• Testo DDL 2058

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Atto a cui si riferisce:
S.2058 Modifiche al codice dei beni culturali in materia di riproduzione dei beni bibliografici e archivistici


Senato della RepubblicaXVII LEGISLATURA
N. 2058
DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa dei senatori TOCCI, CORSINI, GATTI, CASSON, DIRINDIN, CUOMO, SCALIA, PEZZOPANE, RICCHIUTI, D’ADDA, RUTA, LO GIUDICE, AMATI, BORIOLI, GIACOBBE, GOTOR, LAI e CARDINALI

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 10 SETTEMBRE 2015

Modifiche al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in materia di riproduzione dei beni bibliografici e archivistici

Onorevoli Senatori. -- La disciplina della riproduzione dei beni bibliografici e archivistici, così come regolamentata dal codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, va aggiornata in seguito all'avvento dei nuovi strumenti tecnologici digitali, supporti utili per la diffusione e la preservazione della cultura.

L'avvento della fotografia digitale ha messo a disposizione degli studiosi la possibilità di riprodurre con notevoli semplificazioni nelle tecniche di ripresa e soprattutto a costo praticamente nullo tutte quelle testimonianze del passato, siano esse scritte, grafiche o materiali, sulle quali si basa la loro ricerca, contribuendo al contempo alla loro preservazione.

Ancor più è nella possibilità di condividere il materiale, sia nella fase di studio come in quella di edizione, che si possono aprire rilevanti prospettive per la ricerca, anche in ragione di un contenimento dei costi che permetterebbe di far meglio fronte ai tagli dei finanziamenti alla ricerca e alla riduzione dei servizi da parte degli enti di conservazione.

Per quanto attiene alla riproduzione dei beni culturali, a partire dalla legge 4 gennaio 1993, n. 4 (cosiddetta «legge Ronchey»), che ha introdotto un modello di difesa di diritti economici legati al loro sfruttamento, i ricercatori, a livello pratico, si sono trovati di fronte via via a limitazioni nell'uso delle strumentazioni o nel numero di fotografie realizzabili; in alcuni casi addirittura alla proibizione di qualsiasi ripresa fotografica, soprattutto laddove siano stati affidati in outsourcing i servizi di riproduzione con precise clausole di esclusività. Si è poi affermata, in base a una circolare ministeriale relativa agli archivi e velocemente ripresa come modello in altre sedi, l'imposizione di tariffe anche quando sia lo stesso studioso a scattare le foto (circolare del Ministero per i beni e le attività culturali n. 21 del 17 giugno 2005): tutto questo mentre il quadro normativo complessivamente delineato dal citato codice, di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, in questo erede di un'antica tradizione, prevederebbe esplicitamente la gratuità delle riproduzioni richieste dagli utenti per finalità culturali ad esclusione del solo ed eventuale rimborso delle spese sostenute dall'amministrazione, che nel caso di riproduzioni svolte con il proprio mezzo digitale ovviamente risultano nulle.

Per quanto attiene alla pubblicazione per finalità scientifica o educativa di tali riproduzioni, pur essendone garantita l'esenzione dal pagamento di canone entro i termini fissati dalla circolare n. 21 del 2005, le prassi burocratiche di concessione comportano tempi e oneri che di fatto limitano tale possibilità, tanto più nel caso di edizioni digitali o distribuite on line che agevolerebbero la condivisione tra gli studiosi. Sono oltretutto oneri che hanno un costo significativo per l'amministrazione senza che vi si possa scorgere alcun vantaggio.

Ci si rende dunque facilmente conto che se non vogliamo innescare un circolo vizioso di decrescita della fruizione del patrimonio culturale bisogna che simili logiche economicistiche vengano contrastate e superate.

Libertà di riproduzione significa gratuità dello scatto effettuato con mezzo proprio, senza limiti nel numero di fogli o unità archivistiche da riprodurre ed esenzione dall'autorizzazione preventiva. In altre parole si chiede di poter fotografare a distanza ciò che è normalmente manipolabile in sala studio nel corso della normale attività di consultazione al fine di agevolare la trascrizione dei testi, rendere possibile la libera condivisione in rete delle fonti documentarie e favorire la conservazione dei supporti limitando consultazioni reiterate.

Si chiede perciò di estendere nuovamente la libera riproduzione alle fonti documentarie conservate in archivi e biblioteche, come già espresso nel dettato originario del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni dalla legge 29 luglio 2014, n. 106 (cosiddetto decreto Art Bonus), a seguito di un emendamento, approvato alla Camera dei deputati il 9 luglio 2014, che esclude dalla liberalizzazione i beni bibliografici e archivistici (documenti di archivio, codici manoscritti e volumi a stampa non più tutelati dal diritto di autore). Per la parte rimanente dei beni culturali la riproduzione è infatti già svincolata da preventiva autorizzazione e gratuita: in altre parole chiunque può fotografare in libertà con la propria fotocamera beni culturali esposti nei musei purché le immagini siano impiegate per scopi diversi dal lucro. Gli effetti di tale disallineamento sono paradossali: se infatti i turisti sono liberi di fotografare le opere esposte nei musei italiani, gli studiosi che frequentano archivi e biblioteche per necessità di studio o lavoro non potranno godere della liberalizzazione, non sarà cioè consentito loro di usufruire dei vantaggi della ripresa digitale per agevolare l'attività di trascrizione dei documenti (e di verifica sui testi già trascritti), con grave danno soprattutto per coloro i quali sono costretti a raggiungere un archivio distante centinaia di chilometri dalla propria sede. Attualmente la fotografia con mezzo proprio in alcuni istituti è infatti tassata (con tariffe variabili da 3 euro per ogni faldone fino a 2 euro per ogni singolo scatto), mentre in altri è addirittura proibita al solo scopo di assicurare adeguati margini di profitto alle ditte private di riproduzione a cui biblioteche e archivi concedono in appalto esclusivo il servizio di fotoriproduzione. La prassi di esigere dagli utenti di archivi e biblioteche corrispettivi per servizi che l'utente può svolgere autonomamente con il proprio mezzo, senza cioè gravare in alcun modo sull'amministrazione, appare in linea di principio iniqua e fortemente limitativa della possibilità di fruire dei beni bibliografici e archivistici per scopi di ricerca e valorizzazione vincolando spesso la ricerca alla disponibilità economica di ciascuno. Ancor più limitante sotto questo profilo risulta l'obbligo imposto agli utenti di ricorrere ad un servizio di riproduzione svolto da terzi, che necessariamente viene erogato a titolo oneroso, con conseguente dispendio di tempo per l'utente.

Al fine di superare definitivamente ed efficacemente le difficoltà appena esposte e ristabilire un rapporto di proficua fiducia e collaborazione tra utenza e amministrazione, si propone di rendere libera e gratuita la riproduzione con mezzo proprio delle fonti documentarie conservate in archivi e biblioteche svolta con finalità di studio e ricerca, allineandosi da un lato alle migliori prassi europee (in Gran Bretagna: National Archives, British Library, in Francia: Archives Nationales), dall'altro allo spirito originario del decreto Art Bonus che, in ossequio agli articoli 9 e 33 della Costituzione, non operava alcuna distinzione tra le categorie di bene culturale, allo scopo di favorire la massima circolazione delle immagini di beni culturali, si legge infatti nel testo della relazione illustrativa del 30 maggio 2014 che ha accompagnato l'entrata in vigore del decreto stesso: «l'imposizione di un rigido sistema di restrizioni alla circolazione delle immagini di beni culturali, ove effettuate per scopi non lucrativi ... appare non pienamente rispondente al dettato costituzionale che, da un lato, pone a carico della Repubblica il compito di promuovere la cultura (articolo 9, primo comma, della Costituzione) e, dall'altro, sancisce il diritto alla libera manifestazione del pensiero».

Per questa ragione l'Art Bonus ha stabilito la liberalizzazione delle riproduzioni, da intendersi non solo come possibilità di riprodurre gratuitamente con il proprio mezzo i beni culturali, ma anche come esonero dall'obbligo dell'autorizzazione preventiva alla riproduzione e all'uso della riproduzione stessa per attività non lucrative. Di conseguenza il potere di controllo ex post del Ministero, atto a verificare che la riproduzione sia finalizzata effettivamente a uno degli scopi previsti dalla norma, sostituisce il potere di rilasciare le concessioni ex ante, previsto dall'articolo 107 del codice dei beni culturali.

Così come indicato nelle linee guida culturali espresse dall'Art Bonus, si propone di rendere libere le riproduzioni di beni archivistici e bibliografici con mezzo proprio: libere cioè da autorizzazione preventiva per attività non lucrative (studio, ricerca, pubblicazioni scientifiche non a scopo di lucro), libere dal pagamento di corrispettivi di riproduzione per l'utilizzo del mezzo proprio (salvo il rimborso delle spese sostenute dall'amministrazione nel caso l'utente decida di ricorrere ad un servizio esterno di riproduzione) e libere infine dal pagamento di canone d'uso per attività di studio e pubblicazioni scientifiche non a scopo di lucro.

Al fine di facilitare non solo la ricerca ma anche la pubblicazione degli esiti della stessa in una ottica di diffusione feconda del sapere, si propone in questa sede di disciplinare più nel dettaglio l'utilizzo delle immagini di beni culturali regolato dall'articolo 108, comma 3-bis, numero 2), nella nuova formulazione introdotta dall'Art Bonus, che stabilisce la libera «divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali» per attività non lucrative, in deroga evidentemente alla necessità di autorizzazione prevista dall'articolo 107, che invece continua a sussistere per l'utilizzo delle immagini a scopo di lucro.

Al fine di agevolare la pubblicazione degli esiti delle ricerche che alimentano la ricerca e ne esaltano il senso ultimo, si propone di ridefinire la categoria dell'attività svolta a scopo di lucro, attraverso la soppressione della prassi autorizzatoria per quelle pubblicazioni editoriali scientifiche minori, che sono cioè caratterizzate da tiratura e prezzo di copertina limitati. Ciò consentirebbe infatti di semplificare la relativa procedura burocratica con ovvi benefici e risparmi non solo per l'utenza, ma anche per l'amministrazione detentrice del bene da riprodurre, che eviterebbe di impegnarsi in procedure amministrative superflue per dedicarsi a più utili attività nell'ambito della gestione di un archivio o di una biblioteca. Verrebbe meno così l'obbligo, attualmente a carico dell'utente, di inoltrare all'amministrazione che detiene il bene culturale la richiesta formale di autorizzazione alla pubblicazione della riproduzione dello stesso corredata da marca da bollo, autorizzazione che tra l'altro appare del tutto superflua, dal momento che di fatto non sussiste alcuna valida ragione per negare la pubblicazione di una riproduzione a scopo scientifico. In questi casi l'ente detentore si riserverebbe, come previsto dall'Art Bonus, la facoltà di effettuare controlli ex post sull'uso delle immagini di beni culturali, mentre la richiesta di concessione potrà invece essere sostituita da una più rapida comunicazione obbligatoria dell'intenzione di pubblicare, con obbligo di specificare origine dell'immagine e di consegna all'ente che detiene l'originale di una copia della pubblicazione, anche on-line.

È evidente che una pubblicazione editoriale a rigore è da ritenersi l'esito di una attività a scopo di lucro per l'editore, ma va considerata anche come l'esito di una attività di valorizzazione, in quanto permette all'autore di diffondere al pubblico contenuti culturali partecipando al processo di diffusione del sapere. Nel rapporto tra funzione lucrativa ed educativa/culturale, appare allora quantomai opportuno operare alcune distinzioni nella categoria delle pubblicazioni a scopo di lucro, secondo criteri che si possono utilmente rivenire nel testo della circolare ministeriale n. 21 del 2005, che dispensa l'autore dal pagamento di canoni di pubblicazione per riviste o monografie con un prezzo di copertina inferiore ai 77 euro e diffuse con una tiratura inferiore alle 2.000 copie. Ai fini dell'esazione del canone d'uso la circolare aiuta di conseguenza ad individuare termini convenzionali entro i quali l'attività svolta possa intendersi come caratterizzata da uno scopo scientifico «prevalente» rispetto alla finalità meramente lucrativa. I termini previsti dalla circolare n. 21 del 2005 aiutano perciò a disciplinare in modo ragionevole il rapporto lucro/non lucro anche nella disciplina autorizzatoria: l'autorizzazione rimarrà necessaria al di sopra della soglia prevista da tale circolare e si accompagnerà alla corresponsione dei diritti di pubblicazione, mentre al di sotto di essa sarà sostituita dall'obbligo di comunicare la volontà di pubblicazione dello studioso che consentirà all'ente proprietario o detentore dei beni culturali di essere informato su ogni ricerca scientifica che riguarderà il patrimonio documentario conservato nei rispettivi archivi e biblioteche.

Un'ultima notazione riguarda l'utilizzo di mezzi tecnologici a supporto del dispositivo di riproduzione, come flash e cavalletti, esplicitamente esclusi dal testo normativo vigente. Si propone una formulazione più generica, rimandando a ciascun ente la possibilità di regolamentare eventuali dispositivi accessori (anche perché le esigenze possono essere diverse da ente a ente, proprio in ragione dei materiali conservati). Appare più opportuno riservare ogni decisione in questo senso agli enti conservatori, impartendo loro eventualmente delle linee guida a cui riferirsi.

Alla luce delle considerazioni e dei princìpi sopra esposti, al fine di sancire, a livello normativo e in forma chiara, natura e limiti della liberalizzazione dei beni culturali, è stata formulata una proposta di modifica dell'articolo 108 del codice dei beni culturali relativo alla riproduzione di beni culturali, che sarà necessario integrare con opportuni regolamenti adatti alla realtà e alle esigenze specifiche di archivi e biblioteche.

Questo disegno di legge rientra pienamente nel quadro di promozione dell'accesso aperto alla ricerca scientifica perseguito da direttive europee accolte a livello nazionale. Una prassi più liberale e ispirata a princìpi di gratuità del servizio pubblico essenziale potrebbe essere, in fine, un inaspettato volano di sviluppo culturale, trasformando la tragica contrazione delle risorse a disposizione della ricerca scientifica in stimolo alla ricerca di nuovi modelli di condivisione aperta.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

1. All'articolo 108 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, i commi 3 e 3-bis sono sostituiti dai seguenti:

«3. Nessun canone o corrispettivo è dovuto per le riproduzioni richieste o eseguite da privati per uso personale o per motivi di studio, ovvero da soggetti pubblici o privati per finalità di valorizzazione purché attuate senza scopo di lucro. I richiedenti sono comunque tenuti al rimborso delle spese sostenute dall'amministrazione concedente.

3–bis. Sono in ogni caso libere, in deroga all'autorizzazione prevista dall'articolo 107 comma 1, le seguenti attività, svolte senza scopo di lucro, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale:

a) la riproduzione di beni culturali diversi dai beni bibliografici e archivistici sottoposti a restrizioni di accesso ai sensi delle disposizioni di cui al capo III del presente titolo, attuata nel rispetto del diritto di autore con strumenti che non comportino alcun contatto fisico con il bene, né, all'interno degli istituti della cultura, l'esposizione dello stesso a sorgenti luminose o l'uso di accessori potenzialmente dannosi per la conservazione del bene;

b) la divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali, legittimamente acquisite, in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte a scopo di lucro».