• C. 2613-E-bis EPUB presentata il 7 aprile 2016. TONINELLI Danilo, Relatore di minoranza

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Atto a cui si riferisce:
C.2613-D [Ddl Costituzionale: Riforma Senato & Titolo V] Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione


Frontespizio Relazione
Testo senza riferimenti normativi
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 2613-E-bis


RELAZIONE DELLA I COMMISSIONE PERMANENTE
(AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI)
presentata alla Presidenza il 7 aprile 2016
(Relatore di minoranza: TONINELLI)
sul
DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE
APPROVATO, IN PRIMA DELIBERAZIONE, DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
l'8 agosto 2014 (v. stampato Camera n. 2613)
MODIFICATO, IN PRIMA DELIBERAZIONE, DALLA CAMERA DEI DEPUTATI
il 10 marzo 2015 (v. stampato Senato n. 1429-B)
MODIFICATO, IN PRIMA DELIBERAZIONE, DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
il 13 ottobre 2015 (v. stampato Camera n.2613-B)
APPROVATO, SENZA MODIFICAZIONI, IN PRIMA DELIBERAZIONE, DALLA CAMERA DEI DEPUTATI
l'11 gennaio 2016 (v. stampato Senato n.1429-D)
APPROVATO, IN SECONDA DELIBERAZIONE, CON LA MAGGIORANZA ASSOLUTA DEI SUOI COMPONENTI, DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
il 20 gennaio 2016
presentato dal presidente del consiglio dei ministri
(RENZI)
e dal ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il parlamento
(BOSCHI)
Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione
Trasmesso dal Presidente del Senato della Repubblica il 21 gennaio 2016


      

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Onorevoli colleghi! Il passaggio parlamentare che qui si sta svolgendo rappresenta l'ultimo passaggio della seconda lettura del disegno di legge di riforma costituzionale presentato dal Governo in carica, un passaggio in cui non è più possibile apportare ulteriori modifiche al testo, ma soltanto approvarlo o respingerlo nella sua interezza.
      Le ragioni per respingere questo testo sono numerose e rilevantissime: ragioni di metodo e di merito. Le ragioni di metodo in Parlamento sono quanto mai sostanziali, perché il Parlamento è il luogo in cui la democrazia si fa procedimento: ciò vale a maggior ragione nel procedimento di revisione costituzionale, ovvero nel procedimento che mira a modificare la norma essenziale sui procedimenti democratici che è la nostra Costituzione.
      Tanto le ragioni di metodo quanto quelle di merito per respingere il disegno di riforma presentato dal Governo sono state ampiamente esposte nei precedenti passaggi parlamentari e sono rimaste analoghe dal momento che, indipendentemente dalle circoscritte modifiche approvate nel corso di questi passaggi, l'impianto del disegno di riforma è rimasto sostanzialmente il medesimo presentato inizialmente dal Governo. Ciò sarebbe già di per sé una ragione sufficiente per respingere una riforma che dovrebbe essere di eminente ed esclusiva competenza del Parlamento. Esse pertanto verranno ribadite più oltre.
      Quello che è cambiato rispetto all'ultima lettura sono gli accadimenti politici. Se le leggi dovrebbero essere progettate per durare il più a lungo possibile nell'interesse della certezza del diritto senza la quale il principio di legalità stesso è compromesso, ciò vale a maggior ragione per la Costituzione e dunque per le riforme costituzionali, le quali non dovrebbero essere influenzate dagli accadimenti contingenti.
      Tuttavia, in questo specifico passaggio parlamentare gli accadimenti politici sono rilevanti, perché il tempo di riflessione prescritto dal Costituente quale essenziale aggravamento procedurale è pensato appositamente per indurre il legislatore costituzionale a ponderare con la massima attenzione le sue scelte, anche alla luce di quanto accade, per dargli modo di valutare una riforma che ha effetti tanto incisivi quanto più difficilmente reversibili nell'ordinamento rispetto a quelli della legge ordinaria.
      Vale la pena evidenziare allora come anche gli accadimenti politici più recenti, occorsi in questo tempo che dovrebbe essere di riflessione, sembrano portare argomenti a sostegno delle posizioni già espresse sull'impianto di questa riforma.
      Si può fare riferimento, ad esempio, alle situazioni politiche di altri Stati europei, così spesso presi a modello nell'affermare la necessità del superamento del bicameralismo paritario che attualmente caratterizza la forma di Governo parlamentare italiana: Paesi quali la Spagna o l'Irlanda, in cui il bicameralismo non ha questo carattere e che tuttavia stanno attraversando in questi mesi delle situazioni politiche del tutto inedite nella storia recente, che si stanno manifestando nell'impossibilità di formare governi sulla base dei risultati delle ultime elezioni.
      La coincidenza di queste vicende in Paesi europei, caratterizzati da un grado di democratizzazione consolidata ma tuttavia estremamente dissimili per dimensioni, collocazione geografica e geopolitica e situazione economica, è la prova del fatto che ci troviamo di fronte a una fase di trasformazione politica radicale.
      Gli schemi del passato, che si erano ormai consolidati e che si sono consolidati anche in Italia, seppur surrettiziamente, in particolare nell'ultimo ventennio, vengono meno, e ciò prescinde dalla natura paritaria del bicameralismo degli altri Stati europei, che invece sotto questo profilo rappresentano il modello che il legislatore costituzionale vorrebbe imitare.
      Come se il problema della cosiddetta governabilità, il feticcio che il legislatore costituzionale sta inseguendo, sordo alle ragioni delle opposizioni, dipendesse dal bicameralismo. Negli ultimi venti anni in Italia abbiamo avuto schiaccianti maggioranze in entrambe le Camere e abbiamo avuto maggioranze diverse nelle due Camere. La prima condizione non ha tuttavia prodotto una buona governabilità, e la seconda dipendeva semplicemente dalla difformità del sistema elettorale di una Camera rispetto a quello dell'altra, che naturalmente poteva produrre esiti divergenti indipendentemente dalla natura del bicameralismo.
      La Spagna e l'Irlanda hanno invece seconde Camere differenziate, ma attualmente sembrano incapaci di investire un Governo della fiducia parlamentare. Tutte queste circostanze svelano come l'intento riformatore e innovatore è in realtà rivolto a schemi superati, il cui superamento era già chiaramente in atto quando il Governo ha promosso la riforma e che oggi, nell'intervallo di tempo tra le due letture, trovano conferme empiriche e estremamente significative. Mentre lo schema che finora ha governato gli assetti istituzionali in Europa crolla, la riforma guarda al passato.
      L'impossibilità di formare i governi negli altri Paesi europei dipende dal superamento del bipolarismo, dell'idea del secolo scorso per la quale la storia è ormai finita e un pensiero unico è destinato a governare le democrazie, lasciando al bipolarismo il compito di dare l'idea di un'alternanza quale prova della possibilità per gli elettori di scegliere. Idee superate, di un altro secolo, che invece il legislatore costituzionale vorrebbe cristallizzare con questa riforma. L'esatto opposto quindi dell'idea stessa di «riforma», ma anche dell'idea di Costituzione come evento innovativo, che proiettava la neonata Repubblica italiana verso un futuro nuovo e diverso rispetto al passato.
      Altra circostanza del tutto significativa e che ha trovato conferma anche in questa fase interlocutoria, è tutta interna all'ordinamento, ed è data dallo scontro politico tra le forze che in Parlamento rappresentano gli elettori, che in questa fase si è acuito, radicalizzandosi proprio intorno a temi di rilevanza costituzionale. Il patto che unisce i cittadini della Repubblica per sua stessa natura richiede che vi sia ampio accordo tra coloro che li rappresentano sulle sue modifiche, accordo che in questo caso è venuto del tutto meno.
      Anche lo stesso procedimento di revisione del quale il passaggio che si va a svolgere è parte, è stato completamente distorto rispetto all'intento originale del costituente. Infatti, mentre ancora la riforma costituzionale deve essere approvata in seconda lettura, è già partita la contesa referendaria, riferita ad una fase solo eventuale che dovrebbe costituire l'eccezione e non la regola del procedimento di revisione costituzionale.
      Infatti, come dimostrano gli atti dell'Assemblea costituente, il referendum costituzionale è stato concepito con lo scopo di garantire e tutelare primariamente le minoranze parlamentari, alle quali è riconosciuta la facoltà di richiedere il ricorso al corpo elettorale, solo quando ritengano la revisione costituzionale lesiva dei loro diritti. Viceversa, i mesi interlocutori hanno confermato quanto già era stato reso evidente fin dalle prime fasi del procedimento di revisione costituzionale, ovvero che il referendum eventuale è stato interpretato dallo stesso esecutivo, che è il principale promotore e sostenitore della riforma, non già come uno strumento di garanzia per le minoranze, ma come un tentativo di ottenere utilità politiche aggiuntive in chiave chiaramente plebiscitaria.
      Anche questa circostanza conferma i rischi che l'approvazione della riforma rappresenta, perché segna un modo nuovo di intendere la revisione costituzionale, del tutto diverso rispetto a quello che era nell'intento originario, come momento di contrasto non genuinamente democratico ma esasperatamente oppositivo e lacerante.
      Questa la premessa fondamentale per la successiva analisi dei principali punti nel merito tecnico del disegno di legge costituzionale che siamo in questa sede chiamati a discutere per il secondo e definitivo voto sul testo già approvato da questa Camera e che dunque in questa sede si ribadiscono.
      Anzitutto si deve ribadire che il ruolo del Senato risulta ancora di scarsa intelligibilità. Al di là delle enunciazioni normative generiche, il Senato disegnato dalla riforma, anche dopo i passaggi parlamentari in cui tali limiti sono stati rappresentati, resta sprovvisto degli strumenti tecnici per intervenire efficacemente nel procedimento legislativo, anche nell'ambito che dovrebbe essere di interesse territoriale. In comune con gli altri ordinamenti vi è soltanto il tentativo di imitare un modello in base al quale, limitandosi le sedi della rappresentanza che hanno una influenza decisiva sui processi democratici, si risolverebbero i problemi della governabilità: un tentativo che appare già frustrato dagli eventi occorsi nel tempo di riflessione, di cui si è detto.
      Specularmente, numerose e apparentemente incisive sono le funzioni che non hanno diretta connessione con la rappresentanza territoriale ma che invece sembrano connotare il Senato come organo di controllo: la valutazione delle politiche pubbliche e dell'attività delle pubbliche amministrazioni; la verifica dell'impatto delle politiche dell'Unione europea sui territori; il concorso alla verifica dell'attuazione delle leggi dello Stato. Tutte queste funzioni, che secondo gli estensori della riforma sono volte al «rafforzamento» del Senato, vengono attribuite al Senato in modo estremamente generico e a-tecnico, e in assenza di previsione di alcun potere di reale intervento. Una volta che le verifiche in questione dovessero produrre un intervento volto alla correzione o alla modifica o un esito negativo, nessuna ulteriore norma è prevista per dare concreto seguito a tale attività. Attività teoricamente di estrema rilevanza e complessità – e qui ci si collega al nodo relativo alla composizione del Senato – che comunque sarà svolta da senatori la cui attività si svolge principalmente in tutt'altri settori: quello della rappresentanza politica regionale da parte dei consiglieri regionali e quello dell'amministrazione dei Comuni da parte dei sindaci.
      Tra le funzioni attribuite al Senato ve ne sono tuttavia alcune contrastanti con la natura non direttamente elettiva dei senatori: in particolare ci si riferisce alla funzione più peculiare della rappresentanza politica, quella della stessa revisione costituzionale, che è attribuita al Senato in forma paritaria rispetto alla Camera dei deputati. La revisione costituzionale viene in questo modo attribuita impropriamente a rappresentanti non eletti in via diretta.
      La riforma costituzionale su cui si va a esprimere la valutazione definitiva in questa fase, deve sempre essere letta insieme con la nuova legislazione elettorale, il cui procedimento di approvazione è coevo a quello della riforma e che risponde ad un disegno unitario del Governo, un disegno che fatalmente porta ad una concentrazione di potere in quello che la legge elettorale designa come «capo politico» dell'unica lista elettorale che è destinata ad ottenere, da sola, la maggioranza assoluta dei seggi nell'unica Camera eminentemente politica che la riforma prevede; una concentrazione di potere che non trova contrappesi significativi e sufficienti nel complessivo disegno di riforma.
      Del tutto inadeguato è inoltre il bilanciamento operato tra i nuovi poteri legislativi del Governo e le residue prerogative del Parlamento: nuovi poteri che si declinano nella previsione dello strumento legislativo introdotto dall'articolo 12 del disegno di legge costituzionale all'articolo 72 della Costituzione, il cosiddetto «voto a data certa» il cui presupposto è unicamente che il provvedimento legislativo sia «indicato come essenziale per l'attuazione del programma di governo»; nella previsione per la quale la possibilità che la legge superi la suddivisione delle competenze tra Stato centrale e autonomie territoriali sia rimessa nel nuovo articolo 117 unicamente alla scelta del Governo e legata ad un parametro connotato da elevatissima discrezionalità («quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell'interesse nazionale»); nella mancata soluzione delle criticità derivanti dalle prassi che hanno caratterizzato negli ultimi anni il declino del ruolo del Parlamento, del tutto contrarie allo spirito e alla lettera della Costituzione, quali il ricorso ai cosiddetti «maxiemendamenti», ai provvedimenti «milleproroghe» e l'abuso del ricorso allo strumento della questione di fiducia.
      A ciò si aggiunge la mancata soluzione delle contraddizioni provocate dalla riforma costituzionale del Titolo V: la cancellazione delle materie di competenza concorrente alla quale tuttavia è stata contrapposta l'introduzione della categoria delle «disposizioni generali e comuni»; la persistenza di materie «trasversali» suscettibili di creare difficoltà interpretative nella ripartizione delle competenze; l'assenza di un meccanismo di mediazione per la risoluzione delle controversie sulle competenze in capo al nuovo Senato, che dovrebbe essere la Camera delle autonomie.
      Va infine rilevata in questa sede la scelta del legislatore costituzionale in relazione agli istituti di democrazia diretta, vero motore dell'innovazione politica in quest'epoca di persistenti concentrazioni antidemocratiche; la scelta, cioè, di una introduzione di istituti essenziali quali i referendum propositivi e i referendum consultivi che però è puramente «cosmetica», dal momento che l'effettiva introduzione di tali strumenti è meno di un'illusione, essendo assoggettata a un rinvio a una futura legge costituzionale, un rinvio che ne svuota completamente il contenuto innovativo dal momento che l'eventuale ricorso alla fonte costituzionale in futuro renderebbe comunque ininfluente la previsione. Queste sono solo alcune delle numerose e insuperabili criticità della riforma, sufficienti tuttavia, anche singolarmente considerate, per chiederne convintamente il rigetto.
      Sul Gruppo «Movimento 5 Stelle» grava ancora, e maggiormente in questa fase conclusiva del procedimento, la responsabilità di avvertire per l'ultima volta il Legislatore sul rischio che implica il disegno di riforma, con tutte le criticità che nel corso del procedimento parlamentare sono state evidenziate e nella quasi totalità dei casi non sufficientemente considerate. Il presupposto del procedimento di revisione costituzionale è infatti quello che dalla procedura aggravata scaturisca una revisione che, adeguando la Costituzione al mutamento dei tempi e alle evoluzioni storiche, la renda funzionale alle sue finalità anche in contesti radicalmente diversi da quelli in cui è stata concepita. L'aggravamento procedurale ha lo scopo duplice di evitare che esso scaturisca dal sopravvento di una maggioranza occasionale e contingente e di produrre modifiche destinate a durare nel tempo. Nel caso della revisione in oggetto, al sopravvento della maggioranza contingente e per di più costituzionalmente illegittima, si aggiungono profili di criticità suscettibili di incidere in maniera difficilmente reversibile sugli assetti democratici e, per il loro tramite, sui diritti fondamentali che essi sono chiamati a promuovere e a garantire; e in questa fase conclusiva, aprono a uno scenario vieppiù pericoloso e sempre più lontano dai valori e dagli intenti della Carta del 1948. Uno scenario nel quale anche il procedimento sulla procedura essenziale della democrazia viene svilito al livello dello scontro politico ordinario, e personalizzato in chiave plebiscitaria, sulla scia di modelli che la Storia ha già visto produrre esiti del tutto antidemocratici. Per questi motivi è irrinunciabile per un Parlamento che voglia adempiere al suo ruolo di baluardo dei valori della democrazia costituzionale, non rinunciare a farsene garante in questa ultima occasione, rigettando la riforma costituzionale che si va a discutere.

Danilo TONINELLI,
Relatore di minoranza.