• Testo DDL 1905

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Atto a cui si riferisce:
S.1905 Modifiche all'articolo 178 del codice penale in materia di benefici derivanti da sentenze di riabilitazione penale
approvato con il nuovo titolo
"Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario"


Senato della RepubblicaXVII LEGISLATURA
N. 1905
DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa del senatore BARANI

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 28 APRILE 2015

Modifiche all'articolo 178 del codice penale in materia di benefici derivanti da sentenze di riabilitazione penale

Onorevoli Senatori. -- Il presente disegno di legge vuole rispondere alla necessità, sempre più avvertita dal cittadino, di trovare certezza nel diritto e quindi di disporre di strumenti legislativi chiari che consentano di prevenire il proliferare del contenzioso amministrazione-amministrato che è una delle cause che determinano, tra l'altro, il sovraccarico di lavoro per gli uffici giudiziari e quindi una lunghezza dei tempi della Giustizia non più tollerabile, anche per le negative ricadute economiche e sociali che questo stato di cose determina.

L'articolo 178 del codice penale concernente la riabilitazione penale della persona condannata che ha manifestato sicuri segni di ravvedimento, accertati dall'autorità giudiziaria attraverso la sentenza, è uno di quegli articoli di legge che, nel testo vigente, lascia spazio a libere interpretazioni di applicazione che talvolta privano l'importante istituto giuridico del suo portato originario, non consentendo così al cittadino meritevole di giovarsi di siffatto beneficio e, per effetto di ciò, di godere di un diritto che sia certo, e non precario come nella pratica quotidiana si rivela essere a causa della libera lettura che ne danno, in assenza di chiari vincoli, le varie autorità, in genere amministrative, che non riconoscono la norma in esame per come la volle il legislatore.

La riabilitazione penale -- giova ricordarlo -- è una procedura che consente alla persona condannata, che abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta e manifestato sicuri segni di ravvedimento, di ottenere l'estinzione delle pene accessorie e di ogni altro effetto penale della condanna.

Il provvedimento è annotato sul certificato penale a cura della cancelleria del giudice che l'ha emesso, come disposto ex articolo 193 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale.

Oggetto della presente proposta è quello di qualificare meglio l'articolo del codice penale che regola i benefici della riabilitazione, in particolar modo per quanto concerne le condanne per reati «minori», ovvero per quelli puniti con la pena massima di anni uno e, fino a due anni, nel caso si tratti di reati «patteggiati» -- cioè quelli per i quali la parte chiede l'applicazione di una pena senza che si entri nel merito del fatto --.

Da notare che la legge fissa condizioni precisissime per l'ottenimento del beneficio e che si tratta di condizioni che impongono al soggetto di essere davvero ravveduto e dunque rieducato ad un corretto rapporto con la società. Inoltre già oggi non può beneficiare della riabilitazione chi è stato sottoposto a misura di sicurezza e chi non abbia adempiuto alle obbligazioni civili derivanti dal reato.

Tra l'altro la giurisprudenza della Corte di cassazione con la sentenza n. 196 del 3 dicembre 2002, ha statuito che non è sufficiente, al fine di ottenere la riabilitazione, la mera astensione dal compimento di fatti costituenti reato per un determinato tempo, ma deve essere instaurato e mantenuto uno stile di vita improntato all'osservanza delle norme di comportamento comunemente osservate dai consociati e poste alla base di ogni proficua e ordinata convivenza sociale, anche laddove le medesime non abbiano rilevanza penale e non siano quindi penalmente sanzionate.

Pertanto, ai fini della decisione del giudice di concedere o meno il beneficio diverrà rilevante ogni aspetto della condotta del condannato; questo per significare che non si tratta di un provvedimento automatico, ma al contrario ben ponderato e comunque revocabile nei casi dalla legge previsti.

In funzione di tutto ciò è chiaro che a giovarsi di questo importante istituto giuridico sono cittadini che, pur avendo sbagliato -- e l'oggetto della riforma dell'articolo 178 qui proposto è comunque limitato alle pene inflitte non superiori ad anni uno -- hanno riparato il danno provocato -- non solo economicamente ma anche comportandosi verso la società con buona condotta -- tanto da risultare meritevoli, alla luce di una approfondita analisi della loro esistenza successiva alla commissione del reato loro attribuito -- o, molto spesso, patteggiato ex articolo 444 del codice di procedura penale, magari per l'impossibilità di dimostrare l'estraneità all'illecita condotta -- di vedersi davvero riconosciuta una possibilità di riscatto, nello spirito della morale che vuole la rieducazione del condannato e premia il suo buon comportamento -- in questo caso anche riparatore -- con il pieno inserimento nella società.

Purtroppo nella prassi quotidiana si assiste al fatto che ai cittadini riabilitati, nonostante il chiaro intento del legislatore che volle dare vita all'istituto della riabilitazione, vengono in pratica negati o limitati i benefici che il codice penale concede loro.

Non di rado sono giunte all'odierno esponente segnalazioni circa la negazione a soggetti riabilitati anche per pene miti dell'accesso a pubblici concorsi, a partecipare a gare per pubblici appalti, ad ottenere licenze e autorizzazioni dalle autorità amministrative, con successivo generarsi di contenzioso tra cittadini e pubblica amministrazione e conseguente carico di lavoro per le strutture di giustizia, ancora una volta chiamate a dirimere la questione, sulla quale esiste giurisprudenza talvolta contrastante proprio perché non chiara è la norma attuale. In sostanza spesso si assiste al veder praticato verso i riabilitati lo stesso trattamento riservato a coloro che, condannati, non hanno riparato il danno, non si sono ravveduti e non hanno tenuto costante buona condotta, determinandosi così, in più casi, l'inutilità sostanziale di questo istituto e, comunque, una situazione di precarietà della sua validità che si ritiene sia compito del Parlamento rimediare, anche per dare certezza di diritto e sollevare gli uffici giudiziari e i tribunali amministrativi da incombenze probabilmente lunghe e particolarmente inutili, mentre parimenti, certo è il danno per il cittadino e la certezza del diritto.

Circa la previsione di inserire, esclusivamente per i soggetti penalmente riabilitati da condanne non superiori ad anni uno -- ad anni due se trattasi di soggetti che hanno «patteggiato» condanne -- la possibilità di non precludersi la partecipazione a pubblici concorsi, anche per l'accesso e per la progressione di carriera all'interno delle Forze armate e di polizia, si è tenuto conto del fatto che già oggi è concesso ai condannati, pur non riabilitati, a pene entro i trenta anni, di permanere nelle Forze armate e di polizia ed anche, nei casi di destituzione dal servizio a seguito di condanna, il loro successivo rientro in dette Forze armate e di polizia trascorsi cinque anni dalla data di esecuzione della condanna.

La predetta previsione appare quanto mai appropriata per sanare una situazione che, diversamente, vedrebbe privilegiata una categoria di cittadini -- i condannati già alle dipendenze dello Stato -- rispetto ad un'altra -- i cittadini condannati ma riabilitati con sentenza di tribunale.

Tra l'altro, anche in questo contesto, si ripropone il fatto che in assenza di una fattiva possibilità di riscatto per i riabilitati che è data dall'annullamento pieno e indiscutibile degli effetti della condanna e delle pene accessorie per le quali è intervenuta la riabilitazione penale, non avrebbe senso disporre di questo strumento, dovendosi considerare i beneficiati al pari di quanti, condannati, non hanno riparato il danno fatto e, soprattutto, non si sono sottoposti alle valutazioni dei preposti organi circa la loro condotta successiva al fatto di reato.

Tema, infine, non di rado oggetto di contenzioso è quello relativo alla mancata indicazione delle condanne subite per le quali è intervenuta sentenza di riabilitazione in sede di dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell'interessato, a norma dell'articolo 46 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

Si ha notizia di procedimenti incardinati, soprattutto in occasione di pubbliche gare, contro amministratori delegati d'impresa che, condannati ma riabilitati -- e dunque godenti la nullità dell'effetto penale della condanna -- si sono visti negare la partecipazione per concorrere all'acquisizione di appalti della pubblica amministrazione e che, oltre a ciò, non menzionando la condanna -- a quel punto senza effetto -- in sede di autocertificazione sul proprio stato, si sono ritrovati denunciati all'autorità giudiziaria da stazioni appaltanti che ritenevano così violata la legge che, non chiara, ha prodotto contenzioso e un giudizio che si è avuto dopo anni di procedimento.

Con l'odierno provvedimento si vuole dare risposta risolutoria anche a questo, nell'interesse della Giustizia e quindi dei cittadini che vi accedono.

Inutile appare, per quanto attiene la dichiarazione sostitutiva di certificazioni in merito alle condanne subite, punire un cittadino che non dichiara una penale condanna che tanto è priva di effetto e che comunque la pubblica amministrazione può accertare in ogni momento attraverso le certificazioni che può -- e deve -- richiedere, alla bisogna, agli uffici giudiziari.

Si prevede pertanto nell'odierno testo la non punibilità per la mancata menzione in sede di dichiarazione sostitutiva di certificazione ex articolo 46 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000 da parte dell'interessato delle condanne subite per le quali è stata pronunziata sentenza di riabilitazione, in quanto gli effetti penali delle stesse e delle pene accessorie eventualmente applicate già col vigente articolo 178 del codice penale si intendono inefficaci e dunque inesistenti.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

1. All'articolo 178 del codice penale, dopo il primo comma, è aggiunto il seguente:

«La pubblica amministrazione non può invocare quali cause ostative alla partecipazione a pubblici concorsi e per il rilascio di autorizzazioni, le condanne subite dal soggetto per le quali è stata pronunziata sentenza di riabilitazione dal giudice competente. Ai soggetti condannati a pene non superiori ad anni uno, o non superiori ad anni due se trattasi di applicazione della pena su richiesta delle parti, per le quali è stata pronunziata sentenza di riabilitazione dal giudice competente, non è precluso l'accesso al servizio o la progressione di carriera nelle forze armate e di polizia. Non è mai punibile la mancata menzione delle condanne subite per le quali è stata pronunziata sentenza di riabilitazione in sede di dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell'interessato».