• Testo DDL 374

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Atto a cui si riferisce:
S.374 Modifiche alla legge 13 aprile 1988, n. 117, in materia di responsabilità civile dei magistrati


Senato della RepubblicaXVII LEGISLATURA
374
DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa del senatore BARANI

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 4 APRILE 2013

Modifiche alla legge 13 aprile 1988, n.117, in materia di responsabilità civile dei magistrati

Onorevoli Senatori. -- La presente proposta -- elaborata con il fondamentale contributo della camera penale di Roma -- si propone l'obiettivo di riformare la legge n. 117 del 1988, che ha delineato una nuova e speciale forma di responsabilità della pubblica amministrazione per gli illeciti civili posti in essere da una determinata categoria di dipendenti, i magistrati.

La specialità della disciplina risiede:

a) nello Stato quale unico legittimato passivo della domanda risarcitoria (articolo 2, comma 1), con la sola eccezione del caso in cui il danno derivi da un fatto costituente reato, ove ritornano in essere le regole ordinarie (articolo 13);

b) nel filtro preliminare del tribunale all'azione risarcitoria (articolo 5);

c) nel previo esaurimento di tutti i mezzi di gravame avverso il provvedimento dannoso (articolo 4, comma 2);

d) nella previsione di ipotesi tipiche e tassative di colpa grave (articolo 2, comma 3);

e) nell'esclusione di ipotesi di responsabilità derivanti dall'attività di interpretazione delle norme e di valutazione delle prove (cosiddetta «clausola di salvaguardia») (articolo 2, comma 2);

f) nei limiti all'azione di rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato (articolo 8).

La combinazione di questi filtri ha reso la legge pressoché inapplicata in più di venti anni dalla sua entrata in vigore.

Per l'attuale regime normativo, in buona sostanza, l'errore professionale del giudice è condizione necessaria, ma non sufficiente perché egli sia ritenuto responsabile del danno cagionato. Da qui la conseguenza che il giudice è l'unico tra i professionisti del diritto a godere di una posizione di assoluto privilegio, poiché i suoi errori ricadono interamente sulla collettività.

Al cittadino che si consideri danneggiato viene offerto un rimedio illusorio da cui non ricaverà che ulteriori delusioni e nuove spese, con la conseguenza che lo stesso sarà ancora meno protetto di prima.

Allo stesso tempo sarebbe però certamente ingiusto non considerare che il problema di fondo è conciliare la praticabilità di una responsabilità effettiva con la garanzia dell'indipendenza funzionale del giudice.

Tutta la giurisprudenza costituzionale sul punto (sentenze n. 385 del 1996, n. 18 del 1989, n. 2 del 1968 e n. 1 del 1962) evidenzia la necessità di coniugare responsabilità e indipendenza in un bilanciamento nel quale tuttavia, la salvezza della seconda sembra centrale.

È in questi termini che le particolari prerogative in materia di responsabilità civile del magistrato escono assolte dal vaglio di costituzionalità.

Oggi viene però da chiedersi in che termini tutto questo possa dirsi ancora attuale sia con riguardo al reale ruolo del giudice rispetto ai cittadini, sia rispetto allo sviluppo del diritto dell'Unione europea.

Quanto al primo aspetto, come è stato osservato (Nicolò Zanon «La responsabilità dei giudici», AIC, convegno 2004), il modello di responsabilità vigente (una responsabilità sostanzialmente indiretta e mediata dallo Stato), a prescindere dalla sua ineffettualità, è forse coerente solo con ciò che il giudice è dal punto di vista burocratico, cioè con l'esistenza di un suo rapporto organico con lo Stato. Ma quella barriera, tra giudice e danneggiato non è coerente con una concezione realistica di ciò che fa nella nostra realtà il giudice, quale operatore professionale del diritto accanto ad altri operatori professionali, nell'ambito di una società e di un mercato di utenti, che al giudice si rivolgono alla ricerca di un servizio.

Questo evidenzia l'esistenza di quel rapporto diretto tra funzionario e cittadini, tipico degli ordinamenti democratici, che mette prima gli uomini degli apparati.

Quanto al secondo aspetto, la Corte di giustizia delle Comunità europee (sentenza 13 giugno 2006, causa C-173/03 TDM contro Italia) aveva affermato che non era compatibile con il diritto comunitario l'esclusione della responsabilità civile nel caso in cui l'errore fosse dovuto a un'errata interpretazione di norme di diritto o di valutazione del fatto o delle prove, poiché ciò rientrava nell'essenza vera e propria dell'attività giurisdizionale. Alla luce di ciò, per scongiurare l'equazione indipendenza-immunità, il bilanciamento deve congiungere l'indipendenza con una ragionevole apertura verso la collettività, al cui servizio soltanto il «sistema giustizia» deve operare.

Solo così sarebbe garantito anche il diritto del cittadino a un'effettiva tutela giurisdizionale ai sensi dell'articolo 24, primo comma, della Costituzione.

In questi termini l'indipendenza rimarrebbe garantita:

1) riconoscendo la legittimazione passiva in capo allo Stato salva successiva rivalsa, la quale garantirebbe la serenità del magistrato nell'esercizio della funzione, che potrebbe altrimenti essere turbata da un'azione diretta. Ciò sarebbe conforme al disposto dell'articolo 28 della Costituzione, come interpretato dalla Consulta. Questa, infatti, ha chiarito (sentenza n. 2 del 1968) che se una norma legislativa sulla responsabilità del funzionario non la nega totalmente o non esclude del tutto quella dello Stato, essa è costituzionalmente legittima e ciò anche qualora ci si discosti dal regime ordinario o si operi una differenziazione per categorie di funzionari;

2) subordinando l'azione all'esaurimento del procedimento in cui è stato tenuto il comportamento lesivo, anche al fine di scongiurare il rischio di processi paralleli, magari con esiti contraddittori, o forme di intimidazione o di ricusazione improprie.

Tanto basta a non vedere vanificata l'indipendenza della magistratura e la legittima pretesa del privato cittadino danneggiato.

E difatti, se l'esigenza prioritaria è quella di salvaguardare l'indipendenza e la serenità di giudizio del giudice, mettendolo a riparo da azioni intimidatorie e da pressioni psicologiche, le due condizioni citate sono più che sufficienti allo scopo.

Ripensando il sistema della responsabilità civile del magistrato nella direzione di una maggiore concretezza ed efficacia, pertanto, le ulteriori previsioni limitative della responsabilità contenute nella legge n. 17 del 1988 appaiono superflue per garantire l'indipendenza della funzione giurisdizionale.

Esse, invero, si tradurrebbero in un irragionevole sbilanciamento a favore dell'indipendenza, che cesserebbe di essere tale per divenire vera e propria immunità, poiché farebbero guadagnare al magistrato uno status di assoluta irresponsabilità.

È in questi termini che vanno intesi:

1) il filtro preliminare del tribunale all'azione risarcitoria (articolo 5), il quale nella giurisprudenza della Corte costituzionale porterebbe a escludere azioni temerarie e intimidatorie. Nella prassi questo sistema si è tradotto in una vera e propria autorizzazione a procedere, non limitando la delibazione preliminare al fumus boni iuris dell'azione;

2) la previsione di ipotesi tipiche e tassative di colpa grave (articolo 2, comma 3) e l'esclusione di ipotesi di responsabilità derivanti dall'attività di interpretazione delle norme e di valutazione delle prove (cosiddetta «clausola di salvaguardia») (articolo 2, comma 2); la combinazione di questi due limiti circoscrive la responsabilità del giudice ai soli casi di errore macroscopico, grossolano ed eclatante, tenendo invece fuori i casi di grave negligenza (ad esempio i casi di omonimia).

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

1. Alla legge 13 aprile 1988, n. 117, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 2:

1) il comma 1 è sostituito dal seguente:

«1. Chi ha subito danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere da un magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia deve agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali»;

2) i commi 2 e 3 sono abrogati;

b) l'articolo 3 è abrogato;

c) all'articolo 4:

1) il primo periodo del comma 1 è sostituito dal seguente: «L'azione di risarcimento si esercita contro lo Stato, nella persona del Presidente del Consiglio dei ministri»;

2) il comma 2 è sostituito dal seguente:

«2. L'azione di risarcimento può essere esercitata solo quando il procedimento in cui si è avuto il comportamento, l'atto o il provvedimento giudiziale dannoso è definitivamente concluso»;

3) i commi 3, 4 e 5 sono abrogati;

d) gli articoli 5 e 6 sono abrogati;

e) all'articolo 7:

1) il comma 1 è sostituito dal seguente:

«1. Lo Stato, dopo aver provveduto a rimborsare il danneggiato, è tenuto all'azione di rivalsa nei confronti del magistrato danneggiante per il rimborso dell'intero onere sostenuto»;

2) i commi 2 e 3 sono abrogati;

f) il comma 2 dell'articolo 8 è sostituito dal seguente:

«2. L'azione di rivalsa è proposta davanti alla Corte dei conti».