• C. 4319 EPUB Proposta di legge presentata il 22 febbraio 2017

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Atto a cui si riferisce:
C.4319 Modifiche alla legge 2 aprile 1958, n. 319, e al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, in materia di contributo unificato e di altri oneri per le cause relative al recupero di crediti derivanti dall'esercizio di una libera professione regolamentata


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
Testo senza riferimenti normativi
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 4319


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MATARRELLI, SEGONI, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, PASTORINO
Modifiche alla legge 2 aprile 1958, n. 319, e al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, in materia di contributo unificato e di altri oneri per le cause relative al recupero di crediti derivanti dall'esercizio di una libera professione regolamentata
Presentata il 22 febbraio 2017


      

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Onorevoli Colleghi! — La crisi economica sta falcidiando il mondo delle professioni e ciò accade (oltre che per l'aumentare dei costi e degli oneri, pure fiscali, legati all'attività professionale) anche a causa della progressiva crescita dei crediti insoluti, che colpisce con sempre maggior incidenza i piccoli e medi professionisti.
      Tutti gli indicatori dimostrano che oggi i professionisti sono titolari di redditi spesso inferiori a quelli percepiti dai lavoratori dipendenti inquadrati nei livelli più bassi della contrattazione collettiva.
      Non può tacersi come questo stato di crisi e di depauperamento dei livelli reddituali dei professionisti sia imputabile anche a scelte politiche che, nel nome di un principio di libera concorrenza, hanno inciso nel mercato delle prestazioni professionali, rendendo la figura del professionista indifesa e alla totale mercé delle più spietate logiche di mercato, senza preservare la garanzia di un'attività professionale libera e indipendente da attuare anche attraverso la tutela di una prestazione professionale il cui compenso non sia soggetto in assoluto alla sola logica del massimo ribasso.
      Anche per queste ragioni, il mancato pagamento del compenso professionale da parte del cliente è ormai diventato un elemento che incide gravemente sul reddito di molti professionisti, i quali spesso, in assenza di liquidità, sono costretti a rinunziare al recupero del credito a causa dei costi che la procedura comporta e che non sono sostenibili per le fasce reddituali più basse del mondo professionale.
      Il fenomeno descritto sta assumendo proporzioni epidemiche ed è certamente una delle principali cause dell'indigenza in cui ormai versano centinaia di migliaia di professionisti e le loro famiglie, dato che il compenso per il professionista ha la stessa funzione della retribuzione per il lavoratore dipendente: quella di garantire la sopravvivenza del lavoratore.
      Peraltro, il mancato pagamento del compenso professionale produce anche un danno all'erario, giacché per i professionisti vige il principio di cassa, ossia il reddito è costituito dai compensi effettivamente percepiti nel periodo d'imposta, detratte le spese sostenute nel periodo stesso nell'esercizio dell'arte o della professione (articolo 54 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986): pertanto il mancato pagamento di un compenso professionale si traduce, per lo Stato, in mancata percezione del relativo onere fiscale, costituito dall'imposta sul valore aggiunto (IVA), dall'imposta sul reddito delle persone fisiche e dall'eventuale ritenuta d'acconto.
      Ne consegue che il recupero del credito del professionista è interesse non solo del lavoratore, ma anche della collettività e deve quindi essere sostenuto e incentivato.
      Una misura che aiuterebbe non poco i professionisti nella tutela delle loro ragioni (e anche di quelle dell'erario) consiste nell'estendere alle procedure giudiziali aventi ad oggetto il recupero del credito costituito da compenso professionale il regime fiscale agevolato previsto per le controversie individuali di lavoro professionale, per le quali, come è noto, vige il principio di gratuità dalle spese processuali (articolo unico della legge n. 319 del 1958), salvo che per l'onere di pagamento del contributo unificato (introdotto nel 2011 anche per tali controversie), il quale, tuttavia, è dovuto nella misura della metà rispetto a quello previsto per le cause ordinarie, e in ogni caso persiste l'esenzione nei confronti di coloro che risultino essere titolari di un reddito (lordo e familiare) inferiore al triplo del limite fissato per l'accesso al gratuito patrocinio (articolo 76 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002).
      Considerato, altresì, che la Costituzione riconosce nel lavoro un fondamento della Repubblica e un diritto essenziale della persona, che anche tramite esso consegue libertà, dignità e riconoscimento sociale (articoli 1, 4, 35 e seguenti), nella nozione di «lavoro» deve senz'altro includersi, accanto al lavoro subordinato, anche il lavoro autonomo, di cui i professionisti sono fondamentale espressione.
      È indubbio che il compenso per il professionista svolge la medesima funzione della retribuzione per il lavoro subordinato: garantisce il sostentamento della persona, la sua libertà e la sua dignità.
      La natura prevalentemente personale dell'esercizio della professione, peraltro, conferma la natura e la funzione del compenso nei termini esplicitati, tanto che la giurisprudenza prevalente riconosce come vigente il principio di «equità del compenso professionale», presidiato nel lavoro subordinato dall'articolo 36 della Costituzione.
      Non vi è alcuna ragione, dunque, per non estendere le esenzioni e le riduzioni dal pagamento delle spese processuali previste per le controversie di lavoro alle procedure di recupero del credito relativo a compensi professionali, giacché soccorre la medesima ratio: un principio di tutela del lavoro, che non deve essere ostacolato da oneri di natura economica. Tale misura si rende tanto più necessaria se si considera che nell'attuale contesto economico e sociale i professionisti sono lavoratori deboli, in quanto privi di adeguati strumenti di sostegno al reddito (nonché di tariffari minimi a cui ancorare la tutela dell'attuazione del menzionato principio dell'equità del compenso professionale).
      Peraltro il professionista, recuperando il credito legato al suo compenso professionale, agisce per il recupero anche degli oneri fiscali gravanti sul compenso medesimo, quali IVA ed eventuale ritenuta d'acconto, e inoltre, conseguendo la soddisfazione del diritto, l'importo recuperato va ad aumentare il patrimonio fiscalmente imponibile del professionista stesso, procurando così un beneficio all'intera collettività. Quest'ultima considerazione, proiettata in una prospettiva di ampio respiro, può paralizzare la prevedibile eccezione alla presente proposta di legge, legata al fatto che la stessa cagionerebbe un minor introito per l'erario: infatti, da un lato, gli introiti degli oneri fiscali sul compenso professionale risultano prevedibilmente maggiori rispetto alle spese di giustizia connesse al recupero del credito medesimo e, dall'altro lato, il fenomeno diffuso di rinunzia del recupero del credito professionale (legato spesso alle spese di giustizia troppo alte) cagiona all'erario la doppia perdita, dovuta alla mancata riscossione sia degli oneri fiscali sul credito sia delle spese di giustizia.
      Il fenomeno descritto si rivela tanto più fondato laddove si considera che il compenso professionale spesso consiste in somme modeste, che quindi hanno una buona probabilità di essere recuperate e di garantire così un afflusso nelle casse dell'erario del correlato prelievo di cui all'aliquota di competenza. Pertanto, lo Stato ha tutto l'interesse a incentivare il recupero del credito professionale e l'esenzione dalle spese di giustizia è solo apparentemente uno svantaggio per le finanze dell'erario, in quanto ben maggiori (in termini economici) sono le convenienze che derivano dall'esito proficuo della procedura, esito, come si è detto, probabile data l'esiguità delle somme da recuperare.
      Invero, per gli avvocati con i requisiti reddituali per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato vi sarebbe anche l'incentivo a provvedere al recupero in proprio dei crediti personali senza ricorrere al beneficio di Stato, che altrimenti graverebbe sull'erario per la quota onorari liquidati se vi fosse la difesa da parte di un altro avvocato.
      Si propone, quindi, che il regime delle spese di giustizia previsto per le controversie individuali di lavoro venga esteso ai procedimenti aventi ad oggetto il recupero di crediti riguardanti compensi o rimborsi derivanti dall'esercizio di una libera professione, rientranti nella competenza di valore del giudice di pace.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Modifica al comma 1-bis dell'articolo 9 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115).

      1. Al comma 1-bis dell'articolo 9 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, dopo le parole: «assistenza obbligatorie, nonché» sono inserite le seguenti: «per controversie aventi a oggetto il recupero di crediti non superiori a 5.000 euro, riguardanti compensi, con accessori di legge, o rimborsi derivanti dall'esercizio di una libera professione ordinistica, e».

Art. 2.
(Modifica al primo comma dell'articolo unico della legge 2 aprile 1958, n. 319).

      1. Al primo comma dell'articolo unico della legge 2 aprile 1958, n. 319, dopo le parole: «rapporti di pubblico impiego,» sono inserite le seguenti: «nonché gli atti, i documenti e i provvedimenti relativi alle cause per controversie aventi a oggetto il recupero di crediti non superiori a 5.000 euro riguardanti compensi, con accessori di legge, o rimborsi derivanti dall'esercizio di una libera professione ordinistica».