• C. 660 EPUB Proposta di legge presentata il 4 aprile 2013

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Atto a cui si riferisce:
C.660 Disposizioni concernenti il divieto dello svolgimento di propaganda elettorale a carico delle persone appartenenti ad associazioni mafiose e sottoposte alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 660


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
BARBANTI, AGOSTINELLI, NICOLA BIANCHI, BUSINAROLO, CANCELLERI, CARINELLI, CATALANO, COLLETTI, COLONNESE, DELL'ORCO, DIENI, FERRARESI, FICO, CRISTIAN IANNUZZI, LIUZZI, LOMBARDI, MICILLO, MUCCI, NESCI, NUTI, PARENTELA, RUOCCO, SARTI, SIBILIA, SORIAL, TRIPIEDI, VIGNAROLI, VILLAROSA
Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, concernenti il divieto di propaganda elettorale a carico delle persone appartenenti ad associazioni mafiose e sottoposte alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza
Presentata il 4 aprile 2013


      

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Onorevoli Colleghi! L'articolo 1 della legge 13 ottobre 2010, n. 175, ha introdotto i commi 5-bis.1 e 5-bis.2 dell'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575, stabilendo che, a partire dal termine per la presentazione delle liste e dei candidati e fino alla chiusura delle operazioni di voto, alle persone sottoposte, in forza di provvedimenti definitivi, alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, ai sensi della medesima legge n. 575 del 1965, è fatto divieto di svolgere le attività di propaganda elettorale, previste dalla legge 4 aprile 1956, n. 212, in favore o in pregiudizio di candidati partecipanti a qualsiasi tipo di competizione elettorale. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il contravventore al divieto in questione è punito con la reclusione da uno a cinque anni. La stessa pena si applica al candidato che, avendo diretta conoscenza della condizione di sottoposto in via definitiva alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, richiede al medesimo di svolgere le attività di propaganda elettorale e se ne avvale concretamente. L'esistenza del fatto deve risultare anche da prove diverse dalle dichiarazioni del soggetto sottoposto alla misura di prevenzione. La condanna alla pena della reclusione, anche se conseguente all'applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, comporta l'interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena detentiva. Dall'interdizione dai pubblici uffici consegue l'ineleggibilità del condannato per la stessa durata della pena detentiva. La sospensione condizionale della pena non ha effetto ai fini dell'interdizione dai pubblici uffici.
      Attraverso l'approvazione della legge n. 175 del 2010, il Parlamento ha inteso colmare un vuoto normativo e ostacolare la disponibilità del soggetto associato a un'organizzazione criminale e l'affidamento a costui da parte del candidato nella fase elettorale, ove maggiormente si manifesta la stretta collusione tra la politica e la criminalità organizzata, stabilendo, una volta per tutte, che coloro i quali sono indiziati di appartenere a organizzazioni mafiose, non solo non godono di alcun diritto politico, ma non possono neppure interferire in modo indiretto nelle campagne elettorali e nei processi di selezione della classe dirigente del nostro Paese.
      L’iter approvativo della legge n. 175 del 2010 è durato ben diciassette anni. Presentata alla Camera dei deputati il 16 febbraio 1993 (primo firmatario l'onorevole Mario Tassone), la proposta di legge è stata ripresentata all'inizio di ogni successiva legislatura fino ad essere approvata dalla Camera dei deputati il 24 febbraio 2010, con modifiche, e integralmente confermata dal Senato della Repubblica il 6 ottobre 2010. A tutt'oggi, nonostante il descritto lungo e travagliato iter approvativo, la legge n. 175 del 2010 non ha trovato alcuna applicazione, anche perché nel testo licenziato dal Parlamento sono presenti numerose criticità, di ordine tecnico-normativo, la maggior parte delle quali, emerse già nel corso dell'esame del relativo progetto di legge presso il Senato della Repubblica (atto Senato n. 2038), venivano esattamente individuate e trattate con apposito e rilevante ordine del giorno numero G1.1, prontamente accolto dal rappresentante del Governo (sottosegretario di Stato onorevole Michelino Davico) nella seduta n. 433 del 6 ottobre 2010, al fine di consentire la definitiva approvazione del testo della legge ed evitare le modifiche connesse all'accoglimento degli emendamenti 1.1, 1.2, e 2.1, evitando la necessità di una nuova lettura del testo emendato da parte della Camera dei deputati. In seguito, si è tentato di porre rimedio a tali anomalie e incongruenze mediante proposta di legge correttiva, presentata alla Camera dei deputati il 14 marzo 2011 (atto Camera n. 4171). Tuttavia, tale proposta di legge non venne nemmeno inserita nel calendario dei lavori parlamentari, anche a dispetto del preciso impegno ad affrontare e risolvere tutte le riscontrate criticità in sede di riordino del quadro normativo di riferimento, impegno assunto dal Governo con l'accoglimento del citato ordine del giorno G1.1, a seguito di intervento del senatore Giampiero D'Alia. Invero valga rilevare che, ancor prima di disattendere l'esame della proposta di legge n. 4171, il Parlamento aveva già disatteso l'impegno contenuto nell'ordine del giorno G1.1, limitandosi all'approvazione del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo n. 159 del 2011, di seguito «codice delle leggi antimafia» senza apportare alcuna (pur necessaria) modifica alla legge n. 175 del 2010 che, dunque, veniva semplicemente e perfettamente trasfusa nel comma 7 dell'articolo 67 e nei commi 8 e 9 dell'articolo 76 del citato codice.
      Tra le suddette anomalie e incongruenze di ordine tecnico-normativo, in parte anche individuate nella relazione accompagnatoria della suddetta proposta di legge n. 4171, se ne distinguono alcune di particolare rilevanza. Con riferimento alla condotta sanzionabile, costituisce un limite il solo espresso richiamo della legge 4 aprile 1956, n. 212, che sostanzialmente disciplina la propaganda elettorale con unico riferimento ai cosiddetti «giorni del silenzio», alle affissioni di manifesti e al volantinaggio. È evidente che, non esistendo, al momento, una definizione legislativa di propaganda elettorale, il richiamo esclusivo alla legge n. 212 del 1956 si traduce in una limitazione del campo d'azione della norma, che certamente non può essere esteso alle altre fonti normative che disciplinano più evolute forme di attività di propaganda. Inoltre, il divieto è stato formulato esclusivamente con riguardo allo svolgimento di attività di propaganda in favore o in pregiudizio di candidati partecipanti alla competizione elettorale e non anche di liste, cosicché, in caso di competizioni elettorali per le quali la legge non prevede il voto di preferenza, come nel caso della vigente legislazione per le consultazioni politiche, non costituirà condotta sanzionabile lo svolgimento di attività di propaganda in favore o in pregiudizio di un movimento o di un partito politico. È punibile solo il candidato che si rivolga direttamente e personalmente al prevenuto e sia consapevole della sua condizione di sottoposto a misura di prevenzione, non anche il candidato che consapevolmente abbia richiesto sostegno al prevenuto solo per interposta persona. L'ambito applicativo temporale della legge è, poi, estremamente ristretto, poiché limitato esclusivamente al periodo tra il termine di presentazione delle liste e dei candidati e il giorno di chiusura delle operazioni di voto, sebbene la campagna elettorale inizi, notoriamente, molto tempo prima della presentazione delle liste e dei candidati e, dunque, possa anche accadere che il pactum sceleris tra il politico e il mafioso sia concluso molto prima del termine iniziale di applicazione fissato dalla norma. Oltre a ciò, l'irrogazione della sanzione accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici risulta mal coordinata con la disposizione di cui all'articolo 29 del codice penale: invero, il primo comma dell'articolo 2 della legge n. 175 del 2010 prevede la sanzione della reclusione da uno a cinque anni e l'interdizione soltanto temporanea dai pubblici uffici per la durata della pena eventualmente irrogata, mentre l'articolo 29 del codice penale prevede l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, se la condanna ammonta a cinque o più anni di reclusione, ovvero l'interdizione dai pubblici uffici, per la durata di cinque anni, in caso di condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni; ne deriva che, nei casi di condanna ad una pena detentiva compresa tra i tre e i cinque anni, la sanzione accessoria prevista dalla normativa speciale di cui al primo comma dell'articolo 2 della legge n. 175 del 2010 risulta inferiore e, dunque, premiale rispetto a quella prevista dall'articolo 29 del codice penale.
      Alla luce delle molteplici criticità tecnico-normative, pur riaffermando l'importanza dei lavori preparatori, che hanno portato all'approvazione della legge n. 175 del 2010, e più specificamente il valore di quanto sancito nel richiamato ordine del giorno G1.1, accolto dal Governo nell'esame presso il Senato della Repubblica, si reputa necessaria la modificazione della vigente disciplina nella forma prefigurata dalla presente proposta di legge, elaborata dal centro studi regionale «Giuseppe Lazzati» e dal suo presidente e fondatore, dottor Benito Romano De Grazia, presidente aggiunto onorario della Suprema Corte di cassazione. Il presente testo, mai presentato finora per l'approvazione parlamentare, elimina infatti le rilevate anomalie e incongruenze, oltre che risultare in linea con il dettato costituzionale. Sulla validità del testo che si propone per l'approvazione della Camera dei deputati si sono espressi i professori Vittorio Grevi (titolare della cattedra di procedura penale all'università di Pavia e opinionista de «Il Corriere della Sera»), Federico Stella (titolare della cattedra di diritto penale dell'università Cattolica di Milano) e Cesare Ruperto (Presidente emerito della Corte costituzionale), solo per citare alcuni dei più insigni giuristi italiani che, unitamente a diversi presidenti di sezione della Suprema Corte di cassazione, hanno avuto modo di analizzarne e valutarne il contenuto, la dirompente portata innovativa, costituzionalmente orientata e, in generale, coordinata e integrata con l'ordinamento legislativo italiano.
      Le disposizioni proposte sono formulate quali novelle al codice delle leggi antimafia, nel quale sono frattanto confluite le disposizioni della legge n. 575 del 1965 introdotte dalla citata legge n. 175 del 2010. Di seguito ne sono illustrati succintamente il contenuto e la ratio.
      Come nella vigente normativa, il nuovo comma 7 dell'articolo 67 del codice delle leggi antimafia, introdotto dalla presente proposta di legge, sancisce il divieto di propaganda elettorale per le persone ritenute socialmente pericolose e sottoposte con provvedimento definitivo alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, persone per le quali l'articolo 2, comma 1, lettera b), del testo unico delle leggi per la disciplina dell'elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n. 223, prevede la sospensione del diritto di elettorato attivo e passivo, ossia persone che «non sono elettori». Sicché, il divieto riguarda unicamente le persone indiziate di appartenenza ad associazioni mafiose sottoposte, proprio per tale ragione, alla misura della sorveglianza speciale (così è per la maggior parte dei mafiosi), che è misura inflitta con procedimento giurisdizionale e, dunque, nel rispetto di tutte le garanzie difensive per il soggetto che vi è sottoposto. Di conseguenza, il divieto in questione mira a privare le associazioni criminali di un potere contrattuale di indubbio peso, quale la raccolta del voto in favore o in pregiudizio di candidati o liste. Il riferimento alle liste, come già detto, consente l'applicazione del divieto anche in occasione delle competizioni elettorali regolate da una disciplina legislativa che non preveda il collegio uninominale o il voto di preferenza, come nel caso del vigente sistema per l'elezione dei membri del Parlamento.
      Invero, come la legge n. 175 del 2010, la normativa proposta serve a colmare una lacuna del sistema e ad eliminare un paradosso normativo, assicurando una più efficace tutela della trasparenza nella vita politica, come opportunamente messo in evidenza dal professor Vittorio Grevi già nel primo commento apparso ne «Il Corriere della Sera» del 22 marzo 1993. Il legislatore, con la citata norma del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1967, ha sancito, a seguito di accertato stato di pericolosità, la sospensione dell'esercizio del diritto di voto e di candidarsi alla persona sottoposta a sorveglianza speciale, per tutta la durata dell'efficacia della misura di prevenzione è efficace; tuttavia, nel contempo, consentiva e consente alla stessa, pur se in stato di pericolosità, di raccogliere il consenso per persone le quali, per suo conto, gestiscano il malaffare all'interno delle istituzioni elettive. È questa una disciplina illogica e contraddittoria, tanto più se si riflette che al mafioso non interessa entrare di persona nell'istituzione, poiché egli ha un interesse contrario, cioè quello di servirsi dei suoi rappresentanti (meglio se formalmente incensurati), procurando loro il consenso e avvalendosi, allo scopo, della locale ramificazione dell'associazione criminale cui appartiene, con effetti devastanti per l'istituzione pubblica rappresentativa. Di conseguenza, con la nuova speciale formulazione del divieto in parola, autonomo rispetto alla normativa prevista dalla legge n. 575 del 1965 e, ora, dal codice delle leggi antimafia, si regolano gli effetti decadenziali e i divieti conseguenti all'irrogazione di una misura di prevenzione antimafia. In tal modo, il mafioso non solo non potrà scambiare il proprio voto, che lo Stato non gli consente di esprimere, ma nemmeno potrà raccogliere e scambiare il voto degli altri affiliati all'organizzazione criminale, ovvero usare l'arroganza e la forza proprie dell'agire mafioso per condizionare o limitare il diritto di voto dei cittadini onesti.
      Lo strumento normativo proposto è più efficace della normativa vigente in quanto, consentendo alle Forze di polizia e agli inquirenti di intervenire al momento della raccolta del consenso, mira a prevenire lo scioglimento dell'assemblea elettiva, per infiltrazione, ai sensi dell'articolo 143 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, che è provvedimento generalizzato e per questo iniquo, poiché penalizza l'immagine dell'intera comunità e coloro che sono stati liberamente e democraticamente eletti, non distinguendo tra cittadini onesti e cittadini disonesti. Tale strumento normativo interviene, quindi, nel momento della formazione della volontà popolare e non a distanza di anni e a danno ormai compiuto, come nelle ipotesi di reato di cui agli articolo 416-bis e 416-ter del codice penale. Diversamente dalle appena menzionate ipotesi di reato di voto di scambio, la presente proposta di legge parte dall'esigenza di apprestare, nell'immediato e cioè durante la campagna elettorale, uno strumento concreto per il contrasto della mafia, perché è proprio durante la campagna elettorale che il malaffare entra dentro le istituzioni elettive, ed è obbligo dello Stato di diritto intervenire, impedendo la raccolta dei voti ai capimafia e ai loro complici e bonificando in tal modo il momento della consultazione elettorale; e ciò senza dover ricorrere alla prova diabolica di appartenenza al sodalizio criminoso (articolo 416-bis del codice penale) e alla natura e contenuto del rapporto elettorale, la cui prova è acquisita a distanza di tempo (se avviene), con nessuna incidenza, quindi, sul momento elettorale in cui lo scambio politico-mafioso si realizza. In ogni caso, valga pure precisare che, con l'uso della locuzione: «Salvo che il fatto non costituisca più grave reato», la presente proposta di legge ha così definito ed esattamente delimitato il proprio ambito di operatività, distinguendolo nettamente dalle altre norme – in particolare quelle testé citate – che sanzionano l'appartenenza all'associazione criminale e il voto di scambio.
      Più in particolare, la proposta di legge incide sul perverso rapporto tra politica e malaffare che condiziona il momento più importante della vita democratica (la formazione del consenso) e, allo stesso tempo, proietta nefaste ombre sulle istituzioni democratiche. Grazie all'opera disvelatrice della magistratura, tali ombre si sono, purtroppo, materializzate in tutta la loro drammaticità, evidenziando come il fenomeno delle infiltrazioni criminali nelle istituzioni abbia assunto dimensioni allarmanti e, quale frutto amarissimo proprio del voto di scambio tra politica e criminalità organizzata, si sia ormai esteso a tutte le regioni d'Italia.
      Nella formulazione proposta per il citato nuovo comma 7 dell'articolo 67 del codice delle leggi antimafia, per la prima volta è definita l'attività di propaganda elettorale: «Si intende per propaganda elettorale qualsiasi attività diretta alla raccolta del consenso, svolta in occasione di competizioni elettorali e caratterizzata da molteplicità di atti, coinvolgimento di più persone, impiego di mezzi economici e predisposizione di una struttura organizzativa, sia pur minima, a tale scopo destinata». Va osservato, infatti, che non esiste, attualmente, una definizione legislativa di propaganda elettorale, ma che essa è costantemente e unanimemente individuata dalla giurisprudenza come attività volta ad influire sulla volontà degli elettori, direttamente o indirettamente. Il concetto di attività di propaganda elettorale, come espresso nella formulazione normativa sopra riportata, acquista, dunque, natura tecnico-giuridica e non può intendersi come mero atto di espressione di un'opinione (ai sensi dell'articolo 21 della Costituzione), a tutti consentita. A tal fine, il concetto di attività di propaganda elettorale, come sopra definito, non fa alcun riferimento al singolo atto di esortazione al voto per un candidato o un simbolo, che era problematica pretestuosamente emersa in sede di valutazione dell'articolato previsto dalla legge n. 175 del 2010, né, dunque, sanziona la trasmissione di materiale elettorale che non sia concettualmente e immediatamente riferibile al compimento o alla reiterazione di una molteplicità di atti, con predisposizione di mezzi economici e coinvolgimento di più persone a tal fine, ovverosia connessa alla creazione di «una struttura organizzativa, sia pur minima». Nel contempo, la definizione dell'attività di propaganda elettorale, adottata nella presente proposta di legge, sgombra definitivamente il campo dall'anomalia rappresentata dell'espresso esclusivo riferimento alla legge n. 212 del 1956, contenuto nell'articolo 1 della legge n. 175 del 2010, secondo il quale, per campagna elettorale, si intende «l'affissione di stampati, giornali murali od altri e di manifesti di propaganda», poiché è evidente che, avendo ridotto l'ambito dell'attività elettorale dei capimafia e dei loro complici alla mera affissione di manifesti o al volantinaggio, allo stato, la legge n. 175 del 2010 ha loro permesso di far tutto fuorché proprio di affiggere manifesti, che è ipotesi irragionevole, avendo gli stessi l'opposta necessità di non dover apparire. Sembra anche ulteriormente utile precisare come ne consegua che il sorvegliato speciale può svolgere «direttamente», cioè personalmente, o «indirettamente», a mezzo di terze persone, la definita attività di propaganda, e queste persone rispondono del reato a titolo di concorso, ai sensi dell'articolo 110 del codice penale.
      La modifica proposta al comma 8 dell'articolo 76 del codice delle leggi antimafia stabilisce una pena edittale di sei anni nel massimo, rispetto ai cinque anni previsti dalla vigente disposizione, di modo che, mediante le intercettazioni di cui all'articolo 266 del codice di procedura penale, sia consentito il controllo dei movimenti elettorali del prevenuto e del candidato che a costui si sia rivolto. Tale misura agevola la ricerca della prova, che risulta comunque più facilmente acquisibile rispetto alle ipotesi di reato di cui agli articoli 416-bis e 416-ter del codice penale, anche perché – secondo quanto previsto nella presente proposta di legge – basta dimostrare la raccolta del consenso da parte del soggetto sottoposto alla misura di prevenzione, che, come detto, è fatto di per sé sanzionabile, quali che siano stati la natura e il contenuto dell'accordo tra l'affiliato all'organizzazione criminale e il politico spregiudicato. Per il candidato è agevole conoscere l'identità delle persone sottoposte a sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, poiché esistono presso i commissariati di pubblica sicurezza e le caserme dei carabinieri gli elenchi dei sorvegliati speciali residenti nella zona e, a tal fine, basta che durante la competizione elettorale le Forze di polizia e i magistrati inquirenti controllino più attentamente i sorvegliati speciali, rientrando la sorveglianza nei loro compiti istituzionali. In ogni caso, la qualità di sorvegliato speciale è facilmente accertabile anche consultando gli elenchi elettorali tenuti dagli uffici elettorali dei comuni, nei quali la misura di prevenzione è annotata con iscrizione a margine del nominativo del sottoposto. Ben s'intende che se le Forze di polizia e i magistrati inquirenti sono stati in grado, fin da subito, di acquisire prova in ordine alla natura e al contenuto del rapporto delittuoso sottostante o dell'intervenuta elargizione di denaro, trovano applicazione gli articoli 416-bis e 416-ter del codice penale. Di conseguenza, vengono ad essere ostacolati la disponibilità del malavitoso e l'affidamento del candidato a costui nella fase elettorale, ove maggiormente si registra in modo visibile la stretta collusione tra la politica e la criminalità organizzata.
      Per tali ragioni, viene anche sanzionata la condotta del candidato che, per lo svolgimento della propria propaganda elettorale, si rivolge, richiedendone il sostegno, a persone sottoposte alla misura di prevenzione. Si osservi che la punibilità della sola condotta del sorvegliato speciale e non anche di quella del candidato, che richiede o in qualsiasi modo sollecita l'attività di propaganda, sarebbe palesemente illegittima e incostituzionale (articolo 3 della Costituzione). Pertanto, si ottiene il duplice effetto di rendere molto complesso per il criminale e molto rischioso per il candidato l'appoggio elettorale, ad iniziare dall'esibizione, che è un tipico atto intimidatorio e coercitivo nei confronti del corpo elettorale.
      Nel giudizio le regole sono quelle sancite dal codice di procedura penale ed è sempre la pubblica accusa che deve provare sia la materialità storica del fatto e la sua antigiuridicità, sia l'elemento psicologico (condotta dolosa del candidato e del sorvegliato speciale), sicché non vale assolutamente l'ipotesi, pure pretestuosamente prospettata in sede di esame della legge n. 175 del 2010, di chi, per danneggiare un candidato o una lista, faccia rinvenire, nella disponibilità del sorvegliato speciale o di un suo collaboratore, materiale elettorale appartenente a detto candidato.
      Con le norme proposte viene pertanto reciso alla radice (cioè al momento elettorale) l'intreccio perverso fra politica e malaffare, così togliendo ai delinquenti e all'antipolitica di pochi scrupoli la possibilità di operare nel momento elettorale per concretizzare la collusione tra politica e malavita organizzata, delineando in maniera chiara e semplice il reato e i soggetti che lo commettono, oltre che le situazioni concrete di reciproco condizionamento tra piccoli o grandi capi del malaffare e uomini politici eletti grazie alla protezione di questi.
      La modifica proposta al comma 9 dell'articolo 76 del codice delle leggi antimafia prevede che, con la sentenza di condanna, il giudice dichiari il candidato ineleggibile per un tempo non inferiore a cinque anni e non superiore a dieci e, se eletto, ne dichiari la decadenza. Inoltre, nel caso in cui il candidato sia un membro del Parlamento, è espressamente rimessa alla Camera di appartenenza l'adozione delle conseguenti determinazioni secondo le norme del proprio Regolamento. Poiché, dunque, sono espressamente previste l'ineleggibilità e la decadenza del candidato, è superata ogni questione attinente alla congruità o no della durata dell'interdizione dai pubblici uffici, ai sensi degli articoli 28 e 29 del codice penale, sollevata come anomalia presente nel testo della legge n. 175 del 2010. Le sanzioni si applicano anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti (patteggiamento), ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, o di concessione del beneficio della sospensione condizionale, ai sensi degli articoli 163 e seguenti del codice penale.
      La formulazione proposta provvede al necessario coordinamento delle disposizioni con l'ordinamento vigente, inserendo le nuove formulazioni rispettivamente negli articoli 67 e 76 del codice delle leggi antimafia. In conclusione, la presente proposta di legge elimina il grave paradosso normativo consistente nel fatto che il soggetto affiliato a un'organizzazione criminale, sottoposto per questo alla misura della sorveglianza speciale a causa della sua pericolosità sociale, pur non potendo votare, possa raccogliere il voto degli altri e, dunque, svolgere tranquillamente attività di propaganda elettorale, senza che la sua condotta sia sanzionata, salvo che la pubblica accusa non riesca a provare che la stessa condotta rientri in un accordo illecito con il politico colluso. La presente proposta di legge dev'essere quindi approvata al più presto per eliminare il voto di scambio politico-mafioso e ripristinare, soprattutto nel momento elettorale, lo Stato di diritto, consentendo così lo sviluppo del Paese e restituendo dignità e credibilità alle istituzioni della Repubblica.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.

      1. Al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) all'articolo 67, il comma 7 è sostituito dal seguente:
      «7. Alle persone indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso, sottoposte alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, è fatto divieto di svolgere attività di propaganda elettorale in favore o in pregiudizio di candidati o di liste, con qualsiasi mezzo, direttamente o indirettamente. Si intende per propaganda elettorale qualsiasi attività diretta alla raccolta del consenso, svolta in occasione di competizioni elettorali e caratterizzata da molteplicità di atti, coinvolgimento di più persone, impiego di mezzi economici e predisposizione di una struttura organizzativa, sia pur minima, a tale scopo destinata»;
      b) all'articolo 76:

          1) il comma 8 è sostituito dal seguente:
      «8. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la persona sottoposta, in forza di provvedimento definitivo, alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, che propone o accetta di svolgere attività di propaganda elettorale in violazione del divieto previsto dall'articolo 67, comma 7, e il candidato che la richiede o in qualsiasi modo la sollecita sono puniti con la reclusione da uno a sei anni»;


      2) il comma 9 è sostituito dal seguente:

          «9. Con la sentenza di condanna per il delitto di cui al comma 8, il giudice dichiara altresì il candidato ineleggibile per un tempo non inferiore a cinque e non superiore a dieci anni. Qualora il candidato sia stato eletto, il giudice ne dichiara la decadenza; qualora il candidato sia membro del Parlamento, la Camera di appartenenza adotta le conseguenti determinazioni secondo le norme del proprio Regolamento. Le sanzioni relative all'ineleggibilità e alla decadenza, di cui al presente comma, si applicano anche nel caso di patteggiamento della pena a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale o di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena ai sensi degli articoli 163 e seguenti del codice penale. Il giudice ordina in ogni caso la pubblicazione della sentenza di condanna o di applicazione della pena a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, ai sensi dell'articolo 36, secondo, terzo e quarto comma, del codice penale. Tale sentenza passata in giudicato è altresì trasmessa all'ufficio elettorale del comune di residenza del candidato per le conseguenti annotazioni».