• Testo INTERROGAZIONE A RISPOSTA IN COMMISSIONE

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Atto a cui si riferisce:
C.5/01217 la direttiva 92/43/CEE aveva dettato i criteri per la salvaguardia della biodiversità nell'ambito del territorio europeo e quindi per la conservazione degli habitat naturali e seminaturali,...



Atto Camera

Interrogazione a risposta in commissione 5-01217presentato daCARIELLO Francescotesto diMartedì 15 ottobre 2013, seduta n. 97

CARIELLO, DE LORENZIS, FEDRIGA, DE ROSA, TOFALO, D'AMBROSIO e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
la direttiva 92/43/CEE aveva dettato i criteri per la salvaguardia della biodiversità nell'ambito del territorio europeo e quindi per la conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e fauna selvatica;
in particolare, gli Stati membri avrebbero dovuto designare quali «zone speciali di conservazione» alcuni siti di importanza comunitaria che rappresentavano aree naturali di straordinario interesse ambientale e paesaggistico, quali ad esempio le Dolomiti d'Ampezzo, l'isola di Capraia, l'Alta Murgia, le Dolomiti di Pietrapertosa, l'isola di Marettimo, l'isola di Levanzo, l'isola di Lampedusa, le isole di Filicudi e Alicudi, il bosco del Sasseto, i monti Reatini, l'isola di Stromboli;
al fine di attuare concretamente le direttive 92/43/CEE e 79/409/CEE, con deliberazione del 2 dicembre 1996, il soppresso Comitato per le aree naturali protette del Ministero dell'ambiente integrava l'articolo 3, comma 4, della legge quadro n. 394 del 6 dicembre 1991, considerando come aree protette:
a) i parchi nazionali;
b) le riserve naturali statali;
c) i parchi naturali interregionali;
d) i parchi naturali regionali;
e) le riserve naturali regionali;
f) le zone umide di importanza internazionale (ai sensi della convenzione di Ramsar, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 13 marzo 1976);
g) le zone di protezione speciale (ai sensi della citata direttiva 79/409/CEE, concernente in particolare la conservazione degli uccelli selvatici);
h) le zone speciali di conservazione, (ai sensi della direttiva 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche);
i) altre aree naturali protette;
pertanto, le zone di protezione speciale (ZPS) e le zone speciali di conservazione (ZSC) venivano classificate dallo stesso Ministero come aree naturali protette (tale delibera è stata poi integrata dalla deliberazione della Conferenza per i rapporti Stato-regioni del 26 marzo 2008);
per di più, tale classificazione veniva condivisa e fatta propria dalla Cassazione penale, sez. III, che, con sentenza n. 30 del 5 gennaio 2000, affermava che «nella nozione di area naturale protetta (secondo la più recente classificazione operata, ai sensi dell'articolo 2, comma 5, della legge n. 394 del 1991, con deliberazione 2 dicembre 1996 del Ministero dell'ambiente, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 139 del 17 giugno 1997) rientrano – oltre ai parchi nazionali – i parchi naturali interregionali e regionali, le riserve naturali statali e regionali, le aree protette marine, le zone umide di importanza nazionale ai sensi della convenzione di Ramsar, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 13 marzo 1976, le zone di protezione speciale degli uccelli selvatici 79/409/CEE, le zone speciali di conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche ai sensi della direttiva 92/43/CEE».
Inoltre, si precisava che alle aree naturali protette si applicano i limiti di salvaguardia previsti dalla legge-quadro n. 394 del 6 dicembre 1991, compresa la relativa tutela penale;
sempre in attuazione delle direttive comunitarie citate, con decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997 n. 357, veniva introdotto anche un procedimento di valutazione d'incidenza per i progetti che ricadono in siti d'importanza comunitaria (SIC) ed in zone di protezione speciale, nonché per i progetti che si riferiscono ad interventi ai quali non si applica la procedura di valutazione di impatto ambientale;
nonostante la piena e necessaria vigenza della normativa comunitaria e nazionale appena esposta, avente la finalità di tutelare valori ambientali di notevole interesse pubblico, con decreto del 25 marzo 2005, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare annullava la precedente delibera del 2 dicembre 1996 (recante il titolo «classificazione delle aree protette»), sulla base del presupposto, ad avviso degli interroganti illogico, che l'equiparazione delle zone di protezione speciale e zone speciali di conservazione alle aree naturali protette avrebbe «di fatto alimentato una conflittualità interpretativa che ha ostacolato la realizzazione gli obiettivi previsti dalle direttive comunitarie 79/409/CEE e 92/43/CEE e della relativa normativa di recepimento»;
tale provvedimento, inoltre, confermava la delega alle regioni delle modalità di attuazione delle misure di conservazione;
ciò costituiva, ad avviso degli interroganti, un vulnus rispetto al regime di tutela vigente in precedenza, che aveva impedito, in senso esattamente opposto a quanto affermato nel decreto ministeriale, l'attuazione di progetti in contrasto con gli obiettivi di salvaguardia perseguiti dalle direttive comunitarie;
pertanto, l'Associazione «Verdi Ambiente e società» - Onlus (Associazione nazionale di protezione ambientale, riconosciuta ex articolo 13 della legge n. 349 del 1986, con decreto del Ministero dell'ambiente 29 marzo 1994), che aveva già lottato per la tutela dell'Alta Murgia in sede penale, proponeva ricorso innanzi a T.A.R. Lazio-Roma che, con ordinanza n. 6856 del 24 novembre 2005, accoglieva l'istanza cautelare proposta contestualmente al ricorso di primo grado, ritenendo che: «il ricorso ad una sommaria delibazione consentita in sede cautelare, appare assistito da sufficiente fumus boni juris, laddove sostanzialmente si contesta la logicità del presupposto della «conflittualità interpretativa» richiamata nel provvedimento impugnato che avrebbe, se mai, legittimato interventi diversi da quelli del mero annullamento della deliberazione 2 dicembre 1996 del Comitato delle aree naturali protette»;
tale decisione veniva poi confermata dal Consiglio di Stato con l'ordinanza del 14 febbraio 2006, in cui si precisava che: «...l'accoglimento del ricorso in appello determinerebbe l'immediato venire meno di misura di tutela ambientale più rigorose...»;
dopo la discussione dell'istanza cautelare, si costituivano in giudizio il comune di Altamura, il Comitato delle organizzazioni produttive dell'Alta Murgia e diverse ditte proprietarie di cave ricadenti nel territorio dell'Alta Murgia, qualificatisi come controinteressati, attraverso memorie di mera forma, e successivamente depositavano un'istanza di prelievo;
pertanto, il T.A.R. adito fissava la discussione del ricorso in questione, e con la sentenza impugnata, dichiarava lo stesso ricorso improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione da parte dell'associazione ambientale;
in particolare, lo stesso giudice affermava che: «l'intervenuta modifica normativa disposta dalla citata deliberazione del 26 marzo 2008 della Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e Regioni produce il medesimo effetto che l'impugnazione proposta avrebbe voluto impedire»;
vero è, invece, che, a prescindere dalla specifica normativa applicabile alle zone di protezione speciale (ZPS) e le zone speciali di conservazione (ZSC), la deliberazione de qua ha non solo riconosciuto la piena efficacia della delibera del 2 dicembre 1996, ma ha anche integrato il contenuto di quest'ultima deliberazione;
infatti, la stessa Conferenza Stato-regioni ha integrato la stessa delibera aggiungendo l'articolo 2-bis, che prevede l'applicazione indifferenziata alle zone di protezione speciale del regime di protezione di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 e della (più rigorosa) normativa successiva ora vigente in materia ambientale, ovvero l'applicazione del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 17 ottobre 2007, avente ad oggetto «Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione speciale (ZPS) e ai relativi provvedimenti regionali di recepimento ed attuazione», nonché il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 3 settembre 2002, avente ad oggetto «Linee guida per la gestione dei siti Natura 2000»;
sul tema è recentemente intervenuto il Consiglio di Stato, il quale, con la sentenza n. 2885 del 18 maggb 2012 (sez. VI), ha, riformato la sentenza T.A.R. Campania, NA, 23 maggio 2007, n. 5941 e ha statuito che le zone di protezione speciale – ma l'assunto può essere ragionevolmente esteso ai siti di interesse comunitario – non possono essere assimilate alle aree naturali protette di cui alla legge n. 394 del 1991 e successive integrazioni e modificazioni per difetto del necessario procedimento previsto per legge; ne discende che il regime giuridico delle aree ricadenti nella Rete Natura 2000 (direttiva n. 92/43/CEE e n. 2009/147/CE) debba rimanere distinto da quello delle aree naturali protette (legge n. 394 del 1991 e successive integrazioni e modificazioni) –:
se il Ministro non ritenga che, vuoi a causa di possibili errori nella trasposizione della normativa europea vuoi per una stratificazione legislativa che ha contribuito a rendere il quadro normativo incerto e confuso, vi sia un'oggettiva quanto ingiustificata differenza di regime giuridico tra le zone di protezione stabilite ai sensi delle direttive comunitarie e le aree naturali protette, così come definite dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394, recante legge quadro sulle aree protette, e se non intenda promuovere le opportune iniziative normative per armonizzare e dare certezza al regime giuridico di tutte le aree di interesse naturalistico che l'ordinamento vigente riconosce come meritevoli di tutela. (5-01217)