• Testo RISOLUZIONE IN COMMISSIONE

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Atto a cui si riferisce:
C.7/00732 premesso che: il 28 maggio 2015 la Commissione europea ha inviato al nostro Paese una lettera di costituzione in mora – procedura di infrazione 2014/4170 (ex Caso Eu-Pilot...



Atto Camera

Risoluzione in commissione 7-00732presentato daFEDRIGA Massimilianotesto diLunedì 13 luglio 2015, seduta n. 460

La XIII Commissione,
premesso che:
il 28 maggio 2015 la Commissione europea ha inviato al nostro Paese una lettera di costituzione in mora – procedura di infrazione 2014/4170 (ex Caso Eu-Pilot 5697/13/AGRI) – per violazione del diritto dell'Unione europea in quanto sembra che la nostra legge n. 138 del 1974, la quale prevede il divieto, di impiego di latte in polvere, concentrato e latte ricostituito nelle produzioni lattiero-casearie, rappresenti un restringimento del principio della «libera circolazione delle merci» all'interno dell'Unione europea essendo il latte in polvere utilizzato in tutta Europa;
la ratio della normativa italiana è quella di mantenere alta la qualità delle produzioni casearie italiane salvaguardando le aspettative dei consumatori per quanto riguarda l'autenticità e la qualità dei prodotti italiani mediante la qualità delle materie prime. Una scelta che ha garantito fino ad oggi il primato della produzione lattiero casearia italiana che riscuote un apprezzamento crescente in tutto il mondo;
in sostanza ci viene chiesto di produrre «formaggi senza latte» e di conseguenza aprire il mercato a quelli prodotti in altri Paesi, appunto senza latte, che fino ad oggi non potevano arrivare sulle nostre tavole. Conseguenza inevitabile sarà la provenienza del latte in polvere dai quei paesi che lo offrono a prezzi bassissimi con ripercussioni anche sul prezzo finale del prodotto e con ricadute sulla tenuta degli allevamenti italiani;
secondo una analisi di Coldiretti con un chilogrammo di latte in polvere, che costa circa 2 euro, è possibile produrre 10 litri di latte, 15 mozzarelle o 64 vasetti di yogurt. A rischio c’è un intero settore che attualmente conta circa 3 5 mila stalle che nel 20 danno prodotto 110 milioni di quintali di latte mentre l'import è a quota 86 milioni di quintali. Secondo sempre l'analisi di Coldiretti per ogni 100 mila quintali di latte in polvere importato in più scompaiono 17 mila mucche e 1.200 occupati in agricoltura;
con l'eventuale abolizione dei divieti della legge n. 138 del 1974 sono a rischio ben 487 formaggi tradizionali italiani. L'export di formaggi italiani è cresciuto lo scorso anno del 99 in un settore che vale 28 miliardi e con quasi 180 mila addetti nell'intera filiera;
come ribadito dal commissario europeo all'agricoltura e sviluppo rurale Phil Hogan e da altre dichiarazioni apparse sui quotidiani la procedura di infrazione nasce da lamentele di alcuni operatori dell'industria lattiero casearia italiana che hanno denunciato la discriminazione operata dalla legge italiana che vieta l'uso di alcuni prodotti per i formaggi;
l'eventuale modifica della normativa italiana, che dovrebbe rendere «legale» la possibilità di produrre formaggio con latte in polvere, non riguarderebbe però i prodotti DOP (denominazione di origine protetta) e IGP (Indicazione geografica protetta) che hanno una normativa speciale e una tutela particolare da parte dell'Unione europea. Infatti la Commissione europea ha evidenziato come vi siano specifiche protezioni per i suddetti prodotti, mentre mancherebbero prove scientifiche a dimostrazione della scelta del nostro Paese di vietare l'impiego di latte in polvere, concentrato e latte ricostituito nelle produzioni lattiero-casearie;
l'alternativa, secondo la Commissione europea, dovrebbe essere quella di utilizzare un sistema di etichettatura per informare i consumatori dell'eventuale presenza di latte in polvere;
infatti, il problema principale con l'Europa è proprio l'etichettatura, ma in particolare quella sulla provenienza delle materie prime. La priorità del nostro Paese deve essere quella dell'indicazione obbligatoria in etichetta dell'origine della materia prima;
il Regolamento UE n. 1169/2011, entrato in vigore il 13 dicembre 2014, – che ha fissato nuove disposizioni circa le informazioni contenute nelle etichette dei prodotti alimentari allo scopo di realizzare una base comune per regolamentare le informazioni sugli alimenti e consentire ai consumatori di compiere scelte consapevoli – conferma che l'obbligo dell'indicazione del luogo di origine (Paese di provenienza) sussiste solo nei casi in cui l'omissione dell'indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al Paese di origine o luogo di provenienza reali, in particolare se le informazioni nel loro insieme potrebbe altrimenti far pensare che l'alimento abbia un differente Paese o luogo di origine. L'obbligo è scattato per alcune carni, quali la suina, l'ovina, la caprina e quella dei volatili (pollame). L'obbligo dell'indicazione della provenienza già sussiste, per effetto di Regolamenti specifici, per l'ortofrutta fresca, il miele, le carni bovine, il pesce, le uova e l'olio extravergine di oliva;
la normativa comunitaria sull'etichettatura sembra essere ambigua e contraddittoria come nel caso dell'obbligo di indicare la provenienza in etichetta della carne bovina, ma non per i prosciutti, per l'ortofrutta fresca, ma non per quella trasformata, per le uova, ma non per i formaggi, per il miele, ma non per il latte. Tutte queste contraddizioni giuridiche non fanno altro che impedire al consumatore di conoscere quello che realmente sta consumando visto che, ad esempio, due prosciutti su tre venduti come italiani, in realtà non lo sono perché provenienti da maiali allevati all'estero, come del resto anche per il latte a lunga conservazione dove tre cartoni su quattro sono stranieri perché privo dell'indicazione di provenienza;
il decreto-legge n. 91 del 2014, convertito con modificazioni, dalla legge n. 116 del 2014, ha previsto l'avvio di una consultazione pubblica, promossa dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, diretta ai consumatori, riguardo le etichettature degli alimenti alla luce della nuova normativa europea e in particolare sul valore dato dal consumatore alla presenza o meno dell'informazione riguardante l'origine. I risultati della consultazioni hanno evidenziato che per i consumatori italiani è importate conoscere l'origine delle materie prime. Infatti il 95 per cento degli intervistati ha mostrato l'interesse a questa indicazione sul latte fresco e il 90 per cento sui prodotti lattiero-caseari, come yogurt e formaggi;
lo stesso Regolamento UE n. 1169/2011 prevede al tempo stesso, però, che tra le informazioni obbligatorie importanti non venga menzionata l'indicazione dello stabilimento di produzione e di confezionamento della merce. La nostra normativa interna, che invece ne prevedeva l'obbligo, a seguito di questo Regolamento europeo è stata abrogata e quindi ora l'indicazione rimarrà solo facoltativa per il produttore. La non obbligatorietà dell'indicazione dello stabilimento di produzione comporta un grave danno al nostro made in Italy in quanto si rischia di lasciare la libertà al produttore di produrre in qualunque sede europea o extra europea danneggiando ulteriormente le migliori produzioni nazionali;
l'agricoltura ha un ruolo fondamentale nella tutela dell'ambiente e nello sviluppo sostenibile del territorio. L'azienda agricola deve non solo offrire al consumatore la qualità e la sicurezza dei prodotti agroalimentari ma anche conservare il più possibile il livello qualitativo e quantitativo delle risorse naturali;
la trattativa sull'accordo di libero scambio tra Unione europea e Stati Uniti, Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) è, un appuntamento determinante anche per tutelare le produzioni agro-alimentari italiane dalla contraffazione alimentare e dal cosiddetto fenomeno dell’italian sounding molto diffuso sul mercato statunitense,

impegna il Governo:

ad assumere tutte le iniziative necessarie, nelle opportune sedi europee, affinché venga difesa la qualità del sistema lattiero caseario italiano, i produttori di latte e la trasparenza delle informazioni da dare ai consumatori nonché per tutelare i lavoro degli addetti alla filiera, opponendosi fermamente a questo ennesimo tentativo delle istituzioni europee di fare prevalere l'interesse delle multinazionali rispetto a quello dei nostri consumatori;
ad assumere iniziative volte a rendere obbligatoria l'indicazione del Paese di origine delle materie prime in tutti i prodotti alimentari anche alla luce dei risultati della consultazione pubblica;
ad intervenire nelle opportune sedi europee affinché le denominazioni DOP e IGP, in particolare dei prodotti di eccellenza italiani, continuino ad essere una priorità della Commissione europea anche nell'ambito del TTIP tra Usa e Unione europea;
a considerare la possibilità di reintrodurre il vincolo per le aziende produttrici di scrivere sulle etichette lo stabilimento di produzione e di confezionamento dei prodotti alimentari allo scopo non solo di tutelare la salute e la sicurezza alimentare dei consumatori ma anche di permettere loro di scegliere un alimento rispetto a un altro anche in base al Paese o alla regione dove questo è prodotto, per la tutela anche del made in Italy.
(7-00732) «Fedriga, Guidesi».