• Testo RISOLUZIONE IN COMMISSIONE

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Atto a cui si riferisce:
C.7/00903    premesso che:     con l'introduzione del «lavoro accessorio» nel nostro ordinamento si intendeva perseguire l'obiettivo di regolamentare, nell'ottica di una maggiore tutela...



Atto Camera

Risoluzione in commissione 7-00903presentato daAIRAUDO Giorgiotesto diMercoledì 3 febbraio 2016, seduta n. 561

   L'XI Commissione,
   premesso che:
    con l'introduzione del «lavoro accessorio» nel nostro ordinamento si intendeva perseguire l'obiettivo di regolamentare, nell'ottica di una maggiore tutela del lavoratore, quelle attività lavorative che si collocano al di fuori della legalità. Si tratta infatti di prestazioni non riconducibili alle tipologie contrattuali tipiche del lavoro subordinato o del lavoro autonomo, ma aventi la finalità di assicurare le tutele minime previdenziali e assicurative, attraverso una forma di retribuzione costituita dai cosiddetti voucher (o buoni lavoro) e che garantiscono anche una copertura contributiva presso l'Inps e l'Inail;
    tale fattispecie lavorativa è stata introdotta nel nostro ordinamento da uno dei decreti legislativi attuativi della legge Biagi, decreto legislativo n. 273 del 2003), che definisce e disciplina le «prestazioni occasionali di tipo accessorio» con lo scopo dichiarato di regolamentare tutte le attività lavorative «occasionali». Il decreto legislativo ha previsto che tali prestazioni siano retribuite dal committente attraverso buoni lavoro (voucher), il cui valore nominale è stato fissato, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, in 10 euro non riferito a nessun limite orario;
    l'ambiguità derivante dalla non chiara definizione di «occasionalità» ed «accessorietà» era stata in un secondo momento limitata, circoscrivendo la nuova disciplina ad una serie di attività tassativamente elencate (ad esempio i lavori di giardinaggio, di pulizia, di manutenzione di edifici, di manifestazioni sportive e altro), nonché limitando l'istituto ad alcune categorie di lavoratori (giovani con meno di 25 anni regolarmente iscritti ad un ciclo di studi, limitatamente ai periodi estivi e festivi e altro);
    la riforma «Fornero» del mercato del lavoro (legge n. 92 del 2012) ha apportato una radicale trasformazione della originaria disciplina del «lavoro accessorio», le cui conseguenze, non del tutto previste dal legislatore, rischiano di stravolgere il mercato del lavoro, soprattutto quello a carattere stagionale. Infatti, la stessa legge, pur ribadendo «la natura meramente occasionale» dei rapporti di lavoro «accessorio», ha radicalmente ridefinito i limiti di applicazione dell'istituto, eliminando l'elenco delle attività previste dalla disciplina previgente e stabilendo che si definisce «lavoro accessorio» quello per il quale il prestatore di lavoro, nel corso dell'anno solare, non percepisca più di euro 5.000,00 netti complessivi e non più di euro 2.000,00 netti quando il committente sia imprenditore o professionista. Pertanto, tale tipo di rapporto di lavoro è ora definito dai soli limiti economici dei compensi a prescindere dalla tipologia della attività svolta. Esso può essere svolto per ogni tipo di attività (lavoro autonomo o subordinato, full time o part-time) e da qualsiasi soggetto (disoccupato, inoccupato, pensionato, studente, percettore di prestazioni a sostegno del reddito);
    con la legge cosiddetta Jobs Act, è stata estesa la possibilità di fare ricorso a prestazioni di lavoro accessorio per le attività lavorative discontinue e occasionali nei diversi settori produttivi, fatta salva la piena tracciabilità dei buoni lavoro acquistati, con contestuale rideterminazione contributiva. Nella seduta del 25 novembre 2014, il Governo aveva accolto l'ordine del giorno Palazzotto e altri (ordine del giorno 9/02660-A/024), con il quale lo si impegnava a creare un argine all'incremento del ricorso improprio alle prestazioni di lavoro accessorio;
    tuttavia, il Governo, a parere dell'interrogante, non ha tenuto conto dell'ordine del giorno in occasione dell'emanazione del decreto legislativo di attuazione della delega legislativa. Infatti, il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, recante «Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183», ha innalzato a 7.000 euro netti, rivalutabili annualmente, il limite massimo del compenso che il prestatore può percepire dalla totalità dei committenti nel corso dell'anno civile e ha confermato il tetto di 2.000 euro per le prestazioni rese nei confronti di committenti imprenditori e professionisti, oltre a quello di 3.000 euro per i percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito (articolo 48, comma 1);
    la disciplina dell'istituto, così come si è sviluppata nella successione delle leggi descritte, appare all'interrogante subito di difficile armonizzazione con l'insieme del diritto del lavoro vigente nel nostro ordinamento. La nuova disciplina del lavoro accessorio, estesa a qualsiasi tipologia di prestazione, abbandonato il requisito dell'occasionalità – che sembrava limitarla alle sole prestazioni lavorative non continuative, marginali, prevalentemente «autonome» o perlomeno border line – e stabilendo un criterio distintivo esclusivamente economico, prescinde del tutto dalla qualificazione del rapporto di lavoro, in quanto consente di disciplinare allo stesso modo sia rapporti di lavoro, di fatto, subordinati che rapporti di lavoro senza il requisito della subordinazione;
    la disciplina in esame deroga inoltre all'obbligo del versamento dei contributi Inps secondo le aliquote proprie dei vari fondi previdenziali ed assicurativi per i lavoratori dipendenti, che risultano ben più alte di quella unica (13 per cento) prevista per il lavoro accessorio a favore della gestione separata. In tal modo, il lavoratore perde implicitamente il diritto di beneficiare del trattamento previdenziale previsto per il fondo al quale sarebbe stato iscritto in base ad un corretto inquadramento della sua attività lavorativa. Inoltre, il lavoro accessorio non dà diritto alle prestazioni per malattia, maternità, disoccupazione ed assegni familiari;
    considerata la maggiora convenienza e facilità per i datori di lavoro di ricorrere al lavoro accessorio, complice la crisi economica, tale tipologia contrattuale viene sempre più usata per «mascherare» o trasformare «legalmente» rapporti di lavoro subordinato, soprattutto quelli a tempo determinato e stagionali, in rapporti di lavoro accessori e dunque ancor più precari. Esattamente l'opposto di quello che l'introduzione del rapporto di lavoro accessorio intendeva realizzare, consentendo la regolarizzazione di autentici rapporti di lavoro «occasionali», che sarebbero altrimenti rimasti nella illegalità;
    la banca dati dell'Osservatorio sul lavoro occasionale accessorio pubblicata dall'Inps sul suo sito, mostra che la vendita dei voucher in Italia è aumentata in maniera esponenziale dal 2008, quando i voucher venduti furono 535.985, al 2012, quando i voucher furono 23.813.978, al 2014, quando i voucher sono passati a 69.186.250;
    i dati pubblicati, relativi al 2015, riportano che sono stati venduti nel solo primo semestre 49.952.229. Ma i dati dell'Osservatorio sul precariato dell'Inps hanno anticipato che, nei primi undici mesi del 2015, sono stati venduti ben 102,4 milioni di buoni, il 67,5 per cento in più rispetto al corrispondente periodo del 2014, con punte del 97,4 per cento in Sicilia, dell'85,6 per cento in Liguria e dell'83,1 per cento e 83 per cento, rispettivamente, in Abruzzo e in Puglia;
    con riguardo ai vari settori professionali, uno degli incrementi più significativi dell'utilizzo dei voucher si è avuto nel settore del turismo nel quale il ricorso ai voucher è passato da 1.836.887 del 2012 (7,7 per cento del totale) a 11.396.525 del 2014 (16,5 per cento), fino ai 7.471.377 del primo semestre 2015 (15 per cento). Contestualmente, nel medesimo settore sono diminuiti gli occupati con contratti di tipo subordinato;
    la preoccupazione per il ricorso abusivo al lavoro accessorio in agricoltura è stato espresso nel testo unificato delle risoluzioni in materia di interventi per la prevenzione e il contrasto del lavoro irregolare e del caporalato in agricoltura (risoluzione conclusiva n. 8-00158), approvato dalle Commissioni riunite XI e XIII della Camera il 2 dicembre 2015. La risoluzione ha preso atto della volontà espressa congiuntamente dai Ministri delle politiche agricole, alimentari e forestali e della giustizia di varare uno specifico atto legislativo finalizzato, tra gli altri, ad assicurare interventi per evitare un uso distorto dei voucher e ha impegnato il Governo a intensificare l'attività di vigilanza e di controllo finalizzata al corretto utilizzo dei voucher per prestazioni di lavoro accessorio in agricoltura e a prendere in considerazione l'opportunità di rendere obbligatoria la procedura sperimentale FastPOA;
    la crescita inarrestabile del lavoro accessorio – più conveniente e senza tutele per i lavoratori – ha fatto ridurre il ricorso ad altre tipologie contrattuali in molti settori economici, con il paradosso i settori per i quali il lavoro accessorio era stato inizialmente pensato, al fine di favorire l'emersione del «lavoro nero» (agricoltura, lavoro domestico, piccole manutenzioni e altro), oggi risultano residuali rispetto a quelli in cui è maggiormente diffuso (commercio, servizi e turismo);
    il lavoro accessorio non prefigura un contratto di lavoro, ma uno scambio di prestazioni ai minimi termini, senza ferie, malattia, trattamento di fine rapporto, indennità di disoccupazione. Non serve ad accrescere la competitività delle aziende, ma semmai la loro redditività. Non è un investimento sulle persone, ma un risparmio immediato per le aziende, che si traduce anche in un abbassamento della qualità del lavoro che, nel tempo, porterà ad una perdita di competitività nei settori professionali nei quali vi si ricorre in maniera abusiva;
    i voucher si prestano ad una colossale evasione contributiva, in quanto, a fronte di un mese di lavoro, vengono erogati pochi voucher e tutto il resto viene retribuito in nero – come alcune testimonianze confermano;
    gli stessi numeri dimostrano che i voucher venduti non valgono neanche in minima parte a compensare il contratto a tempo determinato che sono andati perduti. In buona sostanza, quello che si verifica è che i voucher vengono utilizzati come una sorta di «parafulmine» in previsione di sempre possibili visite ispettive di Inps o dell'Ispettorato del Lavoro;
    nel maggio 2015, il presidente dell'Inps Tito Boeri ha definito il lavoro accessorio e i voucher «la nuova frontiera del precariato», aggiungendo che «il loro incremento può significare problemi futuri ed è bene guardare questo fenomeno con grande attenzione»;
    la Sottosegretaria Bellanova, rispondendo all'interrogazione a risposta in commissione n. 5-07007, il 13 gennaio 2016, ha ricordato che il citato decreto attuativo del Jobs Act decreto legislativo n. 81 del 2015 (all'articolo 50), prevede «un coordinamento informativo da realizzarsi tramite apposita convenzione stipulata dall'INPS e l'INAIL con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, proprio al fine di verificare, mediante apposita banca dati informativa, l'andamento delle prestazioni di carattere previdenziale e delle relative entrate contributive, conseguenti allo sviluppo delle attività di lavoro accessorio anche al fine di formulare proposte per adeguamenti normativi delle disposizioni vigenti»;
    la sottosegretaria ha poi aggiunto che «che sono state avviate le attività necessarie per la stipula della convenzione anche al fine di acquisire, in collaborazione con l'INPS, dati dettagliati sul tipo di prestazione e sul numero dei lavoratori impiegati con i voucher». Ha quindi concluso che «all'esito delle verifiche, verrà intrapresa ogni iniziativa volta a sanzionare nonché a reprimere l'uso improprio di tale strumento»;
    il problema che la Sottosegretaria del partito democratico e il Governo trascurano è che il tempo per realizzare la convenzione, procedere alle verifiche, analizzare i dati e adottare provvedimenti conseguenti, secondo il costume italico, saranno talmente lunghi da rischiare di risultare inefficaci, posto che i dati esposti mostrano senza dubbio che il ricorso abnorme e abusivo al lavoro accessorio e ai voucher, in danno al mercato e ai lavoratori, è già una realtà consolidata e in continua espansione. È un segno che le attività di monitoraggio e verifica sull'utilizzo dei voucher, nelle quali – secondo la Sottosegretaria – il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sarebbe massimamente impegnato, sono, a giudizio dell'interrogante, di poco o nullo impatto,

impegna il Governo:

   ad assumere le iniziative normative necessarie per contrastare l'ulteriore diffusione di questo strumento il cui ambito di applicazione dovrebbe tornare ad essere circoscritto a limitati settori caratterizzati da una effettiva occasionalità delle prestazioni e per predispone meccanismi (analoghi a quelli già introdotti nel 2012 per il lavoro a chiamata) atti ad impedire l'utilizzo dello strumento con finalità elusive dal punto di vista assicurativo e contributivo, nonché come strumento di concorrenza sleale fra le imprese e di diminuzione;
   a istituire da subito tavoli di monitoraggio a livello regionale, con il coinvolgimento delle parti sociali, al fine di contrastare il ricorso abusivo al lavoro accessorio.
(7-00903) «Airaudo, Ricciatti, Placido, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Quaranta, Sannicandro, Scotto, Zaratti, Zaccagnini».