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Atto a cui si riferisce:
S.968 Norme in materia di domini collettivi


Senato della RepubblicaXVII LEGISLATURA
N. 968
DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa dei senatori PAGLIARI, ASTORRE, DIRINDIN e PALERMO

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 24 LUGLIO 2013

Norme in materia di domini collettivi

Onorevoli Senatori. -- Il presente disegno di legge si propone la finalità del riconoscimento formale dei domini collettivi, comunque denominati. Esso è frutto di contributi derivanti da approfondita elaborazione dottrinale, da riferimenti giurisprudenziali, da interpretazione dei provvedimenti legislativi.

Sotto il profilo dottrinale, si deve fare inizialmente riferimento al contributo di un civilista innovatore, Enrico Finzi, allorché, già nel 1935, traducendo in termini rigorosamente giuridici taluni fermenti circolanti nelle scelte corporativistiche italiane, capovolge l'angolo di osservazione e propone di esaminare il rapporto uomo/beni «di sotto in su», arrivando a capovolgere anche il ruolo delle due entità del rapporto, valorizzando il bene e le sue regole intime sull'agente umano. Successivamente Filippo Vassalli (1939) e Salvatore Pugliatti (1954), raccogliendo l'invito di Finzi, superano la nozione unitaria di proprietà costruita sull'unità del soggetto e individuano una pluralità di proprietà assai diversificate a seconda della diversa qualità strutturale dei diversi beni. Più recentemente, i contributi di una pluralità di studiosi, tra cui Paolo Grossi, Giorgio Lombardi, Emilio Romagnoli, Paolo Vitucci, Vincenzo Cerulli Irelli, Alberto Germano hanno messo nella dovuta evidenza il «pianeta diverso» delle proprietà collettive, tutte di origine pre-moderna, tutte viventi una loro vita appartata, ma con parecchi scontri a causa dell'intolleranza della dominanza culturale di stampo romanistico. Concorrono a costituire l'ordinamento della proprietà collettiva tre elementi:

1) la comunità, vale a dire l'elemento personale, rappresentato da una pluralità di persone fisiche individuata nella collettività locale, non solo e non tanto come destinatari delle utilità del fondo, bensì in quanto pluralità di persone fisiche chiamate a gestire il patrimonio civico e a raggiungere lo scopo comune, conformandosi nella propria attività e nelle relazioni con il patrimonio comune ai principi che la stessa comunità si dà. La comunità si qualifica, per un verso, con l'organizzazione di comunità che lega fra di loro le singole persone fisiche e che va intesa come facoltà di predisposizione di organi idonei ad assicurare il funzionamento e la rappresentanza dell'ente e, per un altro verso, per la variabilità e la mutevolezza delle persone fisiche: non necessariamente sempre le stesse durante la «vita» dell'ente collettivo; fra esse si ricordano le Partecipanze, Regole, Vicinie, Comunelle, Comunanze agrarie, Università Uomini Originari, Comunalie, Consorterie, Società degli antichi originari o Comunioni familiari montane;

2) la cosa, ossia la terra di collettivo godimento, che va riguardata come una pluralità di patrimoni (economico, naturale, culturale) con propria individualità, un ecosistema completo, comprendente tutte le componenti naturali ed antropiche, quali suolo, con i connessi miglioramenti, e sottosuolo, acque superficiali e sotterranee, aria, clima e microclima, formazioni vegetali, fauna e microfauna, nelle loro reciproche e profonde inter-relazioni, come anche l'aspetto estetico e paesaggistico di più immediata percezione;

3) l'elemento teleologico, da individuarsi nello scopo istituzionale, diverso e trascendente rispetto agli interessi individuali delle singole persone fisiche che compongono la comunità. A questi tre elementi, in taluni casi, se ne aggiunge uno ulteriore rappresentato dal riconoscimento della personalità giuridica. Sotto il profilo delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza, si sottolinea l'importanza di una massima alla sentenza della Corte di cassazione, sezione II, n. 10748 del 1992 relativa al riconoscimento della frazione come comunità dei titolari del diritto d'uso «che, di norma costituiscono una mera entità naturale di fatto -- caratterizzata dalla presenza dell’insediamento di una parte della popolazione comunale in una località staccata da altri nuclei abitati dell'ente locale e dotata di interessi, sempre di fatto, legati a circostanze di ordine economico, storico, sociale e religioso -- hanno tuttavia, in materia di amministrazione dei beni assoggettati ad uso civico della popolazione frazionaria, una soggettività diversa da quella dell'ente di appartenenza ed autonomamente esercitabile, anche ai fini del recupero del perduto possesso di detti beni, attraverso un apposito comitato per l'amministrazione separata, da nominarsi secondo le previsioni dell'articolo 26 della legge 16 giugno 1927, n. 1766, e del relativo regolamento di esecuzione di cui al regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332, come successivamente modificato ed integrato».

Sotto il profilo dell'interpretazione sistematica delle fonti normative, si deve rilevare come già la legislazione del 1927 e del 1928 riservasse una speciale considerazione alla frazione di comune nel cui territorio ricadono le terre civiche, con la prescrizione di base che imponeva la diretta amministrazione frazionale a profitto dei soli abitanti della frazione.

Con la legge 25 luglio 1952, n. 991, all'articolo 34, è stato riconosciuto alle comunioni familiari vigenti nei territori montani il diritto di continuare «a godere e ad amministrare i loro beni in conformità dei rispettivi statuti e consuetudini riconosciuti dal diritto anteriore». La legge 17 aprile 1957, n. 278, disciplina la «Costituzione dei Comitati per l'amministrazione separata dei beni civici frazionali»: essa prescrive che i beni di uso civico frazionali siano amministrati da un comitato e che, in mancanza dell'elezione di questo, l'amministrazione possa essere condotta dal comune attraverso propri organi appositamente delegati. Il decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, nel tentativo di dare una risposta al problema di un assetto ordinato del territorio e di contenimento della distruzione di risorse naturali e storiche, indica i terreni «delle università agrarie e degli usi civici» tra le zone vincolate. La legge 31 gennaio 1994, n. 97, sulla montagna, all'articolo 3 riconosceva la proprietà collettiva e dava ad essa una valenza generale, non limitata alle organizzazioni montane dell'arco alpino, quanto meno perché espressamente richiamava le organizzazioni collettive delle province dell'ex Stato pontificio. In definitiva, sembra potersi giustamente convenire con quanti hanno ripetutamente confermato che il divenire della proprietà collettiva ha un cuore antico. Con questo cuore antico bisogna fare i conti, anche e soprattutto, perché si possa essere preparati a comprendere pienamente e risolvere adeguatamente i tanti problemi che la realtà sociale, economica ed ambientale continuamente offre. Pertanto il diritto e la giurisprudenza incontrano un invalicabile limite in quel cuore antico della proprietà collettiva, che la dottrina può criticare ovvero interpretare in maniera evolutiva; ma non mutare.

Con il presente disegno di legge si vuol riconoscere che i domini collettivi si collocano come soggetti neo-istituzionali, in quanto ad essi compete l'amministrazione, sia in senso oggettivo che soggettivo, del patrimonio civico. Inoltre, in quanto enti gestori delle terre di collettivo godimento, rientrano a pieno titolo nell'imprenditoria locale cui competono le responsabilità di tutela e di valorizzazione dell'insieme di risorse naturali ed antropiche presenti nel demanio civico. Nell'attuale fase di sviluppo delle aree rurali, della montagna in particolare, le cui strategie fanno affidamento essenzialmente sul modello di sviluppo locale e su quello di sviluppo sostenibile, ai domini collettivi va riconosciuta, infine, la capacità di endogenizzare anche gli stimoli provenienti dall'esterno della comunità locale per la mobilitazione delle risorse interne, di trattenere in loco gli effetti moltiplicativi, di far nascere indotti nella manifattura familiare, artigianale, nella filiera dell'energia delle risorse rinnovabili e nel settore dei servizi. Tra i tanti effetti che l'applicazione delle disposizioni contenute nel presente disegno di legge potranno avere sul territorio, come conseguenza diretta della presenza attiva della proprietà collettiva, possono essere citati i seguenti: mantenimento delle popolazioni a presidio del territorio (pubblico, collettivo, privato), integrazione fra patrimonio civico e famiglie residenti, integrazione tra patrimonio civico e imprese locali, manutenzione del territorio e conservazione attiva dell'ambiente, garanzia di un marchio ambientale, coesione della popolazione e creazione di comportamenti cooperativi in campo economico, sociale, ambientale. Passando a esaminare nel dettaglio i singoli articoli del disegno di legge, pare opportuno far emergere gli obiettivi che si intendono perseguire:

1) il riconoscimento dei domini collettivi, comunque denominati, come ordinamento giuridico primario delle comunità originarie, nonché il riconoscimento del diritto d'uso del dominio collettivo, in quanto diritto avente ad oggetto, normalmente e non eccezionalmente, le utilità del fondo, consistenti in uno sfruttamento del dominio riservato ai cittadini del comune. Il che determina nel cittadino una situazione giuridica complessa: di un interesse individuale avente ad oggetto un uso dei beni conforme alla loro destinazione ed un interesse collettivo alla conservazione della destinazione dei beni (articolo 1, comma 1);

2) il riconoscimento della capacità di autonormazione dei domini collettivi facilita pertanto l'esercizio dei diritti: a livello individuale (diritto di accesso in una zona, diritto di prelievo) e a livello collettivo o di amministrazione (vale a dire i diritti di gestione e i diritti di esclusione dall'uso oppure la tacita cooperazione degli individui che utilizzano le risorse nel rispetto di una serie di regole stabilite dall'ente gestore) (articolo 1, comma 2);

3) il richiamo alla competenza dello Stato rivela i motivi di interesse generale che sono alla base dell'intervento legislativo del Parlamento nazionale (che mira a garantire che le leggi che le regioni intendano eventualmente emanare sugli assetti collettivi non possano disconoscere l'idea e i valori della proprietà collettiva): il modo peculiare delle collettività di vivere il rapporto uomo-terra; la disciplina consuetudinaria della gestione delle terre da parte delle collettività titolari, con il fine della protezione della natura e della salvaguardia dell'ambiente; le moderne attività progettate ed esercitate dalle collettività sulle loro proprietà comuni al fine del mercato (articolo 2);

4) per un utile chiarimento del termine «beni collettivi» si propone una definizione del patrimonio economico del dominio collettivo, quale risulta dalle rilevazioni contabili, finalizzate alla compilazione della situazione patrimoniale, che, in definitiva, si riduce all'insieme del beni economici di proprietà (articolo 3).

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

(Riconoscimento dei domini collettivi)

1. In attuazione degli articoli 2, 9, 42, secondo comma, e 43 della Costituzione, la Repubblica riconosce i domini collettivi, comunque denominati, come ordinamento giuridico primario delle comunità originarie:

a) soggetto alla Costituzione;

b) dotato di capacità di autonormazione, sia per l'amministrazione soggettiva e oggettiva, sia per l'amministrazione vincolata e discrezionale;

c) dotato di capacità di gestione del patrimonio naturale, economico e culturale, che fa capo alla base territoriale della proprietà collettiva, considerato come comproprietà inter-generazionale;

d) caratterizzato dall'esistenza di una collettività i cui membri hanno in proprietà terreni ed insieme esercitano più o meno estesi diritti di godimento, individualmente o collettivamente, su terreni che il comune amministra o la comunità da esso distinta ha in proprietà pubblica o collettiva.

2. Lo statuto, approvato dagli aventi diritto, è titolo qualificativo e ordinamentale del dominio collettivo, anche con specifico riferimento alla personalità giuridica ed alla natura dell'ente.

Art. 2.

(Competenza dello Stato)

1. La Repubblica tutela e valorizza i beni di collettivo godimento, in quanto:

a) elementi fondamentali per la vita e lo sviluppo delle collettività locali;

b) strumenti primari per assicurare la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale;

c) componenti stabili del sistema ambientale;

d) basi territoriali di istituzioni storiche di salvaguardia del patrimonio culturale e naturale;

e) strutture eco-paesistiche del paesaggio agro-silvo-pastorale nazionale;

f) fonte di risorse rinnovabili da valorizzare ed utilizzare a beneficio delle collettività locali degli aventi diritto.

2. La Repubblica riconosce e tutela i diritti dei cittadini di uso e di gestione dei beni di collettivo godimento preesistenti allo Stato italiano. Le comunioni familiari vigenti nei territori montani continuano a godere e ad amministrare loro beni in conformità dei rispettivi statuti e consuetudini, riconosciuti dal diritto anteriore.

3. Il diritto sulle terre di collettivo godimento si caratterizza quando si verificano le seguenti situazioni:

a) avere normalmente, e non eccezionalmente, ad oggetto utilità del fondo consistenti in uno sfruttamento di esso;

b) essere riservato ai componenti della comunità, salvo diversa decisione dell'ente collettivo.

Art. 3.

(Beni collettivi)

1. Sono beni collettivi:

a) le terre di originaria proprietà collettiva della generalità degli abitanti del territorio di un comune o di una frazione, imputate o possedute da comuni, frazioni od associazioni agrarie comunque denominate;

b) le terre, con le costruzioni di pertinenza, assegnate in proprietà collettiva agli abitanti di un comune o di una frazione, a seguito della liquidazione dei diritti di uso civico e di qualsiasi altro diritto di promiscuo godimento esercitato su terre di soggetti pubblici e privati;

c) le terre derivanti: da scioglimento delle promiscuità di cui all'articolo 8 della legge 16 giugno 1927, n. 1766; da conciliazioni nelle materie regolate dalla legge n. 1766 del 1927; dallo scioglimento di associazioni agrarie; dall'acquisto di terre ai sensi dell'articolo 22 della legge n. 1766 del 1927 e dell'articolo 9 della legge 3 dicembre 1971, n. 1102; da operazioni e provvedimenti di liquidazione o da estinzione di usi civici; da permuta o da donazione;

d) le terre di proprietà di soggetti pubblici o privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati;

e) le terre collettive comunque denominate, appartenenti a famiglie discendenti dagli antichi originari del luogo, nonché le terre collettive disciplinate dagli articoli 34 della legge 25 luglio 1952, n. 991, 10 e 11 della legge 3 dicembre 1971, n. 1102, e 3 della legge 31 gennaio 1994, n. 97;

f) i corpi idrici sui quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici.

2. I beni di cui al comma 1, lettere a), b), c), e) e f), costituiscono il patrimonio antico dell'ente collettivo, detto anche patrimonio civico o demanio civico.

3. Il regime giuridico dei beni di cui al comma 1 resta quello dell'inalienabilità, dell'indivisibilità, dell'inusucapibilità e della perpetua destinazione agro-silvo-pastorale.

4. Limitatamente alle proprietà collettive di cui all'articolo 3 della legge 31 gennaio 1994, n. 97, è fatto salvo quanto previsto dall'articolo 11, terzo comma, della legge 3 dicembre 1971, n. 1102.

5. L'utilizzazione del demanio civico avviene in conformità alla sua destinazione e secondo le regole d'uso stabilite dal dominio collettivo.

6. Con l'imposizione del vincolo paesaggistico sulle zone gravate da usi civici di cui all'articolo 142, comma 1, lettera h) del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, l'ordinamento giuridico garantisce l'interesse della collettività generale alla conservazione degli usi civici per contribuire alla salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio. Tale vincolo è mantenuto sulle terre anche in caso di liquidazione degli usi civici.