• Testo DDL 2082

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Atto a cui si riferisce:
S.2082 Misure a sostegno della condivisione della responsabilità genitoriale


Senato della RepubblicaXVII LEGISLATURA
N. 2082
DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa dei senatori FEDELI, TONINI, PARENTE, SANTINI, ZANONI, Paolo ROMANI, BATTISTA, BENCINI, BIANCONI, DE PIETRO, ORELLANA, PALERMO, REPETTI, AMATI, ANGIONI, BORIOLI, CANTINI, CHITI, CORSINI, CUCCA, CUOMO, FABBRI, FAVERO, Elena FERRARA, GIACOBBE, GINETTI, GRANAIOLA, LAI, LO GIUDICE, MATTESINI, MATURANI, ORRÙ, PADUA, PAGLIARI, PEGORER, PEZZOPANE, PUPPATO, RANUCCI, RUSSO, RUTA, SANGALLI, SCALIA, SOLLO, SPILABOTTE, TOMASELLI, VACCARI, VALDINOSI e VALENTINI

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 7 OTTOBRE 2015

Misure a sostegno della condivisione della responsabilità genitoriale

Onorevoli Senatori. -- Il presente disegno di legge propone misure per la valorizzazione del contributo delle donne alla vita economica e sociale del Paese, favorendo il sostegno alla maternità e alla condivisione della responsabilità genitoriale, presupposto indispensabile per garantire la promozione dell'uguaglianza di genere nel mercato del lavoro e la crescita del sistema Paese.

La grave perdita economica rappresentata dal gender gap è stata quantificata nel recente studio del Fondo Monetario Internazionale (World Development Report 2013: Jobs), Fair Play: More Equal Laws Boots Female Labor Force Partecipation, in cui si legge che se venisse colmato il divario, il prodotto interno lordo (PIL) aumenterebbe del 5 per cento negli Stati Uniti, 9 per cento in Giappone, 15 per cento in Italia. Il rapporto evidenzia anche che i congedi di maternità possono senza dubbio contribuire a una maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro, ma gli effetti che ne scaturiscono non sono lineari. In altre parole, mentre politiche per le famiglie correttamente progettate possono favorire la partecipazione femminile al mercato del lavoro, lunghi periodi di congedo, tenendo al di fuori del mercato del lavoro, rischiano di ridurre skill e guadagni. Pertanto un congedo parentale utilizzato quasi esclusivamente dalle donne, può, in contrasto a quello che costituirebbe il proprio obiettivo, favorire fenomeni di discriminazione e segregazione orizzontale. Ciò implica che le politiche volte a incoraggiare un riequilibrio nei carichi genitoriali possono favorire, da una parte un più rapido ritorno al lavoro delle madri e dall'altra incidere sulle differenze.

Ancora più di recente, secondo il rapporto del McKinsey Global Institut pubblicato a settembre 2015, si stima che se le donne avessero gli stessi tassi di occupazione degli uomini, il PIL annuo globale aumenterebbe di 28.000 miliardi nel 2025, ossia il 26 per cento del PIL globale, che equivarrebbe alla ricchezza di Cina e Usa insieme.

È evidente allora che, anche a livello nazionale, l'innalzamento del tasso di occupazione femminile debba essere considerato una priorità su cui impegnarsi per elevare il potenziale di crescita economica e per garantire una più equa ripartizione delle risorse pubbliche, anche in funzione della sostenibilità futura dei sistemi previdenziale e di protezione sociale.

In particolare, per quanto concerne il nostro Paese, secondo il più recente rapporto annuale dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), sono 64.000 le donne occupate in più dal 2008 alla fine del 2014, l'incremento dell'occupazione femminile dall'inizio della crisi a oggi, seppure modesto, si rivela un dato positivo laddove paragonato al bilancio dell'occupazione maschile che ha perso, invece, 875.000 lavoratori. Come già evidenziato in molti rapporti europei e dallo stesso ISTAT (si veda il resoconto del rapporto Enege, «Donne e crisi»), infatti, è stata soprattutto l'emorragia di posti di lavoro maschili a trascinare in basso il tasso di occupazione generale. E mentre nella media europea quest'ultimo nel 2014 sfiora il 65 per cento ed è tornato al livello del 2008, in Italia è al 56 per cento ossia «al di sotto della media europea di quasi dieci punti e del livello del 2008 di quasi tre».

In prospettiva di genere, anche per l'occupazione femminile il gap resta altissimo: è vero che quest'ultima ha tenuto, ma poiché partiva da livelli bassissimi, da come si apprende dal citato rapporto ISTAT, ne consegue che, per raggiungere la media europea, dovrebbero lavorare in Italia 2 milioni e mezzo di donne in più, un gap, tra l'altro, localizzato in gran parte nel Mezzogiorno, ossia nella zona d'Italia che non è per ora sfiorata dalla ripresa. La posizione delle nuove lavoratrici si caratterizza inoltre per una relativa debolezza: le donne sono infatti spesso impiegate in posizioni lavorative con bassa qualificazione e -- soprattutto -- sono le protagoniste dell'unico grande dato incrementale registratosi per tutti gli anni passati, ossia l'aumento del part-time involontario. Nel 2014 i lavoratori a tempo parziale erano oltre 4 milioni (il 18,4 per cento del totale degli occupati, con un 32,2 per cento tra le donne e un 8,4 per cento tra gli uomini), ma quasi due su tre avrebbero voluto un lavoro a tempo pieno. Questo dato, come sottolineato da Linda Laura Sabbadini nel corso della presentazione del rapporto ISTAT, significa che il part-time non è chiesto né usato come strumento di flessibilità per la conciliazione, ma per esigenze attinenti all'organizzazione o alle strategie delle imprese. Nel complesso, aggiunge il citato rapporto, si contano 751.000 occupati esposti a una doppia vulnerabilità, donne in circa due terzi dei casi: sono atipici (dipendenti a termine o collaboratori) e part timer involontari.

Utili a descrivere la condizione del mercato del lavoro secondo una prospettiva di genere sono anche i dati pubblicati il 28 settembre 2015, risultanti dall'indagine su lavoro e maternità che Rizzoli-Corriere della Sera media group S.p.A. (RCS) ha condotto su più di 20.000 persone. Oltre ad una grandissima insoddisfazione degli italiani per le politiche per i figli, si segnala la volontà della metà dei padri di partecipare più attivamente alle cure dei figli piccoli: il 77 per cento dei padri intervistati ha dichiarato di aver usufruito del giorno di assenza dal lavoro obbligatorio spettantegli in seguito alla nascita del figlio, mentre il 59 per cento dei due giorni di congedo facoltativo. Una volontà rimasta troppo a lungo sottotraccia nella discussione pubblica e purtroppo non assecondata adeguatamente dalla legislazione nazionale, carente su questo versante e colpevole di lasciare sole le donne, frustrando la voglia dei padri di condividere questo momento con loro.

I dati sopracitati devono evidentemente essere letti nella cornice più larga della situazione del Paese: l'Italia è agli ultimi posti in Europa per il tasso di occupazione femminile ed il dato, se incrociato con quello sui giovani, è ancor più desolante. Abbiamo inoltre una natalità bassissima con una popolazione che invecchia vistosamente, al punto che il 21,4 per cento è oltre i sessantacinque anni di età, come sottolineato recentemente dal quotidiano Avvenire. Si tratta di numeri che palesano un'emergenza: il potenziale di crescita del Paese rappresentato dalle donne è una risorsa che non possiamo più permettere resti inutilizzata. È pertanto necessario produrre politiche pubbliche nuove per l'occupazione femminile, innovando però con forza l'approccio: le politiche per l'occupazione femminile non possono infatti più prescindere dalla costruzione delle condizioni per conciliare strutturalmente il loro lavoro con la libertà di scelta di mettere al mondo dei figli. Questo è spesso il più grande ostacolo per le donne all'ingresso, alla permanenza ed alla possibilità di fare carriera nel mercato del lavoro in una competizione alla pari con i colleghi uomini.

È dunque a partire da questa consapevolezza, espressa recentemente anche dal Presidente della Repubblica Mattarella in un comunicato pubblicato in occasione della manifestazione «Il Tempo delle Donne», organizzata dal Corriere della Sera, che il presente disegno di legge intende porre nuovamente all’attenzione il tema della maternità quale libera scelta. In questa prospettiva, alcune istanze hanno cominciato a trovare prime risposte: si pensi al decreto attuativo sulla conciliazione del Jobs Act che ha riconosciuto l'indennità di maternità anche in assenza del versamento dei contributi da parte del datore di lavoro, al decreto sulla semplificazione attraverso cui è stata finalmente sancita una misura efficace contro le dimissioni in bianco, e al decreto attuativo sulle tipologie contrattuali nell'ambito del quale, in alternativa ai congedi per maternità post parto, è stata prevista la possibilità di scegliere il part-time con l'obbligo della concessione da parte del datore di lavoro.

Tali misure però non appaiono sufficienti: è necessario infatti affiancare alla conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro nuove politiche pubbliche che favoriscano la condivisione tra uomini e donne degli oneri e degli onori che avere un figlio comporta. Se è vero che «Le nuove norme sul congedo parentale per i padri lavoratori non hanno ancora prodotto gli effetti sperati e lo squilibrio all'interno della famiglia continua a produrre limitazioni e impedimenti a carico delle donne», come dichiarato dal Presidente Mattarella, è fondamentale spostare la discussione sulla maternità da questione che riguarda solo la donna ad una più larga, fatta di condivisione di responsabilità e gioie oltre che di conciliazione. Si tratta di cambiare approccio nella produzione di politiche pubbliche volte a sostenere la maternità, promuovendo maggiormente -- a livello normativo oltreché culturale -- la condivisione delle responsabilità genitoriali.

La condivisione dei carichi legati alla genitorialità tra i genitori lavoratori, infatti, è una delle premesse per l'esercizio del diritto alla cura. Così si è mossa da decenni la stessa Unione europea; a cominciare dalla raccomandazione 92/241/CEE del Consiglio del 31 marzo 1992 sulla custodia dei bambini, è espressamente richiesta una maggior partecipazione dei padri nella cura dei figli e la promulgazione di una legislazione che sia gender neutral, al fine di dare ai genitori che lavorano specifici diritti in materia di congedi parentali (articolo 2 della raccomandazione). Successivamente, le direttive 96/34/CEE del Consiglio, del 3 giugno 1996, concernente l'accordo quadro sul congedo parentale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES e 92/85/CEE del Consiglio del 19 ottobre 1992, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, sono state oggetto di riforma, il cui risultato è stata la direttiva 2010/18/UE del Consiglio dell'8 marzo 2010, che attua l'accordo-quadro riveduto in materia di congedo parentale concluso da BUSINESSEUROPE, Associazione europea dell’artigianato e delle piccole e medie imprese (UEAPME), European centre of employers and enterprises providing public services (CEEP) e Confederazione europea dei sindacati (CES) e abroga la direttiva 96/34/CE, entrata in vigore l'8 marzo 2012.

Con essa le parti sociali europee hanno concluso un nuovo accordo-quadro sul congedo parentale, che estende la durata dello stesso a quattro mesi per ciascun genitore e si applica a tutti i lavoratori e a tutte le tipologie contrattuali. È evidente, quindi, come ne venga riconosciuto un ruolo fondamentale per conciliare vita professionale e responsabilità familiari e nella promozione della parità di trattamento tra gli uomini e le donne. I congedi per motivi familiari, di cui possono usufruire i lavoratori con figli, sono un importante strumento per bilanciare l'attività lavorativa con la vita privata. Con la citata direttiva si riconosce quindi il vantaggio delle policy in tema di congedi, comparato ad altre misure di conciliazione, vantaggio che si traduce nella circostanza per cui i congedi possono avere un'influenza maggiore sullo sbilanciamento di genere che persiste tra lavoro retribuito e non retribuito, al fine di ricondurlo ad un equilibrio. Il saldo di questo specifico divario di genere, secondo l'Organizzazione internazionale del lavoro (Global Wage Report 2014/2015. Wages and income inequality, Ginevra, 2015), dovrà essere raggiunto attraverso un più significativo sviluppo sociale lungo l'arco del XXI secolo.

Dunque l'Unione europea considera di fondamentale importanza l'affermazione e lo sviluppo di politiche di genere e di pari opportunità, quali strumenti essenziali per la crescita, la prosperità e la competitività ed è stato proprio grazie all'adozione della citata direttiva 2010/18/UE che tutti gli Stati membri hanno previsto i congedi parentali. La citata normativa europea definisce il congedo parentale come un diritto individuale, ma gli Stati possono scegliere se mantenerlo tale o metterlo a disposizione di entrambi i genitori.

Con specifico riguardo ai congedi di paternità, non essendo prevista a livello europeo una legislazione in materia, non esiste una definizione comune. In virtù di come i congedi di paternità sono implementati, a livello di ciascuno Stato membro, vige un'interpretazione secondo cui questi sono un diritto specifico dei padri, che ne possono usufruire contemporaneamente al periodo di congedo obbligatorio spettante alla madre o prima di usufruire dei congedi parentali. In riferimento a questi ultimi, alcuni Stati membri prevedono la destinazione di parte dei congedi parentali ai padri in modalità non trasferibile. Nel 2010, con la risoluzione del 20 ottobre 2010 il Parlamento europeo invita gli Stati membri a valutare la possibilità di riconoscere ai lavoratori padri un congedo di paternità pari a due settimane. In particolare, il considerando 26 della stessa evidenzia che, per aiutare i lavoratori a conciliare la loro vita professionale e familiare, nonché a conseguire un'autentica parità di genere, è essenziale che gli uomini abbiano diritto a un congedo di paternità retribuito.

Un timido tentativo in questo senso è stato operato dalla legge 28 giugno 2012, n. 92, recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita, cosiddetta «legge Fornero». Essa, infatti, all'articolo 4, comma 24, ha introdotto per il padre lavoratore, in via sperimentale e solo per gli anni 2013-2015, l'obbligo di astensione dal lavoro per un periodo di un giorno e la facoltà di astensione per due giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione in relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a quest'ultima. Nonostante l'iniziativa sia stata lodevole, avendo introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento l'istituto del congedo di paternità obbligatorio, che necessariamente implica una maggiore condivisione della responsabilità genitoriale, la stessa è apparsa costituire un'inversione di tendenza solo a livello culturale anziché reale, vista soprattutto la debolezza degli strumenti messi in campo, limitati -- come ricordato -- ad un giorno di astensione obbligatoria e due facoltativi.

Al fine di sostenere la condivisione delle responsabilità genitoriali, quindi, il presente disegno di legge si propone di reintrodurre l'istituto del congedo di paternità obbligatorio per i padri lavoratori dipendenti, estendendolo però a quindici giorni da usufruire, anche continuativamente, nell'arco dei trenta giorni successivi alla nascita del figlio. L'astensione obbligatoria per il padre è introdotta, sul modello della disposizione di cui al comma 24, lettera a), dell'articolo 4 della legge n. 92 del 2012, solo in via sperimentale e, specificatamente, per gli anni 2016 e 2017, ed esclusivamente nell'ambito del lavoro dipendente. Tali scelte normative concernenti il periodo e l'ambito di applicazione della misura che s'intende introdurre sono motivate da precise necessità che si è ritenuto di dovere tenere in debita considerazione. Il carattere sperimentale dell'introduzione del congedo di paternità obbligatorio, nonché il limite della sua applicazione all'ambito del lavoro dipendente, infatti, appaiono funzionali alla valutazione dell'impatto normativo ed economico della nuova regolamentazione, attività prodromica ai fini di una eventuale -- ed auspicabile -- introduzione dell'istituto in via strutturale nell'ordinamento interno. Proprio a tal fine, inoltre, il presente disegno di legge, all'articolo 2, dispone che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali predisponga un piano di monitoraggio e valutazione dell'astensione obbligatoria del padre lavoratore dipendente, e trasmetta al Parlamento, entro il 30 gennaio 2019, una relazione recante in allegato i risultati delle indagini svolte, le conclusioni raggiunte e le osservazioni formulate.

Al fine di sostenere la scelta di tanti padri che vorrebbero avere un ruolo maggiore nella crescita dei propri figli ma non riescono a farlo a causa di una legislazione ed una cultura antiquate, appiattite su uno stereotipo di ruoli per cui prevale l'idea che il figlio sia a carico della sola madre, e non curato sulla base di una reciproca libertà di scelta di entrambi i genitori, il presente disegno di legge intende coprire i costi dell'astensione obbligatoria dal lavoro dei padri dipendenti attraverso un'indennità giornaliera pari al 100 per cento della retribuzione. Tale scelta, oltre ad essere in linea con gli ultimi orientamenti espressi in ambito europeo e coerente rispetto all'impostazione introdotta, seppure solo in via di principio (come ricordato, uno solo era il giorno di astensione obbligatoria previsto), dalla citata legge Fornero, si differenzia poi dall'istituto del congedo di maternità per quanto concerne la ripartizione dei relativi oneri economici. Mentre nel caso dell'astensione obbligatoria di maternità l'INPS eroga alle lavoratrici l'80 per cento della retribuzione, con i corrispondenti contributi figurativi, ed alcuni contratti collettivi pongono a carico dell'impresa il restante 20 per cento, il congedo di paternità obbligatorio che s'intende introdurre col presente disegno di legge, poiché limitato ad un arco temporale di quindici giorni da usufruirsi nei primi trenta giorni successivi alla nascita del figlio, e affinché possa sostenere concretamente il coinvolgimento dei padri nelle cure familiari, pone l'intero costo del diritto all'indennità giornaliera del padre lavoratore, pari al 100 per cento della retribuzione, a carico dell'INPS.

Infine, ai commi 3, 4 e 5 dell'articolo 1 del presente disegno di legge si stabilisce che il padre lavoratore dipendente sia tenuto a fornire preventiva comunicazione in forma scritta al datore di lavoro dei giorni di astensione obbligatoria prescelti rispettivamente almeno trenta giorni prima dei medesimi sulla base della data presunta del parto (comma 3), entro sette giorni successivi alla data del parto (comma 4) e tre giorni prima della data di astensione obbligatoria prescelta qualora intenda modificare il relativo periodo (comma 5). Da ultimo, nel caso di ricovero del neonato in una struttura pubblica o privata, si prevede il diritto del padre lavoratore, da esercitarsi una sola volta per ogni figlio e subordinatamente alla produzione di attestazione medica (articolo 1, comma 7), di chiedere la sospensione del periodo di astensione obbligatoria e il relativo godimento dei quindici giorni, in tutto o in parte, a partire dalla data di dimissione del bambino (articolo 1, comma 6).

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

(Misure a sostegno della condivisione della responsabilità genitoriale)

1. Al fine di sostenere la genitorialità, promuovendo una cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all'interno della coppia, e per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, in via sperimentale per gli anni 2016-2018, fermo restando quanto disposto in materia di durata complessiva del periodo di astensione obbligatoria di maternità e di riposi giornalieri della madre dagli articoli 16 e 39 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, il padre lavoratore dipendente è tenuto ad astenersi obbligatoriamente dal lavoro per un periodo pari a quindici giorni lavorativi, anche continuativi, entro i trenta giorni successivi alla nascita del figlio.

2. Per il periodo di astensione obbligatoria di cui al comma 1, al padre lavoratore dipendente è riconosciuta un'indennità giornaliera a carico dell'INPS pari al 100 per cento della retribuzione.

3. Il padre lavoratore dipendente è tenuto a fornire preventiva comunicazione in forma scritta al datore di lavoro dei giorni di astensione obbligatoria prescelti di cui al comma 1, almeno trenta giorni prima dei medesimi, allegando copia del certificato medico indicante la data presunta del parto.

4. Il padre lavoratore dipendente è tenuto a presentare al datore di lavoro, entro sette giorni dalla data del parto, il certificato di nascita del figlio, ovvero la dichiarazione sostitutiva, ai sensi dell'articolo 46 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e successive modificazioni.

5. Qualora intenda modificare i giorni di astensione obbligatoria prescelti di cui al comma 1, il padre lavoratore dipendente è tenuto a fornire preventiva comunicazione in forma scritta al datore di lavoro, almeno tre giorni prima dei medesimi, allegando il certificato di nascita del figlio, ovvero la dichiarazione sostitutiva, ai sensi dell'articolo 46 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e successive modificazioni

6. In caso di ricovero del neonato in una struttura pubblica o privata, il padre lavoratore dipendente ha diritto di chiedere la sospensione del periodo di astensione obbligatoria di cui al comma 1, e di godere dei giorni di astensione obbligatoria, in tutto o in parte, dalla data di dimissione del bambino.

7. Il diritto di cui al comma 6 può essere esercitato una sola volta per ogni figlio ed è subordinato alla produzione di attestazione medica che dichiari il ricovero del neonato.

Art. 2.

(Monitoraggio)

1. Ai fini della verifica dell'applicazione della presente legge, della progettazione e della realizzazione di misure volte a sostenere la condivisione della responsabilità genitoriale, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali predispone un piano di monitoraggio e valutazione della misura di cui all'articolo 1, comma 1, e trasmette al Parlamento, entro il 30 gennaio 2019, una relazione sull'attività di monitoraggio, recante in allegato i risultati delle indagini svolte, le conclusioni raggiunte e le osservazioni formulate.

Art. 3.

(Copertura finanziaria)

1. Agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge, nel limite massimo di 500 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018, si provvede a valere su quota parte delle maggiori entrate di cui ai commi 2, 3 e 4.

2. Per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018, il Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307, è ridotto di 50 milioni di euro.

3. A decorrere dal 1º gennaio 2016, al comma 491, dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, le parole: «l'aliquota dello 0,2 per cento» sono sostituite dalle seguenti: «l'aliquota dell'1 per cento».

4. A decorrere dal 1º gennaio 2016, si applica un prelievo pari al 2 per cento sulle vincite derivanti da una singola giocata effettuata sugli apparecchi e congegni di cui all'articolo 110, comma 6, lettera b), del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, collegati in rete. Il prelievo sulle vincite è operato all'atto del pagamento delle somme a credito del giocatore e versato dal concessionario unitamente al primo versamento utile della quota della raccolta del gioco dovuta all'Erario. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono definite le modalità applicative, a decorrere dall'anno 2016, del prelievo sulle vincite con particolare riferimento alla corretta determinazione della base imponibile, alle modifiche tecnologiche dei sistemi hardware e software e alla partecipazione dei concessionari, dei produttori dei sistemi, nonché della SOGEI quale partner tecnologico dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli.