• Testo RISOLUZIONE IN COMMISSIONE

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Atto a cui si riferisce:
C.7/00897    premesso che:     il 27 ottobre 2015, è stata trasmessa al Parlamento la relazione annuale sullo «Stato di attuazione delle norme per la tutela sociale della maternità e...



Atto Camera

Risoluzione in commissione 7-00897presentato daNICCHI Marisatesto diGiovedì 28 gennaio 2016, seduta n. 557

   La XII Commissione,
   premesso che:
    il 27 ottobre 2015, è stata trasmessa al Parlamento la relazione annuale sullo «Stato di attuazione delle norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria della gravidanza – legge 194/1978»; nella quale vengono presentati i dati definitivi relativi all'anno 2013 e quelli preliminari per l'anno 2014;
    per quanto riguarda il 2014, nella relazione si conferma la tendenza alla riduzione del numero di interruzioni volontarie di gravidanza (IVG) eseguite nel nostro Paese (nel 2014 ne sono state notificate 97.535, con una riduzione del 5,1 per cento rispetto al 2013). Anche il tasso di abortività (numero delle IVG per 1000 donne fra 15-49 anni) presenta nel 2014 una diminuzione del 5,9 per cento rispetto al 2013;
    nella stessa relazione si conferma l'elevato tasso di obiezione di coscienza tra il personale sanitario: nel 2013 sono risultati obiettori il 70 per cento dei ginecologi, il 49,3 per cento degli anestesisti, e il 46,5 per cento del personale non medico. Il tasso di ginecologi obiettori di coscienza, in alcune aree del paese arriva a percentuali veramente inaccettabili: «93,3 per cento in Molise, 92,9 per cento nella PA di Bolzano, 90,2 per cento in Basilicata, 87,6 per cento in Sicilia, 86,1 per cento in Puglia, 81,8 per cento in Campania, 80,7 per cento in Lazio e in Abruzzo»;
    si evidenzia inoltre l'esistenza del fenomeno della cosiddetta «obiezione di struttura»: circa il 35 per cento delle strutture viola di fatto il dettato dell'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, proprio quello che regola il diritto a sollevare obiezione di coscienza, secondo cui: «Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale». Tale fenomeno ha come conseguenza logica una sottostima dei dati dell'obiezione di coscienza, in quanto è evidente che il personale che lavora in una struttura che non applica la legge non ha bisogno di sollevare obiezione, e dunque risulta «non obiettore» pur non praticando interruzioni di gravidanza;
    nonostante queste evidenti criticità nell'attuazione della legge e del suo monitoraggio, nella medesima relazione la Ministra sostiene che «il numero di non obiettori risulta congruo, anche a livello sub-regionale, rispetto alle IVG effettuate, e non dovrebbe creare problemi nel soddisfare la domanda di IVG»;
    si ignora, dunque, che tali percentuali medie inevitabilmente «nascondono» le tante realtà di strutture sanitarie dove la legge n. 194 di fatto non viene applicata, o lo è solo parzialmente, e che quelle stesse percentuali impongono inevitabilmente un ruolo «penalizzante» ai pochi medici non obiettori, ossia quei 30 medici che si devono far carico del lavoro che gli altri 70 medici non sono disposti a fare;
    a livello nazionale, la principale conseguenza di un numero così elevato di obiettori di coscienza è quella di rendere estremamente difficoltosa la piena applicazione della legge n. 194 del 1978, con effetti negativi sia per le donne che chiedono l'interruzione volontaria di gravidanza, sia per gli operatori;
    negli ultimi tempi stanno emergendo sempre più denunce di un possibile ritorno degli aborti clandestini, che potrebbe vanificare molti dei dati riportati dalla relazione;
    con riguardo alla quantificazione degli aborti clandestini in Italia, la suddetta relazione riporta che nel 2012 l'Istituto superiore di sanità ha effettuato una stima degli stessi, quantificati tra i 12 e i 15 mila, cifre che indicherebbero una stabilizzazione del fenomeno negli ultimi 10 anni;
    questo dato è però molto probabilmente sottostimato: infatti l'utilizzazione degli stessi modelli matematici della precedente rilevazione del 2005, non considera gli avvenuti mutamenti della società e la possibilità di reperire i nuovi farmaci capaci di indurre l'aborto, acquistabili grazie alle prescrizioni di medici compiacenti ma anche sul mercato clandestino e su internet;
    ignorare il fenomeno dell'aborto clandestino comporta l'elusione di tutte le iniziative, sia legislative che di informazione e sensibilizzazione, volte a informare sulle gravi conseguenze legate ad un uso «fai da te», clandestino e fuori controllo, dei suddetti farmaci;
    dal 2009 l'AIFA ha autorizzato l'immissione in commercio della Ru486, per l'IVG, farmacologica, nel rispetto dei precetti normativi previsti dall'articolo 5 della legge n. 194 del 1978;
    a quattro anni di distanza, tuttavia, nel 2013 solo il 9,7 per cento delle donne ha potuto interrompere la gravidanza con il metodo farmacologico, con l'assurdo delle Marche dove tale metodica non è stata applicata in nessuna struttura della regione;
    questa sottoutilizzazione, che comporta la reale impossibilità delle donne di esercitare il diritto di scelta in relazione alle metodiche, è di fatto legata alle difficoltà organizzative dovute all'imposizione del ricovero ordinario nella stragrande maggioranza delle regioni;
    la medesima relazione al Parlamento, in relazione alla IVG farmacologica riporta che «sebbene la gran parte delle Regioni e delle strutture avessero adottato come regime di ricovero quello ordinario con l'ospedalizzazione della donna, molte di loro (76 per cento) hanno richiesto la dimissione volontaria dopo la somministrazione di Mifcpristone o prima dell'espulsione completa del prodotto abortivo, con successivi ritorni in ospedale per il completamento della procedura e nel 95 per cento dei casi le donne sono tornate al controllo nella stessa struttura. Inoltre nel 96,9 per cento dei casi non vi era stata nessuna complicazione immediata. Anche al controllo post dimissione nel 92,9 per cento dei casi non era stata riscontrata nessuna complicanza»;
    l'articolo 8 della legge n. 194 del 1978 prevede che nei primi novanta giorni gli interventi di interruzione volontaria di gravidanza possano essere effettuati negli ospedali pubblici generali e specializzati, e «presso poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati, funzionalmente collegati agli ospedali ed autorizzati dalla regione»;
    nel dicembre 2015 l'associazione AMICA ha presentato una lettera aperta alla Ministra della salute nella quale si sottolinea come il ricovero ordinario per l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia una procedura non appropriata che comporta uno spreco enorme di risorse per il nostro sistema sanitario nazionale (oltre 1.000 euro a paziente, contro i circa 600 del ricovero in day hospital, e i circa 50 della procedura ambulatoriale);
    permettere la procedura ambulatoria e minimizzerebbe gli effetti dell'obiezione di coscienza sull'applicazione della legge 194, in quanto gli obiettori nei consultori sono solo il 22 per cento, come riferito dalla stessa relazione ministeriale, e permetterebbe di garantire realmente la possibilità di scelta per le donne;
   è dunque indispensabile che l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia maggiormente e più diffusamente proposta su tutto il territorio nazionale come valida opzione alle donne, mettendole così in condizione di poter scegliere liberamente quale percorso intraprendere, garantendo e favorendo la sua somministrazione nell'ambito della stessa rete dei consultori;
    la citata relazione del Ministero della salute, conferma peraltro proprio la necessità di un reale rafforzamento dei consultori familiari, e questo anche in quanto strumento essenziale per le politiche di prevenzione e promozione della maternità e della paternità libera e responsabile;
    si ricorda che il progetto obiettivo materno infantile (POMI) assegna un ruolo strategico centrale ai consultori familiari nella promozione e tutela della salute della donna; la stessa relazione al Parlamento del Ministero della salute, conferma tutte le criticità nell'attuale rete di consultori, sottolineando come «nel 2013 il tasso di presenza dei consultori familiari pubblici è risultato pari a 0.7 per 20 mila abitanti, valore stabile dal 2006, mentre la legge n. 34 del 1996 ne prevede 1 per lo stesso numero di abitanti. Nel POMI sono riportati organico e orari di lavoro raccomandati ma purtroppo i 2061 consultori familiari censiti nel 2013 rispondono solo in parte a tali raccomandazioni e ben pochi sono organizzati nella rete integrata dipartimentale, secondo le indicazioni strategiche, sia organizzative che operative raccomandate dal POMI stesso. L'assenza della figura medica o la sua indisponibilità per il rilascio del documento e della certificazione, la non integrazione con le strutture in cui si effettua l'IVG, oltre alla non adeguata presenza del consultorio sul territorio, riducono il ruolo di questo fondamentale servizio»,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per valorizzare e ridare piena centralità ai consultori, quale servizio per la rete di sostegno alla sessualità libera e alla procreazione responsabile, anche attraverso un adeguamento delle risorse, della rete di servizi, degli organici, delle sedi;
   ad assumere tutte le iniziative utili affinché sia implementato e facilitato su tutto il territorio nazionale l'accesso all'interruzione volontaria di gravidanza con il metodo farmacologico in regime di day hospital e, dove possibile nei consultori familiari e nei poliambulatori, come previsto dall'articolo 8 della legge n. 194 del 1978, prevedendo contestualmente che i conseguenti risparmi di spesa vengano reinvestiti nella sanità pubblica e in particolare nel potenziamento delle reti dei consultori e in un più facile accesso alla contraccezione;
   ad avviare un serio ed efficace monitoraggio e studio del fenomeno dell'aborto clandestino per arrivare a una stima credibile e aggiornata circa l'effettiva dimensione del fenomeno;
   a mettere in atto tutte le iniziative normative per il contrasto del commercio on-line di medicinali per i quali è necessaria la presentazione di ricetta medica, nonché idonee iniziative di informazione e sensibilizzazione, circa le gravi conseguenze legate ad un uso «fai da te», clandestino e fuori controllo, di farmaci utilizzati incautamente per interrompere una gravidanza indesiderata;
   ad avviare un serio e capillare programma di informazione e di promozione dei metodi contraccettivi, di conoscenza riguardo al libero accesso alla contraccezione d'emergenza, e di educazione sessuale nelle scuole;
   a garantire, per quanto di competenza, il rispetto e la piena applicazione della legge n. 194 del 1978 su tutto il territorio nazionale nel rispetto del principio di libertà delle donne in materia di maternità e paternità responsabili e del riconoscimento della libera scelta e del diritto alla salute delle donne, assumendo tutte le iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, finalizzate anche all'assunzione di personale non obiettore al fine di garantire il servizio di interruzione volontaria di gravidanza;
   ad attivarsi nell'ambito delle proprie competenza, al fine di assicurate, come prevede la legge, il reale ed efficiente espletamento da parte di tutti gli enti ospedalieri e delle strutture private accreditate, delle procedure e degli interventi di interruzione della gravidanza chirurgica e farmacologica;
   ad assumere iniziative per garantire ogni struttura pubblica o del privato accreditato (sia essa un ospedale o un consultorio) ad applicare la legge, facendo sì che solo a fronte di questo impegno possa essere concesso l'accreditamento.
(7-00897) «Nicchi, Gregori, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Fratoianni, Carlo Galli, Marcon, Pannarale, Pellegrino, Ricciatti, Scotto, Zaccagnini».