• Testo INTERROGAZIONE A RISPOSTA IN COMMISSIONE

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Atto a cui si riferisce:
C.5/07936    il 7 marzo 2016 sarà trascorso un anno dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2015 che ha introdotto il contratto a tutele crescenti per i dipendenti assunti a partire...



Atto Camera

Interrogazione a risposta in commissione 5-07936presentato daCIPRINI Tizianatesto diVenerdì 26 febbraio 2016, seduta n. 578

   CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali . — Per sapere – premesso che:
   il 7 marzo 2016 sarà trascorso un anno dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2015 che ha introdotto il contratto a tutele crescenti per i dipendenti assunti a partire dal 7 marzo 2015;
   è noto che il contratto a tutele crescenti, lungi dall'innalzare le tutele del dipendente, ha abrogato l'articolo 18 della legge n. 300 del 1970 (cosiddetto Statuto dei lavoratori), eliminando il diritto del lavoratore illegittimamente licenziato dal datore di lavoro di ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro e ancorando la tutela contro il licenziamento ad un mero indennizzo economico;
   le disposizioni sui licenziamenti facevano supporre e prospettavano un robusto intervento di politiche attive del lavoro, per realizzare quel circolo virtuoso di cosiddetta flexsecurity che avrebbe consentito alla persona che perde il lavoro di essere coperta economicamente da un forte e moderno ammortizzatore sociale, nel mentre veniva presa in carico da un efficace sistema di politiche attive che la traghettasse verso un'altra occupazione;
   ad una maggiore flessibilità in uscita dal posto di lavoro (ovvero licenziamenti più facili) avrebbe dovuto, nelle intenzioni della riforma, corrispondere la creazione di strumenti efficienti e rapidi a tutela del dipendente espulso dal mondo del lavoro affinché gli fosse consentito il reperimento di una nuova occupazione;
   il decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, in tema di riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, è entrato in vigore il 24 settembre 2015 e ha previsto l'istituzione di una Rete Nazionale dei servizi per le politiche del lavoro, coordinata dalla nuova Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal); nella suddetta rete nazionale confluiranno le strutture regionali per le politiche attive del lavoro, l'Inps, l'Inail, le agenzie per il lavoro (insieme gli altri soggetti autorizzati all'attività di intermediazione, gli enti di formazione, Italia Lavoro, l'Isfol, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, le università e gli altri istituti di scuola secondaria di secondo grado);
   l'Anpal gestirà l'albo nazionale dei soggetti accreditati a svolgere funzioni in materia di politiche attive del lavoro, un Sistema informativo delle politiche del lavoro e il fascicolo elettronico del lavoratore, in cui vengono iscritte le agenzie per il lavoro e le agenzie che intendono operare nel territorio delle regioni che non abbiano istituito un proprio regime di accreditamento;
   anche il post lavoro viene trattato dal decreto, e, per i lavoratori che debbono inserirsi o reinserirsi nel mercato del lavoro, il decreto prevede che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali stipuli con ogni regione e con le province autonome una convenzione per la gestione dei servizi, prevedendo, in via transitoria, che i compiti, le funzioni e gli obblighi in materia di politiche attive del lavoro siano attribuiti a soggetti pubblici o privati accreditati, anche al fine di svolgere, nei confronti dei disoccupati e dei soggetti a rischio di disoccupazione, attività di orientamento, ausilio, avviamento alla formazione e accompagnamento al lavoro;
   i lavoratori a rischio di disoccupazione verranno assegnati ad una classe di profilazione (ovvero saranno definiti all'interno di un target specifico), allo scopo di valutarne il livello di occupabilità e saranno convocati dai centri per l'impiego per la stipula del «Patto di servizio personalizzato» che in questo caso, dovrà inoltre riportare la disponibilità del richiedente a partecipare a iniziative di carattere formativo, di riqualificazione o di politica attiva e ad accettare congrue offerte di lavoro; la novità è la nascita dell’«assegno di ricollocazione», a favore dei soggetti disoccupati, percettori della nuova prestazione di assicurazione sociale per l'impiego (NASpi), la cui disoccupazione ecceda i quattro mesi. La somma, graduata in funzione del profilo di occupabilità, sarà spendibile presso i centri per l'impiego o presso i soggetti accreditati a svolgere funzioni e compiti in materia di politiche attive del lavoro;
   tuttavia, molte norme del suddetto decreto in materia di politiche attive del lavoro sono, a tutt'oggi, rimaste ancora sulla carta nonostante l'entrata in vigore del contratto a tutele crescenti e cioè licenziamenti più facili già dal 7 marzo 2015;
   la realtà dei fatti è altra: come rivela Francesco Nespoli (bollettino Adapt del 14 gennaio 2016) il Jobs act «nella sua foga riformista mette il carro della flessibilità davanti ai buoi della sicurezza, creando il rischio che la prima si manifesti molto prima che la seconda possa contenerne gli effetti negativi»;
   il ritardo nella creazione di idonee misure di politica attiva del lavoro e del tanto conclamato ricollocamento assistito, anche tramite i centri per l'impiego, sta creando un vuoto che porta ad un sostanziale abbandono del disoccupato o del dipendente espulso dal mondo del lavoro che non trova nessuna delle misure previste;
   eppure il Presidente del Consiglio durante la conferenza stampa del 20 febbraio 2015, annunciando l'avvento della rivoluzione copernicana dei contratti e la fine della precarietà, affermava: «Nessuno sarà più lasciato solo»;
   in un articolo apparso su IlSole24Ore del 6 dicembre 2015 si chiede: «Siete entrati oggi in un Centro pubblico per l'impiego ? Chi, purtroppo, ha perso il lavoro e lo ha fatto non ha ancora trovato le novità annunciate dal Job act, e cioè meno file agli sportelli e un moderno sistema di accompagnamento attivo alla ricerca di un'altra occupazione, anche grazie al contributo di imprese e agenzie private per il lavoro. Fatta eccezione per pochissime realtà territoriali che da anni sperimentano politiche attive all'avanguardia, come per esempio regione Lombardia con la Dote unica lavoro, da Nord e a Sud Italia le misure contenute nel dlgs 150, in vigore dallo scorso 24 settembre, sono finora rimaste sulla carta (mentre sono partite sia le tutele crescenti sia il riordino degli ammortizzatori e dei sussidi)»;
   inadeguate appaiono, a parere degli interroganti, sia le misure organizzative che le risorse messe a disposizione dei servizi pubblici per l'impiego: il decreto n. 150 del 2015 riconosce a tali servizi un peso specifico rilevante, visto che è attraverso i centri per l'impiego che si avvia la procedura di politica attiva;
   nel 2014, stando ai dati Inps, hanno usufruito delle misure pubbliche che aiutano a trovare un'occupazione 936.640 persone: il 5,2 per cento in meno rispetto al 2013 e il 21 per cento in meno rispetto al 2010;
   come riportato da IlFattoQuotidiano del 30 novembre 2015 e rilevato da Giovanni Alleva, presidente Istat, in audizione al Senato: «Nel 2013, l'Italia ha speso lo 0,03% del Pil in servizi per il lavoro rispetto allo 0,36% della Germania, allo 0,25% della Francia (dato al 2012) e allo 0,08% della Spagna (dato al 2012). In termini di spesa per disoccupato e forze lavoro potenziali, si va dai circa 2.800 euro pro-capite spesi dalla Germania, ai 1.500 della Francia, ai 122 della Spagna e gli 84 dell'Italia (dati 2012)»;
   il rapporto tra disoccupati e operatori è in Italia di un addetto ai front office per ogni 254 utenti: in Germania di 1 a 26; in Gran Bretagna il rapporto tra operatori e utenti, è di uno ogni 20 disoccupati; in Francia di 1 a 65 (Commissione europea: PES Performance measurement system e PES fiches 2014);
   ma il problema del personale addetto ai servizi pubblici per l'impiego (tra l'altro interessato anche dalla «riforma Delrio») non è solo quantitativo; va infatti considerato anche il problema del grado di istruzione dei dipendenti, davvero modesto: dal Rapporto di monitoraggio del dicembre 2013 emerge che delle persone che dovrebbero prendersi in carico i disoccupati e portarli, con competenza e professionalità, a trovare un nuovo lavoro, solo una su quattro ha la laurea. La stragrande maggioranza (57,1 per cento) si ferma al diploma, e un numero impressionante (15,8 per cento) ha solamente la licenza media. Dal punto di vista dell'inquadramento contrattuale l'88,2 per cento dei dipendenti dei centri per l'impiego, è inserito con un contratto a tempo indeterminato; un dato però molto variegato da regione a regione: si va dalla Sicilia, dove il 99,6 per cento degli impiegati ha il posto fisso, al Molise dove questa tipologia contrattuale riguarda appena il 61,7 per cento del personale;
   inoltre il recente disegno di legge presentato dal Governo al Senato, recante misure per la tutela del lavoro autonomo, ha previsto la creazione di uno sportello anche per i lavoratori autonomi, così ampliando la platea degli utenti che si rivolgeranno ai centri per l'impiego;
   a ciò si aggiunga l'incertezza normativa e contrattuale che sta vivendo il personale destinato ai servizi pubblici interessati dalla cosiddetta «riforma Delrio»: recentemente ad esempio i dipendenti dei servizi per l'impiego della provincia di Perugia, convocati in assemblea dalla Rsu hanno posto in evidenza il disagio riscontrato nelle attività quotidiane rivolte a centinaia di dipendenti;
   critica è per gli interroganti anche la sostenibilità economica di tali operazioni: il 30 luglio 2015 è stato siglato tra Governo e regioni un accordo quadro sulla gestione della fase transitoria connessa all'attuazione del decreto legislativo in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive del lavoro: l'accordo, oltre a sancire la ripartizione delle competenze in materia di politiche attive del lavoro tra Governo, regioni e istituenda Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal), allo scopo di garantire la continuità di funzionamento dei centri per l'impiego, stabilisce che Governo e regioni si impegnano a reperire le risorse necessarie per coprire i costi del personale a tempo indeterminato nel, periodo 2015-2016, nella proporzione di 2/3 a carico del Governo e di 1/3 a carico delle regioni, prevedendo una verifica alla data del 30 giugno 2016 sullo stato di attuazione dell'accordo;
   secondo Alessandro Rosina, professore di demografia e statistica sociale all'Università Cattolica di Milano, coordinatore dell'indagine Rapporto giovani, «L'asse portante delle politiche attive sono i servizi per l'impiego. Ma il problema è che in Italia sono caratterizzati da bassa copertura del territorio, bassa qualità e scarsi investimenti» (IlFattoQuotidiano del 30 novembre 2015);
   nel Regno Unito i dipendenti dei centri per l'impiego sono 70 mila e si spendono per questi servizi più di 5 miliardi di euro all'anno;
   è evidente, a parere degli interroganti, il gap tra le risorse umane, funzionali, organizzative e finanziarie stanziate per i servizi e i centri per l'impiego e gli obiettivi prefissi della riforma che, a tutt'oggi, non assicura adeguate politiche attive per il disoccupato o il lavoratore espulso dal mercato del lavoro e pone l'urgenza di intervenire;
   la neoistituita Anpal andrebbe a sostituire molteplici funzioni e adempimenti fino ad oggi svolti dalle strutture regionali per le politiche attive del lavoro e numerosi enti con l'effetto di indebolire, a giudizio degli interroganti, le strutture pubbliche deputate ai servizi per l'impiego a tutto vantaggio delle agenzie private per il lavoro –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo, in tempi celeri e certi, per realizzare efficaci servizi pubblici per il lavoro e favorirne la gestione, e per promuovere politiche attive in materia in presenza di stanziamenti, risorse finanziarie ed investimenti – anche di natura tecnologica – assai risicati e incerti e di personale deputato ai servizi per l'impiego che ad oggi, si rivela per gli interroganti insufficiente e scarsamente formato ai nuovi compiti di ricollocazione di lavoratori disoccupati o espulsi dal mondo del lavoro, e che sarà impiegato nella neoistituita Anpal. (5-07936)