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Atto a cui si riferisce:
S.112 [Ddl anti-pm politicizzati] Disposizioni in materia di responsabilità disciplinare dei magistrati e di trasferimento d'ufficio


Senato della RepubblicaXVII LEGISLATURA
N. 112
DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa del senatore PALMA

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 15 MARZO 2013

Disposizioni in materia di responsabilità disciplinare dei magistrati
e di trasferimento d’ufficio

Onorevoli Senatori. -- Il Presidente della Repubblica, intervenendo al Plenum del Consiglio superiore della magistratura il 15 febbraio 2012, ha espressamente e solennemente evidenziato le carenze normative che connotano la materia disciplinare e del trasferimento d'ufficio, per effetto delle quali non risultano assoggettabili ad alcuna sanzione o intervento, da parte dell'organo di autogoverno della magistratura, condotte sicuramente meritevoli di provvedimenti afflittivi di natura disciplinare e che destano grande sconcerto nella pubblica opinione, ovvero si utilizza lo strumento del trasferimento d'ufficio ex articolo 2 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, sulle guarentigie della magistratura, per reprimere condotte asseritamente colpevoli, ma prive di tipicità.

In particolare la prima Magistratura del paese ha posto in rilievo la circostanza che nell'ordinamento disciplinare, introdotto con il decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, difetta una disposizione che valga a sanzionare le esternazioni di appartenenti all'ordine giudiziario che risultino palesemente in contrasto con i doveri di imparzialità, terzietà e indipendenza richiesti per il credibile esercizio delle funzioni giurisdizionali. È, questa, una tematica complessa che il Plenum del Consiglio superiore della magistratura ha ben sintetizzato in una recente delibera di archiviazione avente ad oggetto, per l'appunto, le dichiarazioni rese da un magistrato: «è di tutta evidenza che anche ai magistrati, come agli altri cittadini, appartiene il diritto costituzionale di manifestare le proprie opinioni in pubblico, e naturalmente anche quello di esporre pubblicamente le proprie critiche rispetto a orientamenti politico-istituzionali o legislativi, indipendentemente dal fatto che essi provengano da forze collocate nell'area di governo o di opposizione. Ma è anche altrettanto evidente che tale diritto fondamentale, per quanto riguarda il cittadino-magistrato, deve essere bilanciato con i princìpi costituzionali di indipendenza e imparzialità (e di apparenza di indipendenza e imparzialità, come peraltro autorevolmente affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 100 del 1981), e cioè con i valori essenziali che caratterizzano lo status costituzionale degli appartenenti all'ordine giudiziario. Inoltre, non appare fuori luogo ricordare che i magistrati, nelle occasioni di esternazione pubblica, devono tenere conto che la loro posizione istituzionale accentua i doveri di correttezza espositiva, compostezza e sobrietà, rispetto agli standard di diligenza che possono essere richiesti al cittadino che non ricopra analogo status».

Com'è dato a tutta prima rilevare, si è in presenza di comportamenti che sono sottratti, per difetto di tipizzazione, a qualsivoglia sanzione disciplinare e che invece, per come ha evidenziato con estremo rigore e mirabile chiarezza il Presidente della Repubblica, necessitano di un immediato intervento legislativo: «a disorientare i cittadini contribuiscono -- come da tempo rilevo -- alcune tipologie di condotta che innescano periodicamente spirali polemiche e acuiscono molteplici tensioni. Mi riferisco in particolare alle esternazioni esorbitanti i criteri di misura, correttezza espositiva e riserbo; all'inserimento nei provvedimenti giudiziari di riferimenti non necessari ai fini della motivazione e che spesso coinvolgono terzi estranei; all'assunzione quando inopportuna di incarichi politici e alla riassunzione di funzioni giudiziarie dopo averli svolti o essersi dichiarati disposti a svolgerli. Condotte del genere possono incidere sulla immagine di terzietà che deve assistere ciascun magistrato con riguardo al concreto esercizio delle sue funzioni, come regola deontologica che va osservata in ogni comportamento per evitare -- come ha ricordato la Corte costituzionale nella sentenza n. 224 del 2009 -- che possa fondatamente dubitarsi della indipendenza e imparzialità di chi giudica o indaga. Molti dei comportamenti prima indicati sfuggono però alla sanzionabilità disciplinare per la rigida tipizzazione voluta dal legislatore del 2006 e non sono riconducibili neppure alla regolamentazione paradisciplinare del trasferimento di ufficio disposto in via amministrativa. È bene che da parte delle forze politiche di ciò si sia consapevoli e che a ciò -- se si vuole -- si ponga meditato rimedio anziché farne ogni volta occasione di invocazioni polemiche e generiche di interventi sanzionatori allo stato non praticabili. Come il Consiglio superiore, la Sezione disciplinare e la Procura generale della Corte di cassazione hanno rilevato, si è in presenza di vuoti normativi non colmabili in via interpretativa».

Quindi, il presente disegno di legge intende colmare questa lacuna provvedendo ad una significativa riscrittura dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 109 del 2006, e in particolare del disposto dell'originaria lettera f), che era stata abrogata per effetto dell'articolo 1, comma 3, lettera d), numero 1), della legge 24 ottobre 2006, n. 269. La nuova formulazione intende pienamente allinearsi alle indicazioni del Presidente della Repubblica, eliminando dal testo originario spazi di discrezionalità che avrebbero potuto condizionare indebitamente la libertà di manifestazione del pensiero da parte dei magistrati.

Per conseguire questo risultato, all'articolo 3 del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, dopo la lettera i) è inserita la seguente lettera i-bis): «il rendere dichiarazioni che, per il contesto sociale, politico o istituzionale in cui sono rese, rivelano l'assenza dell'indipendenza, della terzietà e dell'imparzialità richieste per il corretto esercizio delle funzioni giurisdizionali».

Altro punto che il discorso presidenziale del 15 febbraio 2012 ha preso in esame è quello che, più in generale, discende dall'avvenuta abrogazione, sempre per effetto della legge n. 269 del 2006, della lettera l) del medesimo articolo 3 del decreto legislativo n. 109 del 2006 che, con una clausola di chiusura della tipologia degli illeciti disciplinari, sottoponeva a sanzione «ogni altro comportamento tale da compromettere l'indipendenza, la terzietà e l'imparzialità del magistrato, anche sotto il profilo dell'apparenza». Si lamenta da più parti che siffatta abrogazione abbia sostanzialmente privato i titolari dell'azione disciplinare del potere di richiedere la sanzione di condotte «atipiche», ma che suscitano parimenti grave allarme e sconcerto nella pubblica opinione.

A questo fine all'articolo 3 del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, è inserita la seguente ulteriore lettera i-ter): «ogni altro comportamento idoneo a compromettere gravemente l'indipendenza, la terzietà e l'imparzialità del magistrato, anche sotto il profilo dell'apparenza, nel contesto sociale o nell'ufficio giudiziario in cui il magistrato esercita le proprie funzioni».

Resta infine da riscrivere il testo dell'articolo 2 della legge sulle guarentigie (regio decreto legislativo n. 511 del 1946) che, dopo la parziale modifica approvata nel 2006, manifesta l'esigenza di essere più esattamente modellato in relazione all'introduzione del principio di tipicità dell'illecito disciplinare e alla descritta abrogazione del citato articolo 3, lettera l). L'esigenza è quella di evitare che, attraverso il trasferimento d'ufficio per condotte incolpevoli, in realtà si sottopongano a grave sanzione comportamenti volontari del magistrato, con menomazione della titolarità dell'azione disciplinare che la Costituzione affida al solo Ministro della giustizia e al Procuratore generale presso la Corte di cassazione.

Tra l'altro il medesimo Consiglio superiore, con la delibera del 24 gennaio 2007, preso atto della definitività del nuovo assetto normativo realizzatosi e delle relative incongruenze, ha rilevato il verificarsi di zone grigie nei casi più delicati, caratterizzati dalla compresenza di comportamenti di diversa rilevanza, il cui permanere mina o rischia di minare la credibilità dell'ordine giudiziario, casi nei quali non trovano attuazione le nuove disposizioni relative alle misure cautelari adottabili in sede di procedimento disciplinare, sia per la diversità dei presupposti sia per la più ristretta applicazione di queste ultime, segnalando quindi al Ministro della giustizia l'opportunità di reintrodurre strumenti attivabili d'ufficio, idonei ad attribuire al Consiglio un potere di intervento su situazioni oggettivamente pregiudizievoli, più incisivo e di maggior portata di quello configurato dall'articolo 2 della legge sulle guarentigie.

La giurisprudenza amministrativa, di recente, ha fortemente circoscritto questo potere officioso del Consiglio superiore della magistratura, ed il TAR del Lazio, con sentenza n. 54/09 dell'8 aprile 2009, ha disposto l'annullamento della delibera del 22 luglio 2008 con cui il Plenum del Consiglio superiore della magistratura aveva accolto la proposta formulata dalla Prima commissione di trasferimento d'ufficio della dottoressa Mariaclementina Forleo dalla sede del tribunale di Milano per incompatibilità ambientale. La sentenza evidenziava che la Prima commissione, nell'interpretare l'articolo 2, secondo comma, del regio decreto legislativo n. 511 del 1946, come modificato dall'articolo 26, comma 1, del decreto legislativo n. 109 del 2006, è incorsa in violazione di legge per non aver preso atto della circostanza che la norma, nella nuova formulazione, prevede che la fattispecie dell'incompatibilità «può ritenersi integrata soltanto in presenza di una situazione non attribuibile a colpa del magistrato, che sia produttiva di un effetto costituito dall'impossibilità di svolgere nella sede occupata le proprie funzioni con piena indipendenza ed imparzialità». Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3587 del 10 maggio 2011, ha confermato la detta decisione statuendo, in via ultimativa, che «l'intera materia dei trasferimenti coattivi dei magistrati va letta alla luce del principio di inamovibilità sancito dall'articolo 107 della Costituzione, in base al quale gli stessi magistrati possono essere trasferiti di sede senza il loro consenso solo “per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall'ordinamento giudiziario”; non va obliterato, infatti, che nel sistema anteriore alla riforma il trasferimento d'ufficio per incompatibilità ambientale era stato ritenuto conciliabile con la menzionata previsione solo in quanto configurato come procedura “paradisciplinare”, nella quale al magistrato interessato spettavano garanzie difensive a fronte -- quando non di vere e proprie “incolpazioni” -- di censure di incompatibilità il più delle volte riconducibili a condotte (colpevoli o meno) dello stesso. È verosimile ritenere che, con la novella del 2006, il legislatore abbia inteso superare proprio questa configurazione ”ibrida” della procedura ex articolo 2 del regio decreto legislativo n. 511 del 1946, tracciando una demarcazione netta tra i trasferimenti che conseguono a veri e propri procedimenti disciplinari e i trasferimenti amministrativi».

Infine, il Ministro della giustizia, nella seduta plenaria del Consiglio superiore della magistratura del 3 ottobre 2011, aveva direttamente preso in considerazione l'argomento dei poteri attribuiti alla Prima commissione in relazione alla profonda riscrittura dell'articolo 2 della legge sulle guarentigie, ricordando come gli spazi di applicazione della norma si fossero sensibilmente ridotti, se non annullati, a seguito della novella del 2006, con cui «il legislatore ha inteso tracciare una demarcazione netta tra i trasferimenti d'ufficio amministrativi ed i trasferimenti d'ufficio che conseguono a veri e propri procedimenti disciplinari. È evidente l'intento di rendere residuali le ipotesi di trasferimento amministrativo del magistrato, disancorandole da qualsiasi contestazione di condotte colpevoli e riconducendole esclusivamente a situazioni oggettive e involontarie (tra le quali sono richiamate le ipotesi di incompatibilità di cui agli articoli 16, 18 e 19 del regio decreto n. 12 del 1941)».

La Prima Commissione, inoltre, si è occupata della vicenda del procuratore della Repubblica di Bari, ribadendo questi princìpi e procedendo alla proposta di archiviazione del procedimento ex articolo 2 dopo aver curato una lunga e complessa istruttoria che, per le modalità del suo svolgimento e le scarse guarentigie assicurate, si è risolta in un’inevitabile valutazione negativa sulla condotta del magistrato, per il quale risulta attivata la procedura disciplinare, nell'ambito della quale quei fatti potevano essere più correttamente delibati e instaurato il contraddittorio, come ha puntualmente ricordato -- sia pure in termini generali -- il Presidente della Repubblica nel discorso del 15 febbraio 2012.

Infatti, anche su questo punto il Presidente della Repubblica, all'adunanza plenaria del 15 febbraio 2012, ha con grande autorevolezza segnalato la necessità di un intervento legislativo che segni definitivamente la linea di demarcazione tra le condotte volontarie e colpevoli di cui allo status disciplinare del magistrato e le situazioni involontarie ed incolpevoli che potrebbero dar luogo all'applicazione dell'articolo 2 del regio decreto legislativo n. 511 del 1946. A questa esigenza risponde il testo dell'articolo 2 del presente disegno di legge.

L'articolo 3 contiene le necessarie statuizioni di diritto intertemporale per consentire ai titolari dell'azione disciplinare di valutare la sussistenza delle proprie attribuzioni alla luce delle nuove disposizioni di legge.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

1. All'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, dopo la lettera i) sono aggiunte le seguenti:

«i-bis) il rendere dichiarazioni che, per il contesto sociale, politico o istituzionale in cui sono rese, rivelano l’assenza dell'indipendenza, della terzietà e dell'imparzialità richieste per il corretto esercizio delle funzioni giurisdizionali;

i-ter) ogni altro comportamento idoneo a compromettere gravemente l'indipendenza, la terzietà e l'imparzialità del magistrato, anche sotto il profilo dell'apparenza, nel contesto sociale o nell'ufficio giudiziario in cui il magistrato esercita le proprie funzioni».

Art. 2.

1. All'articolo 2, secondo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, le parole: «per qualsiasi causa indipendente da loro colpa» sono sostituite dalle seguenti: «per qualsiasi situazione non riconducibile ad un comportamento volontario del magistrato».

Art. 3.

1. Tutti i procedimenti pendenti, alla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell'articolo 2 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, sono rimessi al Ministro della giustizia e al Procuratore generale presso la Corte di cassazione per le proprie determinazioni in ordine all'eventuale esercizio dell'azione disciplinare e restano, conseguentemente, sospesi per il periodo di sei mesi.

2. Ai procedimenti pendenti si applica la disposizione di cui all'articolo 2.