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Atto a cui si riferisce:
C.1/00162 premesso che: la chimica è un comparto produttivo essenziale per il sistema industriale del Paese. Non vi è settore industriale che non sia fortemente legato alla chimica, e tra questi...



Atto Camera

Mozione 1-00162presentato daSPERANZA Robertotesto diMartedì 6 agosto 2013, seduta n. 66

La Camera,
premesso che:
la chimica è un comparto produttivo essenziale per il sistema industriale del Paese. Non vi è settore industriale che non sia fortemente legato alla chimica, e tra questi spiccano proprio quei settori del made in Italy: dall'agro-alimentare, all'industria tessile, delle calzatura e della moda, al settore del mobile e dell'arredamento, al settore della meccanica di precisione, al bio-medicale, senza peraltro dimenticare i settori più tradizionali e radicati quali ad esempio l'industria automobilistica, edile, dell'elettrodomestico, della ceramica, della carta, agli imballaggi, all'agricoltura;
l'Italia, è tra i Paesi europei più industrializzati, quello con il più elevato deficit della bilancia commerciale sia nell'insieme del settore chimico, nel 2012 circa 10 miliardi di euro, sia della chimica di base, 12,5 miliardi di euro (a livello europeo la chimica e la chimica di base registrano, invece, surplus pari, rispettivamente a 44 miliardi e 12 miliardi di euro). I comparti delle pitture e dei detergenti e cosmetici sono quelli che registrano il maggior surplus (circa 2,5 miliardi di euro) che attenua il disavanzo registrato dall'intero comparto;
da un punto di vista dell’export, l'industria chimica Italiana, pur registrando un deficit nella bilancia commerciale, mostra una propensione al commercio con l'estero; nel periodo 1990-2009 il rapporto tra export e produzione totale è passato dal 18 per cento al 40 per cento, e la sua incidenza sul totale dell’export dell'industria manifatturiera italiana è cresciuta da poco più del 6 per cento nel 2000, fino a sfiorare il 10 per cento nel 2011;
il processo di dismissioni, attuato dall'Eni negli ultimi decenni, ha provocato gravi conseguenze non soltanto dal punto di vista occupazionale e per la bilancia commerciale di settore, ma anche per la competitività del comparto e dell'intero sistema produttivo del Paese;
la chimica italiana rappresenta una parte rilevante del panorama della ricerca e dell'innovazione: in assenza di grandi investimenti, il settore produce oltre il 20 per cento dei brevetti dell'industria manifatturiera ed impiega oltre 4.000 addetti in ricerca e sviluppo;
la ridotta presenza di investimenti in ricerca e innovazione si concretizza nell'annunciato taglio al Centro ricerche G. Natta di Ferrara e nella ridefinizione del cracker di Marghera. Il piano Versalis sui territori da essa presidiati (Sicilia, Mantova, Ravenna, Ferrara) si inserisce in questo quadro strutturale, reso più urgente dalle novità che nel settore della chimica, dei materiali plastici e delle specialties, si stanno orientando le attenzioni e la ricerca dei grandi gruppi europei, che non rinunciano alla petrolchimica e contemporaneamente guardano ai possibili terreni competitivi dei prossimi anni;
l'importanza dell'industria chimica in Italia dal punto di vista dell'occupazione è fortemente diminuita, passando dal 4,5 per cento del 1971 al 2,6 per cento del 2009 dell'intero sistema industriale italiano;
la piccola e media impresa chimica (localizzata prevalentemente a nord del Paese), continua a mostrare segni di vitalità (surplus commerciali, crescente orientamento ai mercati esteri). Nel 1971 la PMI impiegava il 29 per cento degli addetti, nel 2009 tale percentuale è passata al 69 per cento del totale degli addetti della chimica in Italia. La maggiore incidenza delle PMI è attribuibile in realtà alle dismissioni della grande impresa: dall'81 al 96 la grande impresa chimica ha perso il 43 per cento degli addetti, la piccola e media circa il 9 per cento. L'industria chimica italiana riducendosi il peso dei colossi industriali della cosiddetta chimica di base e intermedia (ENI, Mossi & Ghisolfi, LyondellBasell, Solvay), si va configurando come un sistema di imprese di piccole e medie dimensioni, fortemente orientate all'innovazione e ai prodotti speciali;
il costo dell'energia, tra i più alti in Europa, incide fortemente sull'economia della chimica di base mentre gioca un ruolo meno importante per i cosiddetti prodotti speciali dove il livello di scala ottimale non è molto elevato e giocano un ruolo assai più importante i cosiddetti aspetti «intangibili» di know-how, che non i grandi investimenti fissi;
l'industria chimica italiana (che sta operando importanti processi di riconversione di impianti industriali non competitivi, in bioraffinerie dedicate alla produzione di chemicals da fonti rinnovabili) può creare le condizioni per ricadute positive a livello di occupazione, dell'ambiente, della redditività dei prodotti e dell'integrazione con la chimica tradizionale, dando nuove opportunità anche a settori maturi dell'economia;
a supporto delle forti potenzialità offerte da una maggiore integrazione tra prodotti chimici da fonti rinnovabili e tradizionali il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha promosso un cluster sulla chimica verde a seguito del bando del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR) sui cluster tecnologici. Una volta operativo, il cluster, al quale hanno aderito più di 100 soggetti (imprese, istituzioni di ricerca, regioni, università associazioni), diventerà un interessante soggetto per le istituzioni italiane ed europee con elevate potenzialità nella creazione di sinergie tra le imprese e tra gli strumenti di ricerca pubblica e privata nel campo della bioeconomia e della chimica verde;
la realtà economica espressa dal comparto delle materie plastiche e gomma in Italia è assai complessa ed articolata e va ben oltre la semplice produzione dei materiali;
l'industria di produzione delle materie plastiche è tipicamente un'industria «capital intensive», che richiede ingenti investimenti miliardari, anche se pochi addetti diretti;
in Italia ci sono circa 5.000 aziende di trasformazione di plastica e gomma, che occupano oltre 600 mila addetti, mentre l'industria di produzione delle materie plastiche e gomma impiega 10 mila-12 mila addetti (circa 5.000 Versalis, 2.300 M&G, 1.200 LyondellBasell, più quelli rappresentati dalle realtà minori Radici Chimica, Solvay Specialty Polymers, Novamont, altri);
la sproporzione tra il numero di addetti alla produzione, ed il numero di addetti alla trasformazione, in un rapporto 1:50-1:60. Se si aggiungono i dati del settore della produzione di macchine e ausili alla trasformazione delle materie plastiche, settore che contribuisce al PIL italiano per 4 miliardi di euro e con un saldo commerciale import-export positivo per l'Italia di circa 2 miliardi di euro, si comprende che la produzione di materie plastiche costituisce un volano formidabile per l'occupazione e per la bilancia commerciale italiana;
il mercato italiano consuma annualmente all'incirca 7 milioni di tonnellate di materie plastiche e gomma (secondo paese in Europa dopo la Germania) e ne produce 3 milioni di tonnellate (fonte: PlasticsEurope). Questo dato costituisce motivo di preoccupazione, sia per la bilancia commerciale italiana, sia per la competitività delle nostre aziende di trasformazione, già penalizzate dal costo dell'energia (il più alto in Europa) e dal costo del lavoro (cuneo fiscale). Se a ciò aggiungiamo la grave crisi dei produttori di materie plastiche, si comprende come tutto ciò rischia di compromettere il lavoro non di 10 mila, bensì di più di 600 mila persone;
considerando i soli polimeri di largo impiego, in Italia si producono polietilene (ENI-Versalis), polipropilene (LyondellBasell), PET (Mossi&Ghisolfi), Poliammide (Radici Chimica), polistirene (ENI-Versalis). Polietilene, polipropilene e pvc rappresentano in termini di fatturato, la prima, la seconda e la terza materia plastica al mondo;
è completamente scomparsa invece è la produzione di PVC, di cui peraltro l'Italia è forte consumatrice. L'industria italiana, in periodi di congiuntura economica sfavorevole come quello attuale, consuma circa 800.000 tonnellate all'anno di pvc e, dopo il triste epilogo delle vicende di Vinyls Italia, non ne produce più;
nel 2012 l'Italia ha registrato un deficit della bilancia commerciale pari, per il polietilene, a circa 900.000 tonnellate (1 miliardo di euro), per il polipropilene, a oltre 700.000 tonnellate (circa 762 milioni di euro);
l'industria delle materie plastiche in Italia è afflitta da decenni di immobilismo (da oltre 20 anni non si realizzano nuovi impianti di poliolefine, né di poliestere) e gli impianti esistenti sono ampiamente sottodimensionati rispetto agli impianti che vengono avviati oggigiorno nel resto del mondo. In più, la produzione italiana delle poliolefine (le materie plastiche più utilizzate) è basata sugli impianti di cracking di Marghera, Priolo e Brindisi, impianti sui quali da anni si dibatte sul mantenimento o la chiusura, provocando continue fibrillazioni nelle aziende e nei lavoratori che da tali produzioni dipendono;
si stima che 200 mila tonnellate in più di poliolefine producono 12.000 addetti diretti, più i servizi, più le attività a valle e a monte, è vero anche il contrario: la scomparsa delle 220.000 tonnellate del sito di Terni di proprietà della LyondellBasell non ha coinvolto solo i 70 addetti del sito produttivo, ma ha compromesso o messo a rischio oltre 12.000 posti di lavoro. Stessa cosa avverrebbe a Brindisi ed analogo discorso si può fare per Ferrara, Ravenna o qualsiasi altro polo chimico;
la difesa dei siti produttivi abbraccia un campo economico, sociale e politico enorme, di cui si è finora sottovalutata la vastità e l'importanza per il nostro sistema paese. Per le migliaia di imprese trasformatrici a valle, la presenza di un fornitore sul territorio nazionale costituisce rilevante fattore di competitività. La competitività delle aziende italiane, costrette in misura sempre maggiore ad approvvigionarsi all'estero, sarebbe sempre più compromessa. Basti pensare che il 40 per cento delle materie plastiche (quasi 3 milioni di tonnellate) va nell'imballaggio, quindi nel comparto agro-alimentare, come anche nella moda e abbigliamento;
in questo quadro non roseo riguardante la produzione italiana delle materie plastiche, una nota positiva è rappresentata dalla cosiddetta «chimica verde» e dalla bioeconomia, con particolare riguardo ai vantaggi e al potenziale per l'Italia della conversione di siti non competitivi in bioraffinerie integrate nel territorio, funzionali alla produzione delle cosiddette bioplastiche e di altri prodotti ad alto valore aggiunto quali gli intermedi chimici bio, i biolubrificanti e altro;
nel merito, la Commissione Europea ha lanciato, il 13 febbraio 2012, la prima strategia dedicata alla Bioeconomia «Innovating for Sustainable Growth: A Bioeconomy for Europe» (COM(2012) 60 final). Il peso economico del settore viene stimato dalla UE con un fatturato di circa 2.000 miliardi di euro ed oltre 22 milioni di persone impiegate, che rappresentano il 9 per cento dell'occupazione complessiva della Comunità Europea. Viene inoltre stimato che per ogni euro investito in ricerca e innovazione nella bioeconomia, con adeguate politiche di sostegno a livello nazionale ed europeo, la ricaduta in valore aggiunto nei settori di comparti quali quello dei prodotti bio based sarà pari a dieci euro entro il 2025. In base a tale strategia, per mantenere la propria competitività l'Unione europea dovrà trasformarsi in una società caratterizzata da basse emissioni di carbonio, nella quale la crescita sostenibile e la competitività stessa siano alimentate sinergicamente da industrie che usano in modo efficiente le risorse e dal ricorso a prodotti biobased;
in tale settore la Novamont, realtà industriale attiva dal 1989, è oggi tra i leader mondiali dei biopolimeri e degli intermedi chimici da fonte rinnovabile. Nel 2012 il fatturato di Novamont s.p.a. ha superato i 160 milioni di euro, a fronte di un organico di 270 addetti, il 23 per cento dei quali impiegato in attività di Ricerca e Sviluppo, investendo il 6,5 per cento del proprio fatturato. È impegnata in progetti di riconversione di siti chimici dismessi e non più competitivi quali Terni, Porto Torres, Bottrighe. L'obiettivo è agire in zone fortemente intaccate dalla crisi, valorizzando le risorse e le competenze locali attraverso investimenti in bioraffinerie dedicate alla produzione di prodotti ad alto valore aggiunto, con benefici per l'intera filiera e la collettività: dal mondo agricolo, alla trasformazione in prodotti, con ricadute su diversi settori applicativi (bioplastiche, biolubrificanti, e altro), alla produzione di compost di qualità dalla frazione organica del rifiuto, fino alla ricerca e alla formazione delle nuove generazioni;
Versalis dal 2011 opera nel settore della «chimica verde» attraverso Matrìca (Joint Venture 50/50 con Novamont). Versalis punta a trasformare assieme a Novamont il sito di Porto Torres in un polo di chimica verde per la produzione di bio-intermedi, bio-lubrificanti, bio-additivi e bio-plastiche, con un investimento di 500 milioni di euro. Eni-Versalis ha avviato anche nuovi progetti di sviluppo nel settore delle gomme da fonte rinnovabile;
iniziative analoghe sono in corso anche da parte del gruppo Mossi & Ghisolfi, che tramite Beta Renewables, una joint venture tra Chemtex, società di ingegneria e R&D del Gruppo Mossi & Ghisolfi, e il fondo TPG (Texas Pacific Group) ha investito oltre 140 milioni di euro nello sviluppo della tecnologia Proesa®. La società ha costruito a Crescentino (VC), il più grande impianto al mondo (40 mila ton/anno) per la produzione di bioetanolo di seconda generazione, che è entrato in funzione alla fine del 2012;
la chimica verde va fortemente sostenuta, ma non può essere considerata sostitutiva della chimica tradizionale;
la chimica verde, e con essa tutta la ricerca, rappresenta comunque un investimento per il futuro nel medio e lungo termine. Non possiamo però chiedere ad essa di risolvere i problemi attuali della chimica italiana, ma può dar un importante contributo,

impegna il Governo:

ad avviare una politica industriale finalizzata a riqualificare e reindustrializzare i poli chimici concordando i percorsi con le amministrazioni locali e regionali dando come priorità la bonifica dei siti contaminati;
a mettere in campo strumenti di sostegno per la tenuta della chimica nazionale, evitando, ove possibile, ulteriori chiusure di impianti e promuovendo la realizzazione degli investimenti necessari a riportare a livello competitivo le produzioni presenti in Italia;
a promuovere l'avvio di processi di reindustrializzazione e sviluppo in una logica di filiera e nei settori della chimica fine, delle specialità e della chimica verde, avviando tal fine iniziative per favorire i rapporti tra grandi imprese e piccole e medie imprese;
a sviluppare una nuova politica di sostegno all'innovazione che tenga in considerazione i legami tra le varie filiere industriali, supportando la diffusione dell'innovazione in tutto il sistema industriale italiano, favorendo le aggregazioni tra piccole e medie imprese per accelerare il trasferimento di know-how all'interno di ciascuna filiera;
a ridurre il differenziale del costo dell'energia con gli altri Paesi concorrenti adottando in tempi certi un Piano energetico nazionale modificando l'attuale SEN;
ad accelerare le bonifiche dei siti chimici di interesse nazionale, promuovendo la rivisitazione dei processi produttivi in chiave di sostenibilità ambientale, e favorendo l'insediamento all'interno di tali siti (o nelle loro immediate vicinanze) di piccole e medie aziende, creando un anello virtuoso di crescita sia per la PMI, grazie alla presenza di centri ricerche, servizi, energia, disponibilità di personale altamente specializzato, sia per la grande industria, grazie alla riduzione dei costi di logistica, alla produzione mirata al servizio del territorio ed a una maggiore stabilità del mercato;
a favorire l'insediamento di PMI nei poli chimici, chiedendo all'Eni di agevolare l'acquisto delle proprie aree per i potenziali acquirenti così come è avvenuto nel comprensorio del petrolchimico di Priolo;
a semplificare le procedure burocratiche di autorizzazione per nuove imprese, al fine di facilitare gli investimenti e attrarre nuovi capitali italiani ed esteri nel settore;
a battersi in sede europea per interventi normativi a sostegno di imprese e di poli chimici che rispettino le norme ambientali, evitando delocalizzazioni e trasferimenti in Paesi meno rigorosi nella regolamentazione ambientale e favorendo forme di agevolazione fiscale mirate alle imprese che hanno deciso di insediarsi nel nostro Paese;
a sviluppare una politica nazionale di sostegno alla bioeconomia che tenga in considerazione il ruolo chiave delle bioraffinerie nel generare valore a livello locale, attraverso filiere corte che coinvolgono il mondo agricolo e le collettività, e che permetta lo sviluppo di processi di innovazione incrementale indotta lungo tutta la filiera, favorendo le aggregazioni tra piccole e medie imprese per accelerare il trasferimento di know-how all'interno di ciascuna filiera;
a focalizzare le politiche italiane nel campo della gestione integrata dei rifiuti solidi urbani, mettendo al centro la trasformazione in compost di qualità della frazione organica in una logica di risorse per altre filiere e non come un problema (vedi organico e produzione di compost);
a fissare target per incentivare, mediante apposite normative e standard, la sostituzione di prodotti critici per l'ambiente, derivanti da fonti fossili, con prodotti bio perseguendo gli obiettivi comunitari per un'economia «low carbon» 2050;
ad attivare misure di incentivo alla domanda (a partire dal rafforzamento del GPP) di prodotti biobased di nicchia quali biolubrificanti, bioerbicidi, pacciamatura agricola, mutuando in azioni le raccomandazioni formulate dall’Ad Hoc Advisory Group sulle Lead Market Initiative della Commissione europea, per permettere di trainare lo sviluppo nel mercato finale di prodotti ad alto valore aggiunto con alte performance e ridotto impatto ambientale, sulla base di standard adeguati;
a sostenere fortemente l'attivazione e l'attuazione del cluster chimica verde, in quanto strumento chiave per permettere sviluppi su settori prioritari per l'Italia nel settore;
ad attivare un tavolo di alto livello tra stakeholder chiave sul tema chimica verde, mutuando il panel di alto livello sulla bioeconomia da poco lanciato dalla Commissione Europea, coinvolgendo i diversi Ministeri competenti per assistere il Governo all'elaborazione di una strategia nazionale sulla bioeconomia;
a sostenere a livello europeo la PPP (partnership pubblica-privata) BIO BASED chiamata anche BRIDGE il cui obiettivo è quello di aiutare le industrie europee a colmare il «divario di innovazione» tra lo sviluppo tecnologico e la commercializzazione di prodotti ad alto valore aggiunto e cercare in questo ambito di valorizzare le azioni del cluster chimica verde al fine di permettere un'allineamento di azioni a livello nazionale ed europeo;
a riattivare presso il Mise l'Osservatorio chimico nazionale soppresso dai precedenti Governi come strumento di monitoraggio, valutazione e di proposte per l'intera filiera della chimica valorizzando e potenziando le competenze tecniche già presenti in modo da elaborare ed attuare una politica industriale di filiera in ottica di medio lungo periodo, posto che è utile avere una regia pubblica che superi l'attuale approccio dove ogni emergenza viene gestita esclusivamente per il singolo sito che la subisce.
(1-00162) «Speranza, Bratti, Colaninno, Valiante, Benamati, Borghi, Mariani, Braga, Fregolent, Sereni, Realacci, Dallai, Mariastella Bianchi, Carrescia, Montroni, Basso, Mariano, Moretto, Folino, Giovanna Sanna, Manfredi, Cassano, Cominelli, Zardini, Gadda, Senaldi, Cenni, Martella, Ginoble».