• Testo ODG - ORDINE DEL GIORNO IN ASSEMBLEA

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Atto a cui si riferisce:
C.9/01248-AR/0 ... premesso che: i residui di coltivazione e di lavorazione di marmi e lapidei sono una frazione dei materiali coltivati e successivamente lavorati che non possono essere immessi sul...



Atto Camera

Ordine del Giorno 9/01248-AR/054presentato daCAON Robertotesto diMercoledì 24 luglio 2013, seduta n. 59

La Camera,
premesso che:
i residui di coltivazione e di lavorazione di marmi e lapidei sono una frazione dei materiali coltivati e successivamente lavorati che non possono essere immessi sul mercato delle pietre ornamentali, a differenza dei prodotti primari dai quali derivano, esclusivamente a causa della loro forma irregolare e per l'aspetto che interrompe la continuità estetica del prodotto primario. Per il resto la composizione chimica e chimico-fisica non si discosta da quella del prodotto principale. È, pertanto, evidente che all'interno della categoria dei sottoprodotti i residui di coltivazione e di lavorazione presentano caratteristiche peculiari che necessitano di una disciplina specifica, proporzionata ai minori rischi per gli interessi pubblici tutelati, che ne faciliti l'utilizzo come sottoprodotto in sostituzione di altri materiali di cava;
in assenza di una disciplina queste sostanze residuali rimangono inutilizzate e poste in discarica mineraria, secondo le procedure del decreto legislativo n. 117 del 2008, con conseguenze dannose per lo stesso ambiente e le imprese;
la necessità di chiarire a livello normativo le specificità dei residui in parola nasce dall'errata equiparazione che l'articolo 186 del Codice dell'Ambiente opera tra le terre e le rocce da scavo ed i residui di coltivazione e di lavorazione della pietra e del marmo;
il comma 1 lettera e), del citato articolo 186, obbliga il produttore dei residui, nel caso in cui intenda utilizzarli sotto la qualifica sottoprodotti, a verificare se il sito di lavorazione o di coltivazione sia contaminato. La verifica è senz'altro opportuna per le terre e rocce da scavo che derivano da interventi finalizzati alla realizzazione di opere edili pubbliche e private il cui scopo non è quello di reperire materiale di cava per la successiva commercializzazione. Al contrario i residui di origine estrattiva e di lavorazione di marmi e lapidei derivano da attività esclusivamente estrattive e, quindi, da luoghi che per loro natura sono destinati alla produzione di materiali di cava la cui commercializzazione, anche sotto forma di lavorati, non richiede alcuna verifica nei riguardi di eventuale contaminazione del sito di provenienza. Al produttore, quindi, deve rimanere il solo obbligo di autocertificare la sussistenza di tale provenienza;
le caratteristiche chimiche e chimico-fisiche dei residui sono uguali a quelle dei prodotti primari che non sono sottoposti alla verifica di compatibilità ambientale in funzione del sito di utilizzo (lettera f) comma 1 del citato articolo 186). Il requisito di qualità ambientale è dimostrato attraverso un test di cessione che attesta che il materiale sia inerte, anche in presenza di una lavorazione che utilizza sostanza aggiunte;
tra i residui di lavorazione si devono annoverare anche i fanghi di segagione che sono costituiti dall'acqua utilizzata per il taglio e dalla frazione fine proveniente dal sezionamento del blocco della pietra e del marmo. Premesso che tendenzialmente i cicli di lavorazione non alterano la composizione chimico-fisica originaria della parte fine, tuttavia, occorre sottolineare che in alcuni casi la tipologia, non tanto di segagione, quanto piuttosto di trattamento del materiale, ad esempio lucidatura, arricchisce il fango di elementi estranei. Per questo motivo alcune Amministrazioni, alle quali compete l'applicazione dell'articolo 186 del Codice dell'Ambiente, aprioristicamente classificano indistintamente rifiuti tutti i fanghi, sopra descritti, ritenendo che derivino non dalla lavorazione della pietra, ma da un autonomo processo che consiste nella chiarificazione delle acque per consentirne la reimmissione nel ciclo di segagione della pietra;
il comma 7-ter del menzionato articolo 186 cita i residui di lavorazione della pietra e del marmo senza nessuna preclusione nei riguardi dei fanghi che da essa derivano,

impegna il Governo:

a predisporre misure di semplificazione per le procedure per il riutilizzo, quale sottoprodotto, dei residui di coltivazione e di lavorazione di marmi e lapidei;
consentendo alle imprese l'utilizzo di tali materiali per la sostituzione dei materiali di cava per reinterri, riempimenti, rimodellazioni, rilevati, nell'ambito delle aree di estrazione e delle relative aree di lavorazione, nonché per interventi di recupero ambientale.
9/1248-A-R/54. Caon, Buonanno, Matteo Bragantini.