• C. 1487 EPUB Proposta di legge presentata il 6 agosto 2013

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Atto a cui si riferisce:
C.1487 Modifiche agli articoli 6 e 47 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, per garantire adeguata rappresentanza dei sessi nei consigli e nelle giunte comunali e circoscrizionali


Organo inesistente

XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 1487


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
VALERIA VALENTE, LUCIANO AGOSTINI, AMENDOLA, AMODDIO, BRUNO BOSSIO, CASELLATO, CENNI, COMINELLI, COVELLO, GRIBAUDO, IORI, MADIA, MANZI, MARCHI, MORETTI, MURA, PATRIARCA, PETITTI, RUGHETTI, SCALFAROTTO, SCUVERA, SERENI, TARTAGLIONE, VELO, VENITTELLI
Modifiche agli articoli 6 e 47 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, per garantire adeguata rappresentanza dei sessi nei consigli e nelle giunte comunali e circoscrizionali
Presentata il 6 agosto 2013


      

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Onorevoli Colleghi! Nel corso delle ultime legislature si è andata consolidando un'intensa azione legislativa, sia a livello nazionale che regionale, destinata a dare piena e efficace attuazione al principio della parità di rappresentanza dei sessi, che trova fondamento negli articoli 3 e 51 della Costituzione. La Corte costituzionale (per tutte, si rammenta la sentenza n. 4 del 2010) ha più volte ribadito che la finalità espressa dall'articolo 51, primo comma, della Costituzione, nel testo modificato dalla legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1, coordinata con le disposizioni dell'articolo 117, settimo comma, della stessa Costituzione, nel testo modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 è quella di «ottenere un riequilibrio della rappresentanza politica dei due sessi». L'articolo 51, infatti, dispone che «Tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini», e l'articolo 117 stabilisce, a sua volta, che «Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive». Numerose sono state le pronunce del giudice amministrativo che, nel richiamarsi alle citate disposizioni costituzionali, ne hanno affermato la portata immediatamente applicativa del principio di uguaglianza sostanziale di cui all'articolo 3 della stessa Costituzione, inteso non solo come divieto di azioni discriminatorie fondate sul sesso (con un'accezione, cioè, di tipo negativo), ma anche come principio, a contenuto prescrittivo, che impegna tutte le istituzioni pubbliche alla rimozione degli ostacoli che di fatto impediscono la piena partecipazione degli uomini e delle donne alla vita sociale, istituzionale e politica del Paese. Il medesimo principio, inoltre – e anche di questa specificazione esiste una copiosa giurisprudenza amministrativa – si irradia trasversalmente nel tessuto ordinamentale complessivo, connettendosi strumentalmente a ulteriori valori costituzionali, quali i princìpi di buon andamento e di imparzialità dell'azione amministrativa. La rappresentanza di entrambi i sessi negli organi amministrativi, specie se di vertice e di spiccata caratterizzazione politica, dunque, com’è stato ripetutamente affermato in sede giurisdizionale, «(...) garantisce l'acquisizione al modus operandi dell'ente, e quindi alla sua concreta azione amministrativa, di tutto quel patrimonio, umano, culturale, sociale, di sensibilità e di professionalità, che assume una articolata e diversificata dimensione in ragione proprio della diversità del genere», atteso che i ripetuti interventi del legislatore sulla materia sono indirizzati ad assicurare che il nostro ordinamento realizzi pienamente «(...) il riequilibrio fra donne e uomini in generale e il principio della cosiddetta parità democratica nella rappresentanza, in particolare, come valori fondanti del nostro sistema ordinamentale, e che in detto contesto costituzionale si colloca il trend normativo che in questi ultimi anni, a livello sia primario che secondario, si caratterizza per l'introduzione di numerose prescrizioni orientate all'attuazione dell'obiettivo delle pari opportunità» (Per tutte, la recentissima sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Roma, sezione seconda-bis, n. 633 del 2013).
      Sono esattamente quelle sommariamente richiamate la ratio ispiratrice e la finalità delle numerose norme emanate nel corso degli ultimi anni. Ci si riferisce, in particolare, al codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, che all'articolo 1, comma 4, prescrive che «L'obiettivo della parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere tenuto presente nella formulazione e attuazione, a tutti i livelli e ad opera di tutti gli attori, di leggi, regolamenti, atti amministrativi, politiche e attività»; al comma 3 dell'articolo 6 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL), di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, che a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 23 novembre 2012, n. 215, recante «Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. Disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni» prescrive che «Gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125, e per garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da esso dipendenti». L'articolo 6 del TUEL in realtà, già prima della modifica introdotta dalla citata legge n. 215 del 2012, stabiliva che gli statuti comunali dovessero adottare norme atte a promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte, negli organi collegiali, enti, aziende e istituzioni da essi dipendenti, ma si è ritenuto necessario rimarcare la portata vincolante dell'originaria previsione con una formulazione (sostituzione del termine «promuovere» con il termine «assicurare») che ne rende assolutamente inequivocabile l'interpretazione coerente con lo spirito della legge. Ciò anche in ragione del persistere di un nutrito contenzioso amministrativo riguardante la richiesta di annullamento di deliberazioni di nomina delle giunte comunali che non rispettavano i princìpi in materia di parità dei sessi pur formalmente previsti dai rispettivi statuti.
      Nonostante i contenuti dichiaratamente prescrittivi delle norme citate, gli interventi chiarificatori della Corte costituzionale e il consolidarsi della giurisprudenza amministrativa di cui si è dato conto, continuano, però, a verificarsi violazioni dell'obbligo di garantire la presenza di entrambi i sessi in molte giunte comunali. In base alla legislazione vigente, qualora siffatte violazioni di legge si verifichino e siano perpetrate nel tempo, l'unico rimedio per il ripristino della legalità violata è rappresentato dal ricorso giurisdizionale amministrativo, non essendo previsto dal TUEL un regime sanzionatorio conseguente a tali violazioni. Il vuoto legislativo comporta, perciò, conseguenze negative non solo sul legittimo e regolare svolgimento delle attività politico-amministrative degli enti comunali, ma anche in termini di possibili danni erariali causati ai medesimi. Com’è stato infatti correttamente rilevato, già nel 2011, dalla Corte dei conti, in occasione dell'incontro di studio «Normativa e giurisprudenza in materia di parità di genere: il ruolo della magistratura contabile nell'attuazione dell'articolo 51 della Costituzione», la violazione delle norme sulla parità dei sessi è inevitabilmente destinata a produrre riflessi anche in ordine alla responsabilità amministrativo-contabile dei pubblici amministratori. Hanno infatti, rilevato i giudici contabili che numerose decisioni dei TAR «(...) in tema di violazione delle quote rosa negli organi politici, accolgono i ricorsi ed annullano i provvedimenti che dispongono la nomina di assessori solo di sesso maschile (...). Le citate decisioni del giudice amministrativo possono costituire notitia damni per le procure contabili, almeno per le parte relativa alle spese. Sul punto è opportuno precisare che alcune delle richiamate sentenze, che hanno rilevato la violazione delle quote rosa, hanno spiegato la compensazione delle spese con la motivazione della «novità e complessità della materia» delle pari opportunità (...). Nel futuro, però, la materia non sarà più considerata «nuova» e, quindi, probabilmente, in caso di accoglimento, la pubblica amministrazione sarà condannata alle spese. Inoltre, le recentissime modifiche introdotte al codice sul processo amministrativo, in materia di spese e di resistenza alle liti, determineranno verosimilmente un notevole aumento del danno erariale, nei casi di accoglimento di ricorsi aventi ad oggetto le discriminazioni di genere (...). Tenuto conto dell'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza amministrativa circa la portata immediatamente cogente dell'articolo 51 della Costituzione, si è portati a ritenere che agire o resistere in un giudizio, avente ad oggetto una discriminazione di genere, potrà essere considerato temerario, con le conseguenze previste dal novellato articolo 26, secondo comma (...)».
      La presente proposta di legge, dunque, intende garantire che il mancato rispetto della normativa vigente in materia di rappresentanza dei sessi nelle giunte comunali e circoscrizionali sia immediatamente sanzionato con l'automatica nullità degli atti di designazione delle giunte stesse, modificando gli articoli 6 e 47 del TUEL. È stata inoltre prevista, per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti e fino a 15.000 abitanti – sul presupposto della possibile maggiore difficoltà di rispettare le soglie di rappresentanza previste dalla nuova normativa – la possibilità di poter comunque procedere alla formazione delle giunte comunali motivandone la specifica composizione in ragione della comprovata impossibilità di rispettare le soglie di rappresentanza fissate dalla nuova normativa.
      Si precisa che la proposta di legge non comporta oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato né per la finanza pubblica.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.

      1. Dopo il comma 3 dell'articolo 6 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, sono inseriti i seguenti:
      «3-bis. Il limite di rappresentanza minima di ciascun sesso nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti è pari a un terzo del totale dei membri. In caso di quoziente frazionario, si procede con l'arrotondamento matematico. Un'analoga proporzione si applica alle giunte circoscrizionali dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti.
      3-ter. Il mancato rispetto delle disposizioni del comma 3-bis rende nullo l'atto di nomina dei membri della giunta comunale o circoscrizionale.
      3-quater. Per i comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti e superiore a 5.000 abitanti, qualora siano intervenute formali, distinte e successive designazioni dei membri della giunta comunale o circoscrizionale volte a garantire il rispetto delle proporzioni previste dal comma 3-bis ed esse siano state altrettanto formalmente rifiutate dai candidati, il mancato rispetto di tali proporzioni è consentito a condizione che l'atto di formazione della giunta risulti motivato con l'indicazione delle designazioni effettuate e non accettate dai candidati».

Art. 2.

      1. All'articolo 47 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente comma:
      «5-bis. Nell'ambito del numero massimo di componenti delle giunte comunali,

fissato ai sensi del presente articolo, è fatto obbligo di rispettare le proporzioni di rappresentanza dei sessi stabilite dall'articolo 6».
Art. 3.

      1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge gli enti locali provvedono ad adeguare i propri statuti e regolamenti alle disposizioni degli articoli 6 e 47 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come da ultimo modificati dalla presente legge.