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Atto a cui si riferisce:
S.300 [Dimezzare la pena per concorso esterno in associazione mafiosa] Modifiche al codice penale concernenti il cosiddetto "concorso esterno in associazione mafiosa"


Senato della RepubblicaXVII LEGISLATURA
N. 300
DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa del senatore COMPAGNA

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 26 MARZO 2013

Modifiche al codice penale concernenti il cosiddetto
«concorso esterno in associazione mafiosa»

Onorevoli Senatori. -- L'articolo 416-bis del codice penale punisce, come è noto, chi fa parte di un'associazione di tipo mafioso, anche straniera, ma non si occupa di coloro che, pur non essendo membri a pieno titolo dell'organizzazione malavitosa, ne favoriscono o ne agevolano le attività dall'esterno senza entrare stabilmente nel sodalizio criminale.

Pur in mancanza di espresse indicazioni normative in tal senso, la giurisprudenza ha ritenuto di applicare anche al reato associativo di cui all'articolo 416-bis del codice penale l'istituto del concorso di persone previsto dall'articolo 110 del medesimo codice, sanzionando anche la condotta di chi, pur non facendo parte a pieno titolo dell'associazione mafiosa e non essendo dunque «stabilmente incardinato» in essa, le fornisca un apporto tale da favorirne l'attività.

Superando le posizioni assunte da parte della dottrina e della precedente giurisprudenza, anche di legittimità, secondo le quali non era logicamente ammissibile il ricorso all'istituto del concorso di persone nei reati associativi, la Corte di cassazione ha così introdotto e legittimato l'ipotesi di «concorso esterno in associazione mafiosa», attraverso molteplici decisioni, assunte anche a sezioni unite.

Pur ritenendo apprezzabili gli sforzi della Corte suprema nel definire i presupposti di una simile responsabilità, le numerose decisioni intervenute sul tema evidenziano una serie di problemi irrisolti connessi alla mancata tipizzazione della fattispecie ed alla mancata previsione di un trattamento sanzionatorio adeguato alle condotte considerate.

L'importanza assunta dalla questione nell'attualità giudiziaria degli ultimi vent'anni ha reso insomma ancor più evidente la scarsa chiarezza legislativa che caratterizza un tema davvero cruciale sul piano della politica criminale.

Al riguardo, appare opportuno rilevare come la necessità di intervenire sulla fattispecie del concorso esterno sia stata riconosciuta nel corso della XVI legislatura anche dall'Esecutivo. Il Governo si era impegnato, infatti, con l'approvazione dell'ordine del giorno G1 nel corso dell'esame, presso l'Assemblea del Senato, in data 3 agosto 2010, del disegno di legge n. 2226, recante il piano antimafia nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia, fra l'altro, «a sostenere la discussione e la approvazione entro il 3 novembre 2010 delle proposte di legge già presentate al Parlamento in materia dei reati di associazione di stampo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, autoriciclaggio e scambio elettorale politico mafioso».

Di qui l'esigenza di ricordare ai colleghi senatori come il contenuto dell'ordine del giorno citato sia stato materia di discussione in relazione ai disegni di legge n. 2494 e connessi in materia di sicurezza pubblica, all'esame delle Commissioni riunite 1ª e 2ª nel corso della XVI legislatura.

Nel corso degli anni, la giurisprudenza ha comunque fornito diverse definizioni di tale sostegno «esterno», arrivando a svolgere nei fatti una vera e propria funzione paralegislativa, di integrazione della norma penale. In tal senso era stato inizialmente qualificato come concorrente esterno colui il quale sia chiamato a intervenire in momenti di emergenza o di fibrillazione della vita associativa e al quale sia affidato il compito di «colmare» temporanei vuoti in un determinato «ruolo», ovvero di porre in essere condotte che, per quanto episodiche, consentano all'associazione di «mantenersi in vita», anche solo in un determinato settore, onde poter perseguire i propri scopi.

Superata tale impostazione iniziale, che relegava la rilevanza del concorso esterno alla «patologia» dell'associazione, l'istituto ha poi assunto una rilevanza molto più ampia, sino a ricomprendere qualsiasi possibile contributo alla vita associativa.

In tale prospettiva, è stata ad esempio ipotizzata una responsabilità per concorso esterno in associazione mafiosa in capo ad avvocati o commercialisti che rendano i propri servigi all'associazione criminosa, a magistrati chiamati ad influire su determinate vicende processuali, a politici che stringano accordi con soggetti appartenenti all'associazione, a medici che li abbiano avuti in cura, e finanche a sacerdoti che abbiano prestato loro assistenza spirituale o, addirittura, a semplici vittime di episodi estorsivi che non si siano ribellati all'associazione.

Per ciascuna ipotesi, la Corte suprema ha avuto modo di stabilire con la dovuta precisione le condizioni oggettive e soggettive che sorreggono una simile imputazione, supplendo alla carenza di precise indicazioni normative ed evitando i pericolosi sconfinamenti ravvisabili in alcune decisioni di merito.

Se la valutazione della funzione nomofilattica svolta dalla Cassazione sull'argomento non può non essere largamente positiva, l'attuale assetto normativo non può certo ritenersi soddisfacente (tanto da aver indotto le più recenti commissioni di riforma del codice penale a precisi interventi in materia) anche perché il crescente sviluppo di importanti attività economiche, di per sé assolutamente lecite ma svolte dalla criminalità organizzata attraverso i proventi dei delitti precedentemente commessi, conferisce alla problematica un ambito di applicazione sempre più esteso.

Il primo motivo di insoddisfazione attiene come si è detto alla mancanza di una espressa incriminazione delle condotte agevolatrici ed alla conseguente incertezza interpretativa nell'applicazione dell'articolo 416-bis del codice penale. Per ridurre i margini di discrezionalità nel considerare o meno determinate condotte penalmente rilevanti, si ritiene dunque di valorizzare i più recenti approdi del dibattito giurisprudenziale, incriminando qualsiasi condotta che agevoli la sopravvivenza, il consolidamento o l'espansione dell'associazione.

A dispetto di talune iniziali oscillazioni, la Corte di cassazione sembra infatti giunta, almeno sul piano teorico, a una definizione sufficientemente condivisa del contributo esterno penalmente rilevante, attraverso la quale si identifica il concorrente eventuale nel reato associativo in colui che contribuisce all'attività dell'associazione senza far parte della stessa, offrendo un «rapporto staccato, avulso, indipendente dalla stabilità dell'organizzazione», senza alcun animus partecipativo ma con la piena consapevolezza che la sua azione «contribuisce all'ulteriore realizzazione degli scopi».

In questo modo è stata di fatto «creata» una nuova figura di reato, non prevista da alcuna norma di legge, quella del «concorso esterno in associazione mafiosa», che si pone in contrasto con il principio di tassatività della norma penale e che rende dunque necessaria un’assunzione di responsabilità da parte del Parlamento, volta a recepire le indicazioni giurisprudenziali e a conferire loro un valore normativo.

Ciò premesso, non può certo sfuggire l'inevitabile tensione tra i principi fondamentali dell'ordinamento penalistico e il ricorso giurisprudenziale al concorso eventuale nei delitti associativi. Tali delitti sembrano ormai essere Stati del tutto metabolizzati dall'odierno sentire giuridico nazionale nel circuito del cosiddetto diritto penale di lotta (lotta al terrorismo, alla mafia, al crimine organizzato e transnazionale, alla camorra, e via dicendo), recentemente definito in dottrina come «diritto penale del nemico» da opporre ad un più mite e garantista «diritto penale del cittadino». Di qui una connotazione dei reati associativi sempre più preventiva e sempre meno repressiva, con evidente anticipazione della tutela, connessa alla lesione o alla messa in pericolo di un bene giuridico particolarmente sfuggente quale è quello definito come «ordine pubblico».

L'idea che le condotte associative possano essere punite senza che vi sia stato nemmeno un inizio di esecuzione del programma criminoso e addirittura al di fuori di una effettiva partecipazione al sodalizio, non può non determinare serie preoccupazioni non solo per le pesanti ricadute sulle garanzie del cittadino ma anche per l'inevitabile sviluppo di politiche di contrasto alla mafia che guardino ad alcune persone ancor prima di guardare ai fatti.

Tutto avrebbe dovuto sconsigliare una fisiologica metabolizzazione del diritto penale di lotta in un ordinamento liberale e democratico quale è il nostro, ma evidentemente in Italia negli ultimi quattro lustri la tradizionale passione per i delitti associativi si è rivelata travolgente.

Rispetto a tale sentiero, un impegno inverso caratterizzò nella XIII e nella XIV legislatura due proposte di legge presentate alla Camera dall'onorevole Pisapia (si vedano, rispettivamente, l'atto Camera n. 4779 e l'atto Camera n. 854), il cui contenuto, è stato, dapprima, nella XVI legislatura, ripreso nel disegno di legge atto Senato n. 2681 a mia prima firma e ora sostanzialmente riproposto con la presente iniziativa legislativa, nello stesso spirito che ebbe allora a caratterizzarne la presentazione.

Pur essendo il reato associativo un reato a concorso necessario, argomentava l'onorevole Pisapia, sarà ben possibile individuare, accanto a quella dei concorrenti necessari (i membri effettivi dell'associazione), anche una specifica responsabilità dei concorrenti eventuali (favoreggiatori, fiancheggiatori, o comunque soggetti che contribuiscono in modo rilevante all'attività dell'associazione, pur non facendo parte di essa), ma ciò deve avvenire -- in ossequio al principio di legalità -- sulla base di una disposizione normativa che descriva chiaramente le condotte punibili, distinguendole da quelle che si traducono nella stabile partecipazione al sodalizio.

E per evitare che la doverosa tipizzazione del contributo esterno fornisca nuova linfa ad un diritto penale fondato sull’ipotesi associativa invece che sulla difesa degli interessi meritevoli di tutela, è senz'altro opportuno valorizzare le indicazioni fornite da una parte della dottrina sull’auspicata sistemazione dell'ipotesi di favoreggiamento delle associazioni mafiose nel titolo III del libro II del codice penale.

A fronte di attività economiche che possono anche apparire perfettamente lecite, è infatti opportuno evidenziare che le ragioni dell'incriminazione non attengono all'agevolazione delle singole attività di per sé considerate quanto al rafforzamento dell'associazione criminale in quanto tale.

In questa prospettiva la responsabilità di coloro che pongono in essere delle condotte agevolatrici sembra poter trovare collocazione non tanto nella generica tutela dell'ordine pubblico quanto piuttosto nella più specifica tutela dell'amministrazione della giustizia, che viene indubbiamente lesa da ogni comportamento illecito che agevoli l'associazione mafiosa così tenacemente perseguita dall'ordinamento.

A differenza del caso di favoreggiamento personale e reale, la condotta agevolatrice non mira in questo caso a favorire il singolo reo (impegnato ad eludere le indagini, a sottrarsi alle ricerche o ad assicurarsi il profitto del reato) e si rivolge invece indistintamente nei confronti dell'associazione criminale, ma sempre in misura tale da contrastare lo sforzo profuso dallo Stato per reprimere comportamenti illeciti.

Alle importanti esigenze definitorie e classificatorie appena illustrate si affianca inoltre la necessità di graduare l'intervento sanzionatorio secondo princìpi di coerenza e di ragionevolezza.

Avendo finora trovato sempre applicazione l'articolo 416-bis del codice penale (per effetto delle norme generali sul concorso di persone nel reato), tanto il concorrente necessario quanto il concorrente eventuale sono stati finora assoggettati alla medesima sanzione, nonostante la giurisprudenza di legittimità abbia evidenziato la netta differenza esistente fra le due ipotesi, sia sotto il profilo della condotta materiale che sotto quello dell'elemento psicologico.

Con il presente disegno di legge, le condotte agevolatrici finiscono invece per trovare il loro regime sanzionatorio in una specifica norma incriminatrice che prevede una pena leggermente meno grave rispetto a quella prevista per la vera e propria partecipazione ad un’associazione criminosa.

Nel quadro normativo attualmente vigente, si sono poi inserite anche le recenti modifiche apportate alla fattispecie di assistenza agli associati di cui all'articolo 418 del codice penale, attraverso le quali -- sull'onda delle ovvie preoccupazioni nascenti dalle stragi terroristiche -- si è inteso sanzionare con la reclusione da due a quattro anni «chiunque ( ... ) dà rifugio o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a taluna delle persone che partecipano all'associazione». Una simile previsione, riferita addirittura ai partecipanti all'associazione a delinquere semplice, è risultata talmente distonica rispetto al sistema penale (che già prevede oltre al concorso esterno le ipotesi di favoreggiamento reale e personale) da essere rimasta sostanzialmente inapplicata, se non in alcuni casi sporadici concernenti le associazioni mafiose.

Per tali ragioni, il presente disegno di legge prevede pertanto l'introduzione dell'articolo 379-ter del codice penale, che punisce con la pena della reclusione da uno a cinque anni chi, non facendo parte dell'associazione mafiosa, ne agevola la sopravvivenza, il consolidamento o l'espansione.

Allo stesso tempo si propone un intervento abrogativo del novellato articolo 418 del codice penale, sia in quanto le condotte ivi considerate, qualora non rientranti a pieno titolo nella fattispecie di favoreggiamento personale, appaiono effettivamente censurabili solo in presenza di una finalità di profitto, sia in quanto la pena ivi prevista si pone in palese contraddizione con quella stabilita con riferimento a reati più gravi e deve essere dunque modificata per insuperabili esigenze di coerenza normativa.

Chiarito pertanto che le condotte ivi considerate devono essere sorrette da una finalità di profitto, non appare condivisibile la non punibilità dell'aiuto prestato in favore dei congiunti stabilita dall'attuale articolo 418 del codice penale.

Anche la fattispecie in esame sembra dover trovare collocazione nell'ambito dei delitti contro l'amministrazione della giustizia e diviene dunque oggetto dell'articolo 379-quater del codice penale, nell'ambito di un sistema volto a specificare le diverse forme di responsabilità per le ipotesi di favoreggiamento personale (articolo 378), di favoreggiamento reale (articolo 379), di rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale (articolo 379-bis), di favoreggiamento di associazioni di tipo mafioso (articolo 379-ter) e di assistenza agli associati (articolo 379-quater), ferma restando l'attuale disciplina dei reati associativi.

Con il presente disegno di legge, che intende restituire certezza in relazione alla rilevanza penale di determinate condotte, si spera che si possano evitare arresti ingiustificati e ingiuste impunità e nel contempo che si possa porre fine a polemiche che danneggiano fortemente le riforme necessarie e urgenti per una giustizia che sia nel con tempo efficiente e rispettosa delle garanzie individuali.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

1. Dopo l'articolo 379-bis del codice penale sono inseriti i seguenti:

«Art. 379-ter. -- (Favoreggiamento di associazioni di tipo mafioso) -- Chiunque, fuori dei casi di partecipazione alle associazioni di cui all'articolo 416-bis, agevola deliberatamente la sopravvivenza, il consolidamento o l'espansione di un'associazione di tipo mafioso, anche straniera, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

Art. 379-quater. -- (Assistenza agli associati) -- Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, dà rifugio o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a taluna delle persone che partecipano a un'associazione di tipo mafioso, anche straniera, al fine di trarne profitto, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni.

La pena è aumentata se l'assistenza è prestata continuativamente».

2. L'articolo 418 del codice penale è abrogato.