• Testo INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA

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Atto a cui si riferisce:
C.4/12482    la Fao ha come obiettivo, entro il 2025, l'eradicazione della fame dal pianeta, assicurando il giusto accesso alle risorse alimentari per i 9.2 miliardi abitanti previsti nel...



Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-12482presentato daBERNINI Paolotesto diVenerdì 11 marzo 2016, seduta n. 588

   PAOLO BERNINI, BUSTO e DE ROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute . — Per sapere – premesso che:
   la Fao ha come obiettivo, entro il 2025, l'eradicazione della fame dal pianeta, assicurando il giusto accesso alle risorse alimentari per i 9.2 miliardi abitanti previsti nel 2050;
   mentre si discute ancora sulle modalità di una equa redistribuzione delle risorse alimentari, i dati parlano drammaticamente e con chiarezza: sulla terra ci sono circa 6.5 miliardi di persone, ma secondo la Fao solo il 20 per cento può nutrirsi in modo adeguato;
   la strategia vincente, che è l'unica soluzione per sconfiggere la fame nel mondo, è salvare la biodiversità del pianeta è stata proposta da scienziati internazionali come Jeremy Rifkin e Vandana Shiva: una rivoluzione vegetariana per salvare il pianeta;
   solo il 20 per cento della popolazione mondiale ha infatti regolare accesso alle risorse alimentari, mentre il 26 per cento della superficie terrestre è letteralmente invaso dagli allevamenti, ai quali è imputabile l'emissione del 18 per cento dei gas serra, la distruzione di milioni di ettari di foreste e la perdita di biodiversità, nonché la produzione annua di 1.050 miliardi di tonnellate di deiezioni;
   i dati Onu al riguardo sono impressionanti: 900 milioni di persone soffrono la fame, mentre 2 miliardi sono da considerare malnutrite;
   questa situazione sembra destinata ad aggravarsi nei prossimi anni quando la popolazione mondiale della erra passerà da 7 a 9 miliardi di persone, con un aumento netto di 2 miliardi che renderà ancora più drammatica la carenza di cibo e che, verosimilmente, acuirà le tensioni internazionali per la conquista dei territori per ottenere le materie prime alimentari;
   entro il 2050, il mondo intero andrà incontro a catastrofiche crisi alimentari, come ha ricordato, in occasione della conferenza mondiale dell'acqua ad agosto 2013, il professor Malik Falkenmark dello Stockholm International Water Institute;
   ad oggi, il 26 per cento della terra è «invaso» dagli allevamenti animali che ogni anno producono oltre 1500 miliardi di tonnellate di deiezioni che sono la causa dell'emissione del 18 per cento dei gas serra, mentre l'uso dei veicoli ne produce il 14 per cento (Fao). Ciò determina una serie di danni inimmaginabili: il taglio delle foreste distrugge la biodiversità, toglie ossigeno, favorisce i fenomeni di desertificazione, aumenta l'emissione di gas prodotti dagli animali allevati in modo intensivo e ne sacrifica la vita a vantaggio di pochi, con un prezzo pagato invece da molti uomini, animali e natura tutta;
   occorrono più di 16 chili di foraggi per produrre un chilo di carne e, in media, secondo i dati Fao occorrono da 1.000 a 2.000 litri d'acqua per produrre un chilo di grano e da 13.000 a 15.000 litri per ottenere la stessa quantità di carne da bovini alimentati con cereali;
   dal rapporto della Fao (Steinfeld et altri 2006, «Rome, Fao. Livestock's long shadow – environmental issues and options») risulta che ben il 70 per cento delle aree deforestate in Amazzonia sono occupate da pascoli, il resto da coltivazione di foraggio;
   il rapporto evidenzia inoltre che:
    a) il 26 per cento delle terre libere da ghiacci sulla terra è occupato da pascoli, e che, globalmente:
    b) il 33 per cento dei terreni agricoli è occupato dalla coltivazione di foraggio;
    c) un terzo dei cereali raccolti sono impiegati come foraggio per gli animali;
    d) il 20 per cento dei pascoli sono degradati e sterili per via dell'eccessivo sfruttamento.
    e) gli effetti sul clima dei GHG prodotti dagli allevamenti intensivi provengono da:
     34 per cento deforestazione;
     30,4 per cento letame;
     25,3 per cento fermentazione intestinale dei ruminanti;
     6,2 per cento uso di fertilizzanti;
     4,1 per cento altro;
   numerosi ulteriori studi scientifici dimostrano le correlazioni evidenti tra il consumo di proteine animali e i cambiamenti climatici. In particolare, nel «Livestock – Climate Change's Forgotten Sector Global Public Opinion on Meat and Dairy Consumption», a cura di Rob Bailey, Antony Froggatt e Laura Wellesley – Energy, Environment and Resources del dicembre 2014 – in modo lapidario è sentenziato che «il consumo di carni, latte e derivati è una delle principali cause del cambiamento climatico»;
   lo studio sopraccitato e altre numerose pubblicazioni evidenziano che la riduzione, se non l'abolizione dell'uso di proteine di origine animale, consentirebbero l'abbattimento del consumo di suolo, l'impatto sulla biodiversità, il consumo di acqua; foraggi e proteine che, anziché alimentare gli animali, potrebbero essere destinate in modo più logico e razionale ad una redistribuzione equa delle risorse del territorio;
   «l'allevamento e la produzione animale è la più grande fonte mondiale di metano e protossido di azoto» (fonteChatham House 2014);
   «l'allevamento e la produzione animale sono causa di produzione di CO2 e di deforestazione. Le foreste sono abbattute per lasciar spazio alle coltivazioni per foraggi destinati agli animali e per gli allevamenti. Le foreste sono devastate dall'impatto causato dal bestiame»; (fonte: Chatham House 2014);
   l'acqua impiegata nella produzione di foraggi, farine e per abbeverare gli animali rappresenta fino all'87 per cento del consumo mondiale e la produzione di mangimi per animali assorbe il 70 per cento dei consumi di combustibili (fonte: Factory farming and the Enviroment», a cura della organizzazione Compassion in world farming trust). Per produrre un chilo di carne occorrono più di 16 chili di foraggio e, secondo dati Fao, sono necessari circa 15 mila litri di acqua e appena 2 mila per ottenere la stessa quantità di grano;
   «sistemi di produzione alimentari, e in particolare la produzione zootecnica, sono importanti fattori di cambiamenti climatici e ambientali. Qui confrontiamo i contributi del settore zootecnico mondiale nel 2000 con il contributo stimato del settore nel 2050 a tre importanti problemi ambientali: cambiamenti climatici, reattiva mobilitazione di azoto, e di produzione di biomassa vegetale in scala planetaria. Poiché la sostenibilità ambientale richiede infine che le attività umane nel loro complesso rispettino soglie critiche in ciascuno di questi ambiti, si quantificano la misura in cui l'allevamento attuale e futuro contribuisce a stime pubblicate di soglie di sostenibilità a livelli di produzione previsti e sotto diversi scenari alternativi destinati a illustrare la potenziale gamma di impatti associati con la scelta dietetica. Suggeriamo che, entro il 2050, il settore zootecnico da solo può occupare la maggior parte di questa, o significativamente oltrepassare le stime recentemente pubblicate di «spazio operativo sicuro» dell'umanità in ognuno di questi ambiti. Alla luce della portata degli impatti stimati rispetto a queste condizioni di sostenibilità, suggeriamo che frenare la crescita di questo settore dovrebbe essere la priorità nella governance ambientale». (fonte: http://www.pnas.org/content/107/43/18371 Forecasting potential global environmental costs of livestock production 2000-2050, Nathan Pelletier1 e Peter Tyedmers);
   secondo uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature (fonte – http://www.nature.com/nature/journal/v478/n7369/full/nature10452.html «Solutions for a cultivated planet», Jonathan A. Foley, Navin Ramankutty, Kate A. Brauman, Emily S. Cassidy e altri) «l'aumento della popolazione e il consumo stanno ponendo le richieste senza precedenti in materia di agricoltura e risorse naturali. Oggi, circa un miliardo di persone sono cronicamente malnutriti mentre i nostri sistemi agricoli sono contemporaneamente degradanti per la terra, l'acqua, la biodiversità e il clima su scala globale. Per soddisfare le future esigenze di sicurezza alimentare e di sostenibilità a livello mondiale, la produzione alimentare deve crescere notevolmente, mentre, allo stesso tempo, l'impatto ambientale dell'agricoltura deve ridursi drasticamente. Qui analizziamo le soluzioni a questo dilemma, dimostrando che enormi progressi potrebbero essere fatti per arrestare l'espansione agricola, chiudendo «buchi» di rendimento sulle terre insoddisfacenti, aumentando l'efficienza, modificando le diete e riducendo gli sprechi. Insieme, queste strategie potrebbero raddoppiare la produzione alimentare, riducendo notevolmente l'impatto ambientale dell'agricoltura.»;
   «il riscaldamento antropogenico è causato principalmente dalle emissioni di gas serra (GHG), come l'anidride carbonica, il metano e il protossido di azoto, con l'agricoltura quale principale produttore per gli ultimi 2 gas. Altre parti del sistema alimentare contribuiscono alle emissioni di anidride carbonica che provengono dall'uso di combustibili fossili nel settore dei trasporti, lavorazione, vendita al dettaglio, la conservazione e la preparazione. I prodotti alimentari differiscono sostanzialmente quando le emissioni di gas serra sono calcolate dal campo alla tavola. Un recente studio di 20 articoli venduti in Svezia ha mostrato un arco di 0,4 a 30 kg di CO2 equivalenti/kg di prodotto alimentare. Per alimenti ricchi di proteine, come i legumi, carne, pesce, formaggio e uova, la differenza è un fattore di 30, con le emissioni più basse per chilogrammo per i legumi, pollame e le uova e il più alto per le carni bovine, formaggio e carne di maiale. Le emissioni di grandi dimensioni per i ruminanti sono spiegati principalmente dalle emissioni di metano da fermentazione enterica. Per frutta e verdura, le emissioni sono di solito ≤2.5 kg CO2 equivalenti/kg di prodotto, anche se vi è un alto grado di lavorazione e trasporto sostanziale. Prodotti trasportati in aereo sono un'eccezione, perché le emissioni possono essere elevate come per certe carni. Emissioni da alimenti ricchi di carboidrati, come le patate, pasta e il grano, sono <1,1 kg/kg alimento commestibile. Suggeriamo che i cambiamenti della dieta siano per alimenti di origine vegetale, carni di animali con poca fermentazione enterica, e per gli alimenti trasformati con un basso consumo energetico i quali offrono un territorio esplorato interessante e per mitigare il cambiamento climatico». (fonte: «I potenziali contributi di modelli di consumo alimentare ai cambiamenti climatici», http://ajcn.nutrition.org/content/89/5/1704S.short);
   le politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici tendono a concentrarsi sul settore energetico, mentre il settore zootecnico riceve sorprendentemente poca attenzione, nonostante il fatto che esso rappresenta il 18 per cento delle emissioni di gas serra e per l'80 per cento del consumo totale di terreno di origine antropica. Dal punto di vista dietetico, nuove conoscenze degli effetti negativi sulla salute di carni bovine e suine hanno portato a una revisione delle raccomandazioni sul consumo di carne. Qui abbiamo esplorato il potenziale impatto dei cambiamenti della dieta sul raggiungimento di ambiziosi livelli di stabilizzazione del clima. Utilizzando un modello di valutazione integrata, abbiamo verificato che una modifica globale si ottiene con una dieta con minori consumi di carne o con un radicale cambiamento verso le diete con solo proteine di origine vegetale, ciò può avere un incredibile effetto anche sul consumo del suolo. Fino a 2.700 Mha di pascolo e 100 Mha delle terre coltivate potrebbero essere abbandonati, con un conseguente grande assorbimento di carbonio da rinnovabili vegetazione. Inoltre, il metano e l'emissione di protossido di azoto sarebbero ridotti sostanzialmente. Una transizione globale verso una dieta a basso contenuto di carne, come raccomandato per motivi di salute, ridurrebbe i costi di mitigazione per ottenere un 450 ppm CO2-eq. obiettivo di stabilizzazione di circa il 50 per cento nel 2050 rispetto al caso di riferimento. Cambiamenti nella dieta potrebbero pertanto creare non solo notevoli vantaggi per la salute umana e per il consumo di territorio, ma potrebbero anche svolgere un ruolo importante nelle future politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici. «(fonte: http:filink.springer.com/article/10.1007/s10584-008-9534-6  Climate bene fits of changing diet Elke Stehfest», Lex Bouwman, Detlef P. van Vuuren, Michel G. J. den Elzen, Bas Eickhout, Pavel Kabat);
   è davvero paradossale che, per mantenere gli allevamenti, si sperperi una grandissima quantità di risorse: occorrono più di 16 chili di foraggi per produrre un chilo di carne. Inoltre, stando a quanto riferito dalla Fao, occorrono circa 15 mila litri di acqua per produrre un chilo di carne e appena 2 mila per ottenere la stessa quantità di grano. In altri termini, se le risorse necessarie alla produzione di carne fossero investite per l'agricoltura, probabilmente la fame sarebbe solo un ricordo;
   entro il 2050, il mondo intero andrà incontro a catastrofiche crisi alimentari, come ha ricordato in occasione della conferenza mondiale dell'acqua ad agosto 2013, il professor Malik Falkenmark dello Stockholm International Water Institute;
   sostituire 1 chilogrammo di carne a settimana fa risparmiare 1872 CO2 equivalenti in un anno, mentre sostituire una lampadina da 60 watt con una a basso consumare ne fa risparmiare 26. Sostituire 1 chilogrammo di carne suina, bovina e di merluzzo al mese, invece (sempre per un anno), ne fa risparmiare rispettivamente 96, 344,4 e 86, 4 e mangiare solo ed esclusivamente cibo locale (anche vegetale), 367. Quindi un piatto ricco di proteine vegetali diminuisce l'emissione di GHG da circa 10 a 30 volte rispetto ad uno di proteine animali;
   un allevamento bovino con 2500 mucche da latte produce, la stessa quantità di rifiuti di una città di 411,000 persone (fonte «Risk assessment and evaluation for concentrated animal feeding operation Us Enviromental Protection agency». Office of research and development 2004);
   secondo lo studio condotto da Chatham House (https://www.chathamhouse.org/publication/changing-climate-changing-diets;
   https://www.chathamhouse.org/expert/ comment/it-s-time-put-meat-cli-matenegotiating-table;
   uneplive.unep.org/media/docs/theme/13/EGR_2015_ES_English_Embargoed.pdf);
   la produzione di manzo e latticini rappresenta la maggior parte delle emissioni tra tutti i prodotti animali, ed è responsabile del 65 per cento dei gas serra totali emessi;
   stime suggeriscono che, per una unità di proteine, le emissioni di gas serra derivanti dalla produzione di carne bovina sono circa 150 volte di più di quelle dei prodotti di soia e che i prodotti a base di carne di maiale e pollo causano meno emissioni tra tutti i prodotti carnei, ma ciò non significa che le loro emissioni siano esenti dagli effetti che causano all'ambiente;
   lo stesso studio evidenzia come i negoziati, nell'ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), abbiano trascurato del tutto l'impatto causato dagli allevamenti di bestiame;
   mentre è stata data rilevanza alla problematica dalla Global Alliance for Climate-Smart Agriculture – che comprende 16 Paesi e 37 organizzazioni – e l'importante tematica è stata lanciata in occasione del vertice sul clima delle Nazioni Unite a New York: tra gli obiettivi prefissati la riduzione e/o eliminazione di emissioni agricole, anche se non è stata ancora stabilita quale misura per l'allevamento di bestiame;
   nella sua ultima revisione della letteratura scientifica in materia di mitigazione nel settore agricolo, il panel internazionale sul cambiamento climatico (IPCC) ha rilevato che il vantaggio nella riduzione delle emissioni rideterminerebbe soprattutto con la riduzione dei consumi di carne;
   uno studio pubblicato sulla rivista Nature Climate Change stima 5,6 Gt di CO2 e di riduzione delle emissioni annue fino al 2050 derivanti dalla riduzione del consumo di carne e latticini a livelli coerenti con le raccomandazioni nutrizionali, rispetto al 4GT di CO2 e ogni anno da «intensificazione sostenibile» di tutto il settore agricolo (dove i rendimenti globali convergono su livelli massimi);
   fondamentalmente il cambiamento di dieta è essenziale per non far aumentare ulteriormente il surriscaldamento globale. Due recenti studi hanno concluso che, anche con uno sforzo ambizioso di mitigazione nel settore agricolo, i cambiamenti radicali nel consumo di carne e latticini sono d'obbligo; è, questa, una strategia di mitigazione molto conveniente, non solo nel settore agricolo, ma in senso più ampio. Inoltre la riduzione dei consumi di carne e latticini aumenterebbe la quota del bilancio del carbonio a disposizione per altri settori. Ciò, a sua volta, consentirebbe costi di mitigazione più bassi per l'uso di energia. I potenziali risparmi sono quindi notevoli ed evidenti;
   il consumo delle risorse del pianeta e l'inquinamento causato dagli allevamenti e i dati fondamentali che ne derivano e che sono stati rilevati in modo scientifico, dovrebbero suggerire una serie di riflessioni per le quali sarebbe necessario contribuire ad una rivoluzione dei consumi e a garantire per questo la sopravvivenza del pianeta –:
   se i Ministri interrogati, alla luce delle numerose evidenze scientifiche, non ritengano fondamentale e necessario ridurre ed abbattere la produzione dei gas serra derivanti dagli allevamenti e dalla trasformazione dei prodotti di origine animale e in che modo intendano adoperarsi al riguardo;
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario promuovere la corretta informazione, sulla base delle sopraccitate evidenze scientifiche e non solo, circa la necessità di seguire un regime alimentare più salutare per l'organismo ed anche meno impattante sull'ambiente, anche tramite l'informazione scolastica e universitaria, e assumere iniziative per prevedere in ogni ambito sociale la proposizione di menu sostitutivi con proteine vegetali anziché animali;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno fornire una corretta informazione per uno stile di vita che coniughi una alimentazione più salutare alla tutela del pianeta, promuovendo stili di vita sostenibili e che contribuirebbero in maniera immediata ed efficace alla riduzione delle emissioni, causa dei cambiamenti climatici. (4-12482)