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Atto a cui si riferisce:
S.747 Abolizione della tassa di concessione governativa sull'utilizzo dei terminali di comunicazione mobile


Senato della RepubblicaXVII LEGISLATURA
N. 747
DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa del senatore STUCCHI

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 31 MAGGIO 2013

Abolizione della tassa di concessione governativa sull'utilizzo dei terminali di comunicazione mobile

Onorevoli Senatori. -- Quanti stipulano un contratto di abbonamento per i servizi di telefonia cellulare e non usano schede ricaricabili attualmente pagano in bolletta una tassa di concessione governativa. La tassa di concessione governativa è quel balzello richiesto dallo Stato a chi beneficia di determinati provvedimenti amministrativi ai sensi dell'articolo 21 della tariffa allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641 (Disciplina delle tasse sulle concessioni governative). Tra questi provvedimenti amministrativi rientrano licenze, autorizzazioni ed anche gli abbonamenti della telefonia mobile. Chi dunque è in possesso di un abbonamento presso un gestore di telefonia mobile sa che ogni mese deve pagare, oltre al canone del servizio, anche 5,16 euro, se è cliente privato, o 12,91 euro, se è cliente business. Sulla liceità della tassa di concessione governativa è in atto oggi un forte dibattito. Questo balzello è stato soppresso dall'articolo 218 del codice delle comunicazioni elettroniche di cui al decreto legislativo 1º agosto 2003, n. 259, che ha espressamente abrogato l'articolo 318 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156 (ma ha lasciato formalmente in vita l'articolo 21 della tariffa), che disciplinava la licenza di esercizio prevedendo che «presso ogni singola stazione radioelettrica di cui sia stato concesso l'esercizio deve essere conservata l'apposita licenza rilasciata dall'amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni. Per le stazioni riceventi il servizio di radiodiffusione il titolo di abbonamento tiene luogo della licenza», quindi ha eliminato la norma su cui si poggiava il presupposto normativo della liceità della tassa di concessione governativa. L'articolo 3 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 151, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 202 (Provvedimenti urgenti per la finanza pubblica), ha esteso la tassa sulle concessioni governative ai servizi radiomobili di comunicazione, aggiungendo alla tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972 la voce n. 131 (apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione), poi confluita nell'articolo 21 anzidetto.

A seguito dell'abrogazione del citato articolo 318 sono stati proposti numerosi ricorsi presso tribunali locali, conclusi con alterne sentenze. Per citare alcuni esempi, la commissione tributaria provinciale di Macerata, con la sentenza n. 76/12/12 del 17 maggio 2012, accogliendo il ricorso di un comune, ha affermato che la tassa di concessione governativa non è dovuta in quanto «dall'entrata in vigore del decreto legislativo 1º agosto 2003, n. 259, non esiste più il presupposto normativo dell'applicazione dell'articolo 21 della tariffa allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641». Sulla stessa linea anche la commissione tributaria provinciale di Treviso che ha addirittura obbligato l'Agenzia delle entrate a rimborsare la tassa di concessione governativa pagata per i telefoni cellulari. Inoltre, secondo la commissione tributaria regionale di Venezia-Mestre (Sezione I, n. 5/1/11, depositata il 10 gennaio 2011) l'articolo 3 del codice di cui al decreto legislativo n. 259 del 2003 garantendo «i diritti inderogabili di libertà delle persone nell'uso dei mezzi di comunicazione elettronica, nonché il diritto di iniziativa economica ed il suo esercizio in regime di concorrenza nel settore delle comunicazioni elettroniche», si pone in netto contrasto con l'ormai obsoleta impostazione del codice postale che, per l'utilizzo di apparecchi in grado di accedere alle reti di comunicazione, richiedeva una preventiva autorizzazione sotto forma di licenza. Con la riforma operata dal codice delle comunicazioni elettroniche è stata invero abolita ogni concessione o autorizzazione, in un processo di privatizzazione del settore delle comunicazioni elettroniche che «ha avuto come principale conseguenza il passaggio dalla concessione (che è un atto amministrativo emanato nell'ambito di un rapporto pubblicistico, con una posizione di preminenza della Pubblica Amministrazione sui privati) al contratto, cioè uno strumento di diritto privato il quale presuppone una posizione di parità tra i contraenti». Secondo quanto riportato dal Codacons, le sentenze n. 33 del 2 aprile 2012 e n. 5 del 10 gennaio 2011 della commissione tributaria regionale del Veneto e la sentenza n. 37 del 15 febbraio 2011 della commissione tributaria regionale di Perugia hanno riconosciuto che con l'entrata in vigore del nuovo codice delle comunicazioni elettroniche la tassa di concessione governativa non è più prevista, definendola illegittima e anacronistica in un mercato che è stato oggetto di un processo di privatizzazione e liberalizzazione, che «ha avuto come principale conseguenza il passaggio dalla concessione al contratto, cioè uno strumento di diritto privato il quale presuppone una posizione di parità tra i contraenti».

Infine, un piccolo passo verso l'abolizione della tassa, che potrebbe segnare un percorso tutto in discesa per gli utenti, costretti dal fisco a versare la tassa di concessione governativa sui cellulari, è stato fatto dall'Uni.cons Puglia. L'associazione, infatti, ha ottenuto una vittoria significativa sul tema riuscendo a far accogliere alla commissione tributaria provinciale di Foggia il ricorso di un utente che ha ottenuto il rimborso della quota. Decisione eclatante, visto che l'Agenzia delle entrate aveva rigettato inizialmente la richiesta e, a livello nazionale, le pronunce erano tutte in senso contrario. Questa sentenza segna un precedente per molti possessori di cellulari. La sentenza n. 111/07/2012 si rifà alla pronuncia della Cassazione (la n. 8825 del 2012) che aveva stabilito come «in questo contesto legislativo il contratto di abbonamento stipulato dall'utente ha così riacquistato la sua ordinaria natura corrispettiva. In assenza di una licenza o di un altro provvedimento amministrativo da tassare, è venuto quindi a mancare il presupposto base per applicare la tassa». La legge, quindi, potrebbe essere aggirata con un ricorso e per gli intestatari di un abbonamento per telefonia mobile le bollette potrebbero ridursi ed il rimborso potrebbe essere retroattivo. Questo significa che sarà possibile recuperare le somme pagate negli ultimi cinque anni, termine per la prescrizione in ambito tributario. Questa sentenza viene a vantaggio anche degli enti locali, in quanto le amministrazioni pubbliche sono anch'esse colpite dalla tassa, intimate dall'Agenzia delle entrate a pagare il conto a differenza dello Stato, unico esentato dall'imposta. Il codice delle comunicazioni era chiaro: «Nella sua attuazione non devono esservi nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato». Ma per i comuni sì, cosa che aveva preso in contropiede le associazioni dei consumatori e gli enti locali già in crisi per i tagli dei trasferimenti. Ora con questa sentenza le cose possono cambiare ed è l'Uni.Cons ad aver trovato la strada giusta poiché sono state accolte le tesi da essa proposte secondo cui la tassa non ha ragione di esistere in quanto non c'è nessuna licenza o autorizzazione che l'amministrazione rilascia all'utente per poter utilizzare il proprio apparecchio con un contratto di abbonamento.

Ovviamente non sono mancate anche le sentenze favorevoli all'esistenza di questo balzello. Per esempio, la commissione tributaria di Reggio Emilia, con sentenza n. 133/01/10 del 19 luglio 2010, ha affermato che è soggetto alla tassa «la licenza, o suo documento sostitutivo, ad esempio il titolo d'abbonamento, per l'impiego di apparecchiature terminali, per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione». Secondo la citata sentenza l'abrogazione del citato articolo 318 sarebbe dovuta alle mutate tecnologie, ma ciò non influirebbe sulla vigenza dell'articolo 21 della tariffa, che non è stato abrogato e che continua ad applicarsi. E l'Agenzia delle entrate fa sapere che la tassa sulle concessioni governative è dovuta quando viene rilasciato all'utente un documento attestante la sua condizione di abbonato, in quanto il contratto di abbonamento rappresenta il titolo giuridico che consente all'utente di utilizzare il sistema di telefonia mobile. Inoltre -- anche tramite la risoluzione n. 9/E del 18 gennaio 2012 -- ha continuato a sostenere l'applicabilità della tassa in questione a carico di tutti gli utenti privati, comprese le amministrazioni pubbliche non statali, in quanto ha ribadito la vigenza del presupposto normativo per il suo pagamento, che non sarebbe stato intaccato dall'entrata in vigore del codice delle comunicazioni elettroniche.

Come è facilmente intuibile, il quadro normativo è pertanto oggi molto confuso.

Con la sentenza della Corte di cassazione, sezione tributaria, n. 23052 del 14 dicembre 2012, i giudici della Corte, con una mossa di tecnica giuridica ed in punto di cavillo, contravvenendo alle numerose sentenze delle diverse commissioni tributarie di merito, hanno risolto la querelle sancendo la legittimità della tassa di concessione governativa. I presupposti sui quali si basa la richiesta di soppressione della tassa di concessione governativa sono sostanzialmente due: il primo di natura sistematica e generale, ovvero la direttiva europea ha reso liberi i cittadini europei di comunicare, attività libera non soggetta appunto a concessione; il secondo di natura tecnica: il decreto legislativo 1º agosto 2003, n. 259, ha abrogato il fondamento normativo contenuto nell'articolo 318 del decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1973, n. 156, presupposto oggettivo della tassa di concessione governativa sulla telefonia mobile. Dunque, la tassa non solo non ha ragion d'essere per ragioni tecniche essendo stato soppresso il fondamento normativo, ma anche e soprattutto per la nuova prospettiva di libertà della comunicazione con la quale ormai stride. La Corte, invece, ha ritenuto, sul primo presupposto, che la direttiva europea non abbia liberalizzato granché poiché le attività economiche sono comunque soggette alla supervisione dell'Autorità. Sul secondo che, sebbene l'abrogazione citata sia effettivamente avvenuta, il nuovo codice delle comunicazioni elettroniche ripropone all'articolo 160 (licenza di esercizio) il medesimo dettato normativo «Presso ogni singola stazione radioelettrica per la quale sia stata consegnata l'autorizzazione generale deve essere conservata l'apposita licenza rilasciata dal Ministero. Per le stazioni riceventi del servizio il titolo di abbonamento tiene luogo della licenza» di conseguenza, secondo la Corte «anche attualmente il proprietario di un apparecchio di telefonia mobile è autorizzato a farne uso in forza del proprio abbonamento e, nello stesso tempo, l'articolo 160 citato, riproducendo il contenuto dell'articolo 318 abrogato, ha modificato l'articolo 21 della tariffa nella parte in cui in precedenza richiamava l'articolo 318 stesso».

In un mercato della telefonia liberalizzato e privatizzato una simile imposta non ha scopo di esistere in quanto illegittima e superata. La tassa di concessione governativa, introdotta inizialmente quando il cellulare era considerato un bene di lusso, adesso colpisce un bene divenuto di massa e penalizza soprattutto gli utenti con redditi medio-bassi ed i piccoli lavoratori autonomi. Continuare ad imporre tale tassa a carico di coloro che hanno deciso di utilizzare la formula dell'abbonamento, crea oltre al danno economico anche una disparità fiscale con chi utilizza invece le carte telefoniche prepagate, le quali non sono gravate da tale tributo.

Il presente disegno di legge si pone, quindi, due finalità: quella di sopprimere definitivamente la tassa di concessione governativa, abrogando sia l'articolo 21 della tariffa del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, sia l'articolo 160 del citato codice di cui al decreto legislativo n. 259 del 2003, che ha riprodotto, secondo le motivazioni della sentenza della Corte di cassazione (n. 23052 del 14 dicembre 2012), il già soppresso presupposto normativo che era contenuto nell'articolo 318 del decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973 e quella di eliminare la disparità di trattamento tra le due tipologie di utenti, ovvero coloro che utilizzano il contratto di abbonamento e coloro che utilizzano invece la carta prepagata, generando per i primi un notevole risparmio siano essi privati o enti pubblici.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

1. L'articolo 21 della tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, come da ultimo sostituita dalla tariffa di cui al decreto del Ministro delle finanze 28 dicembre 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 303 del 30 dicembre 1995, concernente la tassa di concessione governativa per l'impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione, è abrogato.

2. L'articolo 160 del codice delle comunicazioni elettroniche di cui al decreto legislativo 1º agosto 2003, n. 259, è abrogato.

3. All'onere derivante dall'attuazione dei commi l e 2, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2013-2015, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2013, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

4. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzate ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.