• Testo INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA

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Atto a cui si riferisce:
C.4/10884 il virus del Nilo occidentale (noto anche con la denominazione inglese West Nile Virus, WNV) è un flaviviridae del genere Flavivirus (di cui fanno parte anche il virus della febbre gialla, il...



Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-10884presentato daZOLEZZI Albertotesto diMartedì 27 ottobre 2015, seduta n. 511

ZOLEZZI, DAGA, MANNINO, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, MICILLO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute . — Per sapere – premesso che:
il virus del Nilo occidentale (noto anche con la denominazione inglese West Nile Virus, WNV) è un flaviviridae del genere Flavivirus (di cui fanno parte anche il virus della febbre gialla, il virus dell'encefalite di Saint-Louis, il virus dell'encefalite di Murray Valley e il virus dell'encefalite giapponese). Il suo nome viene dal distretto di West Nile in Uganda, dove è stato individuato per la prima volta nel 1937, in una donna che soffriva di una febbre particolarmente alta. In seguito è stato trovato negli uomini, negli uccelli e nei moscerini in Egitto negli anni cinquanta, diffondendosi infine anche in altri Paesi. La malattia ha un andamento endemico-epidemico ed inizialmente risultava diffusa soprattutto in Africa (specie in Egitto), Medio Oriente, India. Ad oggi il virus del Nilo occidentale deve essere ormai considerato un patogeno endemico in Africa, Asia, Australia, Medio Oriente, Europa e negli Stati Uniti;
nel 2008 un focolaio endemico in Italia ha determinato casi sia nelle persone sia nei cavalli. Sono stati riportati casi di infezione in 77 cavalli e due persone; approssimativamente, circa l'80 per cento delle infezioni da West Nile Virus, nell'essere umano, non causano sintomi evidenti. Il periodo d'incubazione è tipicamente compreso tra 2 e 15 giorni. Nel caso, invece, si verifichi una sintomatologia, questa è generalmente dominata dalla febbre e da qui il nome di febbre del Nilo occidentale. Raramente, oltre alla febbre possono comparire alcune gravi complicazioni neurologiche, quali meningite e encefalite; la modalità principale di trasmissione del virus del Nilo occidentale è rappresentata da diverse specie di zanzare, che sono il primo vettore. Tra queste, in particolare, riveste un ruolo primario il genere Culex. Ovviamente, tutti i fattori che favoriscono la proliferazione delle zanzare, come ad esempio le piogge abbondanti, le irrigazioni dei terreni agricoli o condizioni climatiche con temperature alte, determinano un importante aumento del numero dei casi di contagio. Gli uccelli, siano essi stanziali, migratori o domestici, giocano un ruolo cruciale nella disseminazione del virus, essendo l'animale più comunemente infettato e rappresentando il primo serbatoio. Gli uccelli migratori permettono lo spostamento del virus dall'Africa, prima zona endemica, verso altre zone temperate. Le zanzare, in particolare del genere Culex, pungendo gli uccelli migratori asportano sangue infetto, infettano sé stesse e quindi ogni altro animale, uomo compreso, di cui assumono il sangue successivamente. Bisogna comunque tenere presente che non tutte le specie animali suscettibili di infezione da virus, WNV (compresi gli esseri umani), così come non tutte le specie di uccelli, sono in grado di sviluppare nel sangue concentrazione virali sufficienti per poter trasmettere la malattia alle zanzare infettandole. Pertanto non tutti gli animali suscettibili possono essere considerati fattori principali di trasmissione virale;
afferma il prof. Roberto Ronchetti, professore emerito di pediatria all'Università di Roma «La Sapienza» che il nostro clima sempre più caldo e umido (global warning) potrebbe favorire negli anni a venire una maggior infettività dei virus «tropicali» e la comparsa, nelle aree mediterranee, di casi singoli o addirittura di epidemie delle temute malattie. Occorre chiarire, aggiunge il prof. Ronchetti che il pericolo viene dai virus tropicali che potrebbero espandere le loro aree di colonizzazione e non dalla «zanzara tigre» che ormai da trenta anni vive «tranquillamente» in Italia: è verissimo che tale animaletto in estate rende «non tranquille» le nostre cene all'aperto e le nostre notti, ma fare la «lotta» alle zanzare, intendiamo quella condotta con l'irrorazione di aree pubbliche e private con «insetticidi», si rivela, a giudizio del professore, inutile (le zanzare non se ne vanno) e contaminante (tutti gli insetticidi attentano alla biodiversità e sono in vario modo pericolosi). Ma soprattutto l'uso degli insetticidi apparirebbe, a suo giudizio, controproducente: infatti tutte le zanzare sono in grado di attivare un alto numero di processi metabolici che, in tempi brevi, le rendono «resistenti» agli insetticidi, oche in teoria dovrebbero ucciderle. È per questo che, secondo il professore, bisogna evitare l'uso di insetticidi oggi se non si vuole avere armi inefficaci nel caso in cui eventi epidemici le rendessero indispensabili per la difesa della popolazione;
è opinione dell'interrogante che, al momento attuale, per difenderci dalle zanzare, è necessario ricorrere a «rimedi» tradizionali, scelti e messi in opera da ciascuno di noi, sulla propria persona e nel proprio ambiente, considerato che si ha scarsa consapevolezza dell'impatto sul nel nostro suolo privato e finanche sulle aree pubbliche di «irrorazioni o disinfestazioni», non si ha infatti in merito una precisa definizione dell'impatto ambientale e del conseguente grado di inquinamento. Sta di fatto che in Italia il consumo attuale di insetticidi è largamente eccessivo (ne utilizziamo addirittura il 50 per cento del totale di tutti quelli usati in Europa);
secondo lo studio di Sanford et al, pubblicato sul J. Med. Entomol. nel 2005, le aree umide e i corsi d'acqua arricchiti di azoto (fertilizzanti azotati e altre sorgenti azotate antropiche) costituiscono un habitat favorevole per speci nitrofile come le zanzare Culex, il conteggio delle larve è di 9,4 volte superiore rispetto alle stesse aree prima del trattamento azotato o altre aree con valori di componenti azotati nella norma, per un potere trofico verso le larve e per l'ipossia e la soppressione dei predatori delle zanzare come alcuni pesci;
in Italia è in vigore dall'anno 2008 una ordinanza del Ministero della salute (Ordinanza 5 novembre 2008 West Nile Disease – Notifica alla Commissione europea e all'OIE – Piano di sorveglianza straordinaria) che dà il via ad un piano di sorveglianza straordinaria della West Nile Disease. Il virus del Nilo è stato infatti dichiarato endemico nel nostro Paese dalle autorità sanitarie. Questa ordinanza prevede anche il coinvolgimento dei medici veterinari liberi professionisti. Con il piano di sorveglianza straordinaria si intensificano le misure eccezionali di sorveglianza «finalizzate alla cognizione dell'espansione del fenomeno». L'attenzione al fenomeno è rivolta ad uccelli stanziali appartenenti a specie bersaglio (gazza, cornacchia grigia, tortora dal collare orientale), e alla fauna culicidica (anche con posizionamento di trappole per la cattura di zanzare);
in Italia, nell'agosto 2008, si è registrata la presenza del virus West Nile (WNV) in alcune province dell'Emilia-Romagna, del Veneto e della Lombardia, tutte in prossimità del fiume Po e del suo delta. Il primo caso, è stato poi confermato in un cavallo, il 29 luglio 2009, a nord di Correggio, una cittadina che dista 60 chilometri da Ferrara, luogo dove ha avuto inizio l'epidemia del 2008, che ha colpito complessivamente una settantina di cavalli e sei esseri umani. Dopo questa epidemia, il WNV è stato dichiarato endemico in Italia. Sono 86 casi documentati in Italia fino alla fine del 2014, che hanno portato a 10 decessi;
nel 2015, in provincia di Mantova, sono stati già documentati 5 casi di WNV in realtà comunali segnate da impatti ambientali notevoli (Pegognaga, Moglia, Revere, Roncoferraro, Curtatone); si segnala come, a Pegognaga, siano in funzione, fra l'altro, due impianti notevolmente inquinanti: la Copernit spa (bitumificio), che ha recentemente ottenuto di costruire una nuova linea produttiva, nonostante le segnalazioni di molestie odorigene e le emissioni importanti, e l'impianto a biomasse Unitea, che tratta scarti di macellazione provenienti da buona parte della provincia di Reggio Emilia; ad oggi è anche in corso la sperimentazione Gedis per l'incenerimento del digestato (si veda al proposito l'interrogazione 4/10179 a prima firma Zolezzi e altri);
nel comune di Moglia è prevista la costruzione di un impianto di trattamento di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi da parte della azienda Ecologia Papotti srl, che comprometterebbe notevolmente la qualità dell'aria in tale comune;
a Curtatone sono presenti ben 4 impianti a biogas, peraltro limitrofi al centro abitato, che praticano spandimenti del digestato anche in caso di utilizzo di rifiuti speciali come matrice, contro le vigenti normative il digestato ha un contenuto di azoto molto maggiore e sbilanciato nei confronti del carbonio rispetto a liquami e letame;
il WNV si manifesta più facilmente in persone anziane, immunodepresse o in condizioni di salute scadenti; l'inquinamento atmosferico è causa intrinseca di incremento di mortalità (dati AIRC 2014) e di morbilità e può comportare alla riduzione delle difese immunitarie –:
quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati, per quanto di competenza, per arginare la diffusione del virus;
se, in particolare, i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non intendano adoperarsi, in raccordo con gli enti territoriali competenti, per contrastare il più efficacemente possibile, specie nelle aree limitrofe al Po, la presenza di elementi inquinanti che possono favorire tale diffusione;
se intendano assumere iniziative per una diversa gestione di tutto il ciclo dell'azoto nelle aree vulnerabili, in particolare quelle dove si siano verificati casi di WNV, limitando gli spandimenti di nitrati e la fertilizzazione, in particolare nelle aree limitrofe ai centri abitati. (4-10884)