• Testo INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA

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Atto a cui si riferisce:
C.4/11408    a seguito degli attentati di Parigi del 13 novembre 2015, sono tornati alla ribalta argomenti legati alle diverse confessioni religiose: si è discusso molto sul significato del...



Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-11408presentato daLABRIOLA Vincenzatesto diMercoledì 16 dicembre 2015, seduta n. 537

   LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno . — Per sapere – premesso che:
   a seguito degli attentati di Parigi del 13 novembre 2015, sono tornati alla ribalta argomenti legati alle diverse confessioni religiose: si è discusso molto sul significato del Crocifisso, delle feste religiose cattoliche, vissute in questo periodo dell'anno nelle scuole italiane, e si è riacceso il dibattito relativo all'uso del burqa e del niqab;
   il termine burqa individua due tipi di vestiti diversi: il primo è una sorta di velo fissato al capo che copre l'intera testa, permettendo di vedere solamente attraverso una finestrella all'altezza degli occhi e che lascia gli occhi stessi scoperti, o che lascia scoperti occhi e bocca, la quale rimane però coperta da una sorta di mascherina come nel cosiddetto bandar burqa. L'altra forma, chiamata anche burqa completo o burqa afghano, è un abito, solitamente di colore nero o blu, che copre sia la testa sia il corpo. All'altezza degli occhi può anche essere posta una retina che permette di vedere parzialmente senza scoprire gli occhi della donna;
   l'obbligo di indossare il burqa appare conseguenza di tradizioni locali, indipendenti dalle prescrizioni religiose dell'Islam; nelle norme coraniche ci si limita a imporre l'obbligatorietà del velo, infatti, la SURA XXIV:31 recita:
    «E dì alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere il loro velo fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri, ai padri dei loro mariti, ai loro figli, ai figli dei loro mariti, ai loro fratelli, ai figli dei loro fratelli, ai figli delle loro sorelle, alle loro donne, alle schiave che possiedono, ai servi maschi che non hanno desiderio, ai ragazzi impuberi che non hanno interesse per le parti nascoste delle donne. E non battano i piedi, sì da mostrare gli ornamenti che celano. Tornate pentiti ad Allah tutti quanti, o credenti, affinché possiate prosperare»;
   il burqa, da quanto si apprende storicamente, sarebbe stato introdotto in Afghanistan all'inizio del 1890 durante il regno di Habibullah Kalakãnĩ, che lo impose alle duecento donne del suo harem, in modo tale da «non indurre in tentazione», gli uomini quando esse si fossero trovate fuori dalla residenza reale, divenendo così fino agli anni 50 un capo per le donne dei ceti superiori, da usare per essere protette dagli sguardi del popolo. Durante la guerra civile, quando venne instaurato il regime islamico, sempre più donne tornarono a indossare il velo fino al divieto assoluto di mostrare il volto, imposto a tutte le donne dal successivo regime teocratico dei tãlebãn;
   si apprende, da notizie di stampa, che il burqa oltre a non essere imposto dal Corano non sia nemmeno un simbolo del multiculturalismo e dell'integrazione, lo avrebbero affermato sia dall'Imam inglese Taj Hargey (intervista pubblicata su www.tempi.it del 18 luglio 2014) che Amina Afzali, leader del movimento delle donne afghane, in un comunicato radio a tutte le donne del Paese (www.republica.it mondo del 30 dicembre 2001);
   da un articolo, pubblicato da l’Eco di Bergamo il 3 dicembre 2015, si apprende che in regione Lombardia sia stata presentata alla giunta regionale dall'assessore alla sicurezza, protezione civile e immigrazione, Simona Bordonali, una proposta normativa per rafforzare le misure di sicurezza per l'accesso agli uffici della regione, delle aziende sanitarie e ospedaliere, contenente il divieto di indossare burqa, niqab, passamontagna e caschi integrali, al fine di difendere sia i dipendenti che gli operatori ed i visitatori;
   occorre far riferimento all'articolo 85 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (regio decreto n. 773 del 1931) e alla legge n.152 del 1975, il cui articolo 5 (come sostituito dall'articolo 2 della legge n. 533 del 1977 e successivamente modificato dall'articolo 10, comma 4-bis, del decreto-legge n. 144 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 155 del 2005), recita: «È vietato l'uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo. È in ogni caso vietato l'uso predetto in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino. Il contravventore è punito con l'arresto da uno a due anni e con l'ammenda da 1.000 a 2.000 euro. Per la contravvenzione di cui al presente articolo è facoltativo l'arresto in flagranza.»;
   nella risposta dell'allora Sottosegretario per l'interno, Mantovano Alfredo, all'interrogazione n. 5-03443 dell'Onorevole Bertolini in merito all'utilizzo del burqa nel territorio italiano, si legge testualmente che «Il 14 luglio 2010, il Comitato per l'Islam italiano, presieduto dal Ministro dell'interno, ha predisposto un parere sull'uso del burqa e del niqab, inviato al presidente di codesta Commissione affari costituzionali della Camera e da me personalmente illustrato. A esso rinvio per la posizione del Governo e del Ministero dell'interno. Il Comitato ha sottolineato che l'uso in luogo pubblico di indumenti che coprono interamente il volto e rendono la persona irriconoscibile (quali il burqa e il niqab) deve rimanere vietato per ragioni di pubblica sicurezza, né presunte interpretazioni religiose costituiscono “giustificati motivi” per eludere tali esigenze di ordine pubblico. Quello del burqa e del niqab, dal punto di vista dei rapporti con l'Islam, non è un obbligo religioso che derivi dal Corano, né è riconosciuto come tale dalla grande maggioranza delle scuole giuridiche islamiche. La materia va dunque “deconfessionalizzata” e il Comitato ha suggerito che le leggi evitino ogni specifico riferimento all'Islam e a questioni che attengano al velo o alla condizione della donna musulmana, ribadendo che la riconoscibilità delle persone deve essere garantita» –:
   se ritenga, alla luce di quanto espresso in premessa, di assumere iniziative per chiarire in maniera inequivocabile se sia legittimo l'uso del burqa e del niqab nei luoghi pubblici ed in quali circostanze;
   quali iniziative urgenti, data la situazione attuale di emergenza internazionale, intenda adottare al fine di uniformare la normativa che ne disciplina l'uso sul territorio nazionale;
   se intenda, di concerto con Comitato per l'Islam italiano, adottare iniziative univoche in merito all'uso di tali indumenti al fine di garantire la sicurezza e consentire alle forze dell'ordine l'immediata identificazione delle donne che ne facciano uso. (4-11408)