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Atto a cui si riferisce:
S.1/00537 premesso che: il grado di civiltà e di democrazia di una nazione si misurano anche dal grado di diffusione, tra la popolazione, delle conoscenze scientifiche e culturali e dal grado di...



Atto Senato

Mozione 1-00537 presentata da FABRIZIO BOCCHINO
martedì 15 marzo 2016, seduta n.592

BOCCHINO, PETRAGLIA, DE PETRIS, BAROZZINO, CAMPANELLA, CERVELLINI, DE CRISTOFARO, MINEO - Il Senato,

premesso che:

il grado di civiltà e di democrazia di una nazione si misurano anche dal grado di diffusione, tra la popolazione, delle conoscenze scientifiche e culturali e dal grado di innovazione. Tale consapevolezza ha spinto i padri costituenti a stabilire, all'articolo 9 della Costituzione, che: "La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica". Nonostante questo, gli ultimi governi italiani, disattendendo il dettato costituzionale, hanno progressivamente ridotto ad università ed enti di ricerca il supporto finanziario pubblico necessario per la loro sopravvivenza;

per tale ragione, in questi giorni, è in atto una campagna di sensibilizzazione promossa dal mondo scientifico ed accademico sullo stato allarmante in cui versa la ricerca pubblica italiana che, nell'indifferenza generale, sopravvive da anni, nonostante la pressoché totale assenza di risorse e di programmazione, contrariamente a quanto, invece, avviene in altri Paesi europei, i cui governi investono percentuali significative del loro PIL e programmano in anticipo piani di spesa dettagliati. Con il loro accorato appello, che conta oltre 45.000 adesioni, gli scienziati italiani invitano l'Unione europea a fare pressione sul Governo italiano, affinché finanzi adeguatamente la ricerca, portando i relativi fondi ad un livello sensibilmente superiore a quello della pura sussistenza;

la ricerca in Italia è particolarmente svantaggiata rispetto agli altri Paesi europei: non c'è classifica, con i parametri più diversi, per verificarne il livello quantitativo e qualitativo, che non ci veda relegati agli ultimi posti. Secondo le ultime statistiche dell'OCSE, infatti, l'anno 2015 si è chiuso confermando, a livello internazionale, quel trend di flessione degli investimenti pubblici in università e ricerca che si protrae dal 2010, quadro nel quale il nostro Paese, inginocchiato da una crisi, frutto anche di mancate scelte di investimento nella conoscenza e nelle filiere alte del valore, si distingue per un colposo e costante disimpegno che conferma il sotto finanziamento cronico dell'intero settore e che, con una quota di finanziamenti erogati pari all'1,1 per cento del PIL, contro il 2 per cento destinato in media dagli altri Paesi europei, è capace di evocare lo spettro di una strisciante desertificazione culturale, scientifica e tecnologica;

invero, la globalizzazione dell'economia e l'impetuoso sviluppo di Paesi, come l'India e la Cina, uniti all'accelerazione tecnologica, hanno determinato negli altri la necessità di aumentare la competitività dei propri settori produttivi, ricorrendo a nuove ricerche e sperimentazioni, al fine, non solo, di migliorare le condizioni di vita dei singoli individui, ma anche di contribuire, in modo più incisivo, al proprio sviluppo economico: in tale accezione, la ricerca, sia pubblica che privata, rappresentando uno dei settori fondamentali e strategici per accrescere lo sviluppo culturale e la competitività economica e tecnologica di una nazione, è chiamata ad assurgere al ruolo anticiclico di driver della crescita di lungo periodo. Del resto, anche nell'ambito delle teorie dello sviluppo economico, uno degli assiomi maggiormente condivisi è quello del nesso che lega gli investimenti in ricerca e innovazione di un'economia alla loro capacità di accrescere il livello di benessere nel tempo, in particolare laddove il livello di sviluppo sia vicino alla frontiera tecnologica, rendendo quindi obsoleti investimenti basate su repliche di processi produttivi consolidati inventati altrove;

l'attività relativa alla ricerca ed all'innovazione è oggetto di attente e condivise politiche comunitarie mirate all'ottimizzazione dei risultati, per mezzo di un'azione sinergica e di obiettivi comuni che, per tale motivo, hanno trovato regolamentazione in numerosi accordi e programmi. La Commissione europea, infatti, nell'ambito della strategia "Europa 2020", volta a garantire e difendere la competitività globale del vecchio continente, ritenendo che, in un momento in cui i processi e le produzioni si differenziano in funzione dell'innovazione, anche l'Unione europea debba raccogliere queste sfide investendo in fattori di stimolo come il cosiddetto triangolo della conoscenza (istruzione/ricerca/innovazione), ha avviato il programma "Horizon 2020", con il quale finanziare, in un arco temporale che va dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2020, i progetti di ricerca ed innovazione di imprese, università, aziende attive nel settore tecnologico, istituti di ricerca e ricercatori dei Paesi membri;

per effetto della sua partecipazione all'Unione europea sono rilevanti gli impegni che derivano al nostro Paese. In particolare, il Consiglio europeo, già nel marzo del 2005, procedendo alla revisione intermedia della strategia di Lisbona, aveva sottolineato l'importanza di conseguire l'obiettivo generale di aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo tecnologico per arrivare, tendenzialmente, entro il 2010 e per ciascun Paese membro ad un livello pari al 3 per cento del proprio PIL. Obiettivo complementare dello stesso Trattato era anche quello di modificare il rapporto tra le fonti di finanziamento, facendo sostenere al settore privato almeno i due terzi della spesa per la Ricerca e Sviluppo da parte di imprese e settore privato no profit;

nonostante l'assunzione di una posizione avanzata su tale versante avrebbe consentito al nostro Paese di aumentare capacità produttiva e competitività nei processi di crescita economica, culturale e sociale, e di partecipare alla cooperazione internazionale in forma non subalterna, di contro, l'azione politica italiana si è limitata a definire le linee di sviluppo delle attività connesse alla ricerca, attraverso il riordino e la razionalizzazione degli interventi diretti a promuovere e sostenere il settore della ricerca scientifica e tecnologica, nonché di tutti gli organismi operanti nel settore, nel tentativo, fino ad oggi fallito, di realizzare una visione sistematica del settore e ricondurre a coerenza le funzioni assolte da soggetti diversi, pubblici o privati, coinvolti;

la ricerca in Italia è un settore da tempo sotto osservazione per altre ragioni: accanto alla suddetta scarsa attenzione da parte delle istituzioni ed alla carenza di risorse pubbliche e private, si deve lamentare anche la cattiva gestione delle stesse e l'incapacità di incrementare il capitale umano, che vi si dedica, tanto che si assiste al costante fenomeno di trasferimento in università ed imprese straniere di ricercatori italiani e scienziati (cosiddetta fuga di cervelli) che negli altri Paesi trovano condizioni migliori per esprimere i propri talenti. Altro fattore critico è quello dell'incertezza dei tempi di finanziamento o di rimborso delle risorse: nel nostro Paese, infatti, accanto a schizofreniche disposizioni incentivanti, come il riconoscimento di un credito d'imposta per investimenti in ricerca ed innovazione, convive una burocrazia, che inibisce l'operatività dei programmi comunitari e blocca l'avvio dei bandi pubblici: insomma un mix di concause, che determinano quello noto oramai come il "paradosso italiano", in virtù del quale si continua a contribuire ai fondi europei in misura nettamente maggiore rispetto all'entità dei finanziamenti che, con l'esiguo numero dei ricercatori italiani, si riesce ad attrarre;

inoltre, il sistema italiano della ricerca è affetto, da molti anni, anche da altre deficienze di carattere strutturale, quali: l'assenza di un programma nazionale della ricerca, le difficoltà di mantenimento gestionale del personale e delle strutture all'interno dell'università e degli enti di ricerca e la mancanza di controlli efficaci sul merito e sui risultati. Anche i finanziamenti, instabili e discontinui, inducendo la parcellizzazione delle risorse ed una insicurezza, che non agevola l'attività di studio e ricerca, impediscono anche una programmazione a medio periodo e formazione di personale altamente specializzato;

le poche risorse, oltre che insufficienti, sono anche mal gestite e disperse fra molti enti, senza che vi sia alcun collegamento e programmazione, spesso assegnate senza adeguati sistemi di referaggio. Nell'ambito del bilancio del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ad esempio, spesso esiste una sovrapposizione tra la spesa per la ricerca e la spesa universitaria e risulta, perciò, poco chiara la attribuzione alla didattica rispetto alla ricerca. Inoltre, fondi per la ricerca esistono tradizionalmente anche in altri Ministeri, quali Agricoltura, Salute, Difesa, Industria e Ambiente;

la scarsità di finanziamenti, la loro frammentazione, nonché altri problemi strutturali sono stati affrontati dalla risoluzione n. 36 (Doc. XXIV) della 7ª Commissione permanente (Istruzione pubblica, beni culturali, ricerca scientifica, spettacolo e sport) del Senato promossa nella XVII Legislatura, a seguito di una serie di audizioni che hanno coinvolto università, enti di ricerca, associazioni, sindacati. Tale risoluzione, a tutt'oggi disattesa, ha raccolto il suggerimento proposto da più parti di istituire l'Agenzia italiana per la ricerca scientifica (Airs) con l'obiettivo principale di raggruppare e gestire, in sinergia con l'Agenzia europea per la ricerca, tutte le risorse pubbliche disponibili per la ricerca, sulla falsariga di quanto avviene in altri Paesi del resto del mondo, e che dovrebbe permettere di stabilire un programma triennale scorrevole, tale da non determinare soluzioni di continuità nei finanziamenti;

anche il Governo Renzi, dimostrandosi in piena continuità con quelli precedenti, non riesce ad invertire quella rotta, che sta portando alla deriva il sistema di ricerca italiano, la cui fonte di finanziamento, accanto a quello erogato dalla Commissione europea, che finanzia soprattutto grandi progetti internazionali di collaborazione, è per il 44,8 per cento di origine privata, per il 41,9 per cento di origine pubblica, e per il 9,50 proveniente dall'estero, dati che dimostrano come la componente privata dell'investimento in ricerca sia cresciuta rispetto a quella pubblica, ma non abbastanza da colmare il grande divario rispetto agli altri Paesi europei. La spesa dei pochi fondi a disposizione si orienta, per lo 0,70 del PIL verso la ricerca industriale, per lo 0,18 verso la ricerca degli enti pubblici, e per lo 0,36 verso la ricerca universitaria, con una spesa complessivamente, in termini reali, che complessiva oscilla fra i 19 e i 20 miliardi di euro, dei quali 8 provenienti da intervento pubblico, a fronte dei 48 miliardi di euro investiti dalla Francia ed i 31 miliardi di euro dalla Gran Bretagna;

anche l'analisi del bilancio dello Stato testimonia come e quanto l'attuale Governo contragga da anni la spesa pubblica in ricerca, una tendenza che emerge chiaramente dal raffronto delle due missioni: la missione 17 (Ricerca e innovazione) che dal 2008 al 2014 è passata da 4 miliardi di euro a 2,8 miliardi di euro, e la missione 23 (Istruzione universitaria) che, nel medesimo arco temporale, è passata invece da 8,6 miliardi di euro a 7,8 miliardi di euro, con un calo totale del 20 per cento e pari a 2 miliardi di euro. Come anche dichiarato nel corso di un'audizione al Senato dalla Ragioneria dello Stato, tra le complessive 34 missioni, che costituiscono il bilancio statale, quelle maggiormente ridimensionate (nel suddetto periodo) sono state, nell'ordine, la missione Istruzione universitaria (con un calo del 19,9 per cento in media), la missione Fondi da ripartire (con un calo del 14,5 per cento in media) e la missione Ricerca e innovazione (con un calo del 12,17 per cento in media);

altro caso paradigmatico è quello dei finanziamenti per la ricerca di base, i cosiddetti PRIN (progetti di ricerca di interesse nazionale) rimasti inattivi dal 2012. Istituiti nel 1996 dal Governo Prodi, rappresentavano allora il principale supporto per la ricerca pubblica: da un budget di 137 milioni di euro, destinati nel 2003 alle 14 aeree di ricerca, si è passati, con una riduzione media del 30 per cento, "complice" la spending review, ad appena 92 milioni di euro, da destinare a tutte le aree di ricerca. I progetti FIRB (fondo per gli investimenti della ricerca di base), invece, partiti nel 2004 con 155 milioni di euro, sono andati estinguendosi progressivamente fino a cessare dal 2013 in poi;

per quanto riguarda i fondi europei, nonostante nel periodo 2007-2013 l'Italia abbia contribuito al settimo programma quadro, per un ammontare di 900 milioni di euro l'anno, ne sono rientrati, a causa del suddetto definanziamento, alla ricerca di base, solo due terzi, con una perdita secca per la scienza italiana di 300 milioni di euro;

la struttura dei finanziamenti pubblici alla ricerca, stanziati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, quale organo istituzionalmente deputato ad alimentarla, è riconducibile a 2 tipi di fondi, a seconda che siano attribuiti attraverso bandi competitivi o vengano versati direttamente alle università, sedi, peraltro, di almeno il 70 per cento della ricerca di base, per sostenere le loro due attività istituzionali, cioè la didattica e la ricerca. Questi sono il fondo ordinario all'università (FFO), che dovrebbe coprire la spesa per gli stipendi del personale docente e amministrativo, per la ricerca e per la manutenzione delle strutture, il fondo ordinario agli enti (FOE), i finanziamenti competitivi (PRIN) e (FIRB) a università ed enti e di finanziamenti alla ricerca industriale (FAR). L'analisi dei dati relativi restituisce tale realtà: a fronte di un costante declino dei fondi ordinari, si può osservare anche l'esiguità dei finanziamenti ai ricercatori su base competitiva, essenziali per selezionare nel Paese quei gruppi che, svolgendo ricerca ai livelli più alti, potranno confrontarsi a livello internazionale. Infatti, nel bando PRIN 2012, il finanziamento per il costo stipendiale dei ricercatori a tempo determinato oscillava dai 10.000 euro ai 261.000 euro per 3 anni di ricerca, con una media annua di poco più di 24.000 euro, importi, che, oltre a costituire le briciole del finanziamento complessivo, sono anche erratici, come dimostra il caso dei bandi PRIN, fermi dal 2012 al 2015, diversamente da quanto invece accade in altri Paesi europei in cui i bandi competitivi alimentano costantemente e adeguatamente la ricerca di qualità, ad esempio il Regno Unito che, con i suoi 7 "Research Council", finanzia i ricercatori con 3 miliardi di sterline all'anno, la Germania, che eroga molti dei finanziamenti competitivi attraverso organismi come la "German Research Foundation" (DFG), la più grande agenzia di finanziamento della ricerca d'Europa, che riceve fondi dai laender e dal Governo federale, o la Francia, ove nel 2005 è stata istituita l'Agenzia nazionale della ricerca (ANR), che distribuisce fondi per la ricerca e l'istruzione su base competitiva, tramite processi di peer-review svolti da esperti internazionali, con importi che variano da 400 a 900 milioni di euro l'anno;

anche la Spagna si accinge ad istituire un'Agenzia per la valutazione e il finanziamento della ricerca competitiva, mentre in Finlandia l'Academy of Finland, che raggruppa 4 Research Council, ciascuno attinente a un'area tematica, già finanzia la ricerca scientifica tramite peer-review (cioè il meccanismo della revisione tra pari) spesso affidate a esperti internazionali. Negli Stati Uniti la valutazione ed il finanziamento della ricerca competitiva sono affidati a 2 pilastri: il National Institute of Health (NIH) e la National Science Foundation (NSF);

di contro, nel nostro Paese non esiste un'Agenzia di questo genere, indipendente dal governo, che possa gestire un budget per finanziare la ricerca competitiva con valutazioni ex ante o appositi bandi sul modello dei fondi europei. La stessa ANVUR (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) svolge funzioni e compiti, che poco hanno a che fare con un'agenzia di finanziamento, occupandosi essenzialmente di valutazioni ex post della qualità della ricerca degli enti e delle università, e sulla base delle sue valutazioni viene erogata la quota premiale del FFO e del FOE, quota che non è affatto aggiuntiva, ma, in realtà, sottratta dalle assegnazioni ordinarie, con pesanti effetti distorisivi, non ultimo dei quali l'allargamento del divario fra università del nord e del sud del Paese. L'ANVUR, inoltre, si occupa dell'abilitazione nazionale all'insegnamento e di altre funzioni, ma con budget e personale davvero limitati, rispetto alle corrispettive agenzie straniere e con controversi sistemi di referaggio;

sul fronte della mobilità dei ricercatori, la scarsa attrattività dell'Italia ha portato all'estero già molti di essi, circa 15.000 unità, creando nella ricerca un vero e proprio buco generazionale e facendo perdere al nostro Paese competitività rispetto agli altri Stati membri: un regalo di intelligenze non compensato da contestuali ingressi dall'estero. Secondo recenti rilevazioni, infatti, le uscite sono pari al 16,2 per cento, mentre gli ingressi dall'estero sono fermi al 3 per cento. Nel 2013 operava in Italia un numero di ricercatori pubblici e privati pari a 164.000 unità (4,9 ogni 1.000 occupati), mentre negli altri maggiori Paesi europei, la presenza di ricercatori è più numerosa e capillare: 357.000 in Francia (9,8 ricercatori per 1.000 occupati); 522.000 in Germania (8,5); 442.000 nel Regno Unito (8,7); 216.000 in Spagna (6,9);

il Presidente del Consiglio dei ministri ha ufficialmente presentato il progetto definitivo dello "Human Technopole", il cui il concessionario è l'Istituto italiano di tecnologia (IIT), ovvero una fondazione privata finanziata direttamente dal Ministero dell'economia e delle finanze, associato in questo progetto ai 3 atenei milanesi ed a diversi istituti di ricerca di area confindustriale, progetto per il quale verranno stanziati 1,5 miliardi di euro in 10 anni, nonostante la legge di stabilità per il 2016 (legge n. 208 del 2015) abbia imposto ulteriori tagli mascherati al settore pubblico dell'università e della ricerca, facendo raggiungere il definanziamento del sistema universitario a quota 1,1 miliardi di euro;

il suddetto progetto è perciò un ennesimo esempio a parere dei proponenti di destrutturazione del sistema pubblico della ricerca: non a caso è prevista l'assunzione dei ricercatori e dei tecnici amministrativi per chiamata diretta. Infine, va ricordato che nel 2008 l'IIT ha ricevuto in dotazione il patrimonio finanziario della fondazione IRI, pari a circa 130 milioni di euro, cioè risorse pubbliche provenienti dalle spoglie della più grande holding industriale pubblica del Paese: un trattamento di favore per l'IIT, che dovrebbe far sollevare l'indignazione e la protesta di tutta la comunità scientifica contro un Governo, che, con una mano, toglie fondi e risorse alla ricerca ed all'alta formazione pubblica, scientifica e universitaria, mentre con l'altra sostiene operazioni, come lo "Human Technopole", assolutamente prive di trasparenza, sia sul piano dell'uso delle risorse, che su quello del reclutamento di tutto il personale;

lo stesso Presidente Renzi ha annunciato nei giorni scorsi lo stanziamento di 2,5 miliardi per la ricerca, pur sapendo che non si tratta di risorse aggiuntive, ma della quota di cofinanziamento spettante al nostro Paese per la sua appartenenza al programma europeo «Horizon 2020». Nello stesso contesto il premier ha confermato il varo di un programma nazionale per la ricerca 2015-2020 da 2,5 miliardi di euro, importo che non sarebbe però costituito da risorse fresche, ma che corrisponderebbe a fondi contabilizzati da oggi al 2017, tra stanziamenti già presenti nel bilancio del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per un importo pari a 1,9 miliardi di euro e una quota relativa alla programmazione nazionale del fondo per lo sviluppo e la coesione relativa al periodo 2014-2020, per un importo di 500 milioni di euro;

il suddetto piano del Governo, per rilanciare ricerca ed innovazione, manca all'appello dal 30 gennaio 2014, quando il Consiglio dei ministri esaminava, in via preliminare, il testo elaborato dal ministro pro tempore Maria Chiara Carrozza e mai varato;

nonostante il tentato e continuo depistaggio cognitivo da parte del premier resta un'amara realtà: il Governo ha stanziato per i prossimi 2 anni solo 100 milioni di euro, con i quali poter assumere solo 861 ricercatori all'anno, mentre ne servirebbero almeno 2.400 all'anno per i prossimi 8;

in un mondo dominato oramai dall'economia della conoscenza, la ricerca, insieme all'istruzione, è il pilastro su cui si costruisce il futuro e la prosperità di un Paese, pertanto un Paese che non investe in ricerca, sviluppo e cultura è condannato a non avere futuro,

impegna il Governo:

1) ad istituire, in seno alla Presidenza del Consiglio dei ministri, un'Agenzia italiana per la ricerca scientifica, al fine di superare l'attuale sistema burocratizzato e frammentato di assegnazione delle risorse, che rappresenti un organismo di stimolo, di rinnovamento e di qualificazione della ricerca scientifica italiana, con il compito di riassumere, in una sola sede, tutte le risorse destinate al settore;

2) a rilanciare, con la massima urgenza, il comparto delle ricerca italiana, attraverso l'immediato varo dell'annunciato Programma nazionale per la ricerca 2015-2020 e l'elevazione dell'attuale spesa, per investimenti in Ricerca e Sviluppo, ad un livello pari al 3 per cento del PIL, anche al fine di accrescere i livelli di produttività, di occupazione e di benessere sociale nel nostro Paese;

3) a distribuire le risorse pubbliche così incrementate, per tramite della Agenzia italiana per la ricerca scientifica, ad enti, università ed istituzioni pubbliche del Paese, sia come assegnazioni ordinarie che come fondi a progetto (PRIN, SIR, eccetera), avendo cura di riservare una percentuale minima da definire alla ricerca libera o di base o curiosity-driven;

4) ad abolire, dal 2017, ogni limitazione del turnover per tutte le figure del mondo universitario e della ricerca pubblica.

(1-00537)