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Atto a cui si riferisce:
C.1/00254 premesso che: in solo sette anni, dal 2005 al 2012, il numero degli italiani che vivono in povertà assoluta è raddoppiato. Nel 2012, anno a cui risalgono gli ultimi dati...



Atto Camera

Mozione 1-00254presentato daGIGLI Gian Luigitesto diMercoledì 20 novembre 2013, seduta n. 122

La Camera,
premesso che:
in solo sette anni, dal 2005 al 2012, il numero degli italiani che vivono in povertà assoluta è raddoppiato. Nel 2012, anno a cui risalgono gli ultimi dati dell'Istat le famiglie che versavano in una condizione di povertà assoluta erano un milione e 725 mila (il 6,8 per cento delle famiglie residenti) per un totale di oltre 4,8 milioni di persone (l'8 per cento della popolazione), di questi poco più di 2,3 milioni erano residenti al Sud;
la perdurante crisi economica ha prodotto l'impoverimento di un'ampia parte della popolazione ma non ne ha impedito la fruizione dei beni e dei servizi essenziali, a differenza di chi non raggiunge «uno standard di vita minimamente accettabile» calcolato dall'Istat e legato a un'alimentazione adeguata, a una situazione abitativa decente e ad altre spese basilari come quelle per la salute, i vestiti e i trasporti;
dal 2013, infatti, secondo il Food Security Risk Index (mappa che evidenzia le zone a rischio di tutto il mondo, aggiornata ogni anno dagli esperti della Maplecroft utilizzando i dati sulla sicurezza alimentare forniti dalla Fao), il nostro Paese non è più considerato «a basso rischio fame» ma «a rischio medio» e, a rendere la situazione ancora più instabile, si aggiunge un tasso di inattività tra i 15 e 64 anni pari al 36,6 per cento, dato che si attesta tra i più alti d'Europa;
si stima che la ripresa potrà ridurre l'attuale percentuale di povertà assoluta ma non di molto, dato che la sua maggiore presenza è un fenomeno strutturale, così come il suo nuovo profilo, non concentrandosi più esclusivamente nel Meridione e tra le famiglie numerose (con almeno tre figli) anche se queste rimangono le realtà dove risulta maggiormente presente;
negli ultimi anni, infatti, si è assistito, ad un incremento sempre più crescente di tale fenomeno in segmenti della popolazione prima ritenuti immuni: il Nord – dove le persone in povertà assoluta sono aumentate dal 2,5 per cento (2005) al 6,4 per cento (2012) – e le famiglie con due figli (dal 4,7 per cento al 10 per cento);
a comportare un maggiore rischio di povertà è anzitutto l'allargamento familiare: avere tre figli da crescere significa un rischio di povertà pari al 27,8 per cento, e nel Sud questo valore sale al 42,7 per cento. Il passaggio da 3 a 4 componenti espone 4 famiglie su 10 alla possibilità di essere povere. Appartenere a una famiglia composta da 5 o più componenti aumenta il rischio di essere poveri del 135 per cento, rispetto al valore medio dell'Italia. Ogni nuovo figlio, dunque, costituisce per la famiglia, oltre che una speranza di vita, una crescita del rischio di impoverimento;
è cresciuta anche l'insicurezza delle famiglie italiane di non essere in grado di far fronte a eventi negativi, come per esempio, una improvvisa malattia, associata a non autosufficienza, di un familiare, o l'instabilità del rapporto di lavoro, o gli oneri finanziari sempre maggiori;
la diffusione del precariato fra le giovani generazioni rende questa categoria tra quelle a maggior rischio di povertà, rinviando le possibilità ed il desiderio di una vita in coppia e di procreare, con riflessi negativi sul tasso di natalità;
per fronteggiare questa situazione, l'impegno dei comuni e delle tante realtà non profit impegnate nel territorio o dei conoscenti o ad altri, non è sufficiente ed i grandi numeri della povertà di oggi fanno sì che, nella maggior parte dei casi, chi sperimenta questa condizione debba innanzitutto contare sulle proprie forze;
l'Italia è l'unico Paese dell'Europa a 15, insieme alla Grecia, privo di una misura nazionale a sostegno di chi si trova in questa condizione;
anche se con differenze, le legislazioni degli altri Paesi membri dell'Unione europea prevedono fondamentalmente un contributo economico per affrontare le spese primarie accompagnato da servizi alla persona (sociali, educativi, per l'impiego) che servono ad organizzare diversamente la vita di queste persone aiutandole a cercare di uscire dalla povertà;
si tratta, null'altro, che della messa in opera del patto di cittadinanza tra lo Stato e il cittadino in difficoltà: chi è in povertà assoluta ha diritto al sostegno pubblico e il dovere d'impegnarsi a compiere ogni azione utile a superare tale situazione;
alcune delle misure messe in atto dai Governi che si sono succeduti negli ultimi anni, a partire dalla «social card», non hanno sortito gli effetti desiderati: si è trattato di «provvedimenti tampone» che non hanno intaccato il problema strutturalmente e contrastato adeguatamente i disagi derivanti dalla condizione di povertà assoluta;
in uno Stato moderno la spesa sociale dovrebbe svolgere una funzione di perequazione delle differenze in termini di dotazione di servizi tra i territori, operando in particolare una redistribuzione delle risorse in base ai rischi specifici dei diversi comparti quali la povertà, le condizioni di salute per la sanità, il disagio per l'assistenza sociale e l'investimento in capitale umano per l'istruzione;
recentemente sono state elaborate alcune iniziative per contrastare questo fenomeno tra le quali si distinguono quella elaborata da un gruppo di lavoro insediato presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, presieduto dal Vice-Ministro Guerra, volte all'introduzione di una nuova misura di contrasto alla povertà, il SIA (sostegno all'inclusione attiva) e quella elaborata dalle Acli e Caritas che hanno proposto il REIS (reddito di inclusione sociale) fino ad arrivare all'elaborazione del piano nazionale contro la povertà propugnato da Alleanza contro la povertà in Italia, un insieme di soggetti sociali che ha deciso di unirsi per contribuire alla costruzione di adeguate politiche pubbliche contro la povertà assoluta nel nostro Paese;
il piano nazionale contro la povertà, da avviare nel 2014, conterrebbe le indicazioni concrete affinché venga gradualmente introdotta una misura nazionale, rivolta a tutte le persone in povertà assoluta nel nostro Paese, che si basi su una logica non meramente assistenziale ma che sostenga un atteggiamento attivo dei soggetti beneficiari dell'intervento;
sin dal 2014, la misura consisterebbe nel diritto ad una prestazione monetaria accompagnato dall'erogazione dei servizi necessari ad acquisire nuove competenze e/o organizzare diversamente la propria (servizi per l'impiego, contro il disagio psicologico e/o sociale per esigenze di cura e altro);
in via sperimentale si procederebbe al varo di una «nuova social card» (12 grandi comuni), della «carta per l'inclusione sociale» (8 regioni Sud) oltre dalla carta acquisti tradizionale (quella introdotta nel 2008);
l'avvio della nuova misura sulla lotta alla povertà assoluta non dovrà considerarsi in alcun modo sostitutivo del necessario rifinanziamento del fondo nazionale politiche sociali e del fondo per la non autosufficienza, oggetto peraltro negli anni recenti di tagli radicali;
evidenziare la necessità del finanziamento statale non significa assolutamente svilire tutto quello che è già stato realizzato nel territorio contro la povertà che, al contrario, dovrà essere valorizzato e confluire nella riforma, mentre dovranno rimanere comunque destinate alla spesa sociale per le famiglie in condizione disagiata le risorse attualmente impiegate nella lotta alla povertà a livello regionale e territoriale;
allo stesso modo, tutto il patrimonio di esperienze maturate a livello territoriale, da parte di enti locali, terzo settore e organizzazioni sociali, dovrà essere valorizzato nella costruzione della riforma e confluire in essa;
nel progetto del piano nazionale contro la povertà si prevede che l'apporto finanziario di donatori privati possa svolgere un ruolo di rilievo, con funzione complementare rispetto al necessario finanziamento statale del livello essenziale;
occorre evitare che la povertà estrema diventi povertà strutturale, coinvolgendo anche le generazioni successive,

impegna il Governo:

a promuovere adeguate iniziative condivise ed efficaci contro la povertà assoluta nel nostro Paese, considerandole un obiettivo primario della politica del Paese, nella direzione indicata nelle premesse favorendo il pieno coinvolgimento delle organizzazioni sociali e del terzo settore con le istituzioni interessate, sia nella programmazione che nella progettazione e gestione degli interventi relativi;
a individuare adeguate risorse aggiuntive rispetto a quelle previste per il finanziamento dei fondi attualmente esistenti e destinati alla spesa sociale da parte dello Stato, delle regioni e degli enti locali, incoraggiando e facilitando anche l'impegno finanziario di donatori privati;
sin dalle prossime iniziative normative ad assicurare il finanziamento del piano nazionale contro la povertà.
(1-00254) «Gigli, Sberna, Sereni, Dellai, Marazziti, Albanella, Amato, Amoddio, Basso, Bazoli, Beni, Binetti, Biondelli, Borghi, Braga, Bruno Bossio, Buttiglione, Capodicasa, Capone, Carra, Casati, Casellato, Cenni, Cimmino, Colaninno, Cominelli, Coccia, Coscia, Covello, D'Agostino, D'Incecco, De Menech, De Mita, Marco Di Maio, Fauttilli, Gadda, Galperti, Grassi, Iacono, Lodolini, Marguerettaz, Mariani, Molea, Moscatt, Piccoli Nardelli, Fitzgerald Nissoli, Patriarca, Pellegrino, Piepoli, Giuditta Pini, Preziosi, Quartapelle Procopio, Rampi, Realacci, Rigoni, Santerini, Schirò, Senaldi, Terrosi, Vaccaro, Venittelli, Vargiu, Ventricelli, Vezzali».