• Testo DDL 1201

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Atto a cui si riferisce:
S.1201 Regolamentazione del fenomeno della prostituzione


Senato della RepubblicaXVII LEGISLATURA
N. 1201
DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa dei senatori SPILABOTTE, FEDELI, LO GIUDICE, SOLLO e CIRINNÀ

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 10 DICEMBRE 2013

Regolamentazione del fenomeno della prostituzione

Onorevoli Senatori. -- Cinquantacinque anni dopo l'approvazione della legge Merlin, l'Italia forse riscrive la sua storia. La regolamentazione delle «case chiuse» introdotta in Italia su modello napoleonico, con i decreti di Cavour del 1860, aveva lo scopo di tutelare la salute dei soldati. Nonostante qualche modifica successiva introdotta nel periodo liberale, il sistema di coercizione e di reclusione fu mantenuto sostanzialmente immutato fino al 1958, quando ormai tutti gli altri Stati europei l'avevano da tempo abolito. Come sostenuto da più parti, la legge Merlin (legge 20 febbraio 1958, n. 75) ha segnato la fine della prostituzione «regolamentata», con la chiusura delle cosiddette «case di tolleranza», espressione eufemistica con la quale venivano indicati i luoghi destinati all'organizzazione e allo sfruttamento della prostituzione su licenza dell'autorità di pubblica sicurezza; case che, pertanto, non erano soltanto tollerate, ma erette a sedi di prostituzione dallo Stato e dalla legge.

La legge Merlin rappresentò quindi, per tale aspetto, un atto di notevole rilievo nella nostra legislazione, oltre che nel costume del Paese, ma è ormai tempo di porre rimedio alla confusione e alle gravi contraddizioni che la legge stessa presenta.

La legge Merlin è stata una normativa molto coraggiosa e aperta per i suoi tempi. Le case chiuse costituivano un'istituzione di sfruttamento delle donne, Merlin pensò addirittura che si potesse arrivare, con la sua legge, alla fine della prostituzione. Non è stato così, ma quel testo legislativo ha rappresentato un passo avanti fondamentale per il rispetto dei diritti delle donne, per l'emancipazione, per la parità. Essa costituisce un punto fermo nel contrasto dello sfrutta- mento legalizzato delle donne nell'esercizio della prostituzione. Un atto di lungimiranza del Parlamento destinato a incidere sul costume e sulla mentalità degli italiani. Un punto da cui non si può tornare indietro. La chiusura delle case di prostituzione ha significato nello stesso tempo: proibizione di ogni attività volta a trarre guadagno dall'esercizio altrui della prostituzione; proibizione di discriminazioni, attraverso schedature, di donne che esercitano la prostituzione; l'affermazione della prostituzione come attività attinente alla sfera privata dei rapporti tra persone, pertanto come attività lecita, non perseguibile né per chi la esercita, né per chi la utilizza.

L'esigenza di affrontare questo tema, di ripensare gli strumenti che lo regolamentano, salvaguardando i principi fondamentali affermati dalla legge Merlin, nasce dall'evoluzione che il fenomeno ha conosciuto almeno in Italia negli ultimi anni. Da un lato, un crescente aumento di prostitute straniere, spesso illegali, costrette ad accettare condizioni di lavoro dannose per la loro e per la salute altrui; dall'altro, una crescente presenza della criminalità organizzata nella gestione del business della prostituzione. Due nuove variabili che hanno reso la prostituzione più visibile, ma anche più aggressiva (in termini di marketing), oltre che più pericolosa per le persone che la esercitano, contro la quale si sono mobilitati comitati di cittadini, decisi a difendere la tranquillità dei loro quartieri. Da queste considerazioni si deve partire, dalla consapevolezza delle molteplici facce che oggi assume la prostituzione: da quella dell'emarginazione di persone tossicodipendenti, a quella coatta di cui sono vittime prevalentemente le donne straniere, alcune anche minorenni, alla prostituzione volontaria dei grandi alberghi e locali di divertimento. In mezzo vi è un'ampia fascia di situazioni che oscillano dalla costrizione alla libera scelta, dalla prostituzione nelle case alla prostituzione di strada, dalla prostituzione sicura e protetta alla prostituzione che mette a rischio salute e incolumità, dalla prostituzione femminile alla prostituzione maschile o di transessuali.

Sia la legge, sia il codice penale fingono di ignorare giuridicamente la prostituzione, ma di fatto ne consentono l'esistenza, determinando effetti in larga misura opposti a quelli che la stessa legge Merlin si proponeva e consentono l'esercizio della prostituzione in regime di apparente clandestinità, che però è divenuta di evidente aggressività, al punto da creare anche gravi problemi di ordine pubblico in certe aree urbane o extraurbane.

Il fenomeno della prostituzione ora è molto cambiato e ha assunto i caratteri della tratta e dello sfruttamento di esseri umani, le donne coinvolte sono soprattutto extracomunitarie che arrivano in Italia con l'illusione di un lavoro e si ritrovano schiave. Il cambiamento da apportare alla legge Merlin riguarda soprattutto la cancellazione del reato di favoreggiamento della prostituzione in cui può incorrere chi affitta un immobile che viene adibito, a sua insaputa, alla prostituzione. La prostituzione in sé non deve essere ritenuta un reato, e chi decide liberamente di prostituirsi in casa deve poterlo fare. Non bisogna dimenticare che la prostituzione rappresenta una piaga per la nostra società, dalla quale scaturiscono tutta una serie di effetti collaterali. Sono migliaia le schiave del sesso che ogni anno sono costrette a prostituirsi contro la loro volontà. Ragazze giovani, troppo spesso minorenni, che quotidianamente vengono sequestrate con la forza e vendute all'asta per poi approdare sui marciapiedi italiani. Tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù, sfruttamento della prostituzione sono aspetti terribili di questo fenomeno che noi intendiamo contrastare fermamente e le statistiche ci dicono che la prostituzione in strada è il loro terreno di coltura privilegiato.

Oggi, ad una situazione nella quale donne sospinte da particolari condizioni economiche, culturali, sociali e morali, mercificano il proprio corpo, con una estesa tratta per scopi sessuali di giovani extracomunitarie, si è associata la prostituzione maschile e dei transessuali.

Un flusso considerevole di persone, cittadini in prevalenza extracomunitari, è avviato con inganni e con violenza alla prostituzione da una insidiosa criminalità organizzata. Quest'ultima predispone luoghi di abitazione, mezzi di locomozione, false documentazioni di identità, sottraendo a chi si prostituisce oltre il 70-80% del ricavato.

Per chi non ha alternativa se non l'espulsione dal Paese, la disoccupazione, l'emarginazione, lo stato di totale e pericolosa clandestinità, la criminalità organizzata è spesso l'unico strumento di sopravvivenza, nella illusoria attesa di un affrancamento e di una riconquista di libertà.

Sul piano internazionale, partendo dalla Convenzione per la repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione, adottata a New York nel 1950 e resa esecutiva in Italia con legge 23 novembre 1966, n. 1173, è necessario, entro una politica mondiale di tutela dei diritti inviolabili della persona e di sviluppo economico, sociale, produttivo dei Paesi del terzo e quarto mondo, definire nuovi e più alti livelli di contrasto della criminalità organizzata a fini di sfruttamento sessuale.

La stessa Convenzione di Istanbul, ratificata in Italia lo scorso 19 giugno (legge n. 77 del 2013), rappresenta il primo strumento internazionale in grado di vincolare giuridicamente gli Stati alla tutela dei diritti delle donne, con l'obiettivo di dar vita finalmente ad un quadro normativo completo capace di contrastare e prevenire qualunque tipo di violenza contro le donne, obbligando gli Stati aderenti ad adottare tutte le misure legislative necessarie per la tutela delle donne vittime di violenza, a partire dal dovere di perseguire i reati riconosciuti dalla Convenzione stessa. Questa sia l'occasione per discutere a 360º dei problemi delle donne a partire dalla questione del fenomeno sociale complesso qual è quello della prostituzione. Una regolamentazione in tal senso è necessaria perché non regolamentare o peggio, proibire, produrrebbe solo una sostanziale indifferenziazione tra libere scelte di autodeterminazione e prostituzione coatta, sfruttata e gestita dalle organizzazioni criminali di tutto il mondo che nel nostro Paese gestiscono la tratta delle donne, soprattutto minori, sfruttandole, soggiogandole, sottoponendole a violenze indicibili attraverso l'impiego della minaccia. Scegliere di non affrontare questo problema significherebbe solo favorire indirettamente la malavita e sarebbe anche un indirizzo contrario rispetto alla strada indicata dall'Unione europea, considerando che il Parlamento europeo, nel mese di maggio 2013, riunito in seduta plenaria a Strasburgo, ha approvato una risoluzione sulla lotta al crimine organizzato. Auspico che dopo la ratifica della convenzione quale strumento internazionale in grado di vincolare giuridicamente gli Stati alla tutela dei diritti delle donne, il Parlamento si faccia carico di aprire una seria e proficua discussione sull'argomento nel rispetto delle libere scelte delle donne e nel contempo per il contrasto al fenomeno della tratta delle donne ai fini dello sfruttamento sessuale e quindi di lotta alle organizzazioni criminali e malavitose che nel nostro Paese investono in questo settore approfittando di una mancata regolamentazione accumulando immani ricchezze che alimentano altri traffici illeciti.

Nel riaffermare che la prostituzione è una questione sociale di cui è responsabile la società nel suo insieme -- i clienti che, con le loro richieste, stimolano il mercato, la povertà, la miseria e le guerre; un sistema consumistico che propone modelli di comportamento strumentali e facili percorsi all'arricchimento; il radicato pregiudizio nei confronti di persone considerate diverse per le loro scelte sessuali non conformiste -- non si può non considerare ogni possibile strumento che consenta di ridimensionarne gli aspetti più problematici.

Anche per quanto riguarda i clienti si va da persone sole, che trovano nella prostituta un punto di appoggio, a persone che esprimono così il loro disagio di relazionarsi con altri, a persone che, invece, trovano nella prostituzione il modo di vivere liberamente la propria sessualità. La legislazione italiana ha già introdotto strumenti per la tutela delle vittime del traffico a fine di sfruttamento sessuale (articolo 18 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286) e per la tutela dei minori vittime di sfruttamento della prostituzione, della pornografia e del turismo sessuale (articolo 600-bis del codice penale).

Non ci sono strumenti giuridici invece di tutela dei diritti delle persone che esercitano la prostituzione, al di là di quelli previsti dalla legge Merlin, e, paradossalmente, alcune norme volte a scoraggiare lo sfruttamento della prostituzione previste nella stessa legge si stanno rivelando, a distanza di tempo, costrittive per chi liberamente vuole esercitarla, con una maggiore attenzione alle proprie salute e sicurezza. Si pensi in particolare al reato di adescamento e al reato di favoreggiamento che la legge Merlin prevede per coloro che mettono a disposizione locali nei quali è esercitata la prostituzione. All'effetto desiderato di porre fine allo sfruttamento della prostituzione nelle case chiuse se ne sono aggiunti altri non voluti, come l'impossibilità di esercitare volontariamente la prostituzione al chiuso, nelle abitazioni, da parte di più donne che così facendo potrebbero condividere le spese ed effettuare una sorta di mutuo aiuto, o il dilagare della prostituzione di strada, con le note conseguenze negative per la salute e per la sicurezza o in termini di consenso da parte di cittadini.

Bisogna distinguere tra chi decide più o meno liberamente di prostituirsi, magari nel suo appartamento, dalle ragazze, spesso minorenni, e dalle donne che vengono fatte arrivare in Italia con l'inganno e la forza, sequestrate, stuprate e tenute in schiavitù da sfruttatori che si arricchiscono torturandole. Si tratta di due fenomeni molto diversi. La prostituzione può essere una scelta (per quanto per alcuni difficile da comprendere e da ammettere), non riteniamo giusto che lo Stato intervenga sull'uso che del proprio corpo intendono fare donne libere e responsabili.

Nella storia sociale della prostituzione si sono succeduti e intrecciati quattro modi di regolarla basati su altrettanti modelli: quello proibizionista/criminalizzante, quello regolamentarista, quello abolizionista e quello neoregolamentarista/decriminalizzante.

A) Il sistema proibizionista/criminalizzante.

Esso consiste nel vietare la prostituzione, sia per ragioni di tutela della morale pubblica, sia per ragioni di prospettiva ideale, volta all'eliminazione del sesso a pagamento ritenuto lesivo della qualità dei rapporti umani e della dignità della persona che si prostituisce, declinata storicamente al femminile. È il caso dei regimi una volta vigenti negli ex-Paesi comunisti e attualmente in alcuni Stati degli Stati Uniti d'America, nonché della recente scelta operata dalla Svezia che ha messo al centro la tutela della dignità femminile e la salvaguardia del corpo femminile dalla violenza maschile esercitata attraverso il denaro. Tale sistema introduce, infatti, la punizione del cliente attribuendo così allo Stato la funzione eticopedagogica di sanzionare un comportamento sessuale maschile. È questa una posizione che rappresenta una novità, poiché storicamente il proibizionismo ha sempre sancito il comportamento della prostituta, in quanto comportamento sessuale femminile fuori del matrimonio.

B) Il sistema regolamentarista.

È il sistema alternativo alla criminalizzazione. Tuttavia questa definizione è estremamente ampia e va dalla «statalizzazione dei bordelli» alla regolamentazione giuridica ed economica da parte dello Stato dell'esercizio della prostituzione come avviene oggi in Olanda. La legalizzazione spesso include l'imposizione di tasse e di restrizioni per l'esercizio della prostituzione in luoghi e in zone particolari. In molti sistemi che consentono l'esercizio della prostituzione le leggi in vigore regolamentano anche la vita delle prostitute prescrivendo controlli sanitari e luoghi di residenza. Era il caso dell'Italia prima della legge Merlin. Nei sistemi regolamentaristi classici è sempre previsto il controllo sanitario obbligatorio della persona che si prostituisce come misura, rivelatasi poi puntualmente inefficace, di contenimento delle malattie veneree, in particolare della sifilide.

C) Il sistema abolizionista.

Il fine ultimo di tale sistema è l'abolizione della prostituzione come attività che sfrutta e mortifica la dignità della persona che si prostituisce. Storicamente il sistema abolizionista non consente allo Stato di gestire direttamente i comportamenti relativi all'esercizio della prostituzione in quanto, pur abolendo la disciplina legale delle case di tolleranza, non arriva tuttavia alla proibizione di tali comportamenti.

D) Il sistema neoregolamentarista/decriminalizzante.

Questo sistema comporta la rimozione di qualunque legge che penalizzi l'attività sessuale consensuale tra adulti in un contesto commerciale.

La Commissione delle donne del Parlamento europeo già nel 1990 chiedeva agli Stati membri di decriminalizzare la prostituzione a tutela della salute e della sicurezza delle prostitute, sottolineando che la condizione di semi-illegalità nella quale generalmente operano incoraggia gli abusi come la prostituzione per costrizione, in condizioni di lavoro degradanti, i maltrattamenti e altri delitti.

I movimenti per i diritti delle prostitute chiedono la decriminalizzazione di qualunque aspetto della prostituzione che interferisce con le loro libertà di movimento e di associazione. Tali movimenti considerano, inoltre, che tutte le leggi contro lo sfruttamento della prostituzione danneggiano i familiari conviventi delle donne che si prostituiscono, e che queste leggi impediscono alle prostitute di organizzarsi e lavorare insieme per proteggersi reciprocamente. Il presente disegno di legge si fonda su questi presupposti e prevede, infatti, la depenalizzazione dell'esercizio della prostituzione.

Un argomento così difficile e drammatico non può certo rimanere confinato a toni e argomenti da bar dello sport! Va affrontato seriamente nelle Istituzioni chiamate a risolvere un problema drammatico. Tenendo presente quale è il vero problema della moderna prostituzione: la riduzione in schiavitù o nelle tante forme di sfruttamento. So che insistere su questo aspetto fa meno audience, infastidisce, si cerca di allontanarlo. Piace parlare di prostituzione perché evoca stereotipi o miti che hanno a che fare con il gioco della sessualità. Ma la verità della prostituzione è la realtà dello sfruttamento. E questa realtà va denunciata perché diventiamo finalmente capaci di indignarci. Non si può combattere contro il burqa e poi accettare il burqa che c'è in casa nostra. Per questo la parola d’ordine per regolare la prostituzione è liberarla da ogni sfruttamento. Avere la pazienza di creare la mediazione tra i diversi valori che sono in gioco: la difesa della dignità della persona e la tutela della sicurezza dei cittadini.

Si pone quindi il problema di dare risposte sia all'esigenza di tutela delle persone che esercitano la prostituzione sia ai cittadini che si sentono turbati dalla vista di comportamenti considerati aggressivi e lesivi della morale pubblica.

È da dire che la prostituzione in sé, come mercificazione del proprio corpo e della propria sessualità, e per i fattori (economici, oltre che di natura sociale, culturale e psicologica) che la determinano, costituisce una limitazione al pieno ed equilibrato sviluppo della persona.

Perciò una legislazione sulla prostituzione deve muovere dall'articolo 3 della Costituzione, che obbliga a favorire tutti gli interventi per rimuovere gli ostacoli economici e sociali, che condizionano, di fatto, la libera e responsabile autodeterminazione della persona anche nella sfera della sua sessualità.

Per fortuna, tante realtà nella società stanno affrontando bene questo tema: penso al volontariato, agli enti locali che, utilizzando il citato articolo 18 della legge sull'immigrazione (che prevede un permesso di soggiorno per protezione sociale), hanno consentito a oltre mille donne di essere reinserite nella società.

Devono essere attivati degli operatori sociali e anche dei mediatori culturali, per la realizzazione dei progetti, considerata la diffusa presenza di persone straniere dedite alla prostituzione.

Vengono chiamati a collaborare per il raggiungimento degli obiettivi citati, oltre ai comuni, i consigli di circoscrizione, i servizi di igiene, i distretti socio-sanitari ed i consultori familiari.

Obiettivi e linee generali

Gli obiettivi sono molteplici: sottrarre allo sfruttamento persone che per ragioni di obiettiva debolezza sono soggette allo sfruttamento; sottrarre, legalizzandolo pienamente, un mercato alle regole dei mercati clandestini e alla contiguità con il mondo criminale; portare ordine nelle città che, nelle ore notturne, in alcune zone sono autentici «bordelli» a cielo aperto.

Per raggiungere questi risultati occorre superare la attuale tolleranza del fenomeno -- che, a causa della indeterminatezza della legislazione, racchiude in sé diversi e distinti fenomeni economici e sociali -- e giungere ad una regolamentazione legale dei diversi fatti classificati nell'ambito del fenomeno prostituzione.

Nel disegno di legge trova una sua connotazione, quindi, nella categoria della prostituzione, l'attività della prostituta o del prostituto che, in modo del tutto libero e consapevole, abbia scelto come propria attività il sesso a pagamento e, come da ogni altra attività, ne ricavi un reddito percependo denaro in cambio di una prestazione, dopo una libera contrattazione.

Si sostiene come tale tipo di attività, in una società libera e democratica, debba essere consentito e regolamentato, sottoposto a norme, anche fiscali, così come lo sono molteplici attività imprenditoriali, commerciali e professionali.

Nella categoria della prostituzione, tuttavia, sono compresi fenomeni caratterizzati dalla violenza e che invece devono essere repressi.

Si tratta di tutti quei casi in cui la persona si prostituisce sotto costrizione e in cui parte considerevole dell'utilità viene percepita da qualche altro soggetto che sfrutta l'attività a cui costringe la persona assoggettata.

Questo tipo di fenomeno in crescita sotto la spinta dell'immigrazione dall'Africa e dall'Europa orientale, deve essere adeguatamente represso.

Il disegno di legge opera, quindi, sui due versanti, civile e penale, per raggiungere gli obiettivi individuati. Alcune norme definiscono l'esercizio della prostituzione sia in forma individuale (comprendendola nelle attività di cui al titolo III del libro V del codice civile -- lavoro autonomo) che in forma cooperativa e prevedono l'esercizio in unità immobiliari di cui si abbia legale disponibilità e, nel caso dell'esercizio dell'attività in forma cooperativa, in un numero di persone pari a quelle a cui è consentita la coabitazione in base alle norme di igiene e sanità pubbliche.

Altri articoli invece definiscono la materia penale stabilendo con precisione le figure di reato e le pene (sfruttamento della prostituzione, costrizione violenta alla prostituzione e organizzazione del traffico internazionale), nonché prevedendo le circostanze aggravanti e la confisca obbligatoria dei proventi del reato.

Un intervento normativo in questa materia deve muoversi da un lato nella prospettiva di una mediazione degli interessi confliggenti da attuarsi anche e soprattutto attraverso un'azione sinergica di soggetti pubblici e privati che operano nel settore della prostituzione, dall'altro, nell'ottica della necessità di approntare un'efficace azione di contrasto verso ogni forma di sfruttamento o costrizione alla prostituzione, ancora più grave quando la vittima è un minore.

In primo luogo, si intende prevenire e reprimere i delitti di prostituzione coattiva, di induzione, reclutamento e sfruttamento dell'altrui prostituzione, rafforzandone la disciplina anche sotto il profilo processuale e sanzionatorio. In conseguenza di ciò si è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza per tali reati nonché pene accessorie di natura interdittiva in considerazione della loro particolare efficacia a fini di prevenzione generale e speciale. Inoltre, in ragione dell'efficacia deterrente dimostrata dal sistema della responsabilità da reato degli enti di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, si sono estese le ipotesi di illecito ivi previste anche ai casi di delitti di prostituzione coattiva, induzione, reclutamento e sfruttamento introdotti dal presente disegno di legge, qualora realizzati nell'interesse dell'ente. Nell'intento di colpire anche sotto il profilo patrimoniale il racket spesso legato al fenomeno dello sfruttamento della prostituzione, si sono previste anche particolari ipotesi di confisca, particolarmente idonee allo scopo. Al fine di favorire la destinazione sociale dei proventi della confisca così disposta nei confronti dei condannati per tali reati, si è prevista l'assegnazione delle somme derivanti da tali provvedimenti al fondo istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri a ai sensi dell'articolo 12 della legge 11 agosto 2003, n. 228. In tale fondo confluiranno, altresì, le somme derivanti dall'applicazione delle sanzioni pecuniarie previste nel presente disegno di legge. Il fondo così istituito potrà finanziarie iniziative realizzate dalle regioni e dagli enti locali -- in collaborazione con gli enti pubblici e privati che si occupano di prostituzione -- volte alla prevenzione dei delitti di prostituzione coattiva, all'integrazione sociale delle vittime e al loro inserimento nel mondo del lavoro, favorendo, altresì, corsi di formazione professionale. Tali interventi sono destinati alle persone vittime delle condotte delittuose previste in materia e di quelle che manifestino la volontà di abbandonare l'attività di prostituzione, alle quali si offrono, in tal modo, percorsi di lavoro e di vita alternativi.

Con il presente disegno di legge, inoltre, si intende affrontare il tema della prostituzione non coatta e non esercitata da minore, per garantire il diritto di autodeterminazione sessuale dei cittadini e, contemporaneamente, il loro diritto alla tranquillità e alla libertà di movimento, senza tuttavia dimenticare di offrire alle donne, costrette a prostituirsi a causa di circostanze difficili della vita, la possibilità di cambiare vita (articolo 1). Le misure proposte sono da inquadrare nell'ottica delle politiche sociali volte alla riduzione del danno sanitario e sociale e dell'enpowerment dei soggetti deboli, nella convinzione che questo possa contribuire al contrasto allo sfruttamento. Possono essere interessate a tali misure tutte le persone che, più o meno volontariamente, esercitano la prostituzione senza subire costrizione fisica e senza dover cedere parte del proprio reddito ad altri in cambio di protezione. A queste persone dovrebbe essere consentito di associarsi e di esercitare la prostituzione nelle case. Le misure previste dal presente disegno di legge dovrebbero infatti incoraggiare tali soggetti ad abbandonare la strada o ad esercitare in luoghi più sicuri e nello stesso tempo più riparati dalla vista dei cittadini. Due sono le strategie previste: la decriminalizzazione dell'adescamento e del favoreggiamento da un lato, l'individuazione di regole minime che indichino dove si può e dove non si può esercitare. Questo secondo punto presuppone una forte assunzione di responsabilità da parte degli amministratori locali per individuare le misure più idonee volte a ricomporre situazioni di conflitto locale. La strada indicata non è quella del proibizionismo, ma quella della mediazione dei conflitti, dell'analisi del problema e dello studio delle soluzioni in modo partecipativo, con il coinvolgimento degli stessi soggetti che esprimono disagio. Frutto di contrattazione potrebbe essere l'individuazione di alcune aree verso le quali incoraggiare il trasferimento dell'esercizio della prostituzione, che siano nello stesso tempo lontane dagli occhi di persone che non vogliono assistere al mercato del sesso, sicure per chi invece le vuole frequentare. Non rientra nella contrattazione, ma è responsabilità delle amministrazioni locali, la salvaguardia di alcune aree nelle quali sorgano scuole, luoghi di culto od ospedali o destinate a parchi cittadini. La proibizione dell'esercizio della prostituzione in questi luoghi è sanzionata con multe estese anche ai clienti. L'intervento normativo deve essere accompagnato da interventi di altra natura che favoriscano cambiamenti culturali, sia nei confronti della sessualità che nei confronti «degli altri». Il disegno di legge prevede, infatti, l'investimento di risorse in campagne di informazione e nella formazione di operatori sociali, in particolare delle Forze di polizia che entrano in contatto con la prostituzione.

In particolare, nell'articolo 1 si propongono alcune misure volte a favorire l'inserimento sociale delle donne che vogliono uscire dalla prostituzione, da attivare a cura delle regioni e degli enti locali, anche con il supporto delle organizzazioni di volontariato; campagne di informazione volte alla prevenzione e alla riduzione del danno sanitario e sociale connesso al fenomeno della prostituzione, con particolare attenzione ai giovani; lo stanziamento di fondi per lo svolgimento di tali attività, attraverso la riserva di una quota del Fondo nazionale per le politiche sociali.

L'articolo 2 introduce modifiche al codice penale, in particolare riconducendo le nuove disposizioni in materia di prostituzione coattiva nell’ambito dei reati contro la «personalità individuale». La collocazione prescelta -- oltre a presentare evidenti profili di simmetria con la prostituzione minorile -- sembra la più idonea a evidenziare, anche sotto il profilo simbolico, il bene giuridico protetto da tale reato, che offende il complesso di situazioni giuridiche soggettive (lo status libertatis, appunto) riconducibile alla nozione di «personalità individuale» sottesa alla sezione codicistica in esame, che già prevede ipotesi criminose anche più gravi, quali i delitti di schiavitù e di sfruttamento a fini sessuali dei minori degli anni diciotto. Tale collocazione sistematica contribuisce inoltre a chiarire meglio la natura personalistica del bene giuridico protetto, diversamente da quanto ritenuto in relazione alle fattispecie di cui agli articoli 3 e 4 della citata legge Merlin. Anche recentemente infatti, il bene giuridico tutelato da tali norme è stato individuato nella pubblica moralità e nel buon costume (ex multis, cfr. Cassazione penale, Sezione III, sentenza n. 18854 del 5 marzo 2003).

In particolare l’articolo 2, comma 1, lettera b), previa abrogazione dei reati previsti dalla legge Merlin, introduce nuove fattispecie delittuose in materia di prostituzione. La scelta delle cornici sanzionatorie corre lungo un ducplice binario. Da un lato si è avvertita la necessità di adeguare il carico sanzionatorio al principio di «proporzionalità» della pena, prevedendo sanzioni differenziate in ragione del diverso grado di offesa dei reati (oggi tutti puniti in modo indistinto). Dall’altro, si è optato per limitare parzialmente l’area del penalmente rilevante, espungendo talune norme di incerta applicazione (il mero favoreggiamento senza fine di lucro) ovvero desuete in quanto superate dalla legislazione successiva. Il testo prevede quindi due distinte fattispecie criminose: la prostituzione coattiva (600-novies), il reclutamento, l’introduzione o lo sfruttamento della prostituzione (600-decies). A quest’ultima fattispecie viene parificata quoad poenam l’attività (dolosa) di chi ha la proprietà o la gestione di locali ove si esercita la prostituzione.

Si prevede poi una circostanza attenuante speciale (ulteriore rispetto a quelle di cui all’articolo 600-septies.1, nel testo vigente) volte a incentivare particolari forme di ravvedimento operoso, dispondendo la riduzione della pena da un terzo fino alla metà nei confronti dell’autore che si adopera concretamente ed efficacemente in modo che la persona offesa riacquisti la propria autonomia e libertà. Si precisa inoltre che in caso di concorso tra le diminuenti previste dall’articolo 600-septies.1, la diminuzione di pena non può essere in ogni caso superiore ai due terzi.

Si estende inoltre ai delitti di prostituzione coattiva, induzione e sfruttamento della prostituzione, nonché ai delitti di schiavitù e tratta, l’applicabilità della fattispecie di cui all’articolo 734-bis del codice penale, volta a tutelare la privacy e l’immagine della persona offesa da delitti di particolare gravità, quali quelli contro la personalità individuale e la libertà personale.

Si prevedono, quindi, alcune modifiche al decreto legislativo n. 231 del 2001, estendendo anche ai casi di prostituzione coattiva, sfruttamento e induzione, la disciplina della responsabilità da reato della persona giuridica. L'efficacia preventiva (generale e speciale) delle sanzioni previste da tale decreto, la loro idoneità a contrastare e prevenire anche quelle forme di criminalità che spesso si avvalgono della copertura di enti o persone giuridiche per compiere reati di notevole gravità, inducono quindi ad estendere la disciplina prevista dall'articolo 25-quinquies del decreto legislativo n. 231 del 2001 anche ai delitti sopra richiamati.

Nell'articolo 3 si prevede di disincentivare l'esercizio della prostituzione nei luoghi pubblici. Le amministrazioni locali possono procedere alla individuazione delle aree di comune accordo con le associazioni per i diritti delle prostitute, con le organizzazioni di volontariato e con i comitati dei cittadini.

L'articolo introduce anche sanzioni per coloro che violano il divieto di esercizio della prostituzione e per i clienti.

L'articolo 4 prevede talune cause di non punibilità, modulate sulla giurisprudenza consolidata, relativa alle condotte collaterali all'esercizio dell'attività di prostituzione, prive di disvalore penale in quanto scevre da ogni finalità di sfruttamento. In tal senso, si prevede in particolare la non punibilità per il proprietario dell'immobile concesso in locazione, comodato, uso, usufrutto o abitazione a persona che vi eserciti la prostituzione in forma individuale, purché l'eventuale corrispettivo non sia in alcun modo determinato in relazione all'esercizio dell'attività di prostituzione ovvero rapportato ai relativi proventi. È di tutta evidenza la ratio di tale scriminante in considerazione dell'assenza di disvalore penale delle condotte descritte, scevre da finalità lucrative e da comportamenti legati allo sfruttamento della prostituzione. Si esclude inoltre la punibilità dell'attività di reciproca assistenza prestata senza fini di lucro tra persone che praticano la prostituzione. Parimenti si esclude la punibilità di chi eserciti la prostituzione in luoghi di privata dimora di cui abbia la legittima disponibilità, anche qualora ospiti altre persone, dedite alla medesima attività, senza che né intermediari né alcuna delle persone conviventi tragga profitto dall'attività delle altre. L'articolo prevede la depenalizzazione dell'adescamento e dell'utilizzo di immobili propri o della concessione in locazione di immobili nei quali è esercitata la prostituzione. Al fine di evitare che ciò riproponga il modello delle case chiuse, l'esercizio della prostituzione deve essere autogestito nel rispetto dei diritti fondamentali (salute, libertà di scelta del cliente, libertà di scegliere orari di lavoro) e limitato a un numero esiguo di persone; deve inoltre escludere non solo il coinvolgimento ma anche la presenza di minori conviventi.

L'articolo 5 entra nel merito del rilascio di autorizzazione a svolgere la professione della prostituzione. È prevista una comunicazione presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (CCIAA). Consentendo l'iscrizione in qualunque CCIAA del territorio nazionale e non necessariamente nella provincia di residenza, si evita di incorrere in forme di pregiudizio e condanna morale che ancora oggi costituiscono motivo di esclusione ed emarginazione sociale. È richiesta la certificazione facoltativa di sana e robusta costituzione, ma le disposizioni in materia di controlli igienico-sanitari non sono dettate da atteggiamenti «aids fobici» ma da uno spirito educativo e pedagogico mirato alla salvaguardia della salute di coloro che offrono e fruiscono prestazioni sessuali. Tant'è che all'articolo 7 è previsto come obbligatorio l'uso del profilattico. È chiaro che il rispetto dell'uso obbligatorio del profilattico è fatto di difficile rilevazione da parte degli organi di controllo, ma rappresenta un importante principio e la fondamentale affermazione che si tratta dell'unico strumento in grado di prevenire e non veicolare la trasmissione di malattie sessuali.

Il costo semestrale dell'autorizzazione, di euro 6.000 per l'attività full-time e 3.000 per quella part-time, rappresenta un giusto costo considerando che su centocinquanta giorni lavorativi si pagherebbe una cifra di circa 20 euro al giorno che è già al disotto del prezzo medio per prestazione stabilito in almeno 30 euro. Le persone autorizzate all'esercizio della prostituzione si assoggettano ai regimi fiscali e previdenziali previsti dalle normative vigenti.

L'articolo 6 abroga l'articolo 3, primo capoverso, numeri 3), 4), 5), 6), 7) e 8), e gli articoli 4, 5, 6 e 7 della legge 20 febbraio 1958, n. 75. Restano in vigore le previsioni di cui ai numeri 1) e 2) dello stesso articolo 3, primo capoverso, che sanzionano le fattispecie connesse all'esercizio delle case di prostituzione vietate ai sensi dei precedenti articoli 1 e 2 della legge Merlin. Lo stesso articolo 6 del disegno di legge introduce, infine, una disposizione transitoria al fine di adeguare l'ordinamento giuridico italiano alle modifiche apportate al codice penale dal presente disegno di legge. In particolare, si prevede che quando in leggi, regolamenti od altri atti normativi sono richiamate le disposizioni della legge Merlin abrogate dal comma 1 del medesimo articolo 6, il richiamo si intende effettuato ai nuovi articoli 600-novies e 600-decies del codice penale.

Resta fermo il principio cardine della legge Merlin, cioè il divieto di esercizio delle «case di prostituzione», chiarendosi così che la deroga è consentita solo per forme di autogestione con le modalità previste dall'articolo 4 del presente disegno di legge.

All'articolo 7 viene introdotto l'uso obbligatorio del profilattico. Tutti siamo consapevoli come sia estremamente difficile eseguire il controllo sul suo effettivo utilizzo, tuttavia con l'obbligatorietà del profilattico si punta ad aumentare la consapevolezza della sua importanza e a migliorare l'accesso al suo uso, anche tramite la distribuzione a basso costo o gratuita. Queste azioni, si spera possano determinare un effettivo cambiamento nei comportamenti e un miglioramento nello stile di vita, a livello sessuale.

L'importanza dell'uso del profilattico per prevenire non solo gravidanze indesiderate, ma anche malattie infettive come Aids o epatite, era stato rimarcato anche nel corso della mesima International Aids Conference di Washington, che si è svolta a fine luglio 2012. In quell'occasione, è stato anche rimarcato come l'uso del preservativo sia importante in generale per tutti nella prevenzione dal contagio, ma soprattutto per salvaguardare la salute delle donne, che presentano un rischio doppio rispetto agli uomini di contrarre l'HIV tramite rapporti eterosessuali non protetti.

Rispetto a questa posizione anche la Chiesa cattolica si è espressa in favore. Quando il 18 marzo 2009 il Papa disse, sull'aereo che lo portava in Africa, che «il preservativo non serve a combattere l'Aids», vi fu una levata di scudi e persino Stati come il Belgio, la Francia e la Germania, oltre che l'Unione europea, non proprio Stati anticlericali ottocenteschi, reagirono con fermezza contro questa incredibile tesi antiscientifica. Non possiamo che rallegrarci del fatto che oggi dal Papa venga riconosciuta l'importanza del più importante strumento contro l'Aids, anche se limitatamente a «singoli casi giustificati, ad esempio quando una prostituta utilizza un profilattico». È sorprendente che ancora venga sostenuto che «questo non è il modo vero e proprio per vincere l'infezione dell'Hiv» mentre tutta la scienza sa benissimo che soprattutto nei paesi africani, dove la malattia dell'Aids miete decine di migliaia di vittime, e dove milioni di cittadini sono colpiti dall'infezione dell'Hiv, questo è oggi l'unico strumento di prevenzione.

Il fatto che venga ammesso l'uso del preservativo, anche se «limitatamente a singoli casi», in ogni caso, ci fa ben sperare per ulteriori future «aperture».

Al comma 2 dello stesso articolo 7 si stabilisce che nelle scuole medie siano dedicate almeno 20 ore all'anno di prevenzione che puntino ad attivare comportamenti sessuali sicuri e promuovere l'uso del profilattico, contribuendo a rendere semplice e naturale ciò che è vissuto ancora con difficoltà.

Basterebbe proteggersi usando il preservativo, eppure tanto semplice non è: barriere culturali, pregiudizi, cattiva informazione fanno del preservativo ancora un tabù. Queste campagne consentirebbero ai giovani di conoscere quanto renda liberi proteggersi semplicemente, e insegnerebbe loro a mostrare tutta la naturalezza di un gesto che può far parte della intimità.

L'educazione sessuale, come educazione alla conoscenza del proprio corpo, della sessualità come attività integralmente umana, che riguarda il corpo, ma anche il cervello e le relazioni, dovrebbe essere una parte importante dell'educazione dei bambini e degli adolescenti.

Nel campo dei progetti di educazione sessuale, la scuola resta senza dubbio il campo d'azione prioritario, pur se controverso: il dibattito sull'educazione sessuale sembra infatti non avere fine nel nostro Paese, dove la prima bozza di legge per introdurla nelle classi risale al 1910 e dove delle decine di proposte discusse, nessuna è riuscita a raccogliere consensi sufficienti per il varo di una legge nazionale.

La scuola non può e non deve tuttavia restare esclusa da questo percorso, come dimostrano le esperienze di altri Paesi, in cui l'educazione sessuale è prevista in maniera strutturata da anni e con modalità differenti:

la Gran Bretagna presenta una delle percentuali più alte di ragazze-madri d'Europa e quindi l'educazione sessuale è un argomento molto dibattuto, dal governo e dai media. Proprio per rispondere all'emergenza detta school pregnancy un provvedimento della revisione dell'insegnamento nelle scuole inglesi voluto dal Personal health and sexual education ha previsto che a scuola si discuta di questi temi sin dai banchi delle elementari, ai bimbi di cinque anni. Non si tratta di lezioni di sesso, ma si punta a spiegare le relazioni, il quadro e la comprensione morale di questi argomenti;

in Francia l'educazione sessuale fa parte dei programmi scolastici fin dal 1973. Le scuole sono tenute a impartire 30-40 ore di educazione sessuale ed è prevista la distribuzione di profilattici agli studenti di terza media e prima superiore;

in Germania l'educazione sessuale fa parte dei programmi scolastici fin dal 1970;

l'Olanda presenta una delle più basse percentuali di ragazze madri al mondo e il sistema di educazione sessuale olandese, nelle scuole di ogni ordine e grado, è spesso considerato un esempio per gli altri Paesi;

in Svezia l'educazione sessuale fa parte integrante dei programmi scolastici fin dal 1956. Si comincia a trattare gli argomenti dalle prime classi elementari e si continua per tutti gli anni di istruzione, all'interno di insegnamenti disparati quali la biologia e la storia;

in Spagna dal 1985, l'educazione sessuale, non obbligatoria, è prevista per le scuole, che sono libere di decidere come applicare i programmi inseriti come materia a sé o integrati nel curriculum di altre materie, ad esempio scienze;

in Portogallo dal 1990 l'educazione sessuale è materia obbligatoria a scuola;

negli USA l'educazione sessuale facoltativa è prevista nelle scuole medie inferiori e superiori. I programmi variano a seconda dell'istituto.

Vanno quindi individuate modalità compatibili con la cultura e le peculiarità italiane, senza dimenticare che la scuola è solo uno degli ambiti in cui agire.

L'intervento educativo nelle classi, realizzato da specialisti altamente qualificati, è prezioso e presenta un duplice valore aggiunto: da un lato, una competenza specifica, tecnica, dall'altro, «l'estraneità» dal contesto scolastico, che favorisce un'apertura da parte dei giovani, riduce il loro imbarazzo, li aiuta a diventare «protagonisti» della lezione.

L'intervento di educazione sessuale nelle classi è teso a mettere a disposizione dei ragazzi tutti gli strumenti perché possano poi, adeguatamente informati, compiere le scelte che reputano più adatte a sé, sulla base della propria sfera morale.

Il corso dovrebbe fornire un utile contributo per una adeguata e completa informazione ed educazione ad una sessualità consapevole, trattando sia le tematiche classiche dei corsi di educazione sessuale (dall'anatomia e dalla fisiologia degli organi sessuali, alla tipologia degli atti sessuali, dall'affettività negli adolescenti agli anticoncezionali, dalla lotta alle violenze e alle molestie sessuali al rispetto per i partner, dalla prevenzione delle gravidanze indesiderate alla profilassi delle malattie sessualmente trasmissibili, dalla legge sull'interruzione di gravidanza al ruolo dei consultori familiari pubblici, dalla conoscenza dei processi della procreazione alle nuove tecniche di fecondazione medicalmente assistita), sia argomenti che, pur avendo diretta attinenza con le tematiche sessuali, attengono a specifiche prospettive di sguardo sugli argomenti, quali l'attenzione alle differenze di genere sessuale e di orientamento sessuale.

L'articolo 8 riguarda infine l'entrata in vigore della normativa in argomento.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

(Misure per la prevenzione del fenomeno della prostituzione e per il reinserimento sociale)

1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, in collaborazione con gli enti locali ed avvalendosi di organismi non lucrativi di utilità sociale, delle organizzazioni del volontariato e di altri soggetti privati, promuovono interventi diretti a favorire la partecipazione delle persone che manifestano la volontà di cessare l'attività di prostituzione a iniziative di sostegno idonee al loro reinserimento sociale, anche con riferimento alle attività di assistenza e protezione sociale disciplinate dall'articolo 18 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con le predette modalità, promuovono altresì interventi di formazione degli operatori pubblici a contatto con la prostituzione e di informazione, prevenzione e riduzione del danno sanitario e sociale connesso al fenomeno della prostituzione, con particolare attenzione ai giovani di età inferiore a diciotto anni. Gli interventi sono promossi dalle regioni mediante l'utilizzo in rete di servizi sociali, del lavoro e sanitari.

2. Nell'ambito del Fondo nazionale per le politiche sociali di cui all'articolo 20 della legge 8 novembre 2000, n. 328, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro della salute con proprio decreto, adottato di concerto con il Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, determinano annualmente la quota da riservare agli interventi di cui al comma 1 del presente articolo.

Art. 2.

(Modifiche al codice penale e al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231)

1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 600-septies.1, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

«La stessa diminuzione di cui al primo comma si applica nei confronti del concorrente che si adopera concretamente ed efficamente in modo che la persona offesa riacquisti la propria autonomia e libertà.

In caso di concorso tra le diminuenti di cui al primo e secondo comma, la diminuzione di pena non può essere in ogni caso superiore ai due terzi»;

b) dopo l'articolo 600-octies sono inseriti i seguenti:

«Art. 600-novies. -- (Prostituzione coattiva). -- Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque costringe taluno a prostituirsi è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 50.000.

Art. 600-decies. -- (Reclutamento, induzione e sfruttamento della prostituzione). -- Salvo che il fatto costitutisca più grave reato, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 3.000 a euro 30.000 chiunque:

1) recluta o induce alla prostituzione;

2) sfrutta, gestisce, organizza controlla l'latrui prostituzione, ovvero altrimenti ne trae profitto;

3) ha la proprietà, l'esercizio, la direzione, l'amministrazione o il controllo, anche non esclusivi, di locali aperti al pubblico dove si esercita la prostituzione.

La medesima pena di cui al primo comma si applica a chi, avendo l'esercizio, la direzione, l'amministrazione o il controllo, anche non esclusivi, di locali aperti al pubblico, tollera abitualmente l'esercizio della prostituzione da parte di una o più persone all'interno dei medesimi locali»;

c) all'articolo 734-bis, dopo le parole: «609-octies», sono inserite le seguenti: «, nonché nei casi dei delitti previsti dagli articoli 600-novies e 600-decies».

2. All'articolo 25-quinquies del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, dopo la lettera c), è aggiunta la seguente:

«c-bis) per i delitti di cui agli articoli 600-novies e 600-decies, la sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a settecentocinquanta quote»;

b) al comma 2, le parole: «lettere a) e b)» sono sostituite dalle seguenti: «lettere a), b) e c-bis)».

Art. 3.

(Divieto di prostituzione in luogo pubblico)

1. Gli enti locali, di comune accordo con gli organismi del privato sociale operanti in tale settore, con le associazioni delle prostitute e, qualora esistano, con i comitati dei cittadini, possono individuare luoghi pubblici nei quali è consentito l'esercizio della prostituzione, concordando orari e modalità di utilizzo degli stessi. In tali luoghi sono promosse anche misure volte alla riduzione del danno sociale e sanitario connesso all'esercizio della prostituzione, quali il controllo della criminalità e interventi volti alla tutela della salute. In tali luoghi è garantita la presenza di presidi sanitari e il presidio del territorio è assicurato dalla presenza di corpi di polizia a composizione prevalentemente femminile.

2. Con le modalità di cui al comma 1 possono altresì essere individuati luoghi pubblici nei quali è espressamente vietato l'esercizio della prostituzione.

3. Chiunque, partecipando anche quale cliente, viola il divieto disposto ai sensi del comma 2 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000 euro a 6.000 euro.

Art. 4.

(Non punibilità degli atti di prostituzione)

1. L'attività di prostituzione consiste nel mettere a disposizione di terze persone e a fine di lucro il proprio corpo per il compimento di atti sessuali.

2. Non è punibile, né altrimenti passibile di sanzione chi, per esercitare la prostituzione, utilizza una privata dimora di cui ha la legittima disponibilità, anche ospitando persone, dedite alla medesima attività, senza che intermediari conviventi traggano profitto dall'attività di altri. La convivenza nelle private dimore è ispirata al rispetto dei diritti fondamentali dell'autoregolamentazione del proprio lavoro e della salute. Non è consentita la presenza di minori, ancorché figli delle persone che esercitano la prostituzione.

3. Non è punibile il proprietario di un immobile che legittimamente lo concede in locazione, in uso, in abitazione, in usufrutto o in comodato a persona che ivi eserciti la prostituzione, purché non siano presenti minori, ancorché figli delle persone che vi esercitano la prostituzione.

4. Non è punibile l'attività, prestata in qualsiasi forma e senza fini di lucro, di reciproca assistenza tra soggetti che esercitano la prostituzione.

Art. 5.

(Modalità di autorizzazione all'esercizio della prostituzione)

1. Per l'esercizio volontario della prostituzione è necessario:

a) comunicare presso una qualunque sede delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (CCIAA) presenti sul territorio nazionale l'intenzione di esercitare la professione;

b) corredare la comunicazione di un certificato di idoneità psicologica ottenuto presso una qualunque azienda sanitaria locale (ASL) sul territorio nazionale, che attesti la effettiva volontà personale ad esercitare la professione, in assenza di condizioni psicologiche che evidenzino stati di vulnerabilità, costrizione, debolezza e che sia anche strumento di informazione circa le misure volte a favorire l'inserimento sociale di coloro che vogliono uscire ed affrancarsi dalla prostituzione;

c) il pagamento anticipato, su conto corrente intestato alla CCIAA alla quale si è scelto di effettuare la comunicazione, di una somma stabilita in euro 6.000 per l'esercizio full-time e in euro 3.000 per l'esercizio part-time, specificando tre dei giorni della settimana durante i quali si decide di esercitare.

2. È facoltativo allegare alla comunicazione di cui al comma 1 un certificato di sana e robusta costituzione che escluda la positività a qualunque malattia che potrebbe essere trasmessa per via sessuale.

3. Nel caso in cui la comunicazione sia corredata dei provvedimenti e delle attestazioni di cui al comma 1, la CCIAA rilascia un documento che autorizza allo svolgimento dell'attività, documento che deve essere esibito a richiesta dell'autorità competente. Il documento di cui al periodo precedente ha validità di sei mesi dalla data del rilascio e può essere rinnovato con le medesime modalità di cui ai commi 1 e 2.

4. Chiunque, nei luoghi ammessi ai sensi dell'articolo 3, eserciti attività di prostituzione in assenza del documento di cui al comma 3 del presente articolo, pur risultando effettivamente autorizzato, è soggetto a una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 500 a euro 1.000.

5. Le CCIAA di tutto il territorio provvedono a comunicare al Ministero dell'interno i nominativi di coloro che risultano autorizzati ai fini delle verifiche da parte delle autorità competenti. Il documento di cui al comma 3 può essere rilasciato solo a cittadini italiani dell'Unione europea o stranieri regolamente soggiornanti sul territorio nazionale, in ragione di titolo diverso dal solo visto turistico.

6. I soggetti autorizzati ai sensi del comma 3 sono assoggettati al regime fiscale e previdenziale previsto per legge. I soggetti autorizzati possono inoltre costituire una cooperativa per l'esercizio associato dell'attività di prostituzione e assoggettarsi al regime fiscale e previdenziale previsto per legge.

7. Le entrate di cui al presente articolo alimentano il Fondo nazionale per le politiche sociali di cui all'articolo 1, comma 2, per le finalità previste all'articolo 1, comma 1.

Art. 6.

(Abrogazioni e norme di coordinamento)

1. L'articolo 3, primo capoverso, numeri 3), 4), 5), 6), 7) e 8), e gli articoli 4, 5, 6 e 7 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, sono abrogati.

2. Nell'ordinamento vigente i richiami alle disposizioni abrogate dal comma 1 del presente articolo si intendono riferiti agli articoli 600-novies e 600-decies del codice penale, inseriti dall'articolo 2 della presente legge.

Art. 7.

(Misure per la prevenzione delle malattie sessuali)

1. Per l'esercizio della attività di prostituzione è obbligatorio l'uso del profilattico.

2. Nelle scuole secondarie di primo grado devono essere dedicate almeno venti ore l'anno a programmi e campagne di informazione, realizzate da specialisti altamente qualificati, volte alla prevenzione e alla riduzione del danno sanitario e sociale connesso al fenomeno della prostituzione.

Art. 8.

(Entrata in vigore)

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.