• Testo RISOLUZIONE IN COMMISSIONE

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Atto a cui si riferisce:
S.7/00043 osserva quanto segue: 1. l'articolo 8, intitolato "nomina e revoca del Procuratore europeo", suscita perplessità nella parte in cui non stabilisce alcun criterio attraverso il...



Atto Senato

Risoluzione in Commissione 7-00043 presentata da VINCENZO MARIO DOMENICO D'ASCOLA
martedì 19 novembre 2013, seduta n.062

La Commissione, esaminato l'atto comunitario (n. COM(2013) 534 definitivo), recante la proposta di regolamento del Consiglio che istituisce la Procura europea, preso atto delle osservazioni formulate dalla Commissione per le politiche dell'Unione europea di seguito allegate,

osserva quanto segue:

1. l'articolo 8, intitolato "nomina e revoca del Procuratore europeo", suscita perplessità nella parte in cui non stabilisce alcun criterio attraverso il quale poter predeterminare i soggetti legittimati a comporre la rosa dei candidati che la Commissione deve presentare al Parlamento e al Consiglio. Data l'importanza delle funzioni attribuite e la necessità che il futuro Procuratore europeo manifesti spiccate note di professionalità e competenza di tipo investigativo, sembrerebbe opportuno che il Regolamento fissi taluni parametri, non soltanto funzionali a garantire la necessaria professionalità del Procuratore europeo, ma anche utili per limitare le domande, rendendo più agevole la procedura di selezione. La mancanza dei parametri sopra citati non può poi ritenersi colmata dalla previsione di un parere richiesto dalla Commissione ad un Comitato da essa stessa istituito e composto da sette personalità scelte tra ex membri della Corte di Giustizia, membri dei massimi organi giurisdizionali nazionali, membri delle Procure nazionali e/o giuristi di notoria competenza, uno dei quali proposto dal Parlamento europeo, nonché dal Presidente di Eurojust in qualità di osservatore. Infatti, per un verso il Comitato si limita a formulare un parere che, nel silenzio della norma, sul punto non sembrerebbe nemmeno vincolante (non si capisce neppure se lo si debba considerare obbligatorio); per un altro verso la disposizione in oggetto si limita a segnalare gli ambiti all'interno dei quali devono essere ricercate le personalità che comporranno il Comitato, ma non i criteri che devono guidare la scelta. Si evidenzia dunque il rischio che il Procuratore europeo possa essere selezionato in maniera discrezionale e di fatto sottratta ad ogni serio controllo;

2. inoltre, ancora con riferimento all'istituto del Procuratore europeo, il comma 4 dell'articolo 8 stabilisce, tra l'altro, che sia revocato allorquando abbia commesso una "colpa grave". Tale espressione risulta impropria e imprecisa, dal momento che la commissione dovrebbe semmai riguardare un "fatto" commesso con colpa grave. L'imprecisione del linguaggio, la sua genericità e soprattutto il suo uso improprio e non corrispondente alla tradizione giuridica, costituiscono, per come meglio si vedrà in seguito, uno dei difetti più frequenti del testo in esame. Si osserva che questi rilievi non rivestono una portata esclusivamente formale, dal momento che si rifletteranno, nel caso di adozione del Regolamento, sulla sua stessa applicazione, generando prevedibili contrasti e incertezze interpretative. Osservazioni analoghe possono altresì riferirsi all'articolo 11, comma 3, così come all'articolo 13, comma 1, là dove si utilizza il verbo "svolgere" con riferimento all'oggetto costituito dall'azione penale;

3. quanto poi all'articolo 13, comma 1, intitolato "competenza accessoria", si afferma il principio secondo il quale i reati indissolubilmente collegati con quelli di cui all'articolo 12, ossia quelli che ledono gli interessi finanziari dell'Unione, sono di competenza della Procura europea. Ora, a parte talune evidenti obiezioni di natura formale, l'espressione "indissolubilmente collegati" non consente di comprendere l'estensione della categoria dei reati ai quali il Regolamento intenda riferirsi. Tra l'altro, a questo presupposto sembra se ne debba aggiungere uno ulteriore costituito dalla necessità che la competenza della Procura europea risulti conforme all'interesse della "buona amministrazione della giustizia". Conclusione, questa, resa palese dall'uso della congiunzione "e" che accomunerebbe i due presupposti condizionanti la competenza del Procuratore europeo. Pertanto, accanto all'indeterminato parametro del collegamento indissolubile, si attuerebbe quello ben più indecifrabile di una competenza accessoria che implicherebbe l'interesse della buona amministrazione della giustizia. Ognuno comprende come, sul delicatissimo nodo della competenza accessoria e, quindi, dei conflitti positivi o negativi tra la Procura europea e le diverse Procure nazionali, i quali implicherebbero disposizioni chiare e meccanismi in grado di ridurre quanto più è possibile i prevedibili futuri contrasti, il Regolamento pecchi per eccessiva indeterminatezza. Ma non basta, l'oscurità del testo e la sua imprecisione crescono allorquando si specifica che tutto ciò debba avvenire a condizione che i primi reati, ossia quelli di cui all'articolo 12, siano "prevalenti" e gli altri reati, ossia quelli attivanti la competenza accessoria, si basino su "fatti identici". Con riferimento a tale disposizione, risulta difficile comprendere quale sia l'unità di misura alla luce della quale stimare la prevalenza o meno dell'una categoria di reati sull'altra, ma soprattutto cosa si debba intendere per "fatti identici". In particolare, se il concetto di "fatto" sia riferibile a ciò che è stato accertato, ovvero rispetto a quali altri fatti si debba stimare il presupposto della identità, apparendo improbabile che le fattispecie legali astratte, ma anche quelle concrete dei reati cosiddetti accessori possano risultare identiche tra loro, nonché identiche rispetto a quelle dei reati di cui all'articolo 12. Nel solco della critica sopra delineata si pone anche l'espressione "disaccordo" (comma 3) che, nella intenzione degli autori del Regolamento, ricomprenderebbe i conflitti positivi e negativi tra Procure;

4. anche l'articolo 14 si caratterizza per problemi di natura formale. In particolare, nel delineare la competenza della Procura europea si fa riferimento ai reati di cui agli articoli 12 e 13 che siano commessi in tutto o in parte "sul territorio di uno o più Stati membri", oppure "da un loro cittadino" (non essendo peraltro chiaro se si debba intendere da un cittadino di uno o più Stati membri), "da un membro del personale dell'Unione o da un membro delle istituzioni". La disposizione in argomento che denota un qualche deficit di chiarezza, sembra porre sullo stesso piano i reati di cui agli articoli 12 e 13 - se commessi sul territorio dell'Unione - e quelli comunque commessi da un cittadino di questa (con la quale disposizione sembrerebbe introdursi accanto al criterio del territorio, quello dell'autore). A parte l'uso dell'avversativa "oppure" all'interno della lettera a), che desta evidenti perplessità, vi è da osservare che l'espressione "reati commessi in tutto o in parte", che compare anche nel nostro codice penale all'articolo 6, è compatibile soltanto con i criteri determinativi della competenza per territorio - quindi con la lettera a) - non anche con quelli di natura soggettiva contenuti nella lettera b). Laddove l'uso dei due punti, a seguito dei quali sono dettate entrambe le lettere a) e b), rende l'espressione in oggetto riferibile ad entrambi i criteri determinativi della competenza e del suo esercizio. Vi è pure da osservare che l'espressione "in tutto o in parte commessi" potrebbe risultare evocativa della materia del concorso di più persone nel reato, con la conseguenza che il contributo concorsuale dei soggetti indicati alla lettera b), determinerebbe l'esercizio della competenza del Procuratore europeo, sia pure limitatamente ai reati di cui agli articoli 12 e 13. Tuttavia, questa conclusione resterebbe esclusa per il caso dei reati di cui all'articolo 12, ossia quelli che ledono gli interessi finanziari della Unione europea, per i quali la competenza è certamente ascritta in capo alla Procura europea la quale, di conseguenza, sarebbe anche competente per gli "altri"reati di cui all'articolo 13, sempre che ne ricorrano le condizioni. Insomma, l'oscurità di un linguaggio tra l'altro improprio e l'ampiezza dei dubbi che ne derivano giustificano le perplessità espresse dalla Commissione sul punto.
Con riferimento ai seguenti rilievi, la Commissione raccomanda l'opportunità di apportare modifiche e riformulazioni al testo al fine di garantirne la compatibilità con il dettato costituzionale e, in particolare, con gli articoli 14, 15, 25 e 111 della Costituzione;

5. perplessità rilevanti investono la delicata disciplina contenuta nell'articolo 26. Per come è noto, le misure investigative ivi elencate si dividono in due categorie. Quelle che possono essere disposte direttamente dalla Procura europea e le altre - ricomprese dalla lettera k) alla lettera u) - che sono soggette ad autorizzazione giudiziaria solo se in tal senso dispone il diritto dello Stato membro in cui devono essere eseguite. Ciò comporta l'ovvia conseguenza che le diverse misure investigative, ossia quelle che vanno dalla lettera a) alla lettera j), potrebbero essere disposte ovunque, senza alcuna autorizzazione dell'autorità giudiziaria nazionale, addirittura anche a prescindere dal fatto che le discipline di legge nazionali, o - nel caso italiano - direttamente gli articoli 14 e 15 della Carta costituzionale, impongano una espressa riserva di giurisdizione. Al riguardo vi è da rilevare che le misure investigative che la Procura europea potrebbe adottare senza controllo giurisdizionale, in taluni casi impongono in Italia l'intervento dell'autorità giudiziaria e talvolta concernono diritti dei cittadini proclamati inviolabili dalla Costituzione. È il caso, giusto per l'esempio più macroscopico, delle intercettazioni delle telecomunicazioni di cui l'indagato è destinatario o mittente, comprese le e-mail (lettere e ed f), ma lo stesso rilievo vale altresì per le lettere g), h), i) e j);

6. l'articolo 27, quanto alla individuazione dell'autorità giurisdizionale nazionale, enuclea i criteri ai quali il Procuratore europeo deve attenersi senza però che tra di essi sussista alcun ordine gerarchico, né tanto meno un meccanismo giudiziale che consenta il controllo della scelta del Foro. A tale riguardo si segnala, quale elemento di assoluta originalità, tra l'altro di difficile interpretazione quanto agli esiti che potranno determinarsi nella concreta individuazione della giurisdizione, il riferimento al luogo in cui è ubicata la prova" (comma 4, lettera c). In proposito, si raccomanda di voler almeno inserire nell'elenco di cui al citato comma 4 un'espressa indicazione degli ordini di priorità finalizzati alla determinazione dell'organo giurisdizionale competente;

7. anche riguardo all'articolo 28 si avanzano taluni profili di criticità. A parte il riferimento nella lettera d) del comma 1 (archiviazione obbligatoria) alla scadenza del termine nazionale per l'esercizio dell'azione penale, che evocherebbe una sorta di prescrizione processuale (si pensi all'istituto del processo cosiddetto breve) non prevista in Italia, nel comma 2 (prescrizione facoltativa) alla lettera a) si fa riferimento alla sconosciuta categoria del "reato minore", peraltro ai sensi della emananda direttiva "2013/xx/UE";

8. all'articolo 29 è regolato l'istituto del cosiddetto compromesso che presenta taluni aspetti simili a quelli dell'oblazione delineata dalla disciplina codicistica italiana. Anche in tale disposizione si introduce il bene costituito dalla "buona amministrazione della giustizia" come ragione giustificatrice della prosecuzione del procedimento. Tuttavia, malgrado il richiamo alla necessità di proseguire il procedimento, la disposizione prevede che la Procura europea possa, previo risarcimento del danno, proporre all'indagato una "sanzione pecuniaria forfettaria" (sono sconosciuti i criteri alla luce dei quali si dovrà fissare la concreta entità della sanzione), il pagamento della quale comporterebbe "l'archiviazione definitiva del caso". Si evidenzia poi la ulteriore anomalia di una richiesta che non parte dall'indagato, bensì dalla Procura. Infine, il comma 4 si segnala anche per un'altra violazione del principio della riserva di giurisdizione che sul punto, al contrario, si imporrebbe, data la dilatata discrezionalità ("può") attribuita sul punto alla Procura europea;

9. infine, l'articolo 30 del Regolamento costituisce una delle norme che presentano maggiori dubbi e presenta rischi di potenziale antinomiacon l'articolo 111 della nostra Costituzione. La disposizione in oggetto è intitolata "ammissibilità delle prove" e stabilisce che l'organo giurisdizionale di merito debba ammettere le prove presentate dalla Procura europea, tranne che queste pregiudichino l'imparzialità del giudice o i diritti della difesa, sanciti dagli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione. Sul punto la disposizione stabilisce che il giudice ammette le prove al processo (l'uso dell'indicativo alla terza persona singolare è chiaramente evocativo di una condizione di obbligo al quale si può derogare soltanto nei casi espressamente previsti), "senza necessità di convalida o altra operazione giuridica analoga". Ma soprattutto ciò può avvenire "anche se il diritto nazionale dello Stato membro in cui ha sede l'organo giurisdizionale prevede norme diverse per la raccolta e la presentazione delle prove". A parte la difficoltà di identificare mezzi di prova che possano pregiudicare l'imparzialità del giudice, ciò che preoccupa maggiormente è la tassativa ammissione delle prove raccolte, non soltanto senza convalida o altre operazioni giuridiche analoghe (categorie, anche queste, emblematiche della confusione espositiva), ma soprattutto l'affermazione secondo la quale l'acquisizione al processo e quindi al giudizio ordinario avverrebbe anche se la legislazione nazionale disponesse diversamente con riferimento alla raccolta e alla presentazione delle prove stesse. Sul punto, è appena il caso di notare come l'articolo 111 della nostra Costituzione preveda soltanto tre casi di eccezione al principio, altrettanto costituzionale, della formazione della prova nel contraddittorio tra le parti: il consenso (per salvare i cosiddetti riti alternativi), la irripetibilità della prova e la natura illecita di quest'ultima. Non vi è dubbio, pertanto, che l'articolo 30 del Regolamento nella sua letteralità si pone in conflitto con l'articolo 111 della Costituzione. Tale conflitto potrebbe essere al limite scongiurato se si ritenesse che la disposizione in oggetto debba considerarsi limitata ad una sorta di udienza preliminare, all'interno della quale tutte le prove raccolte dalla Procura europea nel corso delle indagini sono utilizzabili, mentre la griglia selettiva delle prove trasferibili al giudizio riguarda lo sviluppo del procedimento e la sua eventuale trasformazione in processo (eventuale, data la possibilità di riti alternativi). In tal senso sembrerebbe forse militare - ma il condizionale e d'obbligo - l'ultima parte del comma 3 del successivo articolo 32 ("una volta che l'organo giurisdizionale nazionale competente ha preso atto dell'imputazione, i diritti processuali dell'imputato si basano sui regimi nazionali applicabili").
Non appare del tutto chiaro poi il senso del comma 2 del medesimo articolo 30, secondo il quale l'ammissione delle prove provenienti dalla Procura europea al processo (ritorna anche qui una espressione che per il nostro diritto processuale penale è prevalentemente indicativa del giudizio e non della indagine) non pregiudicherebbe la competenza degli organi giurisdizionali a "valutarle liberamente". Disposizione, questa, inutile, salvo avere incongruamente pensato all'esistenza di un obbligo del giudice di valutare non liberamente simili elementi di prova.
(7-00043)
D'ASCOLA