• Testo INTERPELLANZA

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Atto a cui si riferisce:
C.2/00941 le rivelazioni apparse di recente sul quotidiano Libero in un articolo di Davide Giacalone, mostrano come la Corte di Cassazione, con una sentenza depositata il 19 dicembre 2015, pronunciandosi...



Atto Camera

Interpellanza urgente 2-00941presentato daBRUNETTA Renatotesto diMartedì 21 aprile 2015, seduta n. 412

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere, premesso che:
le rivelazioni apparse di recente sul quotidiano Libero in un articolo di Davide Giacalone, mostrano come la Corte di Cassazione, con una sentenza depositata il 19 dicembre 2015, pronunciandosi su un caso analogo a quello di Silvio Berlusconi e per l'identica fattispecie di reato, abbia smentito se stessa e quindi la sentenza del 1o agosto del 2013 (numero 35729), che condannò Berlusconi per frode fiscale a 4 anni di carcere;
con la sentenza emessa ad agosto era stata infatti confermata la condanna inflitta agli imputati in appello, chiedendo anche il ricalcolo della pena accessoria. Il reato contestato era la frode fiscale, con violazione del decreto legislativo 10 marzo 2000, numero 74. Per il Presidente Silvio Berlusconi, ciò comportò la decadenza da parlamentare e l'affidamento ai servizi sociali;
il 20 maggio del 2014, quasi un anno dopo, la terza sezione della Corte di Cassazione si è trovata ad esaminare un caso del tutto analogo, emettendo una sentenza, depositata in cancelleria il 19 dicembre successivo. L'imputato era stato condannato a due anni e sei mesi di reclusione. Osserva la Cassazione, a pagina 10 della sentenza: «In sostanza, la corte d'appello appare aver adottato una interpretazione (analoga a quella poi seguita dalla Sezione Feriale 118/2013, n. 35729) nel senso che per la sussistenza del reato sarebbe sufficiente la prova di un “coinvolgimento diretto e consapevole alla creazione del meccanismo fraudolento (...) che ha consentito (...) di avvalersi della documentazione fiscale fittizia” al sottoscrittore della dichiarazione» (corsivo e omissioni come da sentenza). Occorre prestare attenzione alle parole che seguono che vanno valutate una per una. Scrive la Corte: «Si tratta però di una tesi che non può essere qui condivisa e confermata, perché contraria alla assolutamente costante e pacifica giurisprudenza di questa Corte ed al vigente sistema sanzionatorio dei reati tributari introdotto dal legislatore con il decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74»;
le ragioni per cui Berlusconi, assieme ad altri, è stato condannato, non solo sono difformi dalla «contraria» e «assolutamente costante e pacifica giurisprudenza.» della Cassazione, ma ad avviso dell'interpellante sono in contrasto con quanto stabilisce la legge. Tanto che, quel 20 maggio dell'anno scorso, la Cassazione annullò la sentenza che le era stata sottoposta. Il primo agosto del 2013, invece, la confermò;
la sentenza citata è inoltre accompagnata da alcune massime (utili a fissare i principi di diritto che la sentenza afferma, con l'obiettivo di garantire l'uniformità dell'interpretazione e dell'applicazione del diritto), in calce alle quali ci sono i riferimenti a varie sentenze, sempre della Cassazione, «conformi», vale a dire che sostengono la stessa cosa. È c’è la difforme: la numero 35729. Quella che condannò Silvio Berlusconi;
nelle motivazioni e nella massime si legge la corretta interpretazione della legge: la frode fiscale ce e si concretezza nel momento in cui è firmata la dichiarazione mendace, mentre nessuno degli atti preparatori può, in nessun caso, essere utilizzato per dimostrarla e indicarne il colpevole. Tale, del resto, è chi firma il falso, ovvero nessuno degli imputati allora condannati. Ma colpevole può anche essere chi induce l'amministratore di una società in errore, mediante l'inganno. Circostanza negata dalla sente d'appello, quindi, ove la si voglia contestare, sarebbe stato un motivo di annullamento (con rinvio), non di conferma. Colpevole può anche essere l'amministratore di fatto, ovvero la persona che non figura come amministratore, ma che ne esercita le funzioni. Nel qual caso, però, si deve dimostrarlo. Senza nulla di ciò non può esserci condanna, questo stabilisce la Cassazione, con «assolutamente costante e pacifica giurisprudenza»;
cosa ancora più grave nella diversa interpretazione della Cassazione, è che i due collegi (quello del 2013 e quello del 2014) composti complessivamente da dieci giudici, come si vede dal frontespizio delle due sentenze, hanno il medesimo «consigliere relatore», Amedeo Franco; la stessa persona, quindi, ad agosto del 2013 scrive qualcosa che provvede a demolire a maggio del 2014;
senza minimamente entrare nel merito delle sentenze, che non sono oggetto della discussione in Parlamento, non può non destare allarme il fatto che una sentenza della Cassazione sostenga che un'altra sia «contraria alla assolutamente costante e pacifica giurisprudenza», e che una nota della Cassazione stessa, inviata alla stampa, osservi che nella seconda sentenza sono contenute «alcune espressioni palesemente superflue»;
la stessa nota, riportata dal Corriere della Sera, mentre si legge che la sentenza della terza sezione della Corte Suprema di Cassazione, la numero 52752 del 2014, ha generato quattro massime, due delle quali riportano la sentenza 35729 del 2013, fra le «difformi», ovvero in contrasto con la decisione successiva, sostiene che la massima è una sola, e il riferimento è richiamato come «vedi». Non, occorre essere giuristi per capire la differenza fra un richiamo «difforme» (per cui la successiva smentisce la precedente) e uno «vedi» (per cui ci si limita a fare riferimento) –:
se il Ministro interpellato, nell'ambito delle proprie competenze, intenda fare luce in merito e chiarire le vicende riportate in premessa, per capire se vi siano profili di abnormità in un tale contrasto di giurisprudenza della Corte di Cassazione, anche tenendo conto che tale contrasto trova posto nel linguaggio stesso delle sentenze, fino a generare comunicati stampa con dati contraddittori rispetto alla realtà.
(2-00941) «Brunetta».