• Testo RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA

link alla fonte scarica il documento in PDF

Atto a cui si riferisce:
C.6/00194    udite le comunicazioni e preso atto della relazione presentata dal Ministro della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 3 gennaio 1941 n. 12 come modificato...



Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00194presentato daFERRARESI Vittoriotesto diMercoledì 20 gennaio 2016, seduta n. 551

   La Camera,
   udite le comunicazioni e preso atto della relazione presentata dal Ministro della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 3 gennaio 1941 n. 12 come modificato dall'articolo 2, comma 29, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150,
   premesso che:
    relativamente alla materia dell'ordinamento giudiziario, soggetta ad una riserva di legge, sancita dalla Costituzione, posta a salvaguardia del principio di separazione dei poteri ed in particolare dell'indipendenza del potere giudiziario da quello esecutivo, il reiterato ricorso da parte del Governo all'utilizzo dello strumento della decretazione d'urgenza desta notevoli perplessità, in quanto i limitatissimi tempi del procedimento parlamentare di conversione di un decreto-legge non sono idonei a garantire un'adeguata discussione e ponderazione dei delicati interessi in conflitto;
    a tal proposito, pur ravvisando la necessità inderogabile di poter affrontare i nodi legislativi, procedurali e finanziari che attengono ad una sostanziale rivisitazione complessiva delle norme legate al funzionamento della funzione giurisdizionale nel nostro Paese, è necessario che le misure d'iniziativa governativa relative alla giustizia debbano sempre essere sottoposte all'esame del Parlamento nelle forme ordinarie, rispettose della funzione legislativa che la Costituzione riconosce al Parlamento;
    la rapidità dell'accertamento delle responsabilità penali e la predisposizione di norme e riforme anche strutturali tali da garantire la certezza del diritto e la certezza della pena, idonee tra l'altro a garantire la conclusione dei processi prima del decorso del termine prescrizionale, e quindi l'efficentamento dell'intero sistema giudiziario e lo snellimento delle regole procedurali dei processi, sia penali sia civili, debbono necessariamente rappresentare una priorità dell'azione governativa;
    il settore della giustizia – al contrario – nel corso degli ultimi anni, non è stato oggetto di alcuna incisiva riforma strutturale, relativamente ad un disegno strategico e organico di rilancio della sua funzionalità, ma anzi è stato sottoposto a disomogenei interventi che, lungi dall'apportare reali benefici, ne hanno, invece, concretamente limitato la funzionalità e la efficacia;
    dall'insediamento dell'attuale Governo, la cosiddetta riforma della giustizia, varata in termini secondo i firmatari del presente atto di indirizzo del tutto generici, si è tradotta in un intervento legislativo frastagliato e parcellizzato, incapace sia nel metodo – mal coordinato con il lavoro delle competenti Commissioni parlamentari – sia nel merito – fissando una pluralità di obiettivi le cui rispettive priorità risultano scarsamente omogenee tra di esse sotto il profilo politico e funzionale – di generare apprezzabili effetti di sistema;
    il sistema giustizia ha subìto progressivamente modifiche legislative del quadro normativo sul piano delle politiche finanziarie, delle politiche delle risorse umane delle dotazioni infrastrutturali, tali da generare un sistema del tutto asfittico cui l'attuale Governo ha inteso far fronte, anche per il 2016, con un taglio complessivo di circa 36 milioni di euro al Ministero della Giustizia, assieme ad una serie di riduzioni delle indennità dei magistrati onorari, nonché di risorse per l'implementazione del processo civile telematico;
    considerando come un unicum, sotto il profilo politico e di indirizzo, il rapporto tra Esecutivo e Parlamento nel corso di questa legislatura sul tema della giustizia, il precedente Governo ha sottoposto all'esame del Parlamento numerosi atti, prevalentemente attraverso lo strumento del decreto-legge, i quali, oltre che di dubbia costituzionalità sotto il profilo del metodo, hanno avuto un impatto assolutamente negativo sul duplice fronte della garanzia del diritto all'accesso per il cittadino alla giustizia e dell'effettività della certezza della pena per i condannati;
    a tale proposito si debbono ricordare, quali esempi di normazione disorganica ed inefficace: il decreto-legge n. 69 del 2013 «Decreto del fare», che ha recato modifiche al diritto processuale – segnatamente con riferimento alle modalità di accesso al processo civile e alla reintroduzione dell'obbligatorietà della mediazione – che incidono sulla tutela del diritto costituzionale alla difesa in giudizio;
    il decreto-legge n. 78 del 2013 «Decreto carceri», che non ha previsto, a fronte di un aumento dei flussi in uscita, adeguati stanziamenti volti alle attività per il reinserimento sociale e professionale per gli ex detenuti;
    il decreto-legge n. 93 del 2013 «Decreto sul femminicidio», che con l'introduzione di meccanismi – peraltro secondo i firmatari del presente atto di indirizzo inapplicabili – orientati al solo versante della repressione e non alla prevenzione, ha rappresentato una preziosa opportunità sprecata dal Governo per contrastare con successo il fenomeno della violenza sulle donne, preferendo colpevolmente un approccio al problema di tipo esclusivamente comunicativo, mascherando inoltre, nelle pieghe di un decreto dedicato ad un grave ed attualissimo problema, alcune materie che ne erano del tutto avulse;
    gli interventi sul riordino della geografia giudiziaria, scevri da criteri oggettivi di revisione e non funzionali all'attuale assetto demografico ed economico del Paese, oggetto di impugnazione ai sensi dell'articolo 75 della Costituzione da parte di nove consigli regionali che ne hanno richiesto un referendum abrogativo;
    con gli ultimi provvedimenti economici varati dal Governo, in assenza di appositi stanziamenti per il settore giustizia si è peraltro mortificato l'istituto del gratuito patrocinio sottraendo ad esso risorse fondamentali, effettuando altresì un aumento indiscriminato del contributo forfettario per l'iscrizione al ruolo delle cause. Aumento che ha frapposto un emblematico ulteriore filtro fra la giustizia ed il cittadino, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo assolutamente in contrasto con l'articolo 111 (comma 6) della Costituzione;
    il disegno di legge delega al Governo collegato alla legge di stabilità 2015 sulla giustizia civile, col quale si intende negare il diritto all'appello prevedendo il rilascio delle motivazioni della sentenza di primo grado previo pagamento di un ulteriore contributo unificato. Pregiudizio del diritto alla difesa che si concretizza altresì mediante la preoccupante previsione della condanna solidale dell'avvocato in caso di pronuncia ex articolo 96 del codice di procedura civile, nella quale il magistrato può anche decidere se una causa è «temeraria», o meno, a scapito di un avvocato che si vedrebbe costretto a pagarne economicamente le conseguenze;
    cui si aggiungono, inserendosi nel medesimo solco, i seguenti provvedimenti licenziati dall'attuale Governo:
    il decreto-legge n. 90 del 2014, «decreto PA.», con il quale sono state introdotte sensibili restrizioni all'accesso alla giustizia amministrativa, limitando in concreto la possibilità di ricorso mediante l'inasprimento delle sanzioni a carico della parte soccombente proponente ricorso (cosiddette «misure per il contrasto all'abuso del processo»), nonché introducendo restringimenti – oltre che al numero delle pagine ammissibili del ricorso – ai tempi ed alla portata dei provvedimenti cautelari, sottomettendoli al deposito di una cauzione, accelerando i tempi della definizione – in forma semplificata – della decisione, configurando una giustizia amministrativa, di fatto, non alla portata di ciascun cittadino e difficilmente in grado di esercitare il suo precipuo ruolo di controllo di legalità negli atti della pubblica amministrazione;
    il decreto-legge n. 92 del 2014 sui rimedi risarcitori in favore dei detenuti che, proseguendo in linea con i più recenti provvedimenti «Svuota carceri» ed «indulti mascherati», ha inteso addirittura conferire 8 euro al giorno ai carcerati sofferenti del sovraffollamento carcerario;
    il decreto-legge n. 132 del 2014 sulla giustizia civile, che ha delineato, l'introduzione di un separato sistema giudiziale (civile) sempre più privatizzato – nel quale le liti potranno essere risolte rivolgendosi a pagamento ad arbitri, mediatori e avvocati in maniera privata – a discapito dell'imparzialità della decisione e, di conseguenza, accessibile solo a chi potrà permettersi di pagarlo, nonché introducendo una nuova procedura «leggera» per separazioni e divorzi del tutto insensata se non accompagnata dalla riduzione dei termini temporali, così come peraltro indicato dalla Camera con l'approvazione della proposta di legge sul «divorzio breve»;
    il decreto legislativo ai sensi della legge delega n. 64 del 2014, con il quale si consente la non punibilità, a discrezione del giudice, per i reati fino a cinque anni, che determina una grave lesione alla capacità dello Stato, anche sotto il profilo della percezione, di tutelare a sicurezza dei cittadini;
    la legge di stabilità 2015, per le quali, oltre a comportare una riduzione delle dotazioni del Ministero della giustizia, derivanti da riduzioni sul programma amministrazione penitenziaria (-36,2 milioni di euro) e del programma giustizia civile e penale (-64,2 milioni), hanno disposto, l'aumento delle spese di notificazione richieste agli ufficiali giudiziari nelle cause e attività conciliative in sede non contenziosa davanti al giudice di pace, di valore inferiore a 1.033 euro;
    la legge di Stabilità del 2016 con il ricordato taglio complessivo di circa 36 milioni di euro al Ministero della Giustizia, assieme ad una serie di riduzioni delle indennità dei magistrati onorari, nonché di risorse per l'implementazione del processo civile telematico; la quale ha altresì comportato una riforma, di tipo ordinamentale, della cosiddetta «legge Pinto» mediante modifiche che, da un lato, irrigidiscono la procedura per il cittadino per accedere ad un'equa riparazione per l'irragionevole durata del processo e, dall'altro lato, ne riducono sensibilmente il «quantum» risarcitorio, con l'esclusivo intento di ridurre l'esborso dovuto dallo Stato al cittadino per il diritto alla giustizia così come configurato e prescritto da numerose indicazioni, in tal senso, da parte della CEDU;
    la produzione dei ricordati interventi legislativi, di scarso respiro, è stata costantemente dettata dall'esigenza di sfruttare politicamente il clamore suscitato dalla stampa di fronte a casi eclatanti che hanno sensibilizzato l'opinione pubblica, dando luogo ad esili e lacunose riforme rappresentate come intervento urgente, e necessario ad arginare ciò che di volta in volta occupava il dibattito sui media, quanto più, parallelamente gli interventi in tema di giustizia penale sono apparsi dominati da un «logica esterna» apparentemente riconducibile ad accordi extraparlamentari che, sul fronte del contrasto al malaffare hanno creato dilazioni dannose per l'affermazione e la difesa del principio della certezza della pena;
   tra questi, si iscrivono:
    la legge sulla corruzione approvata dopo un iter di ben 797 giorni in più letture parlamentari con esiti affatto soddisfacenti quanto alla dissuasione del malaffare;
    la modifica del reato di scambio elettorale politico mafioso previsto dall'articolo 416-ter: il Governo, per la solita regola dell'apparire e dell'apparenza, si è limitato all'innalzamento delle pene senza effettivamente incidere sulla condotta da provare. Per provare il voto di scambio, bisogna provare che il voto, o la promessa del voto, siano stati acquisiti mediante l'utilizzo del metodo mafioso. Ma come sappiamo, i mafiosi i voti lì portano con il sorriso sulle labbra, senza bisogno di intimidire nessuno. Anche la Cassazione ha dato un messaggio al legislatore, chiarendo che la legge può funzionare solo se il legislatore ricorrerà all'eliminazione dalla norma dell'inciso: «mediante le modalità di cui all'articolo 416-bis»;
    il provvedimento approvato alla Camera su modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, non contiene di fatto solo provvedimenti che imbavagliano la stampa, ma ha l'ambizione di volere risolvere i problemi del processo penale nella sua interezza: semplificare il processo, le procedure, e anche ridurre il carico, quindi deflazionare il carico dei procedimenti pendenti in sede penale, senza tenere nel debito conto che tali interventi normativi sarebbero da fare solo quando i giudici e il personale amministrativo dei tribunali in un successivo futuro fossero messi in grado di far funzionare effettivamente il tribunale stesso. Con le scoperture di organico vigenti ad oggi – oltre il 50 per cento in alcuni uffici del tribunale – sia per quanto riguarda i dipendenti amministrativi sia per quanto riguarda i giudici, la riforma di fatto è impossibile;
    altresì ai numerosi interventi nel settore della giustizia civile, non ha corrisposto, nelle intenzioni del Governo e della maggioranza, altrettanta attenzione e spirito riformatore nei confronti della giustizia penale, laddove, in tale settore, e più specificamente in tema di lotta alla corruzione, reato di falso in bilancio, certezza della pena, allungamento della prescrizione, reati fiscali, è da individuarsi la vera urgenza ed emergenza in tema di efficacia del sistema giustizia;
    sono da intendersi come indicativi di un metodo discontinuo, ondivago e, nei fatti, controproducente, in tema di lotta al malaffare da parte del Governo, i recenti esempi di interventi su singoli temi nell'ambito di più ampli contenitori legislativi in discussione presso il Parlamento quali, ad esempio, l'inserimento del reato dell'autoriciclaggio – del tutto inefficace se inapplicabile ai beni per godimento personale acquistati con capitali illeciti – nell'ambito della legge sul rientro dei capitali o la reintroduzione di ampie soglie nel reato di falso in bilancio attraverso un emendamento, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, in contraddizione a quanto dichiarato pubblicamente dallo stesso Ministro in materia;
    è in tale contesto che si è volutamente rinunciato ad attuare ben più ampi e ponderati progetti, se non di facciata, che avrebbero potuto incidere positivamente su vari aspetti sistematici, preferendo invece interventi di carattere disorganico, fra i quali si iscrive il rinnovato e discutibile impulso alla riforma della responsabilità civile dei magistrati, accantonando in tal modo l'opportunità di intervenire con lungimiranza sull'ordinamento, restituendo efficacia ed efficienza ad un servizio fondamentale per la democrazia e per la legalità;
    uno dei più gravosi problemi che affligge la giustizia italiana concerne patologicamente la mancanza di una effettiva volontà di razionalizzazione e rilancio del comparto giustizia, sia dal punto di vista quantitativo, in termini di mancanza di adeguati investimenti nelle strutture ed infrastrutture, sia dal punto di vista qualitativo a causa della mancanza di strumenti volti ad una pianificazione della formazione e valorizzazione della professionalità delle risorse umane impiegate negli uffici giudiziari;
    il perdurare di tale situazione ed anzi l'aggravarsi continuo delle condizioni di svolgimento dell'attività giudiziaria si riverbera inevitabilmente sulla funzionalità ed efficacia del servizio reso al cittadino, a cominciare dalla ragionevole durata del processo;
    un altro aspetto negativo del cattivo funzionamento della giustizia penale e dei problemi più impellenti che affliggono la giustizia italiana concerne la ragionevole durata del processo, in applicazione dell'articolo 111 della Costituzione e dell'articolo 6 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo concernente il diritto ad un processo equo, in presenza di oltre 5 milioni di processi civili e 3 milioni di processi penali e di tempi medi di definizione che nel civile sono pari ad oltre 7 anni e nel penale a circa 5 anni;
    l'aumento dei costi per l'accesso alla giustizia associato all'introduzione di filtri obbligatori preventivi prima del radicamento del procedimento civile stesso, rappresenta un approccio fortemente inidoneo a coniugare l'intento deflattivo del carico civile con la certezza del diritto quanto più laddove connesso ad un aggravio degli adempimenti per accedere alla procedura per il risarcimento all'eccessiva durata del processo stesso;
    con riferimento agli strumenti deflattivi, il combinato disposto della scelta dell'introduzione della mediazione obbligatoria con decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010 dichiarata incostituzionale, dalla sentenza 6 dicembre 2012, n. 272 della Corte costituzionale con sua conseguente disapplicazione, ma nuovamente reintrodotta, ad avviso dei firmatari della presente risoluzione con insignificanti modifiche, con l'introduzione nel decreto-legge n. 32 del 2014 dell'arbitrato per la conclusione extragiudiziale delle controversie civili, dà luogo a gravi carenze sotto il profilo dell'accesso alla giustizia per il cittadino nonché dell'imparzialità delle soluzioni adottate;
    nell'ambito degli interventi volti alla razionalizzazione del processo ed alla necessaria riduzione dei termini di celebrazione, non possono certamente essere considerati interventi strutturali e risolutivi la proroga dell'arruolamento, al fine di contribuire a smaltire l'arretrato civile, di stagisti, giovani neolaureati che reclutati dal Ministero della giustizia, con un ridottissimo contributo spese né alcuna copertura assicurativa sugli infortuni, e l'inserimento in via straordinaria e provvisoria di giudici ausiliari retribuiti a cottimo, nonché la proroga, senza precisi intendimenti della questione dei cosiddetti precari della giustizia;
    occorrerebbe portare a termine l'annoso processo di riforma della magistratura onoraria, riconsiderare positivamente il ruolo del giudice di pace in quanto, organo giudicante di primo grado in materia civile e penale, definisce annualmente oltre due milioni di procedimenti i quali hanno una durata che si attesta in tempi inferiori ad un anno, ovvero un terzo del tempo necessario per la definizione dei giudizi innanzi ai tribunali, rispettando il principio costituzionale della ragionevole durata del processo;
    sul tema del sovraffollamento carcerario le soluzioni sin qui proposte dal Ministro, confermando l'impostazione del precedente Governo, non hanno presentato interventi di tipo qualitativo, né qualitativo per il miglioramento delle condizioni detentive, laddove, in assenza di un «piano carceri» capace di fornire risultati tangibili è stata rafforzata ogni misura rivolta a conseguire scarcerazioni e misure alternative al carcere, mantenendo ugualmente un livello di popolazione carceraria pari a 52.164 reclusi, 3000 in più dei posti a disposizione;
    l'annoso problema del sovraffollamento carcerario rappresenta una questione di legalità perché nulla è più disastroso che far vivere chi non ha recepito il senso di legalità e, quindi, ha commesso reati, in una situazione di palese non corrispondenza tra quanto normativamente definito e quanto attuato e vissuto;
    con riferimento alle problematiche della situazione carceraria, non si può non rilevare il permanere di condizioni assolutamente paradossali, come quella di strutture terminate da molti anni e non ancora entrate in funzione, talune delle quali si presentano già obsolete;
    le strategie di lungo termine per affrontare il decongestionamento degli istituti carcerari, che risiedono nella costruzione di nuove strutture, vedono, ad oggi un «piano carceri» che, dalla sua attivazione nel 2010 non ha prodotto, al di fuori di questioni giudiziarie che ne hanno coinvolto il vertice e l'impiego di oltre quattrocento milioni di euro, ancora alcun risultato apprezzabile nella creazione di nuovi posti a disposizione per accogliere i detenuti, nonostante l'impostazione emergenziale degli strumenti a disposizione dei commissari;
    fra le questioni si ritengono prioritarie in materia di contrasto all'illegalità ed alla criminalità organizzata appare indispensabile valutare una più attenta gestione del 41-bis, relativamente ai circuiti informativi paralleli che nascono dentro gli istituti penitenziari, effettuare un puntuale monitoraggio degli enormi patrimoni confiscati ai mafiosi, nonché ulteriormente alzare il livello di guardia nei confronti delle rilevate infiltrazioni mafiose nell'ambito degli appalti anche attraverso maggiori stanziamenti da destinare all'Autorità nazionale anti corruzione;
    ricordato che, secondo il Corruption Perception index 2014 di Transparency International, l'Italia si classifica nuovamente al 69o posto nel mondo, conservando stessa posizione e punteggio dell'anno precedente. Sullo stesso gradino dell'Italia, con un voto di 43 su 100, troviamo di nuovo la Romania e altri due Paesi europei in risalita rispetto allo scorso anno: Grecia e Bulgaria;
    la corruzione costa allo Stato italiano 60 miliardi di euro, oggi l'Italia è il Paese più corrotto d'Europa, 69esimo posto nel mondo, sorpassata dalle migliori performance di Sud Africa e Kuwait (in 67esima posizione) e seguita da Montenegro, collocandosi nel G20 in una posizione inferiore a tutte le nazioni europee, sorpassata non solo da Usa e Canada, ma anche da Arabia Saudita e Turchia, tale che una delle questioni cruciali per il nostro Paese, anche dal punto di vista economico, è rappresentata dalla risposta che il sistema giustizia è in grado di offrire al fenomeno della corruzione, che, oltre a determinare sacche di illegalità in ambiti pubblici e privati, costituisce una vera e propria «zavorra» per il sistema economico con effetti devastanti sulle medie e piccole imprese in termini di mancata concorrenza;
    è evidente che una risposta al problema della corruzione non può essere circoscritta al piano giudiziario; tuttavia occorre rilevare che il Consiglio d'Europa ha più volte sottolineato criticamente come la prescrizione dei reati incida pesantemente, nel nostro Paese, sui processi per corruzione, invocando riforme che consentano di addivenire alle sentenze;
    la corruzione ha sin qui trovato terreno fertile a causa del fatto che molteplici strumenti normativi siano stati depressi o distrutti o non ancora introdotti, come la sostanziale depenalizzazione del falso in bilancio che consente a vile prezzo le uscite «in nero» dalle casse di imprese pubbliche e private;
    nessun procedimento di riorganizzazione può sperare di funzionare omettendo un corretto riconoscimento delle professionalità del personale dell'amministrazione giudiziaria, il cui sviluppo di carriera è rimasto da lungo tempo bloccato, nonché un adeguato accesso di personale qualificato dall'esterno;
    ogni ipotesi di amnistia o di indulto rappresenta una sconfitta per il principio di legalità per il principio di effettività della pena e per le tante vittime che hanno aspettato e sperato nel funzionamento della giustizia;
    il ricorso a surrettizi provvedimenti indulgenziati, slegati dall'apposito percorso previsto dall'articolo 79 della Costituzione e privi di un impatto generalizzato, rischiano di dar luogo a meccanismi in base ai quali lo sconto di pena cresce con il crescere della pena consentendo proprio ai soggetti più pericolosi sul piano criminale di poter uscire dal carcere;
    va considerato infine essenziale il perseguimento del principio di legalità e va valutata l'ineludibilità dell'efficienza del sistema giudiziario per il contrasto prioritario alla criminalità organizzata, alla corruzione ed all'evasione fiscale e, quindi, per il progresso socio-economico del Paese;
    ciò premesso, preso atto delle comunicazioni del Ministro della giustizia,

impegna il Governo:

   in materia di amministrazione della giustizia:
    a considerare il servizio giustizia che lo Stato rende al cittadino, basilare per il recupero di competitività del Paese, al centro della propria azione politica e progettuale, individuando adeguate e perduranti risorse economiche tese a conseguire efficienza ed efficacia per il funzionamento dell'amministrazione della giustizia sia mediante un significativo incremento di personale per l'intero comparto, sia giudicante che amministrativo, che attraverso la predisposizione di risolutive strategie di informatizzazione e digitalizzazione degli uffici, mediante banda larga e computer di ultima generazione inclusi portatili per il telelavoro con adeguati sistemi di sicurezza, e dei procedimenti con particolare riferimento al sistema delle comunicazioni e delle notificazioni per via telematica;
    a evitare ulteriori tagli al comparto giustizia e a garantire, al contempo, risorse per l'assunzione del necessario personale amministrativo, indispensabile ai giudici per celebrare i processi e garantire il diritto costituzionale del cittadino a tutelare i propri diritti nelle aule di giustizia, anche attraverso il ripristino dei fondi, ridotti con la Legge di Stabilità 2016, a giudici onorari ed al processo telematico, tagli che incidono sull'operatività contingente del sistema giustizia e sulla prospettiva di riuscire a completare l'implementazione del processo digitale, indispensabile alla riduzione dei tempi e dei costi per i procedimenti giudiziari;
    a garantire un livello adeguato di personale a supporto dell'intero settore mediante mirate politiche assunzionali con una previsione di almeno: 500 unità aggiuntive di personale socio-pedagogico e 500 di personale amministrativo-contabile per il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria; di 350 cancellieri e di 150 ufficiali giudiziari per i Tribunali – al fine, peraltro, di accompagnare da subito il processo di implementazione del processo telematico – di 1000 assunzioni per la Polizia penitenziaria ed una completa riqualificazione, mediante progressione professionale, del personale del Ministero della giustizia ed Unep;
    a procedere alle opportune e necessarie riqualificazioni professionali per l'intero comparto dei dipendenti del Ministero della giustizia;
    a intraprendere la strada di una riforma coerente e positiva di sistema, proposta mediante l'esclusivo strumento di un unico disegno di legge, che intervenga sulla struttura del procedimento penale per eliminare gli ostacoli alla sua celere celebrazione, tale da risolvere definitivamente i problemi della giustizia legati alla ragionevole durata del processo;
   a rimuovere ostacoli economici e procedurali che si frappongono tra il cittadino e l'esercizio del proprio diritto alla giustizia a partire da:
    una valorizzazione dell'istituto del gratuito patrocinio e della riduzione generalizzata delle spese di giustizia a carico dei cittadini (contributo unificato, marche da bollo, anticipazioni e altro), a partire dalla soppressione delle misure di innalzamento dell'anticipazione forfettaria per le notificazioni nei procedimenti giurisdizionali e di riduzione di un terzo degli importi spettanti al difensore, all'ausiliario del magistrato, al consulente tecnico di parte e all'investigatore privato autorizzato nei casi di patrocinio a spese dello Stato;
    l'abolizione di qualsiasi carattere di obbligatorietà, onerosità e consequenzialità sulle decisioni giudiziali dell'istituto della mediazione;
    la previsione, nell'ambito della degiurisdizionalizzazione del processo civile, di rendere interamente gratuito il ricorso all'arbitrato per la definizione extra processuale delle controversie;
   la rimozione di ogni previsione di introdurre una motivazione a pagamento tale da limitare la possibilità per una vittima di poter ricorrere contro una sentenza sbagliata, se non pagando ulteriormente per la tutela di un diritto;
   la modifica dell'attuale assetto della «legge Pinto» facilitando l'accesso per il cittadino ad un'equa riparazione per l'irragionevole durata del processo sia attraverso la previsione della facoltatività dell'esperimento dei rimedi preventivi ai fini dell'accesso alla procedura, sia mediante il ripristino delle modalità di ricorso antecedenti le riforme degli ultimi anni, più congruenti con il dettato e con la giurisprudenza della CEDU, nonché riconoscendo un adeguato quantum risarcitorio per ciascun anno di ritardo;
   l'introduzione, di condotte riparatorie che estinguono il reato, che devono essere sempre frutto di una libera scelta della vittima e non dello Stato in accordo con il colpevole;
   la facoltà per il giudice, nell'esclusivo interesse della vittima del reato, a fronte di indagini lacunose, di poter in ogni caso richiedere un'integrazione delle indagini;
   il rafforzamento dell'integrità della tutela giudiziale, riducendo a mera facoltà delle parti – e non a una condizione di procedibilità della domanda giudiziale – il ricorso agli strumenti di composizione stragiudiziale delle controversie, nella radicata e ferma convinzione che non si debba alleggerire il carico di lavoro dei giudici e fare fronte all'enorme arretrato dei tribunali comprimendo i diritti dei cittadini;
   nonché, al fine della riduzione del contenzioso civile ed alla funzionalità degli uffici giudiziari, l'indizione, nel primo provvedimento utile, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste dalla normativa vigente, di concorsi fino alla completa copertura dei posti vacanti delle piante organiche dei magistrati nonché del personale amministrativo non dirigenziale delle singole strutture, centrali e periferiche, dell'Amministrazione giudiziaria;
   in tema di giustizia amministrativa, a rimuovere i limiti al diritto all'accesso alla giustizia per i ricorrenti quali, in particolare: la limitazione nella dimensione degli atti del ricorso, l'inasprimento delle penalità per la parte soccombente (misura di carattere dissuasoria piuttosto che sanzionatoria), il pagamento di una cauzione potenzialmente subordinante l'efficacia della misura cautelare, nonché la previsione della sentenza in forma semplificata, in quanto deleteri ai fini di un adeguato ed efficace controllo giurisdizionale sugli atti della pubblica amministrazione;
   in materia di diritto fallimentare, ad adoperarsi per apportare una riforma organica ed univoca delle procedure concorsuali, attraverso lo strumento del disegno di legge piuttosto che della legge-delega, tale da garantire un approccio unitario ad un settore provato da una frequente stratificazione di norme che hanno visto, solo nell'ultimo semestre, la produzione da parte dell'esecutivo di due provvedimenti tra di essi confliggenti;
   in tema di esecuzione, ad assumere iniziative per estendere le facoltà previste dalla legge 21 gennaio 1994 n. 53 anche all'esecuzione dei pignoramenti che si eseguono mediante notificazione di un atto, con i seguenti accorgimenti: gli oneri di autorizzazione del Consiglio dell'ordine circondariale forense e di annotazione nel registro cronologico siano estesi anche ai pignoramenti notificati a mezzo posta elettronica certificata; la qualità di Pubblico ufficiale, all'avvocato notificante, sia estesa anche all'attestazione che l'Avvocato deve fare a pena di nullità del pignoramento, di essere munito di titolo esecutivo e di aver notificato lo stesso e il precetto; prevedere che la competenza esclusiva dell'ufficiale giudiziario sia circoscritta nelle esecuzione di quei pignoramenti o attività esecutive che implicano l'ingerenza nel domicilio o in altre appartenenze del debitore, che coinvolgono le sue libertà personali; prevedere che l'avvocato pignorante, in aggiunta al suo compenso pattuito col proprio assistito e/o rifuso dal debitore ex articolo 95 codice di procedura penale, abbia solo il diritto di ottenere il rimborso delle spese vive da lui sostenute;
   a sostenere una più ampia e maggiormente incisiva legislazione anticorruzione e più in generale contro il malaffare, nell'esclusivo interesse del cittadino contribuente onesto che sia dunque orientata:
     a) a realizzare un «DASPO» per i corrotti e corruttori, cioè l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e l'incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione per coloro che hanno danneggiato la pubblica amministrazione con comportamenti accertati con una sentenza passata in giudicato;
     b) ad un aumento delle pene per tutti i reati contro la pubblica amministrazione: riallineando le fattispecie e recuperando la logica delle sanzioni nel codice;
     c) a sancire l'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego nei confronti del dipendente di amministrazioni o enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica a seguito di una condanna per un tempo non inferiore ad un anno per una serie di delitti contro la pubblica amministrazione;
     d) ad inserire l'aumento di pena per il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, di cui all'articolo 316-ter del codice penale;
     e) a una revisione della prescrizione che la interrompa dal momento del rinvio a giudizio dell'imputato nonché a prevedere il raddoppio dei termini di prescrizione per i reati di corruzione;
     f) alla tutela del segnalatore di reati, il wisteblower, tale da proteggere chi denuncia, anche in forma anonima, la corruzione, nel pubblico e nel privato, contro ogni discriminazione diretta o indiretta con la previsione di premialità sulla base delle cifre recuperate all'erario conseguenti alle segnalazioni effettuate;
     g) a reintrodurre il reato di falso in bilancio senza alcuna soglia di non punibilità;
     h) al fine di scoraggiare qualsiasi alleanza tra politica e criminalità organizzata, a rivedere la tipizzazione dell'articolo 416-ter del codice penale procedendo alla soppressione nell'articolo dell'inciso ”mediante le modalità di cui all'articolo 416-bis.»;
     i) a ponderare attentamente la scelta della procedibilità a querela di parte prevedendo i reati determinati a cui riferirsi se l'offesa arrecata è di modesta entità;
     l) ad aumentare le pene per i reati di natura amministrativa e rendere severa la punizione per chi attacca il pubblico interesse;
     m) ad un aggiornamento del reato di autoriciclaggio così da colpire il riutilizzo dei capitali indebitamente percepiti o frutto di corruzione anche se impiegati per l'acquisto di beni per godimento personale del reo;
   a ricondurre ad un principio di proporzionalità nella determinazione della sanzione penate la legislazione in materia di reati tributari, mediante una riduzione generalizzata delle soglie di non punibilità di cui al secondo Titolo del decreto legislativo n. 74 del 2000 previste per le singole fattispecie di reato, tenuto presente che l'efficacia deterrente della sanzione amministrativa pecuniaria, infatti, non è idonea da sola a disincentivare le condotte di evasione dal momento che spesso le frodi fiscali vengono perpetrate ed attuate attraverso l'impiego delle cd. «teste di legno» ovverosia soggetti privi di garanzie patrimoniali, segnatamente intervenendo sui reati di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, di dichiarazioni infedeli, sottrazione di attivi all'imposizione, omessa dichiarazione, omesso versamento di ritenute certificate, l'omesso versamento dell'IVA;
   a riconsiderare le norme in materia di «non punibilità dei reati lievi», operando un'ulteriore esclusione dal novero degli effetti della delega per i reati che destano maggiore allarme sociale, escludendo correlazioni tra il principio della particolare tenuità ed i reati tributari;
   ad assumere iniziative per rivedere la recente riforma della responsabilità civile dei magistrati, tale da realizzare una procedura di responsabilità scevra da qualsiasi intento intimidatorio e tesa unicamente ad accertare l'effettività della colpa grave nella condotta del giudice, al fine di non compromettere l'indipendenza e l'autonomia della magistratura da qualsiasi condizionamento esterno;
   a non esercitare la delega in materia di disciplina di intercettazioni, riconducendone eventualmente la revisione nell'ambito proprio di un'apposita riforma del reato di diffamazione, mediante lo strumento di un disegno di legge ordinario;
   a istituire, un «Fondo per le vittime dei reati intenzionali violenti», in modo da adempiere al dettato della direttiva del 2004/80, laddove questa impone che ciascun Stato membro realizzi «un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti» che vede il nostro Paese da tempo inadempiente;
   a favorire altresì, per quanto di competenza, il completamento dell’iter delle proposte di legge di iniziativa parlamentare in tema di: revisione dell'impianto normativo e depenalizzazione dei reati connessi alla coltivazione, cessione e consumo della cannabis; revisione della prescrizione nel processo penale; determinazione e il risarcimento del danno non patrimoniale: riforma dello strumento dell'azione di classe; reformatio in peius nel processo d'appello in caso di proposizione dell'impugnazione da parte del solo imputato; protezione degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità nell'interesse pubblico: l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sugli allontanamenti dei minori dalle famiglie e sulle situazioni di incompatibilità e di conflitto di interessi di componenti privati presso i tribunali e le Corti di appello per i minorenni; una modifica dell'articolo 145 del codice di procedura civile, concernente la notificazione degli atti alle persone giuridiche; la revisione della legge 31 dicembre 2012, n. 247, in materia di ordinamento della professione forense; la revisione dell'articolo 696-bis del codice di procedura civile in materia di consulenza tecnica preventiva;
   con riferimento al sistema carcerario impegna, altresì, il Governo:
    a reperire le necessarie risorse finanziarie per l'edilizia penitenziaria prevedendo, nel rispetto della normativa vigente, la realizzazione di nuove strutture solo ove necessario e, con priorità, l'ampliamento e l'ammodernamento di quelle esistenti che siano adattabili, assicurando anche l'attuazione dei piani e dei programmi a tal fine previsti, evitando in ogni caso il ricorso a procedure straordinarie in deroga alla normativa sugli appalti di lavori pubblici;
    ad assumere le opportune iniziative volte ad incentivare – nel pieno rispetto dei diritti riconosciuti alle persone detenute e delle norme nazionali ed internazionali di carattere pattizio – il trasferimento delle persone straniere detenute che abbiano subito condanna definitiva, assicurando a tal fine una più ampia ed efficace applicazione della Convenzione del Consiglio d'Europa firmata a Strasburgo, il 21 marzo 1983 e favorendo altresì la conclusione di appositi accordi in tal senso con altri Paesi, in modo da consentire ad un maggior numero di persone di scontare la condanna nel Paese d'origine;
   a garantire, per quanto di competenza, il principio della certezza della pena, ponendo fine alla definizione di norme emergenziali recenti sconti di pena generalizzati a scapito della sicurezza dei cittadini;
   a mettere in atto adeguate misure normative tali che il garante nazionale per i diritti dei detenuti sia concretamente slegato ed indipendente, sia sul piano formale che sostanziale, dall'Esecutivo;
   ad assumere iniziative per lo stanziamento di fondi necessari per completare l'organico degli operatori, compresi psicologi ed educatori, previsti dalla pianta organica attualmente vigente presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;
   ad intervenire sugli organici di tutte le figure che operano negli istituti di pena e nel circuito penale esterno, in particolare prevedendo nuove assunzioni, congrue ed adeguate ai nuovi compiti che la legislazione va loro gradualmente affidando;
   a intervenire con maggiore efficacia per la tutela dei diritti umani e della dignità delle persone recluse, mediante la previsione di forme di controllo indipendente degli istituti (accertandone la vivibilità anche dal punto di vista igienico-sanitario), promuovendo la dotazione di strutture e personale idonei ad assicurare un'adeguata assistenza psicologica ai reclusi, progetti mirati di sostegno educativo e sociale (attraverso la creazione di centri di ascolto, la predisposizione di misure di particolare attenzione nelle prime fasi della detenzione, la limitazione e il controllo dell'isolamento disciplinare), nonché percorsi di formazione e lavoro necessari per assicurare una nuova vita dopo il carcere: ciò, al fine di contrastare i suicidi, la violenza, la soggezione tra gli stessi e agire in maniera efficace per il reinserimento sociale e la drastica riduzione della recidività a causa della creazione di adeguate reti di accoglienza e supporto sociale al di fuori del carcere;
   al fine di ridurre la recidiva e favorire la riabilitazione, il recupero ed il reinserimento del detenuto nella società, a destinare adeguate risorse al lavoro all'interno delle carceri;
   ad operare una revisione delle misure di sicurezza solo mediante una riforma globale della disciplina delle stesse inserendola nel contesto della riforma complessiva del sistema sanzionatorio, chiarendo altresì criteri e principi ordinativi, in luogo di una mera razionalizzazione della disciplina esistente;
   alla tutela e al miglioramento delle condizioni di accesso e di possibilità di relazione dei figli dei detenuti con i propri genitori, anche mediante la creazione negli istituti di pena degli spazi child friendly per permettere ai bambini, figli di detenuti, di visitare in condizioni accettabili i loro genitori nel rispetto della loro condizione infantile.
(6-00194) «Ferraresi, Bonafede, Colletti, Agostinelli, Businarolo, Sarti».