• C. 34 Proposta di legge presentata il 15 marzo 2013

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Atto a cui si riferisce:
C.34 Modifica all'articolo 132 della Costituzione, concernente il procedimento per l'istituzione di nuove regioni e la fusione di regioni esistenti


Organo inesistente

XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 34


PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE
d'iniziativa del deputato CIRIELLI
Modifica all'articolo 132 della Costituzione, concernente il procedimento per l'istituzione di nuove regioni e la fusione di regioni esistenti
Presentata il 15 marzo 2013


      

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Onorevoli Colleghi! La proposta di legge costituzionale che sottopongo alla Vostra attenzione è finalizzata a modificare l'articolo 132 della Costituzione, nel testo riformato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001.
      Com’è noto, l'articolo 132 della Costituzione disciplina, al primo comma, il procedimento di fusione e di creazione di nuove regioni, attribuendo ai consigli comunali, che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, la possibilità di presentare la relativa richiesta e subordinando la proposta all'approvazione per via referendaria della maggioranza delle popolazioni medesime.
      Il secondo comma dello stesso articolo disciplina, invece, il procedimento di separazione e di aggregazione di comuni e di province al territorio di una regione prevedendo, anche in tal caso, la relativa richiesta all'approvazione della maggioranza delle popolazioni del comune o della provincia interessata, espressa sempre mediante referendum.
      In entrambi i suddetti procedimenti, per i quali è previsto il necessario parere dei consigli regionali interessati, la Costituzione prevede l'approvazione della proposta attraverso apposita consultazione referendaria, che consenta così alla popolazione interessata di potersi esprimere direttamente sulla variazione territoriale.
      Si tratta di due procedimenti speciali, plurifasici, caratterizzati sia dalla deliberazione dei consigli comunali interessati sia dall'approvazione della proposta tramite referendum.
      Tuttavia, mentre per il procedimento di cui al secondo comma dell'articolo 132 il Costituente ha previsto lo strumento della legge ordinaria, per la fusione o la creazione di nuove regioni è espressamente richiesta la legge costituzionale, che potrebbe sottoporre il progetto ad una seconda ulteriore procedura referendaria qualora la legge medesima non venisse approvata dal Parlamento dalla maggioranza qualificata prevista dall'articolo 138 della Costituzione.
      Siamo pertanto in presenza di un procedimento alquanto complesso e articolato, a cui il legislatore ordinario ha inteso dare attuazione attraverso la legge n. 352 del 1970, recante «Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo».
      L'articolo 42, secondo comma, della predetta legge estende però il novero dei consigli comunali interessati alla deliberazione, comprendendovi anche «tanti consigli provinciali o tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo della restante popolazione della regione dalla quale è proposto il distacco delle province o comuni predetti».
      In tal modo il legislatore ordinario, incrementando il numero dei consigli comunali e provinciali da coinvolgere, ha oltremodo aggravato un procedimento già di per sé oneroso e complesso, ampliando impropriamente anche il concetto di «popolazioni interessate» e accordando l'iniziativa referendaria ad organi non espressamente contemplati dalla Costituzione.
      Contrariamente a quanto disposto dal legislatore ordinario, infatti, il requisito di «un terzo» previsto dalla norma costituzionale deve ritenersi riferibile esclusivamente ai consigli comunali dei territori interessati alla modifica territoriale, in relazione ai quali dovrà calcolarsi la frazione minima di popolazione necessaria per poter avanzare la richiesta di consultazione popolare, realizzando così una perfetta coincidenza tra «popolazioni interessate» ai fini della richiesta, della variazione territoriale e del relativo referendum.
      L'indebita estensione applicativa della portata della disposizione di cui al primo comma dell'articolo 132 della Costituzione, infatti, non può essere ritenuta coerente con l'impianto complessivo della norma e con le finalità perseguite dalla stessa.
      È noto che l'articolo 5 della Costituzione, nell'enunciare il fondamentale principio dell'unità e dell'indivisibilità della Repubblica, espressamente dispone che «la Repubblica riconosce e promuove le autonomie locali; adegua i principî ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento».
      Dal combinato disposto degli articoli 5 e 132 della Costituzione è, pertanto, possibile ritenere la fusione o la creazione di una nuova regione come quel procedimento che consente alla comunità territoriale di salvaguardare al meglio le proprie esigenze autonomistiche, rivendicando il diritto all'autogoverno in chiave politica, amministrativa, economica e tributaria.
      D'altra parte, tali considerazioni sono suffragate anche dal dibattito emerso nel corso dei lavori per la stesura del testo costituzionale in seno all'Assemblea costituente chiamata, nel lontano 1946, a definire il nuovo assetto dell'Italia del secondo dopoguerra e a ridisegnare il perimetro dei territori regionali tenendo fede alle caratteristiche socio-economiche all'epoca vigenti.
      La vivace discussione che condusse il Comitato per le autonomie locali a elaborare il testo che sarebbe poi confluito nell'articolo 132 ante riforma del 2001, infatti, fece emergere interessanti posizioni tra cui quella di chi, come il costituzionalista siciliano Ambrosini, riteneva che tanto i consigli comunali, quanto il referendum, avrebbero dovuto riguardare le sole popolazioni interessate a unirsi in una regione nuova, mentre le posizioni delle popolazioni «controinteressate» sarebbero adeguatamente venute in rilievo attraverso il previo parere dei relativi consigli regionali.
      Nella circostanza l'Assemblea costituente, non disponendo di validi elementi per poter decidere quante e quali dovessero essere le regioni italiane, si attenne al criterio della tradizionale ripartizione geografica dell'Italia, senza tuttavia precludere la possibilità alle popolazioni interessate di chiedere, mediante deliberazione della maggioranza dei rispettivi consigli comunali, il distacco da una regione e l'aggregazione a un'altra ovvero la costituzione di una nuova regione.
      Ma già nel lontano 1946 la stesura dell'originario articolo 132 fu frutto di un compromesso tra coloro che ritenevano sufficiente, ai fini della creazione di una nuova regione, il quoziente minimo di cinquecentomila abitanti e coloro che, al contrario, consideravano più opportuno elevare tale cifra fino a un milione e mezzo di residenti.
      Sicché, la duplice ratio del procedimento di cui al primo comma dell'articolo 132 della Costituzione può rinvenirsi da un lato, nella previsione di una clausola di apertura alle future istanze autonomistiche che di volta in volta fossero emerse in Italia, dall'altro nell'esigenza di impedire che la fusione ovvero la creazione di una nuova regione avvenisse in assenza della previa espressione della volontà dei cittadini direttamente coinvolti in quella variazione territoriale.
      Anche sul versante giurisprudenziale si registrano sul punto orientamenti piuttosto discordanti se non opposti.
      La Corte costituzionale, con la famosa sentenza n. 334 del 10 novembre 2004, ha affermato il principio per cui l'espressione «popolazioni interessate» debba riferirsi, inequivocabilmente, soltanto ai cittadini residenti nel territorio direttamente oggetto di variazione.
      Nella medesima pronuncia, la Consulta ha ritenuto il referendum di cui all'articolo 132 della Costituzione di carattere «meramente consultivo» e, al contempo, ha opportunamente sostenuto che la valutazione degli interessi locali contrapposti può ben avvenire attraverso l'audizione dei consigli delle regioni coinvolte, considerando così del tutto inopportuno un intervento diretto, per via referendaria, delle «restanti popolazioni».
      Infine, giova sul punto evidenziare che la sentenza n. 334 del 2004 ritiene palesemente eccessiva l'onerosità del procedimento strutturato dalla norma di legge attuativa rispetto alla determinazione ricavabile dalla nuova previsione costituzionale e «si risolve nella frustrazione del diritto di autogoverno dell'autonomia locale, la cui affermazione e garanzia risulta invece tendenzialmente accentuata dalla riforma del 2001».
      Il suddetto orientamento è stato ribadito dalla sentenza n. 66 del 9 marzo 2007, in cui la Corte costituzionale ha affermato che «il soggetto interessato in questa fase del tutto “prodromica” del procedimento è la sola collettività locale appartenente al Comune interessato dalla proposta di distacco-aggregazione».
      Nonostante che la Corte, in entrambe le circostanze menzionate, si fosse espressa in merito al secondo comma dell'articolo 132 e quindi su fattispecie relative al distacco di un comune da una regione e la sua annessione a un'altra, è evidente che il suddetto principio di diritto, in quanto riconducibile al fondamentale principio generale del riconoscimento delle autonomie locali nel nostro ordinamento, si impone ed è estensibile anche al procedimento di cui al primo comma dell'articolo 132 e, in ultima analisi, alla legge attuativa del referendum.
      È pacificamente ammesso, infatti, che un potenziale conflitto tra norme costituzionali necessita di una soluzione interpretativa che privilegi i princìpi fondamentali della Repubblica rispetto a qualsiasi altra disposizione costituzionale.
      Analoghe considerazioni in ordine all'ambito applicativo della disposizione di cui al primo comma dell'articolo 132, sono state sollevate, in tempi recenti, dalla Suprema Corte di cassazione – ufficio centrale per il referendum (ordinanza n. 48 del 2 febbraio 2011), la quale ha ritenuto che, stante l'oscurità del dettato costituzionale, deve considerarsi logicamente proponibile l'interpretazione secondo cui la volontà del Costituente sia stata quella di riconoscere il coinvolgimento nell'iniziativa del distacco di alcuni comuni da una regione per la creazione di un'altra solo alle popolazioni degli enti territoriali direttamente interessati al distacco.
      Riguardo al concetto di «popolazioni interessate», tuttavia, proprio in virtù della difficoltà di reperire in via esegetica un significato univoco e applicabile a ogni caso concreto, permangono ancora oggi notevoli contrasti giurisprudenziali, se è vero che la stessa Corte costituzionale, con una recente sentenza del 2011, ha sostanzialmente ribaltato l'orientamento espresso nel 2004 e ribadito nel 2007.
      Al di là dell'orientamento espresso dai giudici costituzionali nella sentenza n. 278 del 21 ottobre 2011, è evidente che in concreto, se l'iniziativa referendaria fosse attribuita a tutti i cittadini della regione da cui si chiede il distacco (e non più soltanto alla popolazione del territorio interessato), verrebbero meno le stesse finalità della norma costituzionale e il quorum di un terzo dei consigli comunali in essa previsto, rendendo di fatto inapplicabile il primo comma dell'articolo 132 della Costituzione, che pure i Padri fondatori della Repubblica avevano previsto per rispetto dei princìpi democratici.
      È evidente che, stanti l'ambiguità dell'attuale dettato costituzionale e le decisioni contraddittorie della Corte in merito al concetto di «popolazioni interessate», a cui si aggiunge la discrasia con la disciplina attuativa prevista dalla legge n. 352 del 1970, risulta quanto mai opportuna una modifica legislativa che, apportando i dovuti correttivi al primo comma dell'articolo 132 della Costituzione, ne consenta un'interpretazione e un'applicazione più coerenti con le finalità della norma e con l'impianto complessivo dell'intero titolo V della parte seconda della Costituzione post riforma del 2001.
      La presente proposta di legge costituzionale, pertanto, è finalizzata a rendere più chiaro ed esplicito il testo del primo comma dell'articolo 132 della Costituzione, introducendo, in luogo della discussa espressione «popolazioni interessate», l'espressione «del territorio della costituenda Regione ovvero delle Regioni che intendono fondersi» e specificando che il relativo referendum deve essere ap- provato «dalla maggioranza della popolazione del predetto territorio».
      Viene, altresì, resa esplicita l'iniziativa dei consigli provinciali accanto a quella dei consigli comunali interessati, conformemente a quanto già previsto dall'articolo 42 della legge n. 352 del 1970.
      In tal modo, l'approvazione della presente proposta di legge costituzionale garantirebbe una concreta applicabilità della norma costituzionale e renderebbe più lineare il procedimento di fusione e creazione di nuove regioni semplificando il quadro normativo, nel pieno rispetto del diritto all'autogoverno delle autonomie locali, del pluralismo territoriale e del decentramento previsti dall'articolo 5 della Costituzione che, peraltro, appartiene ai cosiddetti «princìpi fondamentali» di tutta la Carta costituzionale e assume una forza maggiore rispetto alle altre norme costituzionali.
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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE
Art. 1.

      1. Il primo comma dell'articolo 132 della Costituzione è sostituito dal seguente:
      «Si può con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione di abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali o provinciali che rappresentino almeno un terzo della popolazione del territorio della costituenda Regione ovvero delle Regioni che intendono fondersi e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza della popolazione del predetto territorio.