• Testo INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA

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Atto a cui si riferisce:
C.4/12152    l'antico acquedotto romano Claudio Augusteo è risalente al I secolo a.C. si tratta di una struttura importante che, secondo l'opinione comune degli antichi storici, fu opera...



Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-12152presentato daCOLONNESE Vegatesto diGiovedì 18 febbraio 2016, seduta n. 572

   COLONNESE, LUIGI GALLO e SIBILIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno . — Per sapere – premesso che:
   l'antico acquedotto romano Claudio Augusteo è risalente al I secolo a.C. si tratta di una struttura importante che, secondo l'opinione comune degli antichi storici, fu opera dell'Imperatore Claudio con lo scopo di portare acque abbondanti e salubri dalle sorgenti di Serino alle popolazioni di antiche ed illustri città come Napoli, Pompei, Nola, Atella, Pozzuoli, e di alimentare un'ampia conserva artificiale, denominata piscina Mirabile nel porto di Miseno, per rifornire di acqua potabile le flotte romane nel mediterraneo: le date incise su alcuni tubi di piombo consentono una precisa datazione dell'opera al tempo dell'imperatore Claudio (Lugdunum, 12 agosto 10 a.C. – Roma, 13 ottobre 54). La lunghezza dell'acquedotto, dalla sua origine fino a Miseno, è di circa 90 chilometri. È tutto rivestito di muratura eccetto i tratti ove fora i banchi di pietra (tufo o calcarea) nei quali sono applicati una forte incameratura ed un saldissimo battuto rispettivamente sulle pareti e sul solaio. Esso presenta in tutta la sua lunghezza una sezione rettangolare fino alla imposta della volta e semicircolare o triangolare per la parte superiore; le sue dimensioni interne sono di larghezza metri 0,79 e di altezza metri 1,85. La sua struttura è varia secondo i materiali che offrono i luoghi attraverso i quali esso passa. Il cielo è formato in alcune parti a volta semicilindrica, in altre da grandi lastre d'argilla cotta messe a cavalcioni; le mura laterali sono ricoperte di eccellente incamiciato ed il solaio è formato, in alcuni siti da un battuto di rottami di pietre e mattoni con calcina, in altri da grandi lastre laterizie;
   l'acquedotto fu completamente distrutto dopo la caduta dell'impero romano da Belisario, illustre generale inviato dall'imperatore Giustiniano a metà del 536 d. C. durante la guerra greco-gotica. Per obbligare Napoli alla resa il guerriero bizantino lo distrusse e riuscì ad assediare la città. Più volte, nel corso dei secoli, fu presa in considerazione la proposta di un restauro del claudiano acquedotto. Solo nel Millecinquecento si intraprese l'opera di ricostruzione, per volontà di don Pedro de Toledo. Lo studioso incaricato della stesura del progetto, Antonio Lettieri, rinvenne le tracce dell'intero percorso dell'acquedotto, che si estendeva per molte miglia, dalle sorgenti dell'Acquara, presso Serino, fino alla costa del golfo di Napoli, con una struttura alta 2,10 metri e larga 0,82 metri, e con canalizzazioni sotterranee in alcuni tratti. Alcune diramazioni conducevano l'acqua nelle zone di Nola, Pompei, Pomigliano d'Arco e Atella. Il tratto principale invece serviva l'area di Casoria e San Pietro a Patierno, giungendo nella località denominata «Cantarelli» proprio dai «cantari», che erano tubi nei quali l'acqua fluiva, diramandosi infine in diverse zone della città di Napoli. Altra proposta di restauro fu fatta dal Re Carlo III di Borbone in occasione dell'inizio della costruzione della Reggia di Caserta. Il Re incaricò l'architetto Gaetano Spaltri di verificare la possibilità di portare le pregiatissime acque di Serino alla Reggia. L'architetto per l'occasione diede parere negativo considerando quest'opera assai difficile e dispendiosa. L'ultimo tentativo di restauro fu affidato al famoso ingegnere napoletano Felice Abate dal Governo Reale borbonico nell'anno 1841. L'ingegnere Felice Abate nel 1863 ne «Su» progetti per provvedere la città di Napoli di nuove acque potabili dedicò uno studio speciale al tratto dell'acquedotto che attraversa la valle di Lanzara comprendente la mirabile galleria che trafora il monte Paterno dal piano di Lanzara a quello di Sarno affinché si possa trarne una lezione «del modo onde gli antichi romani solevano condurre per traverso i monti i loro incomparabili acquedotti». A testimoniare l'importanza di tale acquedotto numerosi illustri uomini di cultura nel corso dei secoli ne hanno tracciato i lineamenti, a partire da Boccaccio, nel suo libro « De Fluminibus» che contribuisce anche a far luce sull'identità del suo autore; infatti, nel libro « De Magnificentia» al capitolo II afferma che l'autore di questo acquedotto fu l'imperatore Claudio, perciocché, dice egli, che al suo tempo nelle reliquie di quello si trovò scritto il suo nome;
   nella zona dei Ponti Rossi a Napoli (che prende il nome proprio dagli archi a ponte di laterizio rosso dell'antico acquedotto romano) che va dal Parco di Capodimonte, fino a Piazza Grande tramite Via Ponti Rossi, si conservano ancora integri i resti dell'acquedotto romano Claudio Augusteo che versano però in uno stato di profondo degrado. Alcune arcate furono ingabbiate dopo il terremoto dell'80 per problemi di stabilità, i ponteggi sono stati poi rimossi senza che fossero stati effettuate opere atte al ripristino della stabilità. Da fonti di stampa risultano annunciati lavori di restauro e/o riqualificazione con fondi strutturali non meglio specificati dalle istituzioni di prossimità, che però a tutt'oggi non risultano partiti, né gli interroganti ne hanno trovato traccia. Dalla programmazione ordinaria del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per il triennio 2015/2017 sarebbero disponibili 700.000,00 euro per sedi ed aree archeologiche finalizzate alla messa in sicurezza di monumenti ad elevato rischio di crollo –:
   se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa;
   se risultino ai Ministri interrogati, per quanto di competenza, progetti di riqualificazione e ristrutturazione del bene archeologico che sicuramente aiuterebbero la riqualificazione della zona ad elevata densità abitativa;
   quali interventi intendano promuovere, per quanto di competenza, per eliminare il rischio di crollo e tutelare l'incolumità pubblica;
   se non si intendano destinare finanziamenti specifici al fine di riqualificare l'area archeologica suddetta. (4-12152)