• C. 1574-A-ter EPUB GALLO Luigi, Relatore di minoranza

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Atto a cui si riferisce:
C.1574 [Decreto Istruzione] Conversione in legge del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, recante misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca
approvato con il nuovo titolo
"Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, recante misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca"


Frontespizio Relazione
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 1574-A-ter


DISEGNO DI LEGGE
presentato dal presidente del consiglio dei ministri
(LETTA)
e dal ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca
(CARROZZA)
con il ministro dell'economia e delle finanze
(SACCOMANNI)
Conversione in legge del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, recante misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca
Presentato il 12 settembre 2012
(Relatore di minoranza: Luigi GALLO)

      

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Onorevoli Colleghi! – Il decreto-legge in esame ha come finalità dichiarata quella di «alleviare una situazione di difficoltà conseguente anche agli interventi di riduzione di spesa che negli ultimi anni hanno interessato l'istruzione». Rispetto a tale finalità, risulta idonea la scelta dello strumento del decreto legge, che per la sua intrinseca natura, rappresenta un atto diretto a provvedere a situazioni di eccezionale urgenza e necessità.
      Non si può disconoscere la necessità di intervenire rapidamente con non più rinviabili investimenti, indispensabili per far rialzare il sistema d'istruzione italiano, messo in ginocchio dalle politiche economiche degli ultimi anni. Tuttavia, la modesta portata delle risorse previste e delle misure adottate, evidenzia la palese insufficienza dell'intervento,deludendo decisamente le attese nate dalle promesse ardite del presidente del consiglio dei ministri nel suo discorso di insediamento. A fronte dunque di interventi frammentari e risorse esigue, certamente il tema dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca avrebbe meritato la realizzazione di riforme di sistema, con interventi derivanti da una seria programmazione a lungo termine.
      Il provvedimento all'esame è stato presentato dal Presidente del Consiglio Enrico Letta e dal Ministro dell'istruzione, Maria Chiara Carrozza, come un intervento necessario e destinato ad aprire una nuova stagione di investimenti nella scuola e nell'università pubblica del nostro paese, tanto da meritare il titolo: «L'istruzione riparte» e «punta a garantire un miglior avvio del nuovo anno scolastico e accademico. Ma anche a gettare le basi per la scuola e l'università del futuro, restituendo ai settori della formazione centralità e risorse.».
      A fronte di tali dichiarazioni ci saremmo aspettati un'inversione di tendenza rispetto a governi precedenti; misure volte ad un adeguato incremento degli organici della scuola,decurtati e mai reintegrati di oltre 130 mila lavoratori per effetto della devastante finanziaria di Tremonti per il 2008, la oramai tristemente nota Legge n. 133 del 2008 che risulta confermata anzi rafforzata dagli interventi di politica scolastica di questo nuovo governo. Ci saremmo aspettati provvedimenti miranti alla modifica dei quadri orari delle superiori, drasticamente impoveriti dalla Riforma Gelmini; il ripristino delle compresenze e quindi dell'articolazione modulare della didattica alla primaria e l'aumento delle sezioni a tempo pieno. Ci saremmo aspettati sicuramente la soluzione definitiva di questioni urgenti di fondamentale importanza per la scuola e per il suo personale, come un piano programmatico serio per la stabilizzazione del personale precario inserito all'interno delle graduatorie ad esaurimento che vede oramai come un miraggio sempre più lontano la possibilità di un impiego stabile,dopo anni o addirittura decenni di precariato alle spalle; la possibilità per i docenti in idonei per motivi di salute di rimanere nei loro istituti scolastici; il riconoscimento al personale      ATA ex EE.LL dell'anzianità di servizio maturata durante gli anni di lavoro presso l'amministrazione di provenienza; il pensionamento per docenti e ATA della ormai famigerata «quota 96», vittime dell'ostinata indifferenza dell'ex-ministro Fornero nei confronti della scuola e della specifica professionalità del personale che in essa opera; il superamento della vexata quaestio della monetarizzazione delle ferie non fruite per i precari della scuola. Ci saremmo aspettati la rinuncia alle esternalizzazioni e la stabilizzazione del personale ATA-LSU che ha svolto anni di servizio nelle scuole. Ci saremmo aspettati interventi mirati a garantire realmente il diritto allo studio per gli studenti universitari, ad esempio abrogando le disposizioni previste dalla cosiddetta spending review del Governo Monti, che di fatto aumenta il peso della contribuzione studentesca.
      Purtroppo, molte di queste problematiche non sono state per niente considerate; le rimanenti, sono state affrontate in maniera assolutamente inadeguata e complessivamente inefficace.
      Quello che invece emerge con sconcertante chiarezza è l'accanimento nei confronti del personale della scuola: il provvedimento prevedeva infatti, all'articolo 16, misure punitive, sottoforma di formazione obbligatoria, nei confronti di quei docenti i cui alunni abbiano ottenuto risultati al di sotto della media nazionale nelle prove INVALSI, disposizione questa leggermente migliorata in sede di esame in commissione; prevede altresì, all'articolo 8,l'inclusione dell'orientamento degli studenti della scuola secondaria superiore tra le attività funzionali all'insegnamento, ma non aggiuntive, quindi obbligatorie e non appositamente retribuite, a cui devono necessariamente partecipare tutti gli insegnanti dell'istituto.
      Nessuna inversione di tendenza quindi, ma proseguimento della strada già precedentemente intrapresa e che conduce alla consapevolezza che le scelte in materia di politica scolastica, siano esse operate da governi di centro-destra o di centro-sinistra, da governi cosiddetti «tecnici» oppure «di larghe intese», hanno oramai da decenni una sorprendente capacità di accordare l'intero mondo partitico italiano perché sono determinate da una strategia condivisa, quella di mascherare la mancanza di volontà di investire seriamente nel nostro sistema di istruzione e sono suffragate da una spiccata intenzione comune, quella di mortificare professionalmente il personale che opera nelle nostre scuole, e dunque con ripercussioni gravissime sull'offerta formativa per i nostri giovani.
      Entrando, poi, nel merito del provvedimento, molte sono le criticità rinvenibili nell'articolato e che qui di seguito saranno messe in evidenza.
      In particolare, i primi articoli riguardano il cosiddetto welfare degli studenti delle scuole secondarie (articolo 1 ), il diritto allo studio per gli studenti universitari (articolo 2) nonché le borse e di studio per gli studenti AFAM (articolo 3), per le quali voci sono stanziati complessivamente poco più di 120 milioni di euro: una cifra irrisoria e assolutamente inadeguata a coprire i reali bisogni degli studenti. Continuerà pertanto ad esistere la figura, sempre più difficile da conciliare con il concetto di diritto allo studio, dello studente universitario «idoneo non vincitore di borsa di studio», sarebbe invece necessario aumentare gli stanziamenti per una somma totale di ulteriori 150 milioni, per ripristinare almeno la cifra stanziata nel 2009, in piena crisi economica. Più precisamente, le misure inerenti al welfare per lo studente, stanziano 15 milioni di euro per l'anno scolastico 2014 per l'attribuzione di contributi e benefici agli studenti delle scuole secondarie in possesso di determinati requisiti, dunque per gli studenti non sono previste risorse per il 2013, ma tutto è rimandato al 2014. Le risorse sono insufficienti per i buoni libro e borse di studio per l'intera platea degli studenti della scuola pubblica. Per il prossimo anno il fondo per il diritto allo studio all’ università avrà circa 70 milioni in meno rispetto allo scorso anno, basti pensare che nel 2012 solo il 66 per cento degli idonei ha ricevuto la borsa di studio.
      Se da un lato si reputa favorevolmente lo stanziamento di fondi per borse di studio per l'alta formazione artistica, musicale e coreutica in base a determinati requisiti, dall'altro si auspicano più incisivi provvedimenti strutturali.
      All'articolo 4 si estende il divieto di utilizzo di sigarette elettroniche nei locali chiusi e nelle aree all'aperto delle istituzioni scolastiche. I proventi ricavati dalle sanzioni pecuniarie erano destinati al Ministero della salute per attività di monitoraggio sugli effetti derivanti dall'uso delle sigarette elettroniche. Fortunatamente, è intervenuta una modifica in Commissione, anche su impulso del movimento 5 stelle, che stabilisce che i proventi delle sanzioni amministrative sono versati all'entrata del bilancio dell'istituzione scolastica sanzionatrice, per essere successivamente utilizzati per la realizzazione di attività formative finalizzate all'educazione della salute. Grazie all'approvazione di un nostro emendamento, nei programmi di educazione elementare, si terrà conto del fatto che favorire il consumo consapevole dei prodotti ortofrutticoli nelle scuole non può prescindere dall'importanza dall'uso di prodotti locali, stagionali e biologici.
      L'articolo 5 è dedicato al potenziamento dell'offerta formativa e prevede l'introduzione di una sola ora di «geografia generale ed economica» in una delle due classi del primo biennio di quegli istituti tecnici e professionali nei quali la materia è stata completamente cancellata dalla riforma Gelmini delle superiori; la disposizione consente la formazione di 287 cattedre di geografia in più per le quali vengono stanziati circa 10 milioni di euro a decorrere dal 2014. Questo intervento ha tutto il sapore della beffa, se si pensa al generale impoverimento dell'offerta formativa di tutto il nostro sistema di istruzione, dalla scuola dell'infanzia alle superiori, determinato dalle riforme dell'allora Ministro Gelmini che avevano come obiettivo la decurtazione di oltre 8 miliardi di euro dal settore. Il nuovo Ministro avrebbe dovuto cogliere l'occasione per ripensare e modificare almeno anche i quadri orari dei licei dove, sempre per effetto della riforma Gelmini, la geografia è stata accorpata alla storia in un'unica disciplina «storia e geografia» per un totale di 3 ore settimanali e dove di fatto gli insegnanti non riescono a portarne avanti il programma a causa dell'esiguità del tempo a disposizione. Per non parlare del depotenziamento subito da altre materie di base come l'italiano, la storia dell'arte o il latino; quest'ultimo in particolare, è stato relegato quasi esclusivamente al solo liceo classico, mentre il monte ore di tale disciplina ha subito una drastica riduzione nel liceo linguistico, nell'indirizzo tradizionale del liceo scientifico e non è per nulla contemplato nell'indirizzo dello scientifico – scienze applicate. Una scelta quest'ultima, da denunciare come miope e sconsiderata, perché di fatto legittima l'esistenza di un liceo scientifico senza il latino, compromettendo radicalmente la natura di tale percorso di studi che nel nostro paese si è sempre contraddistinto per la specifica prerogativa di coniugare la vocazione prettamente scientifica ad un'approfondita formazione umanistica. Sic stantibus rebus, di tutt'altra entità dovrebbero essere gli interventi per riqualificare e potenziare l'offerta formativa delle nostre scuole superiori e non possono prescindere da una revisione e integrazione, sulla base di rigorosi principi didattici, dei quadri orari riformati dalla Gelmini in ottemperanza alle direttive del MEF e quindi seguendo una logica di mero risparmio economico.
      L'articolo 6 reca disposizioni, ulteriori rispetto a quelle di recente adottate con il decreto-legge n. 179 del 2012 (Legge n. 221 del 2012), volte alla riduzione della spesa per l'acquisto di testi e strumenti didattici da parte degli studenti, intervenendo sulle regole per l'adozione dei libri di testo e prevedendo l'assegnazione alle istituzioni scolastiche di 2,7 milioni di euro nel 2013 e 5,3 milioni di euro nel 2014 per l'acquisto di libri di testo e dispositivi per la lettura di materiali didattici digitali da concedere agli studenti. Pur apprezzando lo sforzo, si rileva che le misure adottate non sono sufficienti ad incentivare l'utilizzo dei libri digitali, invece, sappiamo bene che la scuola ha un estremo bisogno di rinnovarsi, anche negli strumenti per riuscire a dialogare con gli studenti anche utilizzando i loro linguaggi e quindi le nuove tecnologie. In questo modo acquista ancora più concretezza il principio della centralità dello studente. Il tradizionale libro di testo è solo uno degli strumenti a disposizione dell'insegnante, che, insieme all'utilizzo di nuovi strumenti didattici, può rendere l'insegnamento più efficace. Il libro digitale non è un semplice trasferimento dell'edizione cartacea in un file, ma consente, attraverso l'utilizzo di sistemi applicativi, di trovare nuovi modi per individualizzare l'apprendimento, sfruttando, ad esempio le potenzialità dell'ipertesto o dei sistemi audiovisivi. In tal modo si potrebbe arrivare alla condivisione del sapere, tramite contenuti open source su piattaforme aperte, con licenze creative commons. A tal proposito, in Commissione è stato approvato un nostro emendamento, in base al quale lo Stato promuove lo sviluppo della cultura digitale, definisce politiche di incentivo alla domanda di servizi digitale e favorisce l'alfabetizzazione informatica anche tramite una nuova generazione di testi scolastici preferibilmente su piattaforme aperte che prevedano la possibilità di azioni collaborative tra docenti, studenti ed editori, nonché la ricerca e l'innovazione tecnologica, quali fattori essenziali di progresso e opportunità di arricchimento economico, culturale e civile.
      L'articolo 7, intitolato «Apertura delle scuole e prevenzione della dispersione scolastica», prevede l'avvio, in via sperimentale e solo in alcune scuole, da individuarsi con criteri non meglio definiti, di un «Programma di didattica integrativa» con prolungamento, ove possibile, dell'orario scolastico per gruppi di studenti. La disposizione, invece di intervenire in maniera strutturale sul problema della dispersione scolastica, e invece di provvedere ad un arricchimento serio della didattica, a partire da quella curriculare, ripristinando le compresenze e il modulo nella scuola primaria e garantendo il tempo pieno alle famiglie che ne fanno richiesta, dà corpo a questi provvedimenti tampone che non sono in grado di assolvere nessuno dei compiti che si prefiggono. Inoltre, dalla scheda tecnica allegata al decreto si apprende che, per coprire gli oneri finanziari di questo programma di didattica integrativa, sono stanziati 3,6 milioni di euro nel 2013 e 11,4 milioni nel 2014, destinati, ovviamente, solo alle spese di funzionamento, mentre il maggiore impegno richiesto al personale per l'apertura pomeridiana deve essere remunerato attingendo al Fondo dell'istituzione scolastica. Come se si volesse ignorare che il FIS, già ampiamente decurtato per effetto degli ultimi provvedimenti del Governo Monti, basta oramai a malapena per coprire le spese più urgenti. Ma siccome a tutto c’è una soluzione, a volerla trovare, ecco che, come un deus ex machina, al comma 2 di questo articolo riaffiora lo spettro del ricorso ad associazioni e fondazioni private no-profit, a patto che tra le finalità del proprio statuto «rientrino l'aiuto allo studio, l'aggregazione giovanile e il recupero di situazioni di disagio». Viene il dubbio che questo sia un modo per alimentare bacini di clientelismo locale, ma di certo a rischio c’è la garanzia della qualità dell'intervento didattico e viene da pensare perché mai non si sia previsto di utilizzare, per la copertura di questo tipo di attività, il personale qualificato, presente all'interno delle graduatorie ad esaurimento, peraltro in ampia misura estromesso dall'insegnamento a causa dei tagli degli ultimi governi.
      L'articolo 8 affronta il tema dei percorsi di orientamento per gli studenti delle scuole e prevede, come precedentemente accennato, di scaricarne l'onere sugli insegnanti a costo zero, utilizzando cioè l'escamotage di includere tali percorsi all'interno delle attività funzionali all'insegnamento non aggiuntive, cioè gli obblighi di funzione docente. Per le spese di organizzazione e programmazione di tali attività sono stanziati 1,6 milioni nel 2013 e 5 milioni a partire dal 2014, mentre, lì dove le ore aggiuntive non retribuite degli insegnanti non dovessero bastare, le attività che eccedono l'orario d'obbligo possono essere remunerate attingendo ancora una volta all'inesauribile FIS. Emerge così l'inadeguatezza dei fondi stanziati dal governo a fronte di proclami destinati a rimanere di pura facciata. Anche qui l'approvazione di nostri emendamenti ha consentito che l'orientamento degli studenti sia previsto anche nell'ultimo anno di scuola media e che siano previsti interventi mirati di orientamento per gli alunni disabili durante gran parte del ciclo di scuola secondaria di primo e secondo grado, retribuendo il personale scolastico coinvolto.
      L'articolo 9 estende la durata massima del permesso di soggiorno all'intero periodo di frequenza dei corsi di studio o di formazione, senza più il bisogno di rinnovarlo di anno in anno. La disposizione appare condivisibile, anche se il fatto di ancorare al profitto scolastico la possibilità di usufruire di tale beneficio, di fatto risulta iniqua e inaccettabile.
      Poi, una nostra proposta emendativa approvata, al fine di garantire un tempo utile agli studenti per trovare lavoro, ha prolungato il permesso di soggiorno di un anno oltre il termine del percorso di studio, purché si dia la dimostrazione di disponibilità di mezzi sufficienti di sostentamento da parte dello studente straniero come previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 per l'università.
      L'articolo 10 prevede la possibilità per le Regioni di contrarre mutui trentennali destinati alla realizzazione di interventi di edilizia scolastica per un importo di 40 milioni annui.
      Apprezziamo gli sforzi, e ciò nonostante già il Decreto del Fare (Legge n. 98 del 2013) abbia previsto uno stanziamento di fondi per l'edilizia scolastica di 150 milioni subito e 300 nel prossimo triennio; peraltro, le scadenze previste da tale decreto sono tali da rendere inattuabili le norme in esso previste. Del resto secondo quanto emerge dall'XI Rapporto sulla sicurezza, qualità e comfort degli edifici scolastici, realizzato da Cittadinanzattiva e presentato il mese scorso, la situazione è allarmante: «in una scuola su sette ci sono lesioni strutturali evidenti; il 20 delle aule presenta distacchi di intonaco; muffe, infiltrazioni e umidità sono stati rilevati in quasi un terzo dei bagni (31) e in una aula e palestra su quattro. Il 39 delle scuole presenta uno stato di manutenzione del tutto inadeguato. Solo il 44 delle scuole possiede il certificato di agibilità statica, il 38 quello di agibilità igienico sanitaria e il 37 quello di prevenzione incendi. Lo scorso anno, solo un quarto delle scuole era in regola con tutte le certificazioni. Per non parlare della questione del sovraffollamento: 1 classe su 5 ha più di 25 alunni, dunque non è adeguata alla normativa antincendio». In queste condizioni è necessaria una maggiore serietà nell'affrontare il problema: gli interventi devono essere ben pianificati e programmati ed è quindi indispensabile la certezza di adeguati investimenti. Inoltre continua a mancare un'Anagrafe dell'edilizia scolastica, prevista dalla legge quadro sulla materia (legge n. 23 del 1996) e che il Ministero dell'Istruzione avrebbe già da tempo dovuto mettere a disposizione per consentire di effettuare le necessarie valutazioni, per ciascun edificio scolastico, circa gli interventi da realizzare e le priorità da rispettare. Infine sarebbe auspicabile che si preveda l'esclusione, dei comuni e provincie che investono i loro fondi per la realizzazione di interventi di edilizia scolastica, dai limiti del patto di stabilità interno.
      La disposizione in commento dovrebbe essere estesa anche agli alloggi e residenze per studenti universitari.
      L'articolo 11 reca un'autorizzazione di spesa per gli anni 2013 e 2014, rispettivamente di 5 milioni di euro e di 10 milioni di euro, per assicurare alle istituzioni scolastiche statali secondarie, prioritariamente di secondo grado, la realizzazione e la fruizione della connettività wireless, in modo da consentire agli studenti l'accesso ai materiali didattici ed ai contenuti digitali. C’è da rilevare che le risorse stanziate appaiono assolutamente
insufficienti allo scopo che si prefiggono, del resto una misura del genere dovrebbe essere estesa a tutte le istituzioni scolastiche pubbliche statali e non solo alle scuole secondarie.
      L'articolo 12 riguarda il Dimensionamento delle istituzioni scolastiche. Il Governo interviene a modificare quanto previsto dalla spending review del 2011 (legge n. 111 del 2011) che all'articolo 19 c. 4 prevedeva l'accorpamento degli istituti scolastici, scuole dell'infanzia, primarie e secondarie di primo grado, in istituti comprensivi, fissando i limiti per l'attribuzione dell'autonomia scolastica a non meno di 1000 alunni. Lo scopo della spending review era quello di risparmiare sul numero di dirigenti scolastici e DSGA, nonché sul personale ATA e ha avuto conseguenze disastrose, con la formazione di istituti comprensivi dalle dimensioni spropositate, dei veri e propri «mostri», articolati su diversi plessi con più di 1000 alunni, centinaia di dipendenti, un'unica segreteria e un unico dirigente scolastico e amministrativo. La norma era stata dichiarata illegittima già nel 2012 dalla Corte costituzionale (sentenza n. 147) in quanto la materia, cioè il dimensionamento della rete scolastica, è di competenza regionale. Così l'articolo 12 di questo decreto, prendendo atto della sentenza della Corte, demanda alle delibere della Conferenza
unificata Stato-Regioni la determinazione dei criteri per l'attribuzione dei dirigenti scolastici e dei DSGA alle istituzioni scolastiche, con il vincolo, e qui emerge la natura beffarda delle disposizioni contenute in questo articolo, che tali criteri non comportino nuovi o maggiori oneri per le finanze pubbliche.
      L'articolo 13 è finalizzato ad assicurare l'integrazione dell'anagrafe nazionale degli studenti e delle anagrafi regionali degli studenti nel sistema nazionale delle anagrafi degli studenti, già prevista dalla normativa vigente, entro l'anno scolastico 2013-2014. Sarebbe stato opportuno implementare definitivamente l'anagrafe nazionale per il personale scolastico.
      Condivisibile nel merito la norma di cui all'articolo 14, che elimina il divieto di costituzione di non più di un istituto tecnico superiore (ITS) in ogni regione per la medesima area tecnologica e relativi ambiti, introdotto con l'articolo 52, comma 2, lettera a), del decreto-legge n. 5 del 2012 (Legge n. 35 del 2012), ma risulta inaccettabile che da tale previsione non possono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica; la stessa relazione tecnica fa presente che, la costituzione di nuovi ITS potrà avvenire solo avvalendosi di finanziamenti privati o di riduzioni di spesa o incrementi di entrate presso le regioni, di importo tale da garantire le risorse occorrenti sia per la costituzione che per il mantenimento degli stessi Istituti.
      L'articolo 15 riguarda il Personale scolastico e definisce un piano triennale per l'assunzione a tempo indeterminato di personale docente, educativo e ATA per gli anni scolastici 2014-2016, tenuto conto dei posti vacanti e disponibili in ciascun anno. Il testo della legge risulta piuttosto omertoso riguardo i numeri di questo piano triennale: per conoscerli infatti bisogna ricorrere alla scheda tecnica allegata al decreto, dalla quale apprendiamo che l'intervento non comporta nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. Certo, perché le assunzioni copriranno a malapena i pensionamenti (si prevedono 27.872 docenti e 13.400 ATA) e non comporteranno incrementi di personale, se non per il sostegno, il cui organico di diritto aumenterà di 26.684 unità, peraltro nell'arco di tre anni, invece che nell'immediato. Tirando le somme quindi il piano triennale prevede l'assunzione a tempo indeterminato di 67.956 unità tra docenti normali, sostegno e personale ATA in tre anni. E non è tutto. L'attuazione di questo ambiziosissimo piano di immissioni in ruolo è espressamente subordinata all'esito di «una specifica sessione negoziale concernente interventi in materia contrattuale per il personale della scuola, che assicuri l'invarianza finanziaria». A saper leggere significa: come per le immissioni in ruolo del 2011, a pagare il prezzo della stabilizzazione saranno i neo-assunti stessi che dovranno con buona probabilità rinunciare agli scatti di anzianità e rimanere ancorati ancora per chissà quanto al loro modesto stipendio. Dobbiamo inoltre notare che, come accade oramai troppo spesso negli ultimi anni, ai proclami trionfalistici riguardo i numeri delle assunzioni nella scuola, non corrispondono mai i fatti. Innanzitutto dalla scheda tecnica sembra che nel conto dei posti disponibili per le immissioni in ruolo rientrino anche quelli dell'anno scolastico 2013/2014 su cui già avrebbero dovuto essere assunti quest'anno, per il 50, i precari delle graduatorie ad esaurimento e, per il restante 50, i vincitori del concorsone bandito nel 2012. Inoltre è doveroso ribadire che, mentre si procede di anno in anno a coprire solo i pensionamenti con i sempre più esigui numeri delle nuove assunzioni in ruolo, alla scuola non sono mai stati restituiti più di 130 mila posti, tra docenti e ATA, tagliati per effetto dell'applicazione dalla legge n. 133 del 2008 che ha determinato oltre che l'impoverimento generalizzato dell'offerta formativa delle nostre scuole, anche l'impossibilità di garantire una gestione razionale del personale della scuola.
      Riteniamo che incrementi di organico risultano oggi improcrastinabili, per porre rimedio alla dequalificazione del sistema di istruzione pubblico determinato dai feroci tagli degli ultimi anni, per offrire una soluzione al precariato scolastico e qualche speranza di sbocco lavorativo nella scuola a coloro che hanno frequentato i nuovi percorsi abilitati (TFA), con troppa disinvoltura istituiti dal MIUR in una fase di contrazione degli organici, nonché ai vincitori dell'ultimo concorso. Le immissioni in ruolo andrebbero effettuate dopo aver finalmente pianificato gli organici in base ai seguenti criteri: attenendosi scrupolosamente ai limiti del numero degli alunni per classe imposto dalle norme sulla sicurezza e agibilità dei plessi scolastici; evitando la riconduzione forzata a 18 ore di insegnamento in classe per i docenti degli istituti di istruzione superiore qualora essa costituisca un ostacolo alla continuità didattica o comporti la formazione di cattedre eccessivamente frammentarie; ripristinando le compresenze nella scuola primaria; attivando tutte le sezioni a tempo pieno necessarie a soddisfare le domande delle famiglie e non più subordinandone il numero alle disponibilità di organico stabilite dal MIUR e dal MEF. Per contrastare seriamente il fenomeno del precariato scolastico è ora di superare la distinzione tra organico di diritto e organico di fatto istituendo l'organico funzionale all'interno del quale venga individuata una dotazione organica aggiuntiva cioè un contingente di insegnanti con contratto a tempo indeterminato a disposizione delle singole istituzioni scolastiche da impiegare sia per la copertura dei posti in organico di fatto, sia per svolgere tutte quelle mansioni aggiuntive alla didattica ordinaria, ma di necessario supporto ad essa, come i corsi di recupero/potenziamento o i progetti extra-curricolari, creando in tal modo un piano effettivo volto a contrastare l'allarmante fenomeno della dispersione scolastica. Ci piacerebbe sapere come mai niente di tutto questo sia previsto all'interno di questo provvedimento.
      L'articolo 15, inoltre, pretende di affrontare anche la delicata questione del personale docente dichiarato inidoneo alla propria funzione per motivi di salute. La norma prevede la possibilità – e non più l'obbligo, come invece era stato imposto dal precedente governo – di transito nei profili ATA oppure l'applicazione d'ufficio della mobilità intercompartimentale in ambito provinciale. Tale soluzione appare assolutamente inadeguata oltre che offensiva nei confronti di persone a cui lo stato di salute spesso rende difficoltoso anche il minimo spostamento. Si contesta inoltre l'inserimento di un rappresentante del ministero dell'istruzione nelle commissioni mediche presso le ASL per la certificazione di inidoneità.
      Ci saremmo aspettati che un governo che nelle intenzioni si dichiara attento alle problematiche della scuola e del suo personale trovasse almeno i fondi per permettere a questa categoria di lavoratori di restare nei propri istituti scolastici, dal momento che la loro presenza rappresenta un supporto spesso necessario oltre che un arricchimento per scuole che non possono più permettersi neanche di tenere aperta una biblioteca a causa della carenza di personale.
      L'articolo 16, relativo alla Formazione del personale scolastico, contiene sicuramente la norma più ostile nei confronti degli insegnanti tra quelle comprese all'interno dell'intero DL Istruzione. La disposizione è stata leggermente migliorata in corso di esame in Commissione, inizialmente, come accennato sopra, infatti era previsto l'obbligo di formazione per il personale docente i cui alunni avessero ottenuto risultati al di sotto della media nazionale nelle prove INVALSI. Se non altro possiamo affermare senza più possibilità di errore che la volontà di ancorare la valutazione dell'operato dei docenti ai risultati delle prove INVALSI sia una matrice comune e condivisa sia dai partiti di centro destra che da quelli di centro sinistra. Siamo sconcertati nel costatare che invece di tenere in considerazione le oramai numerose critiche provenienti dagli Stati che hanno fatto in passato largo uso di queste tipologie di test, nel nostro paese si continui a fare orecchie da mercante e a lasciare che la didattica ordinaria sia valutata con dei quiz. Siamo oramai arrivati all'applicazione nella scuola degli stessi meccanismi punitivo-premiali che caratterizzano i sistemi di valutazione di matrice aziendalistica. La formazione del personale scolastico dovrebbe invece essere garantita in modo sistematico e continuo e dovrebbe prevedere anche l'aggiornamento sulle nuove tecnologie disponibili per la didattica. L'elargizione dei fondi dovrebbe essere piuttosto rivolta alle aree più a rischio socio-educativo e agli istituti scolastici con una più alta percentuale di immigrati e ragazzi con difficoltà e disagi e, dunque sulla base dei bisogni reali delle scuole, a partire da quelle con un'alta concentrazione di allievi con BES (handicap, dsa, immigrati, ragazzi con svantaggi socio-culturali o economici). In tal modo si avrebbero docenti formati ad affrontare situazioni e problematiche connesse alla loro attività estremamente diverse tra loro.
      L'articolo 17, relativo ai Dirigenti scolastici, prevede che il reclutamento dei dirigenti scolastici si realizzi attraverso corso-concorso selettivo di formazione bandito annualmente dalla Scuola nazionale dell'amministrazione. In tal modo il compito di formare e reclutare i nuovi dirigenti scolastici passerà dal MIUR ad un altro ente, la Scuola nazionale dell'amministrazione, erede della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, che si occupa appunto della formazione dei dirigenti della pubblica amministrazione. Questa scelta dimostra la volontà da parte del governo di ribadire e consolidare la scelta, effettuata già dal 1997, assolutamente da biasimare, di trasformare la figura del preside in quella di manager. È infatti evidente che le competenze richieste per il superamento del concorso di accesso al corso-concorso nonché la successiva formazione di questo profilo professionale saranno sempre più afferenti alla cultura giuridico-amministrativa, piuttosto che a quella didattico-pedagogica. Secondo noi invece il preside dovrebbe tornare ad essere un primus inter pares in virtù del fatto che a lui sono affidati delicati compiti, non solo relativi alla gestione dell'istituzione scolastica, ma anche al coordinamento delle attività degli altri organi collegiali preposti alla pianificazione e all'organizzazione della didattica. Da quando invece il preside è diventato un dirigente le sue competenze più strettamente afferenti alla sfera didattico-pedagogica sono state marginalizzate per far spazio a oneri gestionali e responsabilità che lo hanno visto sempre più isolato rispetto agli insegnanti, in una posizione spesso illogicamente antagonista ad essi. Ci sarebbe bisogno di andare in direzione completamente diversa e adottare strategie efficaci per restaurare e potenziare le dinamiche di cooperazione tra dirigente scolastico e corpo docente, necessarie per ottimizzare l'offerta formativa del nostro sistema di istruzione.
      L'articolo 18 autorizza il MIUR ad assumere i vincitori e gli idonei del concorso per dirigente tecnico bandito nel 2008, a decorrere dal 2014. AI relativo onere, quantificato in 8,1 milioni di euro dal 2014, si fa fronte attraverso risparmi sulla spesa relativa alle commissioni degli esami di Stato al termine della scuola secondaria di secondo grado.
      Anche qui il nodo di Gordio è quello delle risorse: si toglie quel poco che c’è da una parte, per tamponarne un'altra.
      L'articolo 19 dispone in materia di conferimento di incarichi d'insegnamento nelle istituzioni di alta formazione e specializzazione artistica e musicale e in materia di nomina dei relativi direttori amministrativi. Il comma 1, sul reclutamento a tempo indeterminato dei docenti, sostanzialmente è condivisibile, mentre il comma 2, che prevedeva delle disposizioni per le supplenze piuttosto discutibili, fortunatamente è stato migliorato durante l'esame in Commissione, prevedendo una graduatoria unica nazionale anche per le supplenze.
      Gli articoli dal 20 al 24 dispongono in materie concernenti il sistema universitario, regolando l'accesso ai corsi di laurea a numero programmato, modificando il sistema di valutazione per la formazione specialistica dei medici e disponendo nuove assunzioni per alcuni enti di ricerca vigilati dal MIUR. Si tratta, anche qui di provvedimenti tampone, alcuni dei quali non solo non risolvono i problemi, ma rischiano di crearne altri e di più difficile soluzione, come ad esempio l'abolizione del bonus maturità.
      In particolare l'articolo 20 abroga l'articolo 4 del decreto legislativo n. 21 del 2008, relativo al cosiddetto «bonus maturità» per l'accesso ai corsi di laurea a numero programmato, perché dispone – a seguito dell'avviso di rettifica pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 16 settembre 2013 – che lo stesso bonus non si applica neanche alle procedure relative agli esami di ammissione ai corsi universitari già indette ma non ancora concluse alla data di entrata in vigore del decreto-legge.
      Di fatto, la norma che poteva e doveva essere assunta dal Governo alcuni mesi addietro, è stata invece disposta proprio mentre migliaia di studenti in tutta Italia erano impegnati a sostenere l'esame di ammissione ai corsi ad accesso programmato. La conseguenza di tale intempestività ha comportato così un cambiamento delle regole in itinere, con gravi ripercussioni sia per coloro che avevano sostenuto l'esame convinti di poter comunque usufruire del punteggio ulteriore assegnato sulla base del proprio percorso scolastico, sia per gli studenti che avevano deciso di non partecipare al test, scoraggiati dall'impossibilità di utilizzare tale bonus. In corso d'esame in commissione, un emendamento del governo, ha cercato di sanare gli effetti devastanti della succitata disposizione, anche se non sono stati considerati i partecipanti agli esami di ammissione ai corsi universitari delle professioni sanitarie.
      Per tali motivi il MoVimento 5 Stelle, anche per limitare le possibili conseguenze in termini di contenzioso derivanti dalla modifica del meccanismo di accesso deliberata successivamente allo svolgimento di alcune prove, aveva chiesto la non applicazione per l'anno accademico 2013/2014 della regola del numero chiuso e, conseguentemente, il rinvio del termine ultimo per le iscrizioni al 30 novembre 2013, in modo da consentire a tutti gli studenti di non venire penalizzati dall'applicazione della norma prevista dal Decreto. Chiederemo quindi che, assieme all'articolo 1, comma 1 lettere a) della legge 2 agosto 1999, nessun'altra disposizione che preveda forme di accesso programmato, o comunque di limitazione numerica a corsi universitari, venga applicata.
      Per gli studenti che hanno conseguito un punteggio di 100/100 chiederemo che, in caso di ammissione ai corsi universitari, sia prevista una riduzione pari al 30 della quota di iscrizione a qualsiasi corso universitario, in presenza dei requisiti economici richiesti per l'erogazione di borse di studio.
      L'articolo 21 reca alcuni interventi in tema di formazione specialistica dei medici, prevedendo un'unica commissione preposta all'ammissione alle scuole di specializzazione e la formazione di un'unica graduatoria nazionale. Dispone, inoltre, che, a partire dall'anno accademico 2013/2014, la determinazione del trattamento economico da corrispondere agli specializzandi avvenga con cadenza triennale, invece che annuale.
      Pertanto, a differenza delle previgenti disposizioni che prevedevano singole commissioni locali per la valutazione circa le prove di ammissione alle scuole di specializzazione dei medici, con tale provvedimento si introduce, per tali valutazioni, un'unica commissione nazionale. I candidati andranno a costituire un'unica graduatoria nazionale, comportando anche in questo caso una novità nella disciplina dal momento che la stessa andrà a sostituire le precedenti graduatorie locali.
      Tale provvedimento viene accolto con favore dal MoVimento, dal momento che la norma sembra trovare la propria retto nel tentativo di eliminare disomogeneità nelle valutazioni dei candidati, eliminando alcuni caratteri, come la valutazione tramite commissioni locali, che troppo spesso si sono prestate a scelte legate a parentele e reti di conoscenze. Un tentativo di slegare tali criticità dalle valutazioni sull'ammissione alla formazione specialistica dei medici non può che trovare il sostegno del M5S, nella speranza che agli auspici facciano seguito i fatti.
      All'articolo 23, s'interviene sull'organizzazione dell’ Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca, nonché su quella degli enti di ricerca vigilati dal MIUR.
      Per quanto riguarda il primo comma dell'articolo 23, riguardante la nomina dei componenti del consiglio diretto dell'Anvur, si può notare come questa previsione di scelta sia del tutto slegata da parametri certi di merito e come essa avvenga senza nessun tipo di controllo esterno né della commissioni parlamentari competenti né da parte di un comitato tecnico.
      È per tali motivi che come MoVimento 5 stelle auspichiamo che un comitato di selezione appositamente nominato si sostituisca alla previsione disposta dal decreto secondo la quale la proposta delle personalità spetterebbe al Ministro dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca con conseguente decreto del Presidente della Repubblica. Attualmente il comitato di selezione, se pur previsto dalla procedura, è limitato a ruolo di mero consigliere, e non del tutto slegato dall'influenza ministeriale di cui fa parte, prestandosi così a scelte non del tutto obiettive e imparziali. Noi chiediamo con forza che tale principio venga scardinato, consentendo al comitato di selezione di decidere in maniera autonoma e in assenza di proposte esterne chi, e per quali meriti, debba ricoprire un ruolo così importante e così delicato. L'efficienza di un consiglio direttivo quale quello dell'Anvur ha assoluto bisogno di personalità esterne e riconosciute come idonee a ricoprire tale incarico dalle componenti che concretamente di Università e di Ricerca si occupano, slegando le nomine da legami politici e istituzionali. Per tali motivazioni chiediamo al Governo di provvedere affinché all'interno di tale comitato figurino membri designati dal Consiglio Universitario Nazionale, dal tavolo dei presidenti degli enti di ricerca pubblica, organi a nostro avviso più adatti alla selezione di un consiglio di un ente che intenda valutare il sistema dell'Università e della Ricerca in Italia.
      In caso di mancato accoglimento, non può in ogni caso lasciarsi alla mera decisione del Ministro una scelta tanto delicata quanto determinante per l'efficienza dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca italiana per i prossimi anni. Chiediamo come condizione minima di trasparenza e imparzialità che la nomina sia subordinata al parere favorevole delle commissioni parlamentari competenti.
      Le misure concernenti le Assunzioni a tempo determinato presso gli enti di ricerca e le università e finanziamento degli enti di ricerca sono disciplinati dal comma Il dell'articolo 23.
      Al primo comma si reintroduce la possibilità di assunzioni a tempo determinato e di stipula di contratti di collaborazione continuata e continuativa presso gli enti di ricerca, le università e le scuole superiori ad ordinamento speciale, in deroga rispetto alle previsioni recate dall'articolo 1, comma 187 della legge n. 266 del 2005, per l'attuazione di progetti finalizzati al miglioramento di servizi anche didattici per gli studenti.
      Ecco, in questa disposizione si chiede sì di assumere personale per l'attuazione di progetti finalizzati al miglioramento di servizi anche didattici, ma, con un trucco evidente, talmente evidente quanto inutile. La parola anche, viene qui sostituita con il termine giuridico ovvero, quindi tale disposizione andrebbe ad escludere di fatto la possibilità che i progetti di ricerca e di innovazione tecnologica previsti dal comma 188 dell'articolo 1, della legge n. 266, vengano fatti salvi in caso di scelta per i soli servizi anche didattici per gli studenti.
      È chiaro che noi chiederemo l'abrogazione dell'intero comma 1, lasciando così immutata la disposizione attualmente prevista. Auspichiamo, per il futuro, che le esclusioni facciano una volta tanto spazio agli inserimenti di nuovi progetti che possano dare la possibilità di nuove assunzioni nel mondo della Università e della Ricerca.
      Per far capire al Governo che oltre agli auspici abbiamo chiare anche le modalità con cui promuovere i nuovi programmi e i nuovi progetti, chiediamo di inserire nel decreto legislativo un provvedimento che abroghi le modalità di quote premiali distribuite in funzione della valutazione dell'Anvur. Ogni ente di ricerca riceverà i fondi disponibili e dovrà finanziare con il 2 per cento delle risorse ad esso destinate a specifici programmi e progetti qualitativamente rilevanti per la loro attività scientifica, programmi che dovranno poi essere successivamente valutati positivamente dall'Anvur per permettere la loro continuazione.
      Un progetto a costo zero per il governo, che permetterebbe sia di ottenere un significativo aumento della qualità della nostra ricerca all'interno degli enti, sia di inserire all'interno del Decreto uno dei pochi programmi finalizzati a dare effettivo impulso all'attività scientifica italiana.
      L'articolo 24 infine reca disposizioni per l'assunzione di personale degli enti di ricerca vigilati dal MIUR.
      Se la previsione dettata dall'articolo ci trova favorevoli, data la possibilità per l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e per gli altri enti di ricerca vigilati dal MIUR di procedere a nuove assunzioni di ricercatori e tecnologi in deroga alle procedure previste dall'articolo 34-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001, non comprendiamo le ragioni che hanno portato il Governo a limitare la potenziale portata della disposizione in questo modo. Dobbiamo ancora una volta prendere atto di come questo Governo si prodighi per risolvere i problemi con misure limitate e tampone, senza troppi sforzi e senza nemmeno troppo coraggio. Il numero di ricercatori necessari a garantire un normale funzionamento dell'INGV, già a lungo penalizzato dalla evidente carenza di personale e con numerose unità di precari al suo interno, non può certamente essere quello delle nuove 200 unità così come previste dall'articolo 24. Allo stesso tempo la stringente esigenza di assumere nuove unità di personale non è una problematica che riguarda i soli enti di ricerca vigilati dal MIUR, ma è senz'altro una necessità che riguarda tutti gli enti che con grandi difficoltà hanno il difficile compito di portare avanti la ricerca scientifica italiana. Tutti gli enti di ricerca in Italia hanno l'assoluto bisogno di uscire dalla stagnazione in cui ad oggi si trovano costretti, stagnazione causata, come noto, dalle politiche assunte dagli ultimi governi in materia di ricerca, con continue e insostenibili riduzioni dei capitoli di spesa destinati alla ricerca italiana che hanno causato una ormai cronica mancanza di unità di personale ricercatore.
      Tali enti si trovano, malgrado le loro enormi potenzialità, ormai incapaci di portare avanti progetti di ricerca efficienti, che siano in grado di attirare nuovi investimenti per il loro sviluppo, finendo così con il ristagnare nell'ordinaria amministrazione, costringendo le menti migliori a cercare nuovi stimoli in Paesi stranieri. È per questi motivi che chiediamo al Governo di assumere decisioni che risolvano i problemi sollevati dall'articolo 24 del decreto in maniera, se non certo definitiva, quanto meno più efficiente. Il MoVimento chiede che venga disposto l'aumento sino al numero di 300 delle nuove unità di personale da destinare all'INGV e, allo stesso tempo, chiediamo che la deroga alle procedure per l'assunzione di nuovo personale venga estesa a tutti gli Enti di ricerca italiana, senza limitare la portata della disposizione ai soli enti vigilati dal MIUR.
      Le succitate disposizioni dimostrano ancora una volta come questo Governo non sia in grado di assumere scelte decise in materia di università e Ricerca, ma invece provvede, con misure tampone e non efficienti, a risolvere problemi che necessiterebbero di maggiore organicità e, soprattutto, maggiore coraggio. Il tema della Ricerca è affrontato da questo Decreto in maniera marginale; si arriva quindi alla necessaria considerazione che in questo caso si è quasi voluto evitare di affrontare il tema. I pochi articoli, riguardanti aspetti importanti ma non certo essenziali, non potranno certamente portare alla superficiale conclusione che il Governo ha con questo Decreto assunto misure a favore della Ricerca italiana. Anche laddove i provvedimenti possono dirsi da noi condivisi una sbagliata tempistica o una modalità raffazzonata rende tali scelte inefficaci, andando sì a risolvere alcune questioni ma, allo stesso tempo, andando a creare nuove problematiche.
      Le nostre proposte emendative al decreto sono finalizzate a far si che esso possa almeno assumere caratteri più decisi, con l'introduzione di correttivi che possano garantire maggiore efficacia nella soluzione ai problemi reali della Ricerca, senza limitarsi a una revisione più organizzativa che applicativa, in un settore che chiede con forza di essere riorganizzato in maniera efficiente ed organica, ma che da troppi anni ormai è solo oggetto di misure urgenti mai veramente risolutive.
      Veniamo infine agli articoli 25 26 e 27 che dispongono in materia economica e finanziaria e che pertanto permettono di valutare con sufficiente precisione l'entità dell'impegno di questo Governo in materia di Istruzione, Università e Ricerca. Più precisamente, l'articolo 25 interviene in materia di accisa, disponendo aumenti scadenzati (dal 10 ottobre 2013, dal 10 gennaio 2014 e dal 10 gennaio 2015) delle aliquote di accisa relativi alla birra, ai prodotti alcolici intermedi e all'alcole etilico; l'articolo 26, attraverso una novella all'articolo 10 del decreto legislativo n. 23 del 2011 (c.d. federalismo municipale), interviene in tema di determinazione, con decorrenza dal 10 gennaio 2014, delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, relativamente ai trasferimenti immobiliari; infine l'articolo 27 reca, al comma 1, il rifinanziamento del Fondo per gli interventi strutturali di politica economica (FISPE) e ai commi 2 e 3 le norme di copertura finanziaria degli oneri recati dal provvedimento.
      Volendo sintetizzare quindi, le coperture finanziarie al DL istruzione risultano le seguenti:

          a) maggiori entrate alcolici e imposte di registro;

          b) minori risorse ammortizzatori sociali;

          c) riduzione stanziamenti correnti programma «Iniziative per lo sviluppo del sistema istruzione scolastica per il diritto allo studio» del MIUR;

          d) Riduzione stanziamenti destinati all'edilizia e alle attrezzature didattiche e strumentali;

          e) riduzione stanziamenti correnti programma «Sistema universitario e formazione post-universitaria» del MIUR;

          f) Riduzione Fondo FIRST.

      Permettetemi di effettuare, a questo punto, le ultime considerazioni, a fronte di queste disposizioni di natura finanziaria. A nostro avviso, come già rilevato, è proprio la capacità di reperire finanziamenti a permettere di valutare le reali intenzioni e quindi la volontà politica di impiegare risorse in un determinato settore e, a questo proposito, le coperture finanziarie disposte da questo decreto si commentano da sole. Avremmo voluto che si recuperassero risorse dall'abolizione del finanziamento alle scuole paritarie, dall'abrogazione del finanziamento all'editoria, oppure con la tassazione delle plusvalenze, con la tobin tax, con una drastica riduzione delle auto blu, con la sospensione della costosissima missione in Afghanistan, con la tassazione delle rendite finanziarie, con l'aumento dei costi per le concessioni radiotelevisive, ma niente di tutto ciò è previsto da questo decreto, anzi le nostre proposte di copertura alternative, durante l'esame in sede referente, sono state respinte.
      Concludendo vorrei precisare che, alla valutazione estremamente critica nei confronti dell'intero provvedimento effettuata dal Gruppo che rappresento e che emerge dalla presente relazione, è comunque seguita, durante l'esame in Commissione, una serie di proposte emendative al testo, anche a dimostrazione della nostra volontà di non svolgere una mera funzione di interdizione agli indirizzi dell'attuale governo, quanto piuttosto un'azione costruttiva, nell'interesse del Paese. È con profondo rammarico che dobbiamo costatare che invece molte delle nostre proposte non sono state considerate e molte altre ancora, sono state dichiarate incomprensibilmente ed ingiustificatamente, estranee per materia al provvedimento e dunque inammissibili.
      Vorremmo fare solo un esempio affinché l'intero parlamento e poi l'opinione pubblica vengano a conoscenza dell'atteggiamento a dir poco ostile con cui questa maggioranza, capeggiata dal PD e dal PDL, si sta ponendo nei confronti del Movimento 5 stelle e cioè di una forza politica che rappresenta qui, in questo fondamentale organo istituzionale, un'ampia fetta dell'elettorato del paese e per questo meriterebbe tutt'altro trattamento, nel rispetto delle regole della democrazia e della nostra Costituzione. Abbiamo scelto un esempio davvero eclatante che riguarda alcune nostre proposte emendative all'articolo 5 del decreto in esame. L'articolo 5 ha per argomento il Potenziamento dell'offerta formativa e prevede al comma 1, come già ricordato, l'inserimento di un ora settimanale di insegnamento di geografia in una delle due classi del biennio degli istituti tecnici e professionali laddove tale disciplina era stata completamente eliminata dalla riforma Gelmini. Una nostra proposta emendativa prevedeva di inserire nel potenziamento dell'offerta formativa anche l'aumento delle ore di insegnamento del latino letteralmente falcidiate nei nostri licei sempre a causa della riforma Gelmini. Questa nostra proposta è stata dichiarata inammissibile per estraneità di materia. I membri della VII Commissione devono spiegare all'intera Aula come sia possibile considerare il potenziamento dell'offerta formativa relativa ad un'altra disciplina (in questo caso il latino) rispetto a quella prevista dal testo del decreto, una disposizione che tratta una materia estranea a quella contenuta all'interno dell'articolo 5 che, è doveroso ricordarlo ancora una volta, reca proprio il titolo di Potenziamento dell'offerta formativa! Confidiamo in una più puntuale valutazione di ammissibilità per l'esame in Aula, per avere almeno la possibilità di contribuire al dibattito istituzionale intorno a quelli che sono per noi settori strategici e di fondamentale importanza per il futuro del nostro paese, il Sistema di Istruzione, l'Università e la Ricerca scientifica.