• C. 269 EPUB Proposta di legge presentata il 15 marzo 2013

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Atto a cui si riferisce:
C.269 Misure per il contrasto delle povertà


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 269


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa del deputato VILLECCO CALIPARI
Misure per il contrasto delle povertà
Presentata il 15 marzo 2013


      

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Onorevoli Colleghi! Negli ultimi anni gli indicatori monetari e non monetari dell'ISTAT e di EUROSTAT mostrano che povertà e disuguaglianza continuano a essere un problema molto rilevante in Italia. Tra i Paesi dell'Europa dei quindici, la situazione italiana è tra le peggiori, insieme a quella degli altri grandi Paesi mediterranei, con un livello di disuguaglianza più elevato e una situazione di gravità della povertà più marcata. Povertà e disuguaglianza dei redditi familiari in Italia sono ben superiori a quelle dei Paesi nordici e a quelli dell'Europa continentale ed in linea con quelli dei Paesi mediterranei e di lingua inglese. In Italia, nel 2008, secondo l'ISTAT, le famiglie povere erano 2.737.000, mentre gli individui poveri erano 8.780.000.
      Il nostro Paese è caratterizzato da disuguaglianze non trascurabili nelle opportunità di mobilità sociale, che contribuiscono al permanere di un elevato livello di disuguaglianza anche in termini di reddito. Secondo l'ISTAT, al netto degli effetti strutturali esercitati dai profondi cambiamenti avvenuti nel sistema occupazionale, il regime di mobilità sociale è piuttosto rigido. La classe di origine influisce in misura rilevante e limita la possibilità di movimento all'interno dello spazio sociale. I figli della classe operaia urbana hanno una probabilità più bassa di spostarsi nella classe superiore rispetto a quella di mantenere inalterata la propria posizione e anche rispetto a quella che hanno i figli della classe superiore di rimanere nella classe di origine.
      Il rapporto fra la quota di reddito totale percepito dal 20 per cento più ricco della popolazione e quella del 20 per cento più povero è superiore alla media europea, con un valore di 5,5 che, tra i Paesi dell'Europa dei quindici, è più basso solo di quello di Grecia e Portogallo. In Danimarca è pari invece a 3,7.
      La situazione è particolarmente critica nel Mezzogiorno, dove il reddito delle famiglie è pari a circa tre quarti di quello delle famiglie del Centro-Nord e dove vive il 65 per cento delle famiglie povere. Nel Sud e nelle isole il 22,5 per cento delle famiglie è povero, contro appena il 5,5 per cento del Nord; ad una più ampia diffusione del fenomeno nelle regioni meridionali si accompagna anche una maggiore gravità del disagio (maggiore intensità di povertà: 23 per cento contro il 18 per cento del Nord).
      Le famiglie numerose, composte da cinque o più elementi, sono un segmento particolarmente esposto al rischio di povertà. Il 25,9 per cento di queste famiglie è povero e tale quota raggiunge il 38,1 per cento nel Mezzogiorno.
      In Italia, a differenza del resto dell'Europa, la povertà riguarda in modo particolare i minori. Secondo l'ISTAT, gli individui con meno di diciotto anni che vivono in famiglie relativamente povere sono 1.805.000 ed è povero il 15,6 per cento delle famiglie con almeno un minore, percentuale a che sale al 28,3 per cento nel Mezzogiorno. Particolarmente critica, e in peggioramento nel corso degli anni, è la situazione delle famiglie con tre o più figli minori, che sono povere nel 27,2 per cento dei casi.
      Le famiglie anziane continuano ad avere livelli di povertà superiori alla media. È povero il 12,5 per cento delle famiglie con un componente anziano e il 14,7 per cento delle famiglie con due anziani o più. Gli anziani poveri ammontano complessivamente 1.512.000.
      Oltre alla situazione di difficoltà economica in cui versano molte delle famiglie con persona di riferimento disoccupata (33,9 per cento), il disagio comincia ad interessare sempre più spesso anche le famiglie in cui sono presenti persone inserite nel mercato del lavoro, soprattutto se il reddito è uno solo, se il lavoratore ha un basso titolo di studio o un profilo professionale precario e se in famiglia sono presenti figli minori. La situazione più grave si osserva tra le famiglie senza occupati, o ritirati dal lavoro (49,6 per cento), seguite dalle famiglie che non hanno al loro interno alcun componente occupato e in cui almeno una persona è alla ricerca di un lavoro (30,9 per cento). La mancanza di un'occupazione si associa a un maggior disagio anche tra le famiglie in cui si conta almeno un componente occupato: in questo caso, e in assenza di ritirati dal lavoro, l'incidenza di povertà si attesta al 31,2 per cento, mentre è pari al 13,5 per cento se in famiglia sono presenti anche persone ritirate dal lavoro. Tra le famiglie con a capo un occupato, infine, l'incidenza di povertà più elevata si osserva tra quelle con persona di riferimento operaio e assimilato (14,5 per cento).
      Ammontano a 1.779.000 i giovani tra i diciotto e i trentaquattro anni che sono poveri. In particolare, è povero il 15,8 per cento dei giovani che vivono come figli nella famiglia di origine, ma tale quota aumenta al 23,7 per cento se i figli sono tre o più. È povero il 13,3 per cento dei giovani, persona di riferimento della famiglia o coniuge, ma si arriva al 37,8 per cento se vive in coppia con tre o più figli. Il dato, seppure meno critico di quello che si rileva per i minori, presenta un trend in crescita e, dunque, non va sottovalutato.
      Sono state 1.126.000 le famiglie che, nel 2008, si sono trovate in condizioni di povertà assoluta, pari al 4,6 per cento delle famiglie residenti (vengono definite povere assolute le famiglie che presentano una spesa inferiore a quella minima per acquisire il paniere dei beni e servizi che, nel contesto italiano e per una determinata famiglia, sono considerati essenziali a conseguire uno standard di vita minimamente accettabile); in queste famiglie vivono 2.893.000 individui, il 4,9 per cento dell'intera popolazione. Nel Sud e nelle Isole l'incidenza di povertà assoluta (7,9 per cento) è circa due volte superiore a quella osservata nel resto del Paese (3,2 per cento al Nord e 2,9 per cento al Centro).
      Le incidenze più elevate, ancora una volta, si osservano tra le famiglie di maggiori dimensioni, in particolare coppie con tre o più figli (8,7 per cento), soprattutto se minorenni (11,0 per cento), o con membri aggregati (7,9 per cento). Anche tra le famiglie con componenti anziani (5,6 per cento) i valori di incidenza sono superiori alla media, soprattutto se si tratta di anziani soli (6,9 per cento).
      La povertà è, infine, fortemente associata a bassi livelli di istruzione (se la persona di riferimento ha al massimo la licenza elementare l'incidenza raggiunge l'8,2 per cento), a bassi profili professionali (se la persona di riferimento è operaio o assimilato l'incidenza è del 5,9 per cento) e all'esclusione dal mercato del lavoro (se la persona di riferimento è in cerca di lavoro è povero il 14,5 per cento delle famiglie).
      In generale, la posizione di tutti i membri della famiglia rispetto al mercato del lavoro presenta un'associazione evidente con la povertà assoluta: l'incidenza è pari al 2,1 per cento quando tutti i componenti della famiglia sono occupati, ma sale al 11,6 per cento se almeno un individuo è alla ricerca di occupazione e tra le famiglie in cui non sono presenti occupati né ritirati dal lavoro, tra le famiglie, quindi, che non hanno un reddito da lavoro né un reddito derivante da una pregressa attività lavorativa: in questo caso, ben un quinto delle famiglie (19,9 per cento) risulta in condizione di povertà assoluta; peggiora la situazione del Sud, delle famiglie con disoccupati delle famiglie con quattro componenti di cui due minori, delle famiglie con a capo una persona con meno di quarantacinque anni o con a capo un lavoratore autonomo.
      Il quadro appare particolarmente critico se si considera che, secondo l'ISTAT, alla fine del 2007, quasi 1.300.000 famiglie hanno dichiarato di non aver avuto denaro per comprare il cibo, 2.700.000 per pagare spese mediche, 1.700.000 per il trasporto, quasi 3 milioni per le tasse e poco più di 4 milioni per l'acquisto di vestiti. Inoltre, più di 3.700.000 famiglie hanno riferito di arrivare con molta difficoltà a fine mese, quasi 8 milioni di famiglie non sarebbero riuscite a far fronte a una spesa imprevista di circa 700 euro con risorse proprie o della rete familiare. La condizione economica delle famiglie è fortemente legata a quella dell'occupazione delle donne che rappresenta un vero e proprio «antidoto» alla povertà. Va quindi segnalata la preoccupante situazione dell'occupazione femminile nel Mezzogiorno che ha visto tra il 2004 e il 2006 un consistente aumento di non forze di lavoro «scoraggiate», oltre a livelli elevati di disoccupazione. In questa ripartizione l'occupazione delle donne tra i quindici e i sessantaquattro anni si attesta solo intorno al 30 per cento e al calo dell'occupazione registrato nel primo trimestre del 2009 ha fatto riscontro una stabilità della disoccupazione e un aumento dello scoraggiamento e dell'inattività.
      A fronte di questa grave situazione, nel 2006 la spesa sociale in percentuale del prodotto interno lordo ha raggiunto in Italia un valore appena del 26,6 per cento, contro il 27,5 per cento dell'Europa dei quindici, situandosi molto al di sotto di quella sostenuta da Paesi come la Svezia (30,7 per cento) e la Francia (31,1 per cento). Alla funzione «famiglia e infanzia» è destinato appena l'1,2 per cento del prodotto interno lordo (il 2,2 per cento nell'Europa dei quindici; il 2,9 per cento in Svezia), ai disabili l'1,5 per cento (il 2 per cento nell'Europa dei quindici; il 4,5 per cento in Svezia), alla «disoccupazione – politiche di reinserimento» lo 0,5 per cento (l'1,5 per cento nell'Europa dei quindici e l'1,6 per cento in Svezia) e alla «esclusione sociale e politiche abitative» appena lo 0,1 per cento (1 per cento nell'Europa dei quindici; l'1,1 per cento in Svezia).
      Bassa istruzione, disoccupazione, lavoro a bassa qualifica, numero dei figli, basso tasso d'occupazione femminile, inadeguatezza del sistema di protezione sociale sono le cause strutturali della povertà nel nostro Paese. Gli studi sui redditi delle famiglie della Banca d'Italia mettono in evidenza che l'incidenza della povertà è cresciuta in maniera significativa tra il 1991 e il 1993 in coincidenza con la grave recessione che colpì l'economia italiana. Da allora l'incidenza delle persone a basso reddito non è aumentata, ci sono state oscillazioni ma non si sono verificati cambiamenti significativi. Negli ultimi vent'anni, se non sono cambiate le misure aggregate di povertà e disuguaglianza, sono avvenuti cambiamenti nel corpo sociale e si sono verificati movimenti redistributivi orizzontali che hanno modificato la posizione relativa delle classi sociali.
      A metà degli anni ’90, la distribuzione del reddito è mutata a vantaggio delle famiglie e dei lavoratori autonomi e, in parte, dei dirigenti e dei pensionati a scapito degli operai e degli impiegati. Dal 1995 vi è stato un peggioramento della posizione relativa delle famiglie degli operai (evidenziato dall'aumentata incidenza della povertà tra queste famiglie) e un miglioramento relativo per le famiglie degli autonomi. La Banca d'Italia nei suoi studi introduce anche il concetto di «vulnerabilità» per indicare famiglie che pur in presenza di un reddito sufficiente si sentono preoccupate perché incapaci ad affrontare eventi avversi. Si sentono dunque più vulnerabili, più esposte alla povertà. Sono tre gli elementi che determinano questa percezione di vulnerabilità: l'aumento del lavoro precario, la situazione patrimoniale, la mancanza di strumenti di protezione sociale, in particolare di sostegno al reddito in caso di caduta nella povertà. Va ricordato, inoltre, che dal 1993 al 2008, prendendo in considerazione i dati di contabilità nazionale, la crescita delle retribuzioni lorde reali pro-capite del lavoro dipendente è stata contenuta: si è avuto un aumento dello 0,6 per cento l'anno, assai più bassa della crescita che abbiamo sperimentato nei periodi precedenti che, ad esempio, è stata di 2 punti e mezzo nel periodo dal 1970 al 1993. Rallentamento della produttività dell'economia italiana e cambiamenti nel mercato del lavoro con la diffusione del lavoro atipico sono considerati, nell'analisi della Banca d'Italia, tra le cause fondamentali del rallentamento della crescita delle retribuzioni del lavoro operaio. Se è vero che a livello nazionale la diffusione della povertà relativa e di quella assoluta è rimasta stabile, si sono però ampliati vecchi divari e specifici gruppi hanno aumentato la propria vulnerabilità. È aumentato il divario tra il Centro Nord e il Mezzogiorno. In particolare, la diffusione della povertà assoluta nel Mezzogiorno è passata dal 5,8 per cento delle famiglie nei 2007 al 7,9 per cento nel 2009, a fronte di una media nazionale del 4,9 per cento. In secondo luogo è aumentata l'incidenza della povertà sia relativa che assoluta, tra le famiglie numerose, in particolare quelle con due o più figli specie se minori. Ciò, tra l'altro, significa che la povertà tra i minori è aumentata più che tra gli adulti. La povertà minorile si configura come un triste primato dell'Italia in Europa. In terzo luogo, l'incidenza della povertà, sia relativa che assoluta, è aumentata nelle famiglie in cui gli adulti sono a bassa istruzione e in quelle in cui sono in cerca di lavoro. Avere una bassa qualifica e perdere il lavoro, ha costituito nel 2008 un rischio più elevato di caduta in povertà che in passato.

Le politiche di contrasto della povertà.

      Punto di riferimento in un programma di lotta alla povertà è l'Agenda sociale europea, i cui obiettivi sono: creare una strategia integrata che garantisca un'interazione positiva delle politiche economiche, sociali e dell'occupazione, promuovere la qualità dell'occupazione, della politica sociale e delle relazioni industriali, consentendo quindi il miglioramento del capitale umano e sociale; adeguare i sistemi di protezione sociale alle esigenze attuali, basandosi sulla solidarietà e potenziandone il ruolo di fattore produttivo; tenere conto del «costo dell'assenza di politiche sociali». La piena occupazione, un mercato europeo del lavoro, una società più solidale attraverso pari opportunità per tutti, la promozione della diversità e della non discriminazione, la lotta alla povertà e la promozione dell'inclusione sociale ne sono i capitoli concreti.
      Nell'ambito della lotta alla povertà, l'iniziativa comunitaria indica agli Stati membri di adottare misure di reddito minimo di inserimento e indica il 2010 come l'anno europeo della lotta alla povertà. D'altra parte l'analisi comparata fra

i Paesi europei ha evidenziato che proprio la presenza di misure specifiche come il reddito minimo di inserimento costituisce una discriminante tra Paesi le cui politiche agiscono con maggiore efficacia nell'abbattere la povertà e Paesi in cui l'efficacia delle misure antipovertà è inferiore.
      Lo svantaggio potenziale di più lungo periodo – in termini di minore istruzione, difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro, rischi di esclusione sociale – deriva dall'essere poveri nella fase iniziale del ciclo della vita. È innanzitutto la mancanza di lavoro a provocare la povertà delle famiglie e degli individui con esiti lungo tutto il ciclo della vita. Si è poveri da bambini come figli di disoccupati e di sottoccupati; si rimane poveri da giovani e da adulti perché la povertà dei genitori, unita ad una politica della formazione poco attenta a comprendere le situazioni di svantaggio familiare, non consente l'accesso a una formazione adeguatamente spendibile sul mercato del lavoro; si è poveri da giovani perché troppe volte l'unico lavoro che si trova è al di sotto della soglia di decenza, in quanto privo di diritti e di tutele. L'accesso al lavoro è dunque essenziale per contrastare la povertà e l'esclusione sociale. Un lavoratore deve avere diritti, deve poter accedere alla formazione permanente, ad un circuito informativo adeguato, al sostegno delle attività di cura. Il lavoro da solo, però, non produce integrazione sociale. Un reddito da solo non libera dalla povertà. Perché la povertà, come afferma il premio nobel per l'economia Amartya Sen, è «l'espressione di un fallimento delle capacità. E costituisce una limitazione dell'esistenza umana».
      È utile impostare le politiche di lotta alla povertà alla luce del concetto di capacità elaborato da Sen. La capacità è l'esercizio delle libertà sostanziali; mette l'accento sui risultati che si ottengono con il buon utilizzo delle risorse e non si limita a riconoscere in modo formale un diritto, ma si preoccupa di come renderlo pratico ed effettivo. Concentra la sua attenzione sui processi di trasformazione dei diversi beni a disposizione dei singoli, giacché i beni, in questa prospettiva, hanno valore non solo in quanto sono posseduti, ma in quanto generano risultati. Il concetto di capacità sposta l'attenzione sul rapporto tra reddito e star bene nella consapevolezza che non basta guadagnare risorse ma bisogna saperle usare. È sulle strategie e sui fattori che convertono e trasformano i redditi, le risorse, i beni in stati di benessere e di libertà che si gioca la possibilità e l'efficacia di una politica di uguaglianza. È come dire: non basta prevedere il reddito minimo d'inserimento, bisogna preoccuparsi che sia usato dalle persone come strumento per attivare un progetto di vita di uscita dalla povertà. Adottare la prospettiva delle capacità significa, per quanto riguarda l'Italia, superare definitivamente la visione di un sistema di protezione sociale che mette le persone al riparo dai rischi fornendo loro dei risarcimenti, per costruire un sistema che mette i soggetti nelle condizioni di affrontare meglio i rischi accrescendo la loro dotazione di mezzi, risorse, opportunità facendo leva sui propri talenti. Pertanto un percorso di integrazione sociale non deve mirare solo a fornire una garanzia minima di risorse, ma deve sviluppare o reintegrare le capacità lavorative, professionali e di relazione sociale, senza le quali non c’è identità personale, né inclusione sociale, né cittadinanza.
      Le figure della povertà ormai consolidate in Italia suggeriscono che le politiche per prevenire e combattere la povertà devono incidere su alcuni aspetti strutturali dell'Italia: la buona e piena occupazione femminile; misure fiscali e monetarie a sostegno dei figli; politiche di conciliazione tra lavoro nel mercato e responsabilità di cura per donne e uomini; l'accesso ai servizi socio-educativi per la prima infanzia (0-3 anni); misure per prevenire, rallentare, prendere in carico la non autosufficienza attraverso un fondo dedicato; una politica della casa che parta dagli affitti. In proposito non si parte da zero perché esistono provvedimenti già adottati dai governi di centrosinistra e proposte nuove già elaborate o in via di elaborazione. Ci sono tre questioni sulle quali bisogna essere decisamente coraggiosi e innovatori; l'inclusione nel welfare delle persone immigrate, al di fuori di pregiudizi ideologici che comportano discriminazioni inaccettabili e che sono anche poco convenienti sul piano sociale; la promozione di politiche socio-sanitarie differenziate per coinvolgere i gruppi più emarginati e superare il paradosso del welfare più utilizzato dai ceti medi che dai poveri; la previsione di una misura universalistica di integrazione al reddito per chi è al di sotto della soglia di povertà.
      La povertà limita severamente la possibilità di una vita sana ed è ancora in alcuni Paesi europei una causa importante di scarsa salute e in particolare di ingiustizie nell'accesso ai servizi sanitari. La salute può anche essere una causa importante di impoverimento poiché può portare ad una voce di spesa ingente, spingendo famiglie e individui in ulteriore povertà. Per contro, il miglioramento della salute può essere un requisito preliminare per poter migliorare l'educazione e il livello lavorativo. Sono principalmente tre i rapporti esistenti tra povertà e salute: povertà come causa di scarsa salute, salute scadente come causa di povertà e miglioramento della salute come riscatto dalla povertà.
      Le organizzazioni internazionali, a partire dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), sono impegnate da tempo nel promuovere e sostenere gli sforzi per ridurre le ingiustizie sociali nella salute. L'OMS definisce la povertà estrema come la causa principale di malattia e morte. Va detto che si tratta di una causa sottovalutata che non riceve la giusta attenzione da parte dei sistemi informativi. È molto difficile che un decesso venga attribuito alla povertà, mentre è più probabile che venga ricondotto ad arresto cardiaco, ipertermia, o ad altre cause; in realtà la povertà è «la causa delle cause». Ridurre l'impatto della povertà sulla salute e migliorare lo stato di salute dei gruppi più vulnerabili non è impresa facile. Negli ultimi anni le disuguaglianze sociali nella salute sono diventate un tema importante nella sanità pubblica europea. Si è costituito un network europeo per valutare l'impatto delle diseguaglianze sulla salute e l'efficacia delle politiche mirate che sono state attivate. Il 18 dicembre 2007 si è svolta a Roma la Conferenza dei Ministri della salute dell'Unione europea che ha approvato la Carta di Roma per promuovere la salute in tutte le politiche di intervento sui determinanti economici e sociali della salute. Da segnalare inoltre l'Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà, istituito dalla legge n. 296 del 2006, che ha sede a Roma presso l'Istituto San Gallicano.
      Il più importante indicatore dello stato delle diseguaglianze è l'aspettativa di vita alla nascita. In taluni Paesi europei essa è addirittura diminuita. L'Italia vanta uno dei livelli migliori per quanto riguarda questo indicatore. Eppure nei Paesi ad alto reddito – come l'Italia, la Svezia e il Regno Unito – possono esserci differenze che vanno dagli otto ai dieci anni nella aspettativa di vita tra gruppi sociali o aree geografiche diverse.
      Anche in Italia il quadro delle diseguaglianze evidenzia come questo tema costituisca una priorità assoluta per le politiche della salute. L'indagine speciale dell'ISTAT sulla salute condotta nel 1999-2000, in collaborazione con il Ministero della salute e le regioni, e presentata nel 2007, fornisce immagini aggiornate su come si distribuiscono la salute, gli stili di vita e l'uso dell'assistenza sanitaria in Italia, proprio nel periodo in cui il sistema sanitario italiano si è trasformato in senso federalista.
      L'invecchiamento è il principale determinante della morbosità ma, a parità di età, le diseguaglianze sociali ne sono il principale determinante non biologico (come l'età).
      Le diseguaglianze nella salute sono leggibili nell'uso improprio dei servizi sanitaria; nell'uso tardivo dei medesimi con lo sviluppo di quadri clinici complicati e spese sanitarie conseguentemente più alte; nello scarso utilizzo di screening, di accertamenti diagnostici tempestivi; negli stili di vita scorretti; nelle difficoltà di accesso all'assistenza specialistica, all'assistenza per i non autosufficienti e alle cure odontoiatriche, dato il loro costo elevato.
      Le diseguaglianze nella salute, come si è detto, si contrastano anche agendo sui determinanti socio-economici, e dunque rendendo operativo l'indirizzo de «la salute in tutte le politiche». Si tratta allora di introdurre un'innovazione nella programmazione sanitaria. Occorre promuovere sul piano nazionale e regionale una programmazione sanitaria e intersettoriale, prevedendo un programma interministeriale che definisca le strategie e le azioni volte ad orientare le politiche non sanitarie delle istituzioni pubbliche e private e le condotte individuali, per conseguire obiettivi di salute, nonché il monitoraggio per valutare l'impatto sulla salute dell'insieme delle politiche economiche e sociali. Per combattere le diseguaglianze nella salute bisogna rendere più efficace il carattere universalistico del nostro sistema sanitario promuovendo politiche mirate e differenziate nei confronti dei gruppi più svantaggiati.
      Inoltre, l'universalismo fino ad ora praticato si basa sul concetto e la pratica di servizi che sono aperti a tutti i cittadini, ma che i cittadini devono andare a cercare: sono loro che devono rivolgersi all'operatore sanitario e ai servizi. È noto però che tante persone, soprattutto quelle più fragili, non conoscono, non sanno rivolgersi e non sanno utilizzare i servizi. Bisogna che operatori e servizi si attivino per andare incontro ai cittadini più deboli e vulnerabili. È quella che viene chiamata la medicina d'iniziativa che bisogna sviluppare su tutto il territorio nazionale anche attraverso la diffusione delle Case della salute.

La novità di questa proposta di legge: un Piano nazionale contro le povertà.
      Questa proposta di legge contiene gli indirizzi, gli strumenti e le risorse per un piano nazionale contro le povertà. Si tratta di una novità importante di cui il nostro Paese ha un'urgente necessità. Il piano nazionale, in attuazione dell'articolo 22 della legge n. 328 del 2000 e dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, definisce i livelli essenziali di assistenza e i diritti esigibili per prendere in carico le persone e le famiglie che sono in condizioni di povertà. Si definisce in tal modo una politica universalistica di lotta alle povertà superando la giungla attuale di interventi settoriali, categoriali e locali che a volte accentuano le diseguaglianze perché tutelano alcuni e non altri nelle stesse condizioni di bisogno.
      Il piano nazionale fa leva su due pilastri: il welfare locale e comunitario ed una misura universalistica di integrazione al reddito, il reddito di solidarietà attiva. Il welfare locale e comunitario promuove la rete integrata dei servizi sociali, sanitari, di inserimento lavorativo, dei servizi educativi e della formazione, delle politiche abitative per realizzare una presa in carico di ciascuna persona e della sua famiglia attraverso un progetto personalizzato di promozione delle capacità e di inserimento attivo nella società.
      Il reddito di solidarietà attiva costituisce un intervento monetario di tipo universalistico, promosso dallo Stato, nell'ambito del programma nazionale finalizzato al sostegno dell'autonomia economica delle persone, che costituisce livello essenziale delle prestazioni ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.
      Presa in carico, inserimento nella società, sostegno temporaneo all'autonomia economica sono gli strumenti che tra loro integrati possono consentire di abbattere le povertà.
      Il piano nazionale fa leva sulla cooperazione istituzionale tra Stato, regioni e comuni; sull'integrazione delle opportunità e dei servizi e delle prestazioni che ha nel comune e nel punto unico di accesso ai servizi sociali la sua regia; sulla coprogettazione delle politiche tra enti locali e soggetti sociali; sul coinvolgimento della responsabilità sociale dell'impresa; sulle effettive capacità di integrazione e di messa in rete dei servizi lavorativi, educativi, sociali e sanitari per offrire un

progetto personalizzato e favorire l'inserimento attivo e la valorizzazione delle capacità delle persone.
      La persona che si trova in condizioni di povertà si rivolge al comune, al punto unico di accesso ai servizi sociali e rivolge domanda per accedere al reddito di solidarietà attiva compilando un apposito modulo. Il punto unico d'accesso (lo sportello dei servizi sociali) verifica che la persona abbia i requisiti per inoltrare la domanda, completa la domanda ed invia la richiesta all'Istituto della previdenza sociale (INPS) e, dopo un colloquio di presa in carico, elabora un progetto personalizzato al fine di promuovere l'integrazione sociale e orientare la persona all'utilizzo più efficace della rete integrata dei servizi sociali. Per ciascuna persona e famiglia che si trovi in condizioni di difficoltà e bisogno il comune svolge una doppia funzione: accerta i requisiti per l'integrazione al reddito e invia la richiesta all'INPS, che la erogherà verificati i requisiti, ed attiva un programma di inserimento sociale garantendo così il legame tra elargizione dell'intervento monetario, inserimento lavorativo, integrazione sociale.
      Nell'ambito della rete integrata dei servizi è previsto un programma straordinario per combattere le povertà estreme e prendere in carico le persone senza fissa dimora. Il piano nazionale contro le povertà per essere efficace deve essere indirizzato, coordinato e verificato sui risultati che ottiene. Per questo la proposta di legge prevede una governance nazionale contro le povertà attraverso l'istituzione di una cabina di regia (Governo, regioni, comuni, ISTAT, Banca d'Italia) dotata di un organismo tecnico che attivi il monitoraggio delle azioni e dei risultati. Il Governo, sulla base delle indicazioni della cabina di regia, attiva i poteri sostitutivi nominando commissari ad acta nei confronti delle regioni inadempienti all'adozione di misure adeguate di contrasto delle povertà. La cabina di regia organizza ogni anno la Conferenza nazionale sulla lotta alle povertà e all'esclusione sociale in concomitanza con il 17 ottobre, giornata mondiale contro le povertà, coinvolgendo le forze economiche, sociali e le organizzazioni.

Il reddito di solidarietà attiva.
      In Italia buona parte delle erogazioni per l'integrazione del reddito non va alle famiglie in condizioni economiche più svantaggiate. Ai tre decimi delle famiglie più povere va poco più del 50 per cento del complesso delle erogazioni monetarie, mentre il resto si ridistribuisce tra le famiglie a reddito medio-alto.
      In Italia il complesso dei trasferimenti di protezione sociale (pensioni comprese) abbatte del 56 per cento la popolazione a rischio di povertà contro una media dell'Europa a venticinque di quasi il 6 per cento. Se si prende in considerazione l'efficacia dei soli trasferimenti assistenziali, escluse le pensioni, vediamo che in Italia essi abbattono la popolazione a rischio di povertà del 20 per cento contro una media dei Paesi dell'Unione prossima al 40 per cento. Ciò dimostra la necessità di una misura universalistica di integrazione al reddito per chi è al di sotto della soglia di povertà. Le uniche misure attivate sono state quelle dei governi di centrosinistra.
      Con il primo governo Prodi vennero sperimentati il reddito minimo d'inserimento e l'assegno al terzo figlio, vennero approvate la legge n. 285 del 1997, sui diritti dell'infanzia – all'interno della quale vi era la lotta alla povertà minorile – e la legge n. 328 del 2000 sulle politiche sociali. Mentre con il secondo governo Prodi si ebbero il bonus per gli incapienti (1.200 milioni di euro nel 2007), l'adeguamento delle pensioni minime (900 milioni a partire dal 2007) e l'adeguamento dell'assegno al nucleo familiare (un miliardo di euro a partire dal 2007). Tutte misure abbandonate dai governi che seguirono.
      Questa proposta di legge prevede l'istituzione di una misura universalistica d'integrazione al reddito: il reddito di solidarietà attiva. Si tratta di un programma nazionale a cui possono partecipare i soggetti di età compresa tra i diciotto anni e i sessantacinque anni, i quali non fruiscano

dei benefìci della cassa integrazione ordinaria e straordinaria, nonché del trattamento di disoccupazione e che, qualora non abbiano un'occupazione, diano la propria disponibilità al lavoro e alla frequenza di corsi di formazione o di riqualificazione professionale presso i centri per l'impiego territorialmente competenti. Oltre ai requisiti, cosiddetti soggettivi, la persona deve avere un reddito ISEE (indicatore di situazione economica equivalente) non superiore ai 6.880 euro e non essere titolare di patrimonio immobiliare, ad eccezione dell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale. L'ammontare unitario del reddito di solidarietà attiva è pari a 430 euro per il singolo, mentre per il nucleo familiare aumenta secondo la scala di equivalenza dell'ISEE. Per quanti, invece, già percepiscono un reddito – sebbene inferiore alla soglia necessaria per essere beneficiario del programma – l'ammontare del reddito di solidarietà attiva è pari alla differenza tra il reddito mensile disponibile e il valore dell'ammontare mensile unitario del reddito di solidarietà attiva. A tale scopo il reddito percepito dalla persona che richiede la misura va inteso come somma di tutti i redditi ed emolumenti in godimento o percepiti a qualunque titolo dai componenti il nucleo familiare, inclusi i trasferimenti previdenziali e assistenziali, computati al 100 per cento, compresi gli assegni per il nucleo familiare e altre forme di trasferimento monetario eventualmente disposte nell'ambito del sistema fiscale. Allo scopo di incentivare la partecipazione al lavoro remunerato, i redditi da lavoro, al netto di ogni ritenuta, sono computati al 75 per cento. Il reddito di solidarietà attiva è erogato mensilmente per un massimo di tre anni.

Profili finanziari.
      La proposta di legge prevede l'introduzione nel nostro Paese di strumenti di contrasto attivo della povertà, centrati per un verso sull'attivazione da parte dei comuni, nell'ambito della programmazione regionale, di una rete di interventi di integrazione sociale e di reinserimento lavorativo e, per altro verso, su una erogazione monetaria da parte dell'INPS, il «reddito di solidarietà attiva», condizionata alla prova dei requisiti e alla partecipazione ai programmi di inserimento lavorativo e sociale.
      Per quanto riguarda la stima dell'onere della proposta per la finanza pubblica si è proceduto a valutare, in base ai dati dell'indagine della Banca d'Italia sulle famiglie italiane, la platea potenzialmente interessata e, in particolare, il numero e la composizione delle famiglie che rientrano nei requisiti e nei limiti ISEE e di reddito indicati nell'articolo 6 della presente proposta di legge, nonché l'integrazione di reddito ad essi spettante (formulata in relazione a una soglia di reddito che si incrementa secondo la scala di equivalenza ISEE all'aumentare della numerosità del nucleo familiare). Nel complesso, la stima evidenzia circa 800.000 famiglie che ricadono entro i requisiti previsti, che riceverebbero mediamente una integrazione di reddito pari a 3.500 euro su base annua (variabile naturalmente in funzione del grado di povertà e della composizione del nucleo familiare). Ne discende un onere stimato per l'intervento di erogazione monetaria pari a 2,8 miliardi di euro l'anno, la cui gestione amministrativa viene affidata all'INPS.
      Gli effetti redistributivi sono quelli tradizionali delle misure di contrasto della povertà già attuate nei principali Paesi partner dell'Italia, con una concentrazione di risorse che risulta a favore prevalentemente delle famiglie collocate nel primo decile di reddito e che segue la loro ripartizione territoriale. Gli indici di diseguaglianza si riducono notevolmente e soprattutto si riduce di un terzo l'indice di povertà assoluta.
      La proposta di legge tiene inoltre conto di un fabbisogno aggiuntivo per il necessario rafforzamento degli interventi di integrazione sociale e di inserimento lavorativo già di competenza degli enti locali e che intende potenziare in misura significativa. A questo scopo, la proposta di legge prevede una integrazione di 300 milioni di

euro del Fondo nazionale per le politiche sociali da ripartire tra le regioni in funzione degli indici di povertà calcolati dall'ISTAT per i rispettivi territori.
      Alla copertura dell'onere complessivo di 3,1 miliardi a regime, scontando peraltro una attivazione pari all'80 per cento degli interventi già nell'anno di entrata in vigore e al 100 per cento nel secondo anno, la proposta di legge provvede con:

          a) una riduzione degli stanziamenti per consumi intermedi delle amministrazioni centrali che risulta sostenibile in relazione alla possibilità di ottimizzare le politiche di acquisti, razionalizzare l'uso del patrimonio immobiliare, rafforzare le politiche di comunicazione telematica tra pubbliche amministrazioni e tra queste e gli utenti;

          b) uno spostamento a favore del Fondo per l'erogazione del reddito di solidarietà attiva di una quota limitata delle risorse del Fondo sociale per occupazione e formazione, corrispondente alla quota oggi stimabile di persone che a partire dalla fine del 2013 rischiano di trovarsi senza alcuna copertura da parte degli ammortizzatori sociali tradizionali e di quelli in deroga e che quindi si troveranno nelle condizioni di non poter utilizzare gli ammortizzatori in questione e dover piuttosto ricorrere al reddito di solidarietà attiva previsto dalla proposta di legge in oggetto;

          c) una riduzione degli stanziamenti destinati ai trattamenti di invalidità civile, riduzione spostata al 2015 per dare tempo di attivare le necessarie procedure; la riduzione appare sostenibile in relazione alla crescita anomala fatta registrare nel corso dei primi anni di questo decennio dal numero di titolari dei trattamenti di invalidità civile generica; un'azione mirata di verifica della permanenza dei requisiti sanitari previsti dalla legge, accompagnata dall'attivazione di interventi di integrazione socio-sanitaria, potrà liberare risorse sostituendo forme di ospedalizzazione e di erogazione monetaria improprie con politiche di servizi reali alle persone.

Illustrazioni del contenuto della proposta di legge.
      La presente proposta di legge definisce un piano nazionale di lotta alla povertà attraverso una misura nazionale di sostegno al reddito in collegamento con il sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali di cui alla legge 8 novembre 2000, n. 328.
      La presente proposta di legge, da un lato, si pone come strumento attuativo della disposizione dell'articolo 117 della Costituzione inerente i livelli essenziali delle prestazioni, in coerenza con la distribuzione di funzioni legislative e amministrative stabilite negli stessi articoli 117 e 118 della Costituzione, dall'altro, si pone in collegamento logico con il quadro di riferimento stabilito nel 2000 dalla legge quadro sui servizi sociali (legge n. 328 del 2000).
      Il provvedimento è costituito da sedici articoli.
      In particolare, l'articolo 1 stabilisce la finalità della legge nella promozione di misure volte a rimuovere e contrastare la condizione di povertà delle persone e delle famiglie. L'articolo precisa sia che i livelli essenziali delle prestazioni destinate alle persone e ai nuclei familiari in stato di povertà sono assicurati nell'ambito delle attività delle reti territoriali di interventi e servizi sociali di cui alla legge n. 328 del 2000, sia la rilevanza del ruolo delle organizzazioni private operanti nel campo del contrasto alla povertà nonché dei soggetti economici nell'ambito delle azioni attive di responsabilità sociale dell'impresa nella realizzazione degli obiettivi della proposta di legge.
      L'articolo 2 stabilisce che hanno diritto alle prestazioni i cittadini residenti continuativamente in Italia da almeno tre anni e gli stranieri soggiornanti da almeno tre anni. Stabilisce quindi il principio dell'universalismo selettivo realizzato attraverso il filtro reddituale (ISEE) di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109.
      L'articolo 3 definisce le caratteristiche funzionali della rete integrata degli interventi e dei servizi sociali, elencando le seguenti attività: completamento della formazione

scolastica e professionale; inserimento lavorativo; sostegno per l'abitazione; sostegno alle responsabilità familiari; presa in carico di persone portatrici di fragilità; uscita dalla illegalità e superamento delle situazioni di dipendenza; accesso al credito e al microcredito; interventi mirati e differenziati verso i gruppi sociali più svantaggiati, con particolare riferimento all'inserimento lavorativo dei disabili; medicina preventiva; salute anche attraverso l'estensione delle case della salute.
      L'articolo 4 stabilisce la procedura per l'adozione dei livelli essenziali delle prestazioni e precisa come la loro definizione deve essere effettuata nel rispetto delle compatibilità finanziarie definite per l'intero sistema di finanza pubblica dal Documento di economia e finanziaria.
      L'articolo 5 istituisce il programma nazionale finalizzato al sostegno dell'autonomia economica delle persone denominato reddito di solidarietà attiva. La misura costituisce livello essenziale delle prestazioni ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione ed è costituita da interventi monetari integrativi del reddito accompagnati da interventi e servizi volti a perseguire l'integrazione sociale dei soggetti destinatari e dei loro nuclei familiari. I soggetti che realizzano il reddito di solidarietà attiva sono il comune di residenza del beneficiario per la parte d'attuazione degli interventi e l'INPS per l'erogazione dell'intervento monetario.
      L'articolo 6 fissa i requisiti per accedere al reddito di solidarietà attiva. Sono requisiti soggettivi, età e condizione occupazionale, e collegati al reddito.
      L'articolo 7 stabilisce che l'accesso alle prestazioni che compongono i livelli essenziali della lotta alla povertà si realizza attraverso un punto unico di accesso nell'ambito della rete comunale o intercomunale degli interventi e dei servizi sociali. Attraverso il punto unico d'accesso si formalizza un progetto personalizzato per chi richiede l'intervento attestando i requisiti soggettivi ed economici, compresi redditi ed emolumenti percepiti a qualunque titolo nell'anno cui si riferisce la richiesta. Il punto unico d'accesso verifica attraverso l'INPS i requisiti dichiarati e, in caso di verifica positiva, elabora un progetto personalizzato per il richiedente al fine di favorirne l'integrazione sociale e promuoverne la capacità individuale e l'autonomia economica.
      L'articolo 8 stabilisce che i progetti personalizzati siano elaborati in forma di piani individuali di integrazione sociale orientati al recupero, alla promozione e allo sviluppo di capacità personali e alla ricostruzione di reti sociali, e sono finalizzati a favorire l'inserimento lavorativo dei soggetti maggiorenni. Ove il piano riguardi un soggetto con figli minori a carico, per i minori il programma include in primo luogo l'assolvimento dell'obbligo di formazione istituzionale e successivamente, secondo le attitudini e in conformità con le scelte del minore, il proseguimento degli studi secondari o la formazione professionale.
      L'articolo 9 fissa l'ammontare unitario del reddito di solidarietà attiva in 430 euro per il singolo, mentre per il nucleo familiare tale ammontare aumenta secondo la scala di equivalenza dell'ISEE. Il valore è annualmente aggiornato sulla base della variazione media fatta registrare nell'anno precedente dall'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati e di operai e può altrimenti essere rimodulato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri d'intesa con la Conferenza unificata. Per quanti percepiscono un reddito – sebbene inferiore alla soglia necessaria per essere beneficiario del programma – l'ammontare è pari alla differenza tra il reddito mensile disponibile e il valore dell'ammontare mensile unitario del reddito di solidarietà attiva. L'articolo stabilisce che a tale scopo il reddito va inteso come somma di tutti i redditi ed emolumenti in godimento o percepiti a qualunque titolo dai componenti il nucleo familiare, inclusi i trasferimenti previdenziali e assistenziali, computati al 100 per cento, compresi gli assegni per il nucleo familiare e altre forme di trasferimento monetario eventualmente disposte nell'ambito del sistema fiscale. Allo scopo di incentivare la partecipazione al lavoro remunerato, i redditi da lavoro, al netto di ogni ritenuta, sono computati al 75 per cento. Il reddito di solidarietà attiva è erogato mensilmente per un massimo di tre anni.
      L'articolo 10 stabilisce obblighi per i soggetti ammessi al reddito di solidarietà attiva; in particolare prevede che questi devono partecipare agli interventi di inserimento lavorativo e di integrazione sociale e, se disoccupati, accettare l'eventuale offerta di lavoro anche a tempo determinato.
      L'articolo 11 stabilisce i sistemi di controllo, individuando nell'INPS il soggetto che, interrogando anche le competenti agenzie del Ministero dell'economia e delle finanze, verifica la sussistenza dei requisiti e la veridicità dei dati comunicati dal richiedente con la dichiarazione. I comuni, attraverso il monitoraggio dei piani individuali, verificano la permanenza dei requisiti.
      L'articolo 12 attribuisce le controversie in materia di reddito di solidarietà attiva al giudice del lavoro nella cui circoscrizione ha la residenza il richiedente.
      L'articolo 13 prevede un programma triennale straordinario per le povertà estreme e le persone senza dimora con l'obiettivo di ridurre le distanze tra le persone in stato di povertà estrema o senza dimora e la più vasta platea dei beneficiari degli interventi erogati dalla rete integrata degli interventi e dei servizi sociali. L'obiettivo è quindi quello di superare i tradizionali limiti delle misure di welfare che non riescono a raggiungere le fasce di popolazione più povera. Il programma è approvato d'intesa tra il governo nazionale, le regioni e gli enti locali. Sempre allo scopo di includere nel programma le persone esposte alla marginalità più intensa si prevede che le persone senza dimora siano registrare presso una sede di servizi comunali o altro indirizzo anagrafico convenzionale gestito direttamente dall'amministrazione comunale oppure presso una sede di ente privato riconosciuta dall'amministrazione locale sul territorio comunale al fine dell'attribuzione della residenza anagrafica a persone fisiche. Con questa registrazione le persone senza dimora possono accedere ai programmi stabiliti dalla presente proposta di legge.
      L'articolo 14 istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei ministri la cabina di regia per il monitoraggio delle azioni attivate dai livelli di governo comprese nell'ambito dei livelli essenziali di cui all'articolo 1 della proposta di legge e del programma straordinario triennale istituito dalla medesima proposta di legge. L'obiettivo è quello della massima responsabilizzazione del coordinamento tra i diversi livelli di governo nella progettazione, realizzazione e valutazione delle politiche di contrasto della povertà. Per tale ragione la cabina di regia organizza annualmente una tavola rotonda nazionale sulla lotta alla povertà e all'esclusione sociale in concomitanza con il 17 ottobre, giornata mondiale contro la povertà, formalmente dichiarato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 22 dicembre 1992. L'obiettivo della tavola rotonda è quello di fornire al Paese il bilancio delle azioni, dei risultati e delle risorse investite nella strategia nazionale e in quelle locali di contrasto alla povertà e, in particolare, essa rendiconta sull'impatto delle misure previste nella proposta di legge. Ancora l'articolo 14 stabilisce la procedura per il ricorso ai poteri sostitutivi che possono attivarsi, previa messa in mora della regione, laddove il mancato rispetto da parte della regione degli adempimenti previsti per garantire gli interventi da attuare nell'ambito della rete integrata dei servizi possa mettere in pericolo la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni previsti per garantire i diritti delle persone in condizione di povertà. In tal caso, a seguito della diffida ad adempiere tutti gli atti necessari, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentiti il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per i rapporti con le regioni, nomina un commissario ad acta per l'adozione degli atti regionali necessari a superare l'inerzia.
      In particolare, riguardo agli interventi rivolti alle persone senza dimora, è stabilito l'obbligo per qualunque amministrazione comunale di procedere all'iscrizione anagrafica convenzionale quale atto preliminarmente dovuto per la garanzia delle azioni comprese nei livelli essenziali delle prestazioni previsti dalla presente proposta di legge, ed è altresì stabilito un sistema di penalità per le amministrazioni che neghino la registrazione anagrafica.
      L'articolo 15 istituisce presso l'INPS il Fondo per l'erogazione del reddito di solidarietà attiva cui è destinata una dotazione di 2.300 milioni di euro nel 2014 e di 2.800 milioni di euro annui a decorrere dal 2015. Tale dotazione è aggiornata annualmente sulla base della variazione media fatta registrare nell'anno precedente dall'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati e di operai. Accanto alle risorse destinate al finanziamento del programma di sostegno all'autonomia economica è prevista un'integrazione delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali volto al potenziamento dei servizi di accesso alla rete integrata dei servizi. Gli oneri suddetti sono coperti con una riduzione pari al 10,94 per cento degli stanziamenti per consumi intermedi iscritti nei diversi stati di previsione dei Ministeri, per una cifra pari ad un miliardo di euro, con una riduzione del Fondo sociale per occupazione e formazione di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, per una cifra pari ad 1,6 miliardi di euro e con una riduzione dello stanziamento di cui al capitolo 4352 dello stato di previsione del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali pari a 500 milioni di euro.
      L'articolo 16 stabilisce che il sistema informativo dei servizi sociali previsto dall'articolo 21 della legge n. 328 del 2000 viene alimentato dalle informazioni riferite ai requisiti soggettivi ed economici dei beneficiari, alla durata e all'importo della prestazione, ai motivi per la sua eventuale cessazione o sospensione e alle caratteristiche degli interventi di integrazione sociale. Questi dati sono acquisiti dalla cabina di regia per le attività di valutazione che essa presidia e sono resi disponibili agli enti locali e alle regioni operanti nell'ambito del programma, alle amministrazioni centrali dello Stato e alla Commissione di indagine sulla esclusione sociale. I dati possono essere diffusi, in forma anonima, per finalità di ricerca e di studio. L'articolo stabilisce, infine, che il Ministro del lavoro e delle politiche sociali presenta al Parlamento ogni due anni un rapporto sullo stato di attuazione della legge.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Finalità).

      1. La Repubblica promuove le azioni volte a rimuovere e a contrastare la condizione di povertà delle persone e delle famiglie attraverso il sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali di cui alla legge 8 novembre 2000, n. 328, e il programma nazionale di cui all'articolo 5 della presente legge.
      2. I livelli essenziali delle prestazioni destinate alle persone e ai nuclei familiari in stato di povertà sono assicurati nell'ambito delle attività delle reti territoriali di interventi e di servizi sociali e dal programma nazionale di cui all'articolo 5.
      3. Il contrasto delle povertà e la coesione sociale quali obiettivi programmatici della collettività costituiscono compiti primari delle istituzioni che, per il loro perseguimento, favoriscono la più ampia partecipazione e forma di partenariato con organizzazioni di cui al comma 5 dell'articolo 1 della legge 8 novembre 2000, n. 328, operanti nel campo del contrasto delle povertà, in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione degli interventi, nonché di soggetti economici nell'ambito delle azioni attive di responsabilità sociale dell'impresa.

Art. 2.
(Diritto alle prestazioni).

      1. Hanno diritto agli interventi compresi nei livelli essenziali delle prestazioni di cui alla presente legge i cittadini italiani, quelli di Stati appartenenti all'Unione europea e i loro familiari, residenti continuativamente in Italia da almeno tre anni, nonché gli stranieri e gli apolidi, individuati ai sensi dell'articolo 41

del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in possesso di un valido permesso di soggiorno per motivi di lavoro e regolarmente soggiornanti in Italia da almeno tre anni.
      2. In attuazione del principio dell'universalismo selettivo, l'accesso alle specifiche prestazioni di cui alla presente legge è effettuato utilizzando l'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109. Fermi restando i requisiti soggettivi ed economici previsti all'articolo 6, per il programma nazionale di sostegno all'autonomia economica di cui all'articolo 5, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nell'ambito della propria competenza legislativa e programmatoria e delle proprie risorse di bilancio, stabiliscono requisiti economici per l'accesso alle prestazioni delle reti territoriali di interventi e servizi sociali ed eventuali trattamenti di sostegno del reddito aggiuntivi rispetto a quelli di cui all'articolo 9.
Art. 3.
(Rete integrata degli interventi e dei servizi sociali).

      1. La rete integrata degli interventi e dei servizi sociali, dei servizi socio-sanitari, dell'inserimento lavorativo, delle politiche abitative, dei servizi educativi e della formazione, di seguito denominata «rete integrata», attiva la presa in carico della persona e dei nuclei familiari attraverso un progetto personalizzato di promozione delle capacità e di inserimento attivo nel lavoro e nella società.
      2. La rete integrata promuove:

          a) il completamento della formazione scolastica e professionale;

          b) l'inserimento lavorativo;

          c) il sostegno per l'abitazione;

          d) il sostegno alle responsabilità familiari con particolare attenzione ai nuclei familiari con tre o più figli e a quelli composti da un solo genitore con figli

minori, alle persone non autosufficienti e ai minori;

          e) la presa in carico di persone in situazione di disagio personale, economico e sociale;

          f) l'uscita dall'illegalità e il superamento delle situazioni di dipendenza;

          g) l'accesso al credito e al microcredito attraverso la copertura di garanzie per le società creditizie a fronte dei progetti personalizzati di cui al comma 1;

          h) interventi mirati e differenziati in favore dei gruppi sociali più svantaggiati, con particolare riferimento all'inserimento lavorativo dei disabili;

          i) la medicina preventiva;

          l) la salute, anche attraverso l'istituzione di case della salute.

      3. La rete integrata prevede, altresì, modalità specifiche di accesso e servizi dedicati all'accoglienza, all'accompagnamento, alla protezione e all'inclusione delle persone che vivono in condizioni di povertà estrema o che sono senza dimora.

Art. 4.
(Procedure).

      1. I livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 1 sono determinati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, di seguito denominata «Conferenza unificata».
      2. L'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni è effettuata nel rispetto delle compatibilità finanziarie definite per l'intero sistema di finanza pubblica dalDocumento

di economia e finanza e contestualmente alla definizione dei fabbisogni standard per il finanziamento dei livelli essenziali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e delle funzioni fondamentali di cui al medesimo articolo 117, secondo comma, lettera p).
Art. 5.
(Programma nazionale di sostegno all'autonomia economica. Reddito di solidarietà attiva).

      1. È istituito il programma nazionale finalizzato al sostegno dell'autonomia economica delle persone denominato «Reddito di solidarietà attiva», che costituisce livello essenziale delle prestazioni ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.
      2. Il programma nazionale di cui al comma 1 è costituito da interventi monetari integrativi del reddito accompagnati da interventi e da servizi volti a perseguire l'integrazione sociale dei soggetti destinatari e dei loro nuclei familiari.
      3. All'attuazione del programma nazionale, definito ai sensi del comma 2, concorrono:

          a) il comune di residenza del soggetto richiedente, per l'attuazione degli interventi di integrazione sociale, delle politiche abitative, dei servizi educativi e della formazione;

          b) l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), per l'erogazione dell'intervento monetario.

      4. I comuni svolgono le funzioni relative all'attuazione del programma nazionale attraverso la rete integrata, in forma singola o associata secondo la disciplina e la programmazione regionale in materia di servizi alla persona, e con modalità integrate con il servizio sanitario regionale e con il sistema dei servizi per l'impiego.

Art. 6.
(Requisiti soggettivi ed economici).

      1. Al programma nazionale di cui all'articolo 5 accedono i soggetti di cui all'articolo 2, comma 1, in possesso dei seguenti requisiti soggettivi:

          a) avere un'età compresa tra i diciotto anni e i sessantacinque anni;

          b) non fruire dei benefìci previsti dalla legislazione vigente in materia di cassa integrazione ordinaria e straordinaria, nonché di trattamento di disoccupazione;

          c) se disoccupati, dichiarare la disponibilità al lavoro e alla frequenza di corsi di formazione o di riqualificazione professionale presso i centri per l'impiego territorialmente competenti.
      2. I soggetti di cui al comma 1 devono, inoltre, essere in possesso dei seguenti requisiti economici:

          a) avere un ISEE, in corso di validità non superiore a 6.880 euro;

          b) non essere titolari di patrimonio immobiliare, ad eccezione dell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale, che deve essere situata nel luogo di residenza di tutti i componenti il nucleo familiare.
      3. L'importo di cui alla lettera a) del comma 2 è annualmente aggiornato sulla base della variazione media fatta registrare nell'anno precedente dall'indice dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati e di operai e può essere rimodulata in funzione dell'evoluzione delle condizioni economiche e sociali con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza unificata.

Art. 7.
(Punto unico di accesso).

      1. Il comune di residenza del soggetto richiedente è l'amministrazione responsabile della presa in carico della persona e del suo nucleo familiare nonché dell'ammissione al programma nazionale di cui all'articolo 5.
      2. Il comune provvede a prendere in carico la persona, attraverso l'istituzione di punti unici di accesso nell'ambito della rete integrata comunale o intercomunale degli interventi e dei servizi sociali, al fine di orientare la persona a un uso appropriato della medesima rete mediante l'elaborazione di un progetto personalizzato ai sensi del comma 4.
      3. I soggetti in possesso dei requisiti di cui all'articolo 6 presentano la richiesta di ammissione al programma nazionale al punto unico di accesso stabilito presso il comune di residenza attraverso un modulo di richiesta definito con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da emanare entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente legge. Il decreto stabilisce, inoltre, le documentazioni attestanti i citati requisiti di cui all'articolo 6 che, oltre al modello della dichiarazione dell'ISEE in corso di validità, devono essere allegate alla richiesta di ammissione al programma nazionale, ivi compresi i redditi e gli emolumenti percepiti a qualunque titolo nell'anno al quale si riferisce la richiesta.
      4. Il punto unico di accesso, previa una prima verifica dei requisiti per accedere al programma nazionale, da effettuare di concerto con l'INPS che a tal fine utilizza la propria banca dati, e dopo un colloquio di presa in carica della persona:

          a) elabora un progetto personalizzato per la persona al fine di favorirne l'integrazione sociale e di promuoverne la capacità individuale e l'autonomia economica;

          b) orienta la persona all'utilizzo efficace della rete integrata;

          c) invia la richiesta di reddito di solidarietà attiva per via telematica all'INPS al fine dell'attivazione della misura economica, in base ai parametri stabiliti con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previa intesa con la Conferenza unificata.

Art. 8.
(Piani individuali di integrazione sociale).

      1. In favore dei soggetti richiedenti l'ammissione al programma nazionale di cui all'articolo 5 che sono in possesso dei requisiti soggettivi ed economici di cui all'articolo 6 sono effettuati interventi di integrazione sociale, aventi lo scopo di favorire il processo di inclusione sociale dei singoli e dei loro nuclei familiari attraverso la promozione delle capacità individuali e dell'autonomia economica delle persone. A tali fini il comune elabora, anche in relazione agli interventi previsti nell'ambito delle politiche attive del lavoro, appositi piani individuali di integrazione sociale.
      2. I piani individuali di integrazione sociale di cui al comma 1:

          a) sono orientati al recupero, alla promozione e allo sviluppo di capacità personali e alla ricostruzione di reti sociali e sono finalizzati a favorire l'inserimento lavorativo dei soggetti maggiorenni; ove il piano riguardi un soggetto con figli minori a carico, per i minori il programma include in primo luogo l'assolvimento dell'obbligo di formazione e istruzione e successivamente, secondo le attitudini e in conformità con le scelte del minore, il proseguimento degli studi secondari di secondo grado o la formazione professionale;

          b) sono coordinati con le altre prestazioni derivanti dall'accesso ad altri servizi sociali da parte dei destinatari;

          c) sono coordinati con i programmi di sviluppo locale.

      3. I comuni, singoli o associati, provvedono alla gestione degli interventi collegati

ai piani individuali di integrazione sociale attraverso la rete integrata e ne assicurano il coordinamento con le altre prestazioni socio-sanitarie, con il sistema formativo, con i piani di sviluppo locali, con i programmi relativi all'offerta abitativa e con i connessi istituti di incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Art. 9.
(Intervento di integrazione monetaria del reddito).

      1. L'ammontare mensile unitario del reddito di solidarietà attiva è pari a 430 euro per persona, che costituisce un nucleo familiare, da parametrare sulla base della scala di equivalenza dell'ISEE per un nucleo familiare composto da due o più persone. Tale valore è annualmente aggiornato sulla base della variazione media fatta registrare nell'anno precedente dall'indice dell'ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati e di operai e può essere rimodulato in funzione dell'evoluzione delle condizioni economiche e sociali con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza unificata.
      2. Ai soggetti che sono in possesso dei requisiti di cui all'articolo 6 è concessa un'integrazione mensile del reddito pari alla differenza tra il reddito mensile disponibile, definito ai sensi del comma 3 del presente articolo, e il valore dell'ammontare mensile unitario del reddito di solidarietà attiva stabilito ai sensi del comma 1 del presente articolo.
      3. Per reddito mensile disponibile si intende la somma di tutti i redditi ed emolumenti in godimento o percepiti a qualunque titolo dai componenti il nucleo familiare, inclusi i trasferimenti previdenziali e assistenziali, computati al 100 per cento, compresi gli assegni per il nucleo familiare e le altre forme di trasferimento monetario eventualmente disposte nell'ambito

del sistema fiscale. Allo scopo di incentivare la partecipazione al lavoro remunerato, i redditi da lavoro, al netto di ogni ritenuta, sono computati al 75 per cento.
      4. L'erogazione del reddito di solidarietà attiva ha inizio dal mese successivo alla data di accoglimento della richiesta. Il reddito di solidarietà attiva non è cedibile, né sequestrabile, né pignorabile e ai fini fiscali è equiparato alla pensione sociale di cui all'articolo 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e successive modificazioni.
      5. Il reddito di solidarietà attiva è concesso per un anno e, permanendo le condizioni previste dall'articolo 6, è rinnovabile annualmente, su istanza del beneficiario, per un massimo di ulteriori due anni. Il citato reddito è erogato mensilmente sulla base della comunicazione dei dati dei soggetti ammessi effettuata dal comune.
Art. 10.
(Obblighi dei soggetti destinatari).

      1. I soggetti ammessi al reddito di solidarietà attiva hanno l'obbligo:

          a) di comunicare tempestivamente al comune ogni variazione, anche derivante dalla mutata composizione familiare, delle condizioni di reddito e di patrimonio dichiarate all'atto della presentazione della richiesta. I comuni assicurano l'assistenza necessaria all'adempimento dell'obbligo;

          b) di partecipare agli interventi di inserimento lavorativo e di integrazione sociale;

          c) se disoccupati, di accettare un'eventuale offerta di lavoro anche a tempo determinato.

      2. Il comune accerta il rispetto degli obblighi di cui al comma 1 e comunica le eventuali violazioni all'INPS, che in tal caso sospende l'erogazione del reddito di solidarietà attiva per i successivi sei mesi, decorsi i quali la riammissione al godimento del reddito è condizionata alla verifica della cessata violazione.

Art. 11.
(Accertamenti e verifiche).

      1. L'INPS, interrogando anche le competenti agenzie del Ministero dell'economia e delle finanze, verifica la sussistenza dei requisiti di cui all'articolo 6, comma 2, e dei trasferimenti previdenziali e assistenziali di cui all'articolo 9, comma 3, nonché, per quanto di propria competenza, la veridicità dei dati comunicati dal richiedente con la richiesta di cui all'articolo 7, comma 3.
      2. I comuni, nel monitoraggio dei piani individuali di integrazione sociale di cui all'articolo 8, verificano la permanenza dei requisiti previsti all'articolo 6 e provvedono ad ogni adempimento conseguente alla non veridicità dei dati dichiarati. A tal fine si avvalgono dei dati informativi a disposizione dei propri uffici, dell'INPS e degli altri enti erogatori di prestazioni previdenziali e assistenziali, nonché degli uffici e delle agenzie del Ministero dell'economia e delle finanze, ai quali possono chiedere ulteriori accertamenti, e si avvalgono della collaborazione delle Forze di polizia e del Corpo della guardia di finanza.

Art. 12.
(Controversie in materia di ammissione al reddito di solidarietà attiva).

      1. Le controversie in materia di ammissione al reddito di solidarietà attiva sono di competenza del tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione ha la residenza il richiedente.

Art. 13.
(Programma straordinario per le povertà estreme e per le persone senza dimora).

      1. Allo scopo di contrastare le condizioni di povertà estrema e di favorire l'integrazione delle persone senza dimora,

definite ai sensi del comma 2 del presente articolo, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Consiglio dei ministri, previa intesa con la Conferenza unificata, ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, approva un programma straordinario triennale di interventi dello Stato, delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti locali per l'adozione di una strategia comune di contrasto delle povertà estreme e a supporto dei percorsi di inclusione delle persone senza dimora. Obiettivo del programma è quello di ridurre le distanze tra le persone in stato di povertà estrema o senza dimora e i beneficiari degli interventi erogati dalla rete integrata, in modo da promuovere pari opportunità per tutti nell'accesso alle misure di protezione sociale.
      2. Ai fini della presente legge sono definite come senza dimora le persone in stato di povertà estrema che oltre ad essere in possesso dei requisiti di cui all'articolo 6:

          a) hanno una residenza anagrafica stabilita presso una sede di servizi comunali o un altro indirizzo anagrafico convenzionale gestito direttamente dall'amministrazione comunale oppure presso una sede di ente privato riconosciuta dall'amministrazione locale sul territorio comunale al fine dell'attribuzione della residenza anagrafica a persone fisiche;

          b) sono riconosciute dall'amministrazione comunale di residenza come persone senza dimora al momento della presa in carico, in base a modalità stabilite con convenzione tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) sentite le organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale nel campo della lotta alla povertà.

      3. Il programma straordinario triennale di cui al comma 1 definisce i compiti che ciascun livello di governo assume nella definizione degli strumenti di intervento, quantifica gli obiettivi di superamento

delle condizioni di povertà e opera la ricognizione delle risorse investite attraverso gli atti di programmazione economico-finanziaria.
Art. 14.
(Coordinamento della strategia nazionale di lotta contro la povertà).

      1. È istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri una cabina di regia per il monitoraggio delle azioni attivate dai livelli di governo e comprese nell'ambito dei livelli essenziali di cui all'articolo 1 e del programma straordinario triennale di cui all'articolo 13.
      2. La cabina di regia è presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri ed è composta dal Ministro dell'economia e delle finanze, dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, dal Ministro per i rapporti con le regioni, dal Governatore della Banca d'Italia, dal presidente dell'ISTAT, dal presidente dell'INPS, da tre presidenti di regione indicati dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome e da cinque rappresentanti degli enti locali.
      3. La cabina di regia si avvale di una segreteria tecnica composta da sei esperti nominati dal Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previa intesa con la Conferenza unificata. L'organizzazione e il funzionamento della cabina di regia e della segreteria tecnica sono disciplinati con regolamento da adottare previa intesa con la Conferenza unificata.
      4. La cabina di regia organizza annualmente una tavola rotonda nazionale sulla lotta alla povertà e all'esclusione sociale in concomitanza con il 17 ottobre, giornata mondiale contro la povertà, formalmente dichiarata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con risoluzione 47/196 del 22 dicembre 1992. In occasione della realizzazione della tavola rotonda la cabina di regia presenta il bilancio delle azioni, dei risultati e delle risorse investite nella strategia nazionale e in quelle locali di contrasto

alla povertà e, in particolare, rendiconta sull'impatto delle misure previste dalla presente legge.
      5. Decorsa la prima fase di attuazione, a decorrere da ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, qualora la cabina di regia, nell'ambito dell'attività di monitoraggio e di valutazione dei risultati di cui al comma 4 del presente articolo, rilevi il mancato rispetto da parte della regione degli adempimenti previsti per garantire gli interventi da attuare nell'ambito della rete integrata tale da mettere in pericolo la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni previsti dalla presente legge e concernenti i diritti delle persone in condizione di povertà, il Presidente del Consiglio dei ministri, con la procedura di cui all'articolo 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentiti il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per i rapporti con le regioni, diffida la regione ad adottare entro trenta giorni gli atti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali idonei a garantire il godimento dei suddetti livelli essenziali.
      6. Ove la regione non adempia alla diffida di cui al comma 5, ovvero gli atti e le azioni posti in essere, valutati dalla cabina di regia, risultino inidonei o insufficienti al raggiungimento degli obiettivi programmati, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentiti il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per i rapporti con le regioni, nomina un commissario ad acta per l'adozione degli atti regionali indicati dal citato comma 5.
      7. È in ogni caso fatto obbligo a ogni amministrazione comunale, a seguito di istanza di iscrizione anagrafica fittizia da parte di una persona che è priva della residenza e che ha i requisiti per ottenerla, di procedere a tale iscrizione in conformità alla legislazione vigente, quale atto preliminarmente dovuto per la garanzia delle azioni comprese nei livelli essenziali delle prestazioni di cui alla presente legge. Ai comuni che rifiutano l'iscrizione anagrafica di persone senza dimora prive di residenza e in possesso dei requisiti per ottenerla, è precluso l'accesso ai finanziamenti di cui all'articolo 15.
Art. 15.
(Norme finanziarie).

      1. È istituito presso l'INPS il Fondo per l'erogazione del reddito di solidarietà attiva, cui è destinata una dotazione di 2.300 milioni di euro per l'anno 2014 e di 2.800 milioni di euro annui a decorrere dal 2015. Tale dotazione è annualmente aggiornata sulla base della variazione media fatta registrare nell'anno precedente dall'indice dell'ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati e di operai.
      2. Il Fondo nazionale per le politiche sociali è incrementato con una ulteriore dotazione annua di 300 milioni di euro, da ripartire tra le regioni in relazione al valore degli indici di povertà calcolati dall'ISTAT per i territori di competenza.
      3. Alla copertura degli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge si provvede:

          a) quanto a 1.000 milioni di euro mediante riduzione pari al 10,94 per cento degli stanziamenti per consumi intermedi iscritti negli stati di previsione dei Ministeri;

          b) quanto a 1.600 milioni di euro, con corrispondente riduzione del Fondo sociale per occupazione e formazione di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2;

          c) quanto a 500 milioni di euro, a decorrere dal 2015, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento di cui al capitolo 4352 dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Il medesimo Ministero attiva, entro il 2014, procedure volte a verificare la permanenza dei requisiti sanitari nei confronti dei titolari di trattamenti di invalidità civile generica e promuove programmi regionali di integrazione socio-sanitaria.

Art. 16.
(Utilizzo dei dati del programma nazionale di sostegno all'autonomia economica e attività di monitoraggio).

      1. I dati relativi al programma nazionale di cui all'articolo 5, riferiti ai requisiti soggettivi ed economici dei beneficiari, alla durata e all'importo della prestazione, ai motivi per la sua eventuale cessazione o sospensione e alle caratteristiche degli interventi di integrazione sociale, alimentano il sistema informativo dei servizi sociali previsto dall'articolo 21 della legge 8 novembre 2000, n. 328. I dati sono acquisiti ed utilizzati dalla cabina di regia di cui all'articolo 14 ai fini del monitoraggio delle prestazioni; sono altresì resi disponibili agli enti locali e alle regioni operanti nell'ambito del programma nazionale di cui all'articolo 5, alle amministrazioni centrali dello Stato e alla Commissione di indagine sulla esclusione sociale di cui all'articolo 27 della citata legge n. 328 del 2000. I dati possono essere diffusi, in forma anonima, per finalità di ricerca e di studio.
      2. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali presenta al Parlamento ogni due anni un rapporto sullo stato di attuazione della presente legge.