• Testo RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA

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Atto a cui si riferisce:
S.6/00172 in occasione della riunione del Consiglio europeo che avrà luogo a Bruxelles nei giorni 17 e 18 marzo prossimi venturi; premesso che: nella riunione i Capi di Stato e di Governo dei 28...



Atto Senato

Risoluzione in Assemblea 6-00172 presentata da NUNZIA CATALFO
mercoledì 16 marzo 2016, seduta n.594

Il Senato,
in occasione della riunione del Consiglio europeo che avrà luogo a Bruxelles nei giorni 17 e 18 marzo prossimi venturi;
premesso che:
nella riunione i Capi di Stato e di Governo dei 28 Stati membri dell'UE cercheranno di raggiungere un accordo da sottoscrivere con il Governo turco per una gestione condivisa dei flussi migratori provenienti dalla Siria;
il vertice dello scorso 7 marzo ad Ankara tra UE-Turchia si è risolto con un nulla di fatto, se non con un innalzamento della posta in gioco da parte del Governo turco: il primo ministro turco Ahmet Davutoglu ha richiesto ai 28 Capi di Stato e di Governo dell'Unione europea un raddoppio dei tre miliardi di euro già stanziati in favore della Turchia per la gestione dei flussi migratori, arrivando a sei miliardi fino al 2018;
i flussi migratori tra la Turchia e l'Unione europea dovranno essere regolati dal principio di "1 siriano contro 1 siriano" per cui la Turchia riprenderà sul suo territorio tutti i migranti che illegalmente hanno raggiunto il territorio europeo a partire da una determinata data in avanti, ma ad ogni profugo accolto, l'Europa ne dovrà prendere uno dalla Turchia in modo legale;
la Turchia dovrebbe diventare una sorta di "sala d'attesa" in cui si raccoglieranno i profughi mentre vengono esaminate le loro domande di asilo e quelli che lo otterranno saranno comunque accolti in Europa. Oltre a 6 miliardi di euro, la Turchia richiede un'accelerazione per la concessione di visti per l'area Schengen che scatterebbero già dal mese di giugno per i suoi cittadini e la ripresa concreta dei negoziati per l'ingresso nell'Unione europea;
le rivendicazioni del Governo di Ankara, volute di fatto dal Presidente Erdogan, più che la fattispecie di un accordo politico risultano essere un'azione politica di pressione sull'Europa, che sembra assumere i contorni di un vero e proprio ricatto, sfruttando un'emergenza umanitaria e, pertanto, sulla pelle di persone che fuggono dalla guerra;
da un'analisi attenta si potrebbe affermare che l'Unione europea abbia costruito con le sue stesse mani questa sorta di ricatto, con la vendita di armi ai sauditi e alle fazioni in campo, in particolare attraverso Stati membri come la Gran Bretagna, Francia, Germania e la stessa Italia. La votazione da parte del Parlamento europeo, lo scorso 25 febbraio, di una risoluzione in cui chiede alla Commissione europea l'embargo della vendita delle armi all'Arabia saudita, corrobora questa tesi;
la Turchia usa la disperazione delle persone per chiedere ancora fondi all'Unione europea, sul cui utilizzo non c'è adeguata trasparenza. I soldi finora stanziati in favore della Turchia raggiungono cifre ragguardevoli: 4,8 miliardi di euro nella programmazione 2007-2013, 1,3 miliardi già stanziati per il biennio 2014-2015, altri 3 miliardi già promessi e altri 3 richiesti;
nel caso in cui i 28 Stati membri dell'Unione europea dovessero cedere alle pressioni turche, per poter rinviare dall'Europa migranti che hanno diritto a protezione internazionale, la Turchia dovrebbe essere considerata "territorio sicuro", ovvero un Paese in cui vige il rispetto dei fondamentali diritti umani. Una concessione molto problematica per l'Europa stante le notizie che giungono sulle continue violazioni della libertà di stampa;
la Turchia chiede di accelerare il suo ingresso nell'Unione europea, ma mancano i presupposti: la già citata violazione della libertà di stampa, le repressioni delle manifestazioni libere, il blocco dei social network, la libertà di espressione compromessa, le rappresaglie nei confronti dei civili nelle aree a maggioranza curda spacciate da azioni contro l'Isis, il fondato sospetto che il Governo turco sia morbido con l'Isis permettendo il transito lungo il suo confine delle fonti e delle risorse di approvvigionamento economiche che sostengono l'Isis stessa;
la Turchia, oggi non può essere considerata un alleato affidabile, date le ripetute violazioni dell'accordo doganale con l'Unione europea, il blocco alle frontiere di tir e merci europee, l'aumento ingiustificato di dazi doganali, la chiusura alle imprese italiane, la politica protezionistica praticata dal Governo. Si chiedono soldi all'Europa, ma si ostacola l'Europa stessa;
se volessimo fugare il dubbio che dietro all'emergenza umanitaria possano nascondersi obiettivi diversi, bisognerebbe interrogarsi sull'opportunità di potenziare gli aiuti destinati dall'Unione europea ad altri Stati confinanti con la Siria, come il Libano e la Giordania, che ospitano milioni di profughi. Basti pensare che il solo Libano ospita oltre 1 milione di profughi, pari a un quarto della sua stessa popolazione;
mentre i Capi di Stato e di Governo europeo discutono se accettare o no le condizioni turche al confine tra la Macedonia e la Grecia si rischia una vera e propria crisi umanitaria: migliaia di rifugiati sono di fatto ammassati alla frontiera (si stimano tra le 35.000 e le 40.000 persone), una situazione di sovrappopolamento che sta determinando la mancanza di beni di prima necessità come alimenti, coperte, acqua e sanitari, come denunciato solo pochi giorni fa dalle Nazioni Unite, nonostante gli sforzi del Governo greco di garantire pasti attraverso le strutture da campo dell'esercito;
a fronte dei 6 miliardi di euro richiesti dalla Turchia, si stanziano fondi insufficienti per la Grecia che ha chiesto, già a metà febbraio, almeno 480 milioni di euro in aiuti per dare alloggio ai circa 100.000 rifugiati che nel 2016 hanno affollato le sue coste. la Commissione Europea ha prospettato un piano di appena 700 milioni di euro di aiuti per tutti gli Stati europei, di cui appena 300 milioni disponibili nel 2016;
oltre alla crisi migratoria il Consiglio europeo vede all'ordine del giorno anche l'analisi della situazione economica del semestre europeo, con una disamina dell'attuazione delle raccomandazioni specifiche per Paese;
da questo punto di vista l'Italia sembra essere sull'orlo della bocciatura: la riunione dell'Eurogruppo dello scorso 7 marzo ha espresso forti preoccupazioni per l'andamento dei conti pubblici italiani, rilevando che il nostro Paese rischia di non rispettare le regole europee di risanamento del debito pubblico, tanto che nella Comunicazione n. 95 dell'8 marzo 2016 la Commissione europea, pur riscontrando alcuni progressi per far fronte agli squilibri economici, ha messo in evidenza come l'Italia rimanga nel gruppo dei cinque Paesi con squilibri eccessivi insieme a Francia, Portogallo, Croazia e Bulgaria;
la legge di stabilità del 2016 è basata su generose richieste di flessibilità di bilancio, ma i Ministri delle finanze europei sono stati chiari: anche nel caso di concessione massima della flessibilità richiesta rimane il rischio di significativa deviazione. La Commissione europea ha richiesto in via ufficiale una correzione dei conti e misure adeguate entro il mese di aprile, perché pur ammettendo timidi progressi nel 2015, l'Italia è molto indietro "dal punto di vista della spending review, della tassazione, del sostegno alla contrattazione collettiva di secondo livello e della lotta contro la corruzione. C'è dunque ampio terreno per implementare riforme strutturali in grado di sostenere la crescita";
il Governo non ha tagliato sprechi e spese improduttive, ma ha agito con tagli sul sistema previdenziale ed assistenziale con la stretta alle pensioni di reversibilità ed alle prestazioni assistenziali tramite l'adeguamento della soglia di accesso alla misura ad un indicatore non più legato al reddito dichiarato, ma ad un indicatore più rigido quale l'ISEE e indebolisce ancora di più la posizione delle famiglie più disagiate che rischiano di perdere la loro casa con il "decreto mutui";
l'Italia sembra non esser stata in grado di intercettare lo sviluppo, sebbene l'Europa tra la fine del 2014 e il 2015 abbia goduto di condizioni favorevoli alla ripresa grazie a una ripresa dell'economia mondiale, tagli costanti dei tassi di interesse e immissioni di liquidità da parte della Banca centrale europea;
come rilevato dall'Istat il PIL del 2015 si è fermato, a fronte del + 1,8 per cento dell'intera UE e del +1,5 per cento dell'Eurozona, a +0,6 per cento: briciole che niente possono fare di fronte ad un debito pubblico che sfora i 2.200 miliardi e che è di fatto più basso di quanto prospettato dal Governo nel Documento di economia e finanza dello scorso anno;
la debole dinamica economica che ne consegue complica il percorso verso la riduzione dell'elevato debito pubblico e il recupero della competitività. A sua volta l'elevato debito pubblico continua a penalizzare la performance economica dell'Italia e a esporla agli shock esterni;
la situazione non è destinata a migliorare né da un punto di vista degli indici economici, né per le ripercussioni sociali: mentre il Governo promette riduzione del debito e crescita l'agenzia internazionale di rating Fitch (con dati concordanti con l'OCSE) taglia le previsioni per il PIL italiano da 1,3 per cento a 1 per cento per il 2016 e da 1,5 per cento a 1,3 per cento nel 2017 e anche le stime europee, previste a 1,7 per cento nel 2016, sono riviste al ribasso a 1,5 per cento: la crisi per l'Italia sembra non essere ancora finita, l'Europa continua a sostenere le politiche dell'austerità e sul territorio nazionale si portano avanti continue decostruzioni delle tutele contrattuali dei lavoratori, si riduce la spesa sanitaria a discapito della salute dei cittadini, si sostengono riforme strutturali che contraggono la democrazia;
dal 2008 il tasso di disoccupazione di lunga durata è in aumento costante per tutte le fasce di età. Il persistere della disoccupazione comporta rischi rilevanti per la partecipazione al mercato del lavoro, che rimane relativamente bassa, in particolare per le donne e i lavoratori più anziani. In questo contesto gli indicatori sociali sono peggiorati dopo la crisi: la percentuale di popolazione a rischio di povertà o di esclusione sociale è aumentata tra il 2008 e il 2012, per poi scendere solo marginalmente negli ultimi anni. Nel 2014 l'Italia contava 17,1 milioni di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale;
in Italia la percentuale di disoccupati è salita negli ultimi anni dall'8 per cento sino a superare l'11 per cento mentre in Francia il tasso di disoccupazione è fermo al di sotto del 10 per cento e in Gran Bretagna, nonostante l'aggravarsi della crisi economica, la disoccupazione è diminuita al di sotto dell'8 per cento;
la mancanza di politiche di riconversione industriale e l'assenza di analisi dei settori strategici unitamente a un sistema di politiche del lavoro, attive e passive, frammentarie hanno foraggiato il diffondersi di una situazione deficitaria in cui manca un disegno organico di gestione del mercato del lavoro e della vita lavorativa dei singoli cittadini: sono assenti politiche in grado di invogliare e sviluppare le competenze e le conoscenze dei lavoratori; sono carenti il life long learning e la formazione continua, individuati secondo la strategia di Lisbona e di Europa 2020 come fattori cruciali di sviluppo per l'economia continentale; assai deboli le politiche sociali, non essendo prevista nessuna forma di reddito di cittadinanza;
il combinato disposto di politiche del lavoro e politiche sociali che riescono ad abbinare in maniera adeguata flessibilità e sicurezza non è un obiettivo irraggiungibile: Paesi come la Danimarca hanno fatto di questo binomio il loro cardine nella gestione del mercato del lavoro. L'Italia è così lontana da parametri di efficienza adeguati, che è difficile il confronto con realtà virtuose quali i Paesi del Nord Europa;
il deficit in seno alle politiche di sviluppo in combinato con il deficit strutturale nelle politiche del lavoro ha favorito l'esodo di molti lavoratori italiani (quasi sempre i più qualificati e preparati) verso l'estero e le economie più avanzate dell'Unione europea. Ben 37.500 lavoratori italiani si sono trasferiti nel Regno Unito nel solo 2015 e ben 500.000 sono gli italiani lì residenti. Peraltro proprio il Regno Unito e altri Paesi europei dove è forte la presenza di nostri connazionali stanno riconsiderando l'applicazione delle prestazioni sociali ai lavoratori stranieri intraeuropei;
come emerge dalla "Relazione per Paese relativa all'Italia 2016 comprensiva dell'esame approfondito sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici" il rischio di esclusione dal mercato del lavoro è elevato, soprattutto per i giovani. La disoccupazione prolungata unita a un forte sentimento di scoraggiamento possono ripercuotersi sulla partecipazione al mercato del lavoro e in ultima analisi sulla crescita potenziale. L'Italia registra nell'UE uno tra i più alti tassi di disoccupati di lunga durata in uscita dalla forza lavoro dell'UE: oltre il 40 per cento dei disoccupati ha abbandonato la ricerca di un lavoro ed è diventato "inattivo". La situazione è particolarmente preoccupante per i giovani;
l'iniziativa europea di Garanzia Giovani, lanciata nel 2014, ha avuto esiti finora fallimentari: solo il 3 per cento dei giovani presi in carico dai servizi competenti ha ricevuto una qualche forma di risposta in termini di lavoro o comunque di offerta formativa o di stage, in molte regioni come la Sicilia, i farraginosi ingranaggi burocratici hanno rallentato i pagamenti dei rimborsi spesa per i giovani aderenti al progetto, in alcuni casi i programmi formativi erano dequalificanti e difficilmente il tirocinio si è trasformato in opportunità di lavoro. Unico effetto rilevato è stato quello di gonfiare il dato relativo all'occupazione giovanile: i tirocinanti infatti non vengono rilevati nell'ambito delle stime ISTAT come soggetti in cerca di occupazione e di conseguenza non inseriti nel dato inerente la disoccupazione;
la crisi senza un corretto impiego delle risorse pubbliche destinate alle politiche per il lavoro è difficile da superare, specie se vi è scarsa coordinazione tra le politiche a livello locale, regionale e nazionale, in cui si sovrappongono e si confondono le competenze e le gerarchie tra i vari operatori, che porta ineluttabilmente alla mala allocazione delle risorse disponibili;
basti pensare che la Corte dei conti nella Determinazione e relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'INPS ha posto l'attenzione sul rischio inerente l'andamento delle entrate contributive che dovrà essere attentamente valutato tenendo conto degli effetti causati dall'adozione di interventi non strutturali di esonero contributivo per le nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato, che possono determinare da un lato un ulteriore incremento di trasferimenti dal settore pubblico a carico della fiscalità generale e dall'altro, vista la temporaneità delle decontribuzioni, una cessazione anticipata dei rapporti di lavoro con conseguente ricorso alle prestazioni a sostegno al reddito e all'adozione di misure per la ricollocazione dei lavoratori,
impegna, quindi, il Governo nelle competenti sedi europee:
- a opporsi allo stanziamento di ulteriori 3 miliardi di euro da parte dell'Unione europea per la gestione dei flussi migratori in favore della Turchia, un Paese candidato che non riesce a soddisfare tutti i criteri di ammissibilità dell'UE, comunemente noti come i criteri di Copenaghen non garantendo un livello adeguato di libertà di stampa, di rispetto e tutela delle minoranze e delle opposizioni politiche e tenendo un'ambigua posizione di contrasto alle fonti di approvvigionamento economico dello Stato islamico;
- a sospendere da un lato l'erogazione dei fondi già stanziati per l'emergenza migratoria direttamente verso lo Stato turco e promuovere un sistema di gestione dei fondi stessi e dei campi profughi in territorio turco in collaborazione con l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e l'Unione europea per garantirne la trasparenza e il corretto utilizzo e dall'altro sostenere il Libano e la Giordania per far fronte all'accoglienza dei migranti siriani;
- a richiedere immediata attuazione delle decisioni del Consiglio che hanno stabilito il ricollocamento di un totale di 160.000 migranti tra gli Stati membri al fine di ottenere una più equa ripartizione del peso della crisi migratoria e dei richiedenti asilo. Un sistema, questo, che deve essere istituzionalizzato in modo da renderlo efficace nel lungo periodo e capace di far fronte alle emergenze migratorie, creando canali legali e protetti per raggiungere l'Unione europea garantendo, nei Paesi di transito, il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale;
- a proteggere gli Accordi e l'aquis di Schengen e le libertà ad esso connesse, affinché la chiusura delle frontiere torni ad essere una misura puramente residuale legata a situazioni emergenziali e contingenti;
- a sostenere a livello europeo la piena attuazione all'articolo 6, comma 3, del Trattato sul commercio delle armi dell'ONU (Arms Trade Treaty - ATT), prescrivendo in tal modo il divieto di autorizzare il commercio, il transito e il trasferimento di armi convenzionali come bombe o missili verso gli Stati coinvolti in conflitti, sul quale prolifera il terrorismo internazionale o a rischio di guerra civile, promuovendo al contempo una normativa europea più puntuale, stringente ed efficace che renda effettivo per tutti gli Stati membri lo stop totale alla vendita di armi ai Paesi in conflitto o a quelli direttamente o indirettamente legati al terrorismo internazionale e a tale scopo a stilare una lista condivisa tra gli Stati membri dei Paesi riconosciuti in conflitto;
- a promuovere una moratoria da parte degli Stati membri dell'Unione europea della vendita di armamenti nei confronti dell'Arabia Saudita e della cosiddetta coalizione sunnita, così come auspicato dal Parlamento europeo;
- ad attivarsi per definire una strategia europea volta a favorire un diverso modello di sviluppo maggiormente inclusivo che tenga conto di diversi fattori, non solo quelli meramente macroeconomici, ma anche prima di tutto inclusione sociale, tutela della salute, rispetto dell'ambiente e contrasto ai cambiamenti climatici integrando nelle analisi economiche nuovi indici e parametri tra cui il Genuine Progress Indicator (GPI) o il Benessere Equo e Sostenibile (BES), in luogo dell'anacronistico vincolo del 3 per cento nel rapporto deficit-PIL;
- a promuovere sistemi di garanzia sociale armonizzati in tutti gli Stati membri dell'Unione europea, strumenti di sostegno al reddito, politiche occupazionali inclusive, servizi universali di assistenza, al fine di migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei cittadini europei, in controtendenza alle fallimentari politiche neoliberiste e di austerità che difficilmente potranno rilanciare l'economia nazionale e al contempo definire politiche per gli investimenti che sostengano la ricerca, lo sviluppo e sostengano le PMI che rappresentano il reale e principale motore del tessuto produttivo italiano ed europeo;
- a porre in essere adeguate politiche economiche in cui venga coniugata da un lato la flessibilità economica per il rilancio degli investimenti infrastrutturali e dall'altro la diminuzione strutturale delle tasse sul lavoro, necessarie per la ripresa della produttività e dell'occupazione.
(6-00172)
CATALFO, FATTORI, CIOFFI, AIROLA, BERTOROTTA, BLUNDO, BOTTICI, BUCCARELLA, BULGARELLI, CAPPELLETTI, CASTALDI, CIAMPOLILLO, COTTI, CRIMI, DONNO, ENDRIZZI, GAETTI, GIARRUSSO, GIROTTO, LEZZI, LUCIDI, MANGILI, MARTELLI, MARTON, MONTEVECCHI, MORONESE, MORRA, NUGNES, PAGLINI, PETROCELLI, PUGLIA, SANTANGELO, SCIBONA, SERRA, TAVERNA.