una volta, i dati dell'Istituto internazionale di ricerche sulla pace ci dicono che l'Italia è quarta nell'Unione europea per le spese militari, che viaggiano al flusso di 80 milioni di euro al giorno. È un sistematico e continuato ripudio della Costituzione, anziché della guerra.
      Così come la scelta della strada lunga e impegnativa della campagna «Un'altra difesa possibile» è servita ad avviare un confronto tra i cittadini, le associazioni, le amministrazioni locali (sono state decine le mozioni di sostegno votate nei consigli comunali, e le firme dei sindaci ed è stata, significativa la risoluzione votata nell'assemblee regionale dell'Emilia-Romagna) per ridefinire i concetti di minaccia, sicurezza e difesa e le relative priorità, anche il finanziamento del Dipartimento è demandato, sostanzialmente, alla volontà dei cittadini che ne possono decidere l'opzione fiscale, in sede di dichiarazione dei redditi. Ciò che le Reti promotrici della campagna «Un'altra difesa possibile» vogliono in questo modo favorire è una scelta di consapevolezza e di responsabilità personale, relativa a quel «sacro dovere di difesa della Patria» indicato dalla Costituzione repubblicana, e contemporaneamente una espansione di diritti, che abbracci anche il diritto alla difesa civile, non armata e nonviolenta.
      A settanta anni dalla Liberazione e a 100 anni esatti dall'ingresso nella «grande guerra», che ha segnato il passaggio moderno e definitivo alla guerra tecnologica, è giunto ormai il tempo di passare dalla «retorica» della pace, che prepara sempre nuove guerre, alla «politica» per la pace che ne prepara e costruisce la difesa.
      La proposta di legge definisce all'articolo 1 le finalità della difesa civile non armata e nonviolenta e le competenze del Dipartimento; l'articolo 2 istituisce il Fondo nazionale per la Difesa civile non armata e nonviolenta; l'articolo 3 prevede la scelta di destinazione del 6 per mille dell'IRPEF; l'articolo 4, infine, prevede la copertura finanziaria.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Difesa civile non armata e nonviolenta).

      1. In ottemperanza al principio costituzionale del ripudio della guerra, di cui all'articolo 11 della Costituzione, e al fine di favorire l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, di cui all'articolo 2 della Costituzione, e l'adempimento del dovere di difesa della Patria di cui all'articolo 52 della Costituzione, viene riconosciuta a livello istituzionale una forma di difesa alternativa a quella militare denominata difesa civile non armata e nonviolenta, quale strumento di difesa che non comporti l'uso delle armi e alternativo a quello militare.
      2. Ai fini di cui al comma 1, è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il Dipartimento per la difesa civile non armata e nonviolenta, si seguito denominato «Dipartimento», dal quale dipendono:

          a) i corpi civili di pace, ai sensi dell'articolo 1, comma 253, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, da impegnare in azioni di pace non governative nelle aree di conflitto o a rischio di conflitto o nelle aree di emergenza ambientale;

          b) l'Istituto di ricerca sulla pace e sul disarmo, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.

      3. Ai fini di cui al comma 1, il Dipartimento deve prevedere forme di interazione e di collaborazione con:

          a) il Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri, come organo di riferimento del Servizio nazionale della protezione civile di cui al decreto-legge 15 maggio 2012,

n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2012, n. 100;

          b) il Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile del Ministero dell'interno;

          c) il Dipartimento della gioventù e del Servizio civile nazionale della Presidenza del Consiglio dei ministri.

      4. È istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Consiglio nazionale per la difesa civile, non armata e nonviolenta, con compiti paritetici di indirizzo e di confronto disciplinati con regolamento emanato dal Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'interno.
      5. Il Dipartimento per la difesa civile non armata e nonviolenta ha i seguenti compiti:

          a) difendere la Costituzione, affermando i diritti civili e sociali in essa enunciati, la Repubblica nonché l'indipendenza e la libertà delle istituzioni democratiche del Paese;

          b) predisporre piani per la difesa civile non armata e nonviolenta, coordinarne la loro attuazione, e curare ricerche e sperimentazioni, nonché forme di attuazione della difesa civile non armata, comprese la necessaria formazione e l'educazione della popolazione;

          c) svolgere attività di ricerca per la pace, per il disarmo, per la graduale differenziazione produttiva e per la conversione ai fini civili delle industrie nel settore della difesa e la giusta e duratura risoluzione dei conflitti, nonché predisporre studi finalizzati alla graduale sostituzione della difesa armata con quella civile nonviolenta, e provvedere alla formazione del personale appartenente alle sue strutture;

          d) favorire la prevenzione dei conflitti armati, la riconciliazione, la mediazione, la promozione dei diritti umani, la solidarietà internazionale, l'educazione alla pace nel mondo, il dialogo inter-religioso, in particolare nelle aree a rischio di conflitto,

e in quelle in stato di conflitto nonché nelle situazioni di post conflitto;

          e) organizzare e dirigere le strutture della difesa civile non armata e nonviolenta e pianificare e coordinare l'impiego dei mezzi e del personale ad essa assegnati;

          f) contrastare le situazioni di degrado sociale, culturale ed ambientale e difendere l'integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell'ambiente dai danni cagionati dalle calamità naturali.

      6. Le attività, l'organizzazione e il funzionamento del Dipartimento e delle sue articolazioni sono disciplinati con regolamento emanato, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, dal Presidente del Consiglio dei ministri, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

Art. 2
      (Fondo nazionale per la Difesa civile non armata e nonviolenta).

      1. Per il funzionamento del Dipartimento è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, un apposito fondo denominato «Fondo nazionale per la difesa civile non armata e nonviolenta», con una dotazione annua pari a 100 milioni di euro per l'anno 2015, utilizzabili in misura non superiore al 10 per cento per le spese di funzionamento, e alimentato, per gli anni successivi, anche dalle risorse derivanti dall'attuazione dell'articolo 3.
      2. Ai fini della copertura degli oneri di cui al comma 1 relativi all'anno 2015, le spese sostenute dal Ministero della difesa relative all'acquisto di nuovi sistemi d'arma sono ridotte in misura tale da assicurare risparmi pari ad almeno 100 milioni di euro.


      3. Le modalità di gestione e di rendicontazione delle risorse del Fondo di cui al comma 1 e delle spese di funzionamento del Dipartimento sono stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
Art. 3
(Scelta della destinazione del sei per mille dell'IRPEF).

      1. A decorrere dall'anno d'imposta 2015 è riconosciuta al contribuente la facoltà di destinare una quota pari al 6 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), dovuta e liquidata dall'amministrazione finanziaria sulla base della dichiarazione annuale, alla difesa civile non armata e nonviolenta ai fini all'incremento della copertura delle spese per il funzionamento del Dipartimento e al finanziamento delle attività dei corpi civili di pace e dell'Istituto di ricerca sulla pace e sul Disarmo di cui all'articolo 1, comma 2, lettere a) e b).
      2. Il Ministro dell'economia e delle finanze stabilisce, con proprio decreto, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le modalità di esercizio, in sede di dichiarazione annuale ai fini dell'IRPEF, dell'opzione fiscale di cui al comma 1, anche prevedendo le dovute modifiche alla modulistica.
      3. Il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dell'economia e delle finanze presentano annualmente alle Camere una dettagliata relazione sull'entità e sulle modalità di utilizzazione delle risorse rivenienti dalle opzioni fiscali di cui al comma 1 e sullo stato di attuazione della presente legge.

Art. 4
(Copertura finanziaria).

      1. A decorrere dall'anno d'imposta 2015 l'ammontare delle risorse previste ai

sensi dell'articolo 3 è compensato da corrispondenti risparmi derivanti dai meccanismi di revisione e di razionalizzazione della spesa pubblica di cui alla missione «Difesa e sicurezza del territorio» dello stato di previsione del Ministro della difesa secondo le procedure stabilite dal decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, della legge 7 agosto 2012, n. 135, nonché dai risparmi derivanti dalla dismissione di caserme e di presidi di pertinenza del demanio militare.
      2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.