• Testo DDL 1999

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Atto a cui si riferisce:
S.1999 Modifiche all'articolo 10 della legge 23 marzo 1981, n. 91, in materia di proprietà e organizzazione delle società sportive professionistiche


Senato della RepubblicaXVII LEGISLATURA
N. 1999
DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa dei senatori TORRISI e PAGANO

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 7 LUGLIO 2015

Modifica all'articolo 10 della legge 23 marzo 1981, n. 91, in materia
di proprietà e organizzazione delle società sportive professionistiche

Onorevoli Senatori. -- In Italia lo sport più seguito dai cittadini, il calcio, è da anni in crisi. Crisi di risultati sul piano internazionale, dei bilanci nella grande maggioranza delle società e di pubblico per la diminuzione della presenza negli stadi. Un altro dato molto allarmante lo ricaviamo dai fatturati mondiali delle vendite televisive delle partite dei diversi campionati di calcio che hanno visto precipitare l'interesse per le squadre italiane, nonostante sia cresciuta l'attenzione per il calcio grazie all'ingresso della Cina, unitamente a tutto l'Estremo Oriente e ai Paesi arabi, nella platea degli appassionati di questo sport. Dell'ampliamento della platea dei telespettatori stanno beneficiando le società sportive inglesi, spagnole e, negli ultimi anni, tedesche, mentre la vendita dei biglietti, anche di eventi di particolare interesse agonistico tra i migliori club italiani, produce un fatturato addirittura inferiore a quello di una partita ordinaria della squadra del Barcellona.

Da più parti si invoca una riforma del «sistema» calcio, l'ennesima in Italia ad essere auspicata insieme a quella delle istituzioni, della giustizia e del sistema fiscale, ma purtroppo sulla crisi riconosciuta del «pianeta» calcio non si è sviluppato un dibattito che abbia portato a proposte innovative e neanche a suggerimenti minimali.

Le istituzioni del mondo del calcio sembrano bloccate dal sistema di interessi che attualmente le condiziona e che difficilmente lascia spazio a venti di riforma.

Eppure la crisi di uno sport così popolare come il calcio rappresenta un problema di portata rilevante all'interno del quadro sociale del Paese e merita un dibattito più elevato rispetto a quello portato avanti anche all'interno delle strutture federali: ed è questa la considerazione alla base del presente disegno di legge che prevede una modifica alla normativa vigente, dalla quale si ritiene possa partire un processo virtuoso.

Il primo obiettivo è quello di garantire una maggiore responsabilizzazione dei tifosi ed un aumento delle possibilità di afflusso di nuovi capitali in favore delle società sportive, ma soprattutto una maggiore trasparenza nell'impiego delle enormi risorse che, soprattutto i grandi club, muovono.

La generica criminalizzazione del tifoso ha comportato solo l'allontanamento di molte famiglie dagli stadi e lo strapotere delle esigenze televisive nelle scelte relative alle date e agli orari delle partite hanno reso difficile la partecipazione agli eventi sportivi, mentre ci si è ben guardati dal seguire l'esempio inglese, che ha definitivamente allontanato gli hooligan, o quello tedesco o spagnolo, che ha riconsegnato gli stadi e le società ai tifosi. Probabilmente un motivo strutturale nel quale può individuarsi l'origine della crisi italiana è quello che le società sportive sono divenute soggetti giuridici economici e, quindi, bene esclusivo dei «proprietari», togliendo ai tifosi ogni ruolo e ogni responsabilità. È questa una follia tutta italiana che molti sostengono essere figlia del fatto che i grandi club erano in mani di ricchi padroni e questo fatto ha indirizzato il mondo del calcio verso una normativa opposta a quella spagnola, che consente alla squadra del Barcellona (e non a caso, visto i risultati che ottiene) di essere di proprietà dei propri tifosi (170.000 soci) o a quella tedesca che proibisce a un singolo socio di detenere il 50 per cento delle azioni, limite che è stato ridotto addirittura al 30 per cento dagli statuti delle società sportive.

Anche per il calcio occorre che il Parlamento proceda ad una riforma che consenta di riportare la tifoseria a sentirsi corresponsabile nelle scelte, fatto indispensabile se si vogliono assicurare bilanci equilibrati e se si vogliono evitare le spese folli che rendono negativi la maggior parte degli stessi.

Un primo importante passo per riformare il sistema è individuato nel favorire un azionariato diffuso: probabilmente si vedrebbero improvvisamente diminuire gli acquisti di atleti sudamericani, il cui costo del cartellino non viene pagato alle società sportive di provenienza ma a diversi soggetti, spesso irrintracciabili, verso cui si dirigono «legalmente» milioni e milioni di euro che ogni anno lasciano «ufficialmente» l'Italia. Probabilmente diminuirebbe la richiesta di giocatori bulgari, cossovari o serbi, le cui società sportive di appartenenza sono soggette ad autorità di controllo di recente istituzione.

Questa riforma ha un elemento centrale: le squadre, i loro colori e le loro tradizioni non possono divenire un valore materiale soggetto a stime, valutazioni o compravendite, soprattutto, non possono appartenere a nessun singolo soggetto, persona o società, perché sono beni indisponibili, sui quali deve cessare ogni speculazione.

Le società sportive devono essere amministrate in maniera da poter ricevere indicazioni e censure dagli sportivi legati alle stesse società, utilizzando magari il metro indicatore dell'abbonamento, unito a quello di una riconosciuta militanza come dirigente o atleta.

Se un presidente-padrone di società sportive portasse undici atleti a giocare nello stadio olimpico di Roma o in quelli di Torino o di Milano, con un nome e con i colori diversi da quelli della Roma, della Lazio o della Juventus, probabilmente avrebbe come pubblico solo i familiari degli atleti e come utenti televisivi solo poche famiglie di loro congiunti. Nelle casse della società non entrerebbe neanche un euro per diritti televisivi, per i biglietti e per la vendita dei prodotti con il marchio della squadra.

Tutti i presidenti delle squadre commercializzano i simboli, i colori e la storia che sono condivisi da migliaia, a volte da milioni di cittadini, che si sentono parte integrante di una società sportiva. Per chi tifa per una squadra i colori e le insegne divengono, infatti, «patrimonio genetico», come l'appartenenza alla Nazione, come la convinzione religiosa e come l’affetto per le persone care.

Oggi le società sportive, praticando l'assoluto divieto di rapporti dei giocatori e di tutti dirigenti con giornalisti e con radio locali, impediscono loro di presenziare a qualsiasi evento, se non all'interno delle strutture societarie o sotto il loro controllo e, infine, allontanando dalle società degli uomini simbolo della loro storia calcistica recente provocano un sempre maggiore distacco della tifoseria.

Un'altra emergenza è rappresentata dalla presenza sempre più numerosa di giocatori stranieri, inseriti anche nei vivai giovanili, che ha portato ad allontanare dall'immaginario delle famiglie la squadra come possibile scelta dei giovani, un fatto che fa crescere in maniera preoccupante la rabbia dei tifosi che si sentono minacciati anche nella continuità familiare della fede calcistica.

È molto probabile che togliere un «padrone» alle società sportive porterebbe diversi vantaggi: la riduzione dei costi di gestione relativi ai soggetti che controllano la società, il rispetto per il tifoso e, parallelamente, il rispetto dello stesso tifoso per tutti i beni e gli interessi della società, che sentirebbe come propri e nei confronti dei quali assumerebbe un atteggiamento di protezione e di tutela. L'analisi dell'intera vicenda sportiva del calcio professionistico italiano spinge quindi a una riforma urgente, anche in considerazione di alcuni allarmanti stati di tensione tra società sportive e tifoserie e il presente disegno di legge vuole rappresentare un primo contributo strutturale.

Esso, infatti, modificando l'articolo 10 della legge 23 marzo 1981, n. 91, all'articolo 1, stabilisce un limite alla proprietà di quote o di azioni delle società sportive da parte di una sola persona o di un solo soggetto giuridico, eliminando la possibilità di accordi tra i detentori di quote o di azioni finalizzati a una conduzione «combinata» della società.

Stabilisce, poi, l'obbligo di inserire negli statuti societari un organo consultivo assicurando un'adeguata informazione su vicende che interessano l'opinione pubblica, creando un'importante collegamento tra le società sportive e i tifosi, che può altresì essere utilizzata anche per disciplinare il tifo e per responsabilizzarlo.

All'articolo 2 si prevedono i tempi per l'adeguamento alla nuova normativa da parte delle società sportive.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

1. All’articolo 10 della legge 23 marzo 1981, n. 91, e successive modificazioni, dopo il sesto comma sono inseriti i seguenti:

«Nelle società sportive costituite nella forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata non può essere intestato allo stesso soggetto o, comunque, a soggetti ad esso collegabili, un numero di azioni o di quote che superi il 30 per cento del capitale sociale.

In deroga alla normativa vigente in materia di società di capitali è altresì proibito ogni patto parasociale che determini direttamente o indirettamente il controllo della società sportiva.

Negli statuti delle società sportive deve essere previsto un organo consultivo, il cui parere è obbligatorio, ma non vincolante, al quale sono sottoposti preventivamente i bilanci e al quale è presentato il programma annuale della programmazione sportiva.

L'organo deve essere formato da un minimo di 100 ad un massimo di 1.000 persone elette ogni anno dagli abbonati alla società sportiva, con sistema elettronico, in base ad un apposito regolamento approvato dal consiglio di amministrazione della stessa società; un'ulteriore quota di membri, pari al 10 per cento di quelli elettivi, è nominata per un periodo di tre anni, dal medesimo consiglio di amministrazione, tra i dirigenti e gli atleti della società sportiva che si sono distinti per attaccamento ai colori sociali.

L'organo consultivo elegge, a maggioranza tra i propri membri, il presidente che può partecipare, in qualità di osservatore, alle riunioni degli organi sociali della società sportiva».

Art. 2.

1. Le società sportive professionistiche devono adeguare il proprio assetto societario alle disposizioni di cui all'articolo 1, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.

2. In caso di inadempienza, l'organismo federale competente provvede alla nomina di un commissario per ogni società con il compito di procedere all'adeguamento entro tre mesi dal suo insediamento.