• Testo RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA

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Atto a cui si riferisce:
S.6/00013 premesso che: il Consiglio europeo di fine giugno è sempre dedicato ad un'analisi e programmazione complessiva sui temi economico-finanziari, che passa sotto la...



Atto Senato

Risoluzione in Assemblea 6-00013 presentata da MASSIMO BITONCI
mercoledì 26 giugno 2013, seduta n.050

Il Senato,
premesso che:
il Consiglio europeo di fine giugno è sempre dedicato ad un'analisi e programmazione complessiva sui temi economico-finanziari, che passa sotto la dicitura tecnica di "coordinamento ex ante delle politiche economiche". Gli ultimi incontri si sono concentrati in realtà quasi esclusivamente sul contenuto delle raccomandazioni elaborate dalla Commissione europea, organo tecnico e non politico, misure da imporre a ciascun Paese, con prescrizioni precise, invasive e autoritarie da parte di Bruxelles in particolare per alcuni Paesi della zona euro;
prendendo le mosse dalla situazione di crisi economica e finanziaria che ormai da 7 anni attanaglia l'Europa più del resto del mondo, e che in Europa, a differenza che in altre aree, non presenta alcun segno di inversione di tendenza, il Consiglio europeo proporrà l'ennesima strategia per la crescita e la lotta contro la disoccupazione, riproponendo formule ormai già risultate inapplicate o inefficaci, perché pensate per agire all'interno dei meccanismi europei esistenti;
mentre le istituzioni comunitarie ripetono rituali che non ingannano né i mercati, né i partner internazionali, né i comuni cittadini, da più parti si sta affermando l'idea che nulla potrà fare l'Unione europea contro la crisi economica se non partendo da una profonda e totale revisione della sua architettura istituzionale, della sua legittimazione democratica, dei suoi meccanismi decisionali e, contestualmente, delle sue linee d'azione;
l'incapacità dell'Europa di reagire e gestire il grave momento attuale è andata di pari passo con l'imposizione a molti Paesi di misure economiche draconiane, impedendo quindi sul fronte interno qualunque possibilità di intervento a sostegno delle economie nazionali e locali. Il risultato è lo stallo decisionale ed economico, foriero però di tensioni sociali, di crisi occupazionali, di politiche di welfare a rischio e di generale insicurezza e malcontento popolare;
i risultati disastrosi delle politiche perseguite dalle autorità europee, con la complicità di altre organizzazioni internazionali, a partire dal Fondo monetario internazionale (FMI), nei confronti dei Paesi in condizioni di maggiore difficoltà, per la fragilità della situazione debitoria, e conseguentemente più esposti agli attacchi della speculazione internazionale, sono ormai palesi ed esplicitamente contestati addirittura da alcuni degli stessi responsabili. Esemplari al riguardo appaiono le autocritiche del FMI nei confronti della strategia drammaticamente recessiva adottata per la Grecia, così come gli assurdi sacrifici imposti ai risparmiatori di Cipro, dove si sono incomprensibilmente trascurate le prospettive di redditività che a breve potranno essere garantite dai cospicui giacimenti di gas dell'isola;
in Italia l'assenza di margini adeguati di manovra, per la necessità di perseguire gli obiettivi di risanamento, sta producendo una caduta verticale della domanda, sia pubblica che privata la quale, associata ad una contrazione del credito per la necessità degli istituti bancari di rispettare i nuovi più rigorosi coefficienti patrimoniali, sta innescando una spirale recessiva che si traduce: a) in un aumento vertiginoso delle aziende costrette a cessare l'attività, con il rischio di perdere un patrimonio unico in Europa di esperienze imprenditoriali; b) in una crescita costante del tasso di disoccupazione e, soprattutto, dell'impossibilità delle giovani generazioni di accedere al mercato del lavoro; c) in una paralisi operativa delle amministrazioni locali, impossibilitate a realizzare opere infrastrutturali indispensabili;
l'incapacità dell'Europa di realizzare una strategia coerente che sappia coniugare l'obiettivo della stabilizzazione finanziaria con la necessità di non rinunciare allo sviluppo sta alimentando una crescente e sempre più diffusa disaffezione dei cittadini europei che rischia di travolgere, oltre al progetto di integrazione europea, la stessa legittimazione dei sistemi democratici. È largamente condiviso il giudizio per cui la persistenza dell'attuale stallo decisionale costringerà inevitabilmente l'Europa ad un ruolo marginale rispetto alle dinamiche a livello internazionale. Priva di strumenti adeguati di prevenzione e risposta alle emergenze che via via si presentano proprio per l'assenza di una visione complessiva sul suo futuro, venuto meno il terreno comune costituito dalla solidarietà europea, alterato l'equilibrio tra i diversi partner per cui il peso dei Paesi del sud Europa, tra cui l'Italia,
è fortemente ridimensionato, l'Europa suscita sentimenti di rigetto e di critica;
l'assenza di un'equilibrata strategia politica che accompagni la prosecuzione del processo di risanamento finanziario con una credibile prospettiva di crescita e di avanzamento del processo di integrazione, salvaguardando la legittimazione dei processi decisionali e garantendo il coinvolgimento dei cittadini europei nelle scelte da assumere, ha indotto le istituzioni europee e molti dei più importanti partner ad ancorarsi con una rigidità esasperata al rispetto di regole che hanno alimentato una visione burocratica e formale dell'Europa;
la crisi profondissima, non soltanto economico-finanziaria, che sta attraversando l'Europa potrà essere superata soltanto con una radicale inversione di tendenza che sappia rimettere in moto dinamiche di cambiamento profondo negli assetti istituzionali e nei procedimenti decisionali, oltre che nelle strategie politiche, partendo dalla constatazione che la dimensione statuale non è più sufficiente per fronteggiare una competizione che a livello globale è esasperata dal massiccio intervento di concorrenti che si muovono senza vincoli e remore;
gli ultimi dati sulla disoccupazione rilevati dall'Istat sono a dir poco allarmanti: nel primo trimestre 2013 il tasso di disoccupazione è salito al 12,8 per cento, toccando il massimo storico dal 1977; ancor più critico il tasso di disoccupazione giovanile dei 14-25 enni che ha raggiunto il 40,5 per cento, anche questo il livello più alto da 36 anni;
tale trend negativo rimarca l'impellente urgenza di un cambiamento di rotta nelle strategie decisionali per accrescere l'occupabilità, come peraltro già rilevato nelle conclusioni della Conferenza internazionale del lavoro 2012, che ha posto l'attenzione sull'urgenza di promuovere politiche macroeconomiche a favore dell'occupazione e incentivi fiscali che supportino una maggiore domanda aggregata ed aumentino gli investimenti produttivi, potenziando la capacità di creare posti di lavoro e l'accesso al credito;
nello specifico, il rapporto della Commissione sull'occupazione giovanile ha evidenziato l'improrogabile esigenza, per promuovere e mantenere posti di lavoro dignitosi e produttivi per i giovani, di invertire la tendenza, poiché le politiche macroeconomiche finora attuate sono risultate inefficaci e deboli, non creando un adeguato numero di posti di lavoro in generale e per i giovani in particolare;
priorità assoluta, pertanto, devono rivestire gli interventi di riduzione del costo del lavoro, agendo sul cuneo fiscale, che oramai grava in maniera oltremodo non tollerabile sui lavoratori e sulle aziende e che costituisce il principale ostacolo alla ripresa economico-produttiva del nostro sistema, nonché alla crescita occupazionale;
è dei giorni scorsi il segnale di pericolo lanciato dalla Corte dei conti sulla pressione fiscale "effettiva" nel nostro Paese, balzata a quota 53 per cento;
detassazione e decontribuzione rappresentano, quindi, la conditio sine qua non per ridare competitivit
à alle nostre imprese, al momento sottostanti ad un global tax rate tra i più alti d'Europa, addirittura 2 volte superiore a quello di Slovenia e Gran Bretagna;
nulla potrà cambiare in meglio finché non si comincerà seriamente a lavorare per un'Europa dei popoli e delle regioni, fondata sulle persone e sulle loro culture e identit
à, anziché sull'aridità del mercato e della finanza. Oggi l'Europa è a un bivio: o si va verso una vera integrazione del nucleo centrale dei Paesi che la formano, cioè verso un vero Stato federale d'Europa, verso quella che è chiamata da tempo l'Europa dei popoli, oppure si va verso un veloce declino, una manovra recessiva dopo l'altra;
nel 1989 l'Italia, con legge costituzionale, decise di consentire un referendum di indirizzo, il quale prevedeva che fosse dato al Parlamento europeo il mandato di attuare la trasformazione delle Comunità europee in un'effettiva Unione, dotata di un Governo responsabile verso il Parlamento. Nella stessa occasione si affidò al Parlamento europeo il mandato di redigere un progetto di Costituzione europea, da sottoporre direttamente alla ratifica degli organi competenti degli Stati membri. Quindi si voleva creare un'Europa che avesse una Costituzione e non solo trattati e che, dunque, fosse di tipo federale e non una mera associazione di Stati. Tutto ciò non è mai avvenuto. Non si comprende come il popolo non sia mai più stato chiamato a pronunciarsi su questi temi, come se avesse dato una delega in bianco, senza poter decidere su temi come l'entrata nell'euro, o sull'obbligo costituzionale di pareggio di bilancio, sul fiscal compact o sul meccanismo europeo di stabilità, decisioni che condizioneranno la nostra politica economica per anni, con pesanti ripercussioni sulle future generazioni,
impegna il Governo:
1) a reperire le occorrenti risorse da destinare alla riduzione del costo del lavoro, concretizzando interventi di detassazione ed al contempo di decontribuzione per lavoratore e datore di lavoro, a cui lo Stato deve sostituirsi nel garantire i contributi, affinché sia garantito l'ammontare del futuro trattamento pensionistico;
2) ad attuare, nell'ottica di creare un'occupazione stabile e di qualità, politiche di "flexicurity" volte a coniugare le esigenze di flessibilità sentite dal mondo imprenditoriale con il bisogno di certezza del posto di lavoro richieste dai giovani, e meno giovani, inoccupati o disoccupati;
3) a sostenere ed incentivare l'imprenditoria giovanile, fornendo garanzie certe di accesso al credito agevolato per i giovani under 35 che intendano avviare un'attività in proprio;
4) contemporaneamente, ad attivarsi affinché sia consentito l'utilizzo di tutti i margini disponibili di manovra per realizzare un'inversione di tendenza del ciclo economico a livello europeo al fine di sostenere una più solida e duratura ripresa.
È ormai evidente che, senza l'attivazione di risorse di entità consistenti, non si produrrà quella massa critica di manovra necessaria per segnare una svolta. A tal fine, occorre in particolare disporre che:
a) le risorse del cofinanziamento sia nazionale che regionale delle risorse per le politiche di coesione siano escluse dal patto di stabilità;
b) le risorse stanziate, nell'ambito del quadro finanziario pluriennale 2014-2020, in corso di definizione, per interventi a favore dell'occupazione, specie giovanile, e a sostegno della ripresa, con particolare riguardo alle attività manifatturiere, possano essere al più presto impegnate nella massima misura possibile;
c) a promuovere in occasione del Consiglio europeo del 27 e 28 giugno 2013, come elemento dirimente per permettere all'Unione europea di rispondere efficacemente alle urgenze determinate dalla crisi economica, occupazionale e sociale, la necessità dell'immediato avvio di una profonda revisione dell'architettura istituzionale europea, volta alla realizzazione di un'Unione politica federale, sulla base degli esiti di una consultazione popolare referendaria che coinvolga tutti i popoli europei, nei limiti dei vincoli derivanti dagli ordinamenti costituzionali dell'Italia e degli altri Stati membri.
(6-00013)
BITONCI, DIVINA, STUCCHI, ARRIGONI, BELLOT, BISINELLA, CALDEROLI, CANDIANI, CENTINAIO, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, DAVICO, MUNERATO, STEFANI, VOLPI.