• C. 3450-A EPUB presentata il 30 marzo 2016. CAROCCI Mara, Relatore

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Atto a cui si riferisce:
C.3450 Dichiarazione di monumento nazionale della Casa Museo Gramsci in Ghilarza


Frontespizio Relazione Pareri Progetto di Legge
Testo senza riferimenti normativi
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 3450-A


RELAZIONE DELLA VII COMMISSIONE PERMANENTE
(CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE)
presentata alla Presidenza il 30 marzo 2016
(Relatrice: CAROCCI)
sulla
PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
PES, COSCIA, ASCANI, BLAZINA, BONACCORSI, BOSSA, CAROCCI, COCCIA, CRIMÌ, DALLAI, D'OTTAVIO, GHIZZONI, MALISANI, MALPEZZI, MANZI, NARDUOLO, ORFINI, PICCOLI NARDELLI, RAMPI, ROCCHI, VENTRICELLI, CANI, MURA, GIOVANNA SANNA, FRANCESCO SANNA, SCANU, MARROCU, MARCO MELONI, MELILLA
Dichiarazione di monumento nazionale della Casa Museo Gramsci in Ghilarza
Presentata il 25 novembre 2015


      

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Onorevoli Colleghi! Antonio Gramsci fu arrestato da deputato in carica l'8 novembre 1926. Questo evento storico – che la memoria comune solitamente trascura – è invece molto importante per capire la genesi della proposta di legge che la VII Commissione sottopone alla Camera.
      Come correttamente è stato osservato in sede referente (si veda l'intervento dell'onorevole Carlo Galli nella seduta del 1 marzo 2016), se c’è un caso in cui la dichiarazione di monumento nazionale spetta al Parlamento è proprio questo. Occorre la parola di quello stesso Parlamento di cui Gramsci faceva parte allorquando – in palese violazione dell'immunità parlamentare prevista dagli articoli 45 e 46 dello Statuto Albertino – venne imprigionato e immesso nel tunnel di disumane privazioni fisiche e spirituali che lo avrebbero portato a prematura morte nel 1937, a soli 46 anni.
      L'oggetto della dichiarazione di monumento nazionale è la Casa Museo Gramsci nella città sarda di Ghilarza, in provincia di Oristano, che appartiene a un ente senza fini di lucro.
      Tale dichiarazione riposa su una molteplicità di ragioni: storiche, politiche e culturali. In tal senso si è efficacemente espresso Luciano Canfora nella nota inviata alla VII Commissione il 16 febbraio 2016, allorquando egli ha avvertito di non poter intervenire personalmente all'audizione informale per la quale era stato invitato. Si è invece tenuta l'audizione di Giuseppe Vacca, presidente dell'Istituto Gramsci.
      Si tratta di un tributo, più che alla memoria, all'esempio che ne può scaturire. Il rilievo di Gramsci nel Novecento italiano va ben oltre la dimensione per la quale è specialmente ricordato: uomo politico, fondatore del Partito comunista d'Italia e antifascista. Proprio per questo, l'opera intellettuale di Gramsci non è patrimonio di un singolo partito politico, ma della storia civile del nostro Paese e della cultura internazionale, com’è documentato, del resto, dalla fitta serie di traduzioni nelle principali lingue del mondo sia delle Lettere sia dei Quaderni del carcere. È giusta usanza, quando si tratti di personalità di tale spessore, attribuire un rango specifico e simbolico al luogo fisico dove mossero i primi passi e lasciarono durevoli tracce di affetti: è appunto questo lo scopo della dichiarazione di monumento nazionale.
      La Casa Museo rappresenta il luogo dove il nostro Paese riconosce il punto di inizio di una vicenda esistenziale che ha lasciato il segno, oltre e al di là della sua durata effettiva. In tempi remoti, luoghi del genere diventavano oggetto di culto. In tempi moderni, un culto laico si sviluppa in relazione al rilievo, al significato e all'eredità della persona.
      Il legame di Gramsci con la Sardegna, e con Ghilarza in particolare, è uno spesso filo rosso che attraversa in profondità tutta la sua vita e la sua opera.
      La letteratura biografica su Antonio Gramsci è sterminata. Sia consentito qui limitarsi a ricordare le opere di Giuseppe Fiori, Vita di Antonio Gramsci, Bari, Laterza, 1989; di Giuseppe Vacca, Vita e pensieri di Antonio Gramsci. 1926-1937, Torino, Einaudi, 2012; e di Marco Marras, I Gramsci a Sorgono, Ghilarza, Iskra, 2014. I Gramsci erano di origine albanese. In Italia, nel XVIII secolo si stabilirono prima in Calabria e poi a Gaeta. Qui – nel 1860 – nacque Francesco, padre di Antonio. Egli si trasferì nel 1880 a Ghilarza dopo aver vinto un concorso per l'Ufficio del registro.
      Ghilarza – pur contando poco più di duemila abitanti – era un centro vivace dell'alto cagliaritano: aveva scuole, la pretura, la società di mutuo soccorso e il Gabinetto di lettura. Qui Francesco conobbe Giuseppina Marcias, di un anno più giovane, che sposò nel 1883. Nell'anno ancora successivo, Francesco Gramsci fu trasferito all'Ufficio del registro di Ales. Qui nel 1891 Giuseppina dette alla luce Antonio, il quarto figlio (dopo Gennaro, Grazietta ed Emma; seguirono poi Mario, Teresina e Carlo).
      Nell'anno in cui era nato Antonio, la famiglia si trasferì a Sorgono, vicino a Nuoro. Nel 1897 – però – Francesco fu accusato di peculato e sospeso dal servizio, forse anche per pregiudizio politico. La famiglia – ritrovatasi improvvisamente senza mezzi di sostentamento – tornò a Ghilarza dove Giuseppina allevò i sette figli in mezzo a notevoli difficoltà economiche, tanto che Antonio stesso – a soli 12 anni e dopo aver conseguito brillantemente la licenza ginnasiale – s'impiegò anch'egli nell'Ufficio del registro di Ghilarza. Nel 1904 la vicenda penale di Francesco si concluse ed egli tornò a casa. Sicché nel 1905 Antonio poté fare ritorno a scuola, iscrivendosi in un istituto di Santu Lussurgiu, a circa quindici chilometri da Ghilarza. A 18 anni, Gramsci si iscrisse a Cagliari al liceo Dettori. Riuscì a proseguire gli studi a Torino con una borsa di studio per studenti poveri e meritevoli. Indebolito dai troppi pasti saltati per mancanza di soldi (non ne ebbe per vestirsi, scaldarsi, mangiare), si iscrisse alla facoltà di lettere. Matteo Bartoli, docente di glottologia, lo prese a benvolere. L'università influì molto su di lui dandogli l'abito di «severa disciplina filologica», il metodo e la passione per la ricerca.
      Più in particolare, Gramsci durante il liceo visse con Gennaro (detto Nannaro), il quale, aiutandosi con i pochi soldi inviatigli dalla famiglia, lo mantenne con il suo stipendio. Stette in una stanzetta «che aveva perduto tutta la calce per l'umidità» (lo desumiamo da una lettera del 1909 al padre) e raccontò di essere stato più volte messo alla porta dai professori perché privo dei libri, che non era in grado di acquistare. Al fratello Carlo racconterà anni dopo (lettera del 1927): «incominciai col non prendere più il poco caffè al mattino, poi rimandai il pranzo sempre più tardi e così risparmiavo la cena: per 8 mesi così mangiai una sola volta al giorno e giunsi alla fine del 3 anno di liceo, in condizioni di denutrizione molto gravi». Nel 1910 scrisse al padre che il suo unico vestito era ormai tanto sudicio e stracciato che, per la vergogna, non poteva andare più a scuola. Da Torino, a Teresina a Ghilarza, il 16 novembre 1912, chiese di raccogliere note precise su alcuni vocaboli sardi, per «collaborare», come spiegherà nella lettera seguente, ad «un lavoro di linguistica del professore», il docente Matteo Bartoli, che soffrì molto quando vide Gramsci abbandonare gli studi di glottologia per darsi alla politica. Bartoli si interessava agli esiti che il latino volgare aveva raggiunto nella lingua sarda, e Gramsci parlava perfettamente il sardo. Affidò a Gramsci la stesura delle dispense del corso dell'anno accademico 1912/1913. A Giulia, da Vienna nel 1924, per infonderle forza, ricordò le sue difficoltà, vinte grazie all'istinto di ribellione, nato prima contro i ricchi – che mandavano i figli a scuola anche se poco volenterosi, mentre lui non poteva studiare perché era povero –, alimentato poi dalla convinzione sardista e infine maturato nel rapporto «con la classe operaia di una città industriale». L'esperienza isolana resta un tratto fondamentale della sua formazione. La lettera è ripubblicata su Rinascita del 5 maggio 1962, p. 20: «Che cosa mi ha salvato dal diventare completamente un cencio inamidato? L'istinto della ribellione, che da bambino era contro i ricchi, perché non potevo andare a studiare, io che avevo preso dieci in tutte le materie nelle scuole elementari, mentre andavano il figlio del macellaio, del farmacista, del negoziante in tessuti. Esso si allargò per tutti i ricchi che opprimevano i contadini della Sardegna ed io pensavo allora che bisognava lottare per l'indipendenza nazionale della regione: “Al mare i continentali!”. Quante volte ho ripetuto queste parole. Poi ho conosciuto la classe operaia di una città industriale e ho capito ciò che realmente significavano le cose di Marx che avevo letto prima per curiosità intellettuale».
      Ancora a Giulia, da Roma, l'8 settembre 1924, quando sta per nascere il figlio Delio, chiede: «Se potrai mandarmi delle fotografie, mandamene due copie: certamente darò una grande gioia a mia madre, che sente i legami familiari come i sardi, in forme molto violente e appassionate». E sempre a Giulia da Roma il 10 novembre 1924, al rientro dalla Sardegna, scrive di aver inventato per la nipotina di quattro anni, spaventata dai granchi lessati, una storia di granchi: «Ho rivissuto un po’ della mia infanzia e mi sono divertito per tre giorni più così che ricevendo le visite delle notabilità del paese, anche fasciste, che venivano a visitarmi con grande sussiego e solennità, congratulandosi dell'essere io ... un deputato, sia pure comunista. I sardi si fanno onore ... eh! Forza Paris! Avanti Sardegna! Uno spasso, indubbiamente. Ma vennero anche i soci della locale società di mutuo soccorso tra artigiani, operai e contadini, spingendo avanti il loro presidente che non avrebbe voluto compromettere l'apoliticità del sodalizio (...) Un compagno parte fra pochi giorni e ti porterà (...) anche una cuffietta sarda, del villaggio di Desulo, la quale prova, mi pare, strane parentele tra i Cirghisi e i montanari della Barbagia (Barbagia = Barbaries)». Giulia, a sua volta, non voleva che egli le inviasse danaro per andarlo a trovare a Roma assieme al bambino. Era convinta che il danaro servisse più sul continente, alla lotta del partito contro il fascismo che vi si conduceva. Allora il 6 ottobre 1924 le scrisse: «Sarei contento di sapere che un qualcosa della vita del bambino e tua era dovuta a me; era dovuta, pensa un po’, allo stato fascista che mi dà uno stipendio da deputato (...). Penso sia un ricordo della mia vita di bambino, legato alle sofferenze e agli stenti che si superano insieme con la mamma e gli altri fratelli e che legano, che creano dei vincoli di solidarietà e di affetto che nulla potrà più distruggere». Significativa è anche la lettera che da Roma, pochi mesi prima di essere arrestato (12 luglio 1926), scrisse all'eroe della Grande Guerra, fondatore del sardismo politico e vittima dei pestaggi fascisti, Emilio Lussu, per chiedergli quale fosse la posizione politica attuale del Partito sardo d'azione riguardo all'Internazionale dei contadini. Lussu rispose che il suo partito lottava per fare dell'Italia una Repubblica federale e che era disponibile a stabilire un'alleanza con i partiti comunisti, socialisti, repubblicani. I nomi di Lussu e Gramsci vennero spesso accomunati nelle riunioni e nelle comunicazioni degli antifascisti sardi, perché in loro si impersonava l'opposizione irriducibile al totalitarismo di Mussolini.
      La Casa Gramsci che qui si propone di dichiarare monumento nazionale è pertanto il luogo delle tribolazioni di una famiglia e di un ambiente entro cui ha preso forma il carattere di un uomo che ha dato al patrimonio politico e culturale del mondo intero un contributo che nessuno nega più.
      Egli fu un intellettuale a tutto campo. Per esempio, fu un promettente e lungimirante studioso di glottologia, il quale volle applicare all'apprendimento il metodo dello strutturalismo linguistico, nella convinzione – più che mai attuale, in tempi di massiccia immigrazione – che maggiore è il numero di lingue apprese, più è facile impararne di nuove. Un uomo della «società civile», come ci piace dire oggi, che studiò con enorme sofferenza, a causa delle precarie condizioni fisiche aggravate dalla povertà, che non gli consentiva di nutrirsi, vestirsi e scaldarsi a sufficienza.

      Fu un uomo che rinunciò a una tranquilla vita di studioso e padre di famiglia per lottare al fianco degli oppressi. Fu condannato dal Tribunale speciale, su ordine di Mussolini, con il dichiarato intento di impedire al suo brillante intelletto di funzionare per almeno vent'anni.
      L'epistolario di Gramsci è una fonte ricchissima per la conoscenza della sua vita personale, civile e intellettuale. Ricordiamo che le Lettere dal carcere – come è noto – sono state oggetto di diverse edizioni e la loro pubblicazione è stata motivo di confronto tra diverse posizioni. La prima edizione fu curata da Felice Platone su incarico di Togliatti nel 1947. Ne seguirono altre fino a quella classica di Einaudi del 1965 curata da Sergio Caprioglio ed Elsa Fubini. Per uno scorcio sulla disputa storiografica si vedano le seguenti opere: Togliatti editore di Gramsci, a cura di Chiara Daniele, Roma, Carocci, 2005;

Luciano Canfora, Gramsci in carcere e il fascismo, Roma, Salerno, 2012; Franco Lo Piparo, I due carceri di Gramsci (la prigione fascista e il labirinto comunista), Roma, Donzelli, 2012.
      Il vincolo di Antonio Gramsci con Ghilarza è inoltre testimoniato dalla sua copiosissima produzione epistolare, sia precedente all'arresto sia successiva. Non è questa la sede per un'esegesi completa della presenza di Ghilarza nell’Epistolario (pubblicato in due volumi nell'Edizione nazionale delle opere di Gramsci: Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana, 2009) o nelle Lettere dal carcere. Basterà un esempio per rendere l'idea. Si tratta della lettera alla madre Giuseppina, del 6 giugno 1927 (A. Gramsci, Lettere, Torino, Einaudi, 1965, a cura di S. Caprioglio ed E. Fubini, pag. 96), che così recita:

Carissima mamma,

      ho ricevuto la tua lettera del 23 maggio. Ti ringrazio perché mi hai scritto a lungo e mi hai mandato tante notizie interessanti. Dovresti sempre scrivermi così e mandarmi sempre tante notizie sulla vita locale anche se a te non sembrano di grande significato. Per esempio: mi scrivi che a Ghilarza aggregheranno altri 8 comuni; intanto quali sono? E poi: che significato ha questa aggregazione e quali conseguenze? Ci sarà un solo podestà, e una condotta municipale, ma le scuole, per esempio, come saranno organizzate? Lasceranno in ogni attuale comune le prime scuole elementari, oppure i bambini di Narbello o di Domusnovas dovranno ogni giorno venire a Ghilarza anche per la prima classe? Metteranno un dazio comunale unico? Le imposte che i ghilarzesi proprietari di terra in tutti questi comuni pagheranno saranno spese nelle singole frazioni o saranno spese per abbellire Ghilarza?
      Questa è la questione principale, mi pare, perché nel passato il bilancio comunale di Ghilarza era poverissimo perché i suoi abitanti possedevano nel territorio dei comuni vicini e a questi pagavano la maggior parte delle imposte locali. Ecco di che cosa devi scrivermi invece di pensare sempre alla mia posizione critica, triste ecc. ecc. Io vorrei rassicurarti da questo punto di vista. Intendiamoci: non che io creda la mia posizione molto brillante. Ma tu sai che ogni cosa ha un valore anche secondo il nostro modo di vederla e di sentirla. Ora, io sono molto tranquillo e vedo tutto con una grande calma e una grande fiducia, non per gli avvenimenti immediati che mi riguardano, ma per il mio avvenire ulteriore; sono persuaso, come ho già scritto a Teresina, che non dovrò star sempre a marcire in prigione; io credo, così a lume di naso, che starò dentro non più di tre anni, anche se mi condannassero, mettiamo a 20 anni. Vedi che ti scrivo con la massima sincerità, senza cercare di crearti nessuna illusione, penso che solo così anche tu sarai forte e avrai pazienza. Devi poi essere assolutamente tranquilla per ciò che riguarda le mie condizioni di forza morale e anche di salute fisica. Per la forza morale un po’ mi conosci. Ricordi quella volta (ma forse non te l'abbiamo mai detto allora) che abbiamo fatto una scommessa tra ragazzi a chi resisteva di più a darsi dei colpi di pietra sulle dita fino a fare uscire una goccia di sangue dai polpastrelli. Adesso non sarei forse più capace di resistere a queste prove barbariche, ma certamente sono diventato anche più capace di resistere ai colpi di martello sulla testa che gli avvenimenti mi hanno vibrato e ancora mi vibreranno. Pensa che su per giù da dieci anni mi trovo in un ambiente di lotta e che mi sono sufficientemente temprato; avrei potuto essere ucciso

una dozzina di volte, e invece mi trovo ancora vivo: è già un punto di guadagno incalcolabile. D'altronde sono stato anche felice per qualche tempo; ho due bellissimi bambini che certamente vengono allevati e crescono come piace a me e che diventeranno due uomini energici e forti. Dunque sono tranquillo e calmo e non ho proprio bisogno né di compassione né di conforto. E anche fisicamente sto abbastanza bene. In questi sei mesi ne ho viste e ne ho passate di tutti i colori e ho scoperto che anche fisicamente sono molto, molto più forte di quanto io stesso pensassi. Sono sicuro di poter resistere anche in avvenire e sono sicurissimo perciò di riabbracciarti e di vederti contenta.
      Di tanto in tanto ho nostalgia di Giulia e dei nostri figli e so che stanno bene. Sono certo che i bambini sono allevati anche con troppe comodità e cure: la mamma, i nonni, le zie, si priverebbero del pane per non far mancare loro i biscotti e i bei vestitini. Di Nannaro non sono riuscito a saper niente di preciso, mai: sapevo solo che viveva a Parigi, che lavorava, ma non di più. Nannaro è molto matto e strano e credo che proprio lui non abbia voluto farmi sapere nulla di sé, perché forse pensava che io fossi molto in collera con lui perché aveva riscosso il mio stipendio per 5 o 6 mesi senza farmene sapere nulla, mentre io ero ammalato in un sanatorio. Penso così io, almeno; e perciò credo che sia pazzo. Io sapevo in che stato era, come era stato ferito per causa mia e non avrei neanche pensato di rimproverarlo o a domandargli un soldo.
      Cara mamma, sta forte e tranquilla e non essere troppo feroce con gli abbasantesi. Ti abbraccio affettuosamente.
Nino

      Vale la pena osservare altresì che il legame di Gramsci con Ghilarza e la Sardegna è evidente anche nelle ultime battute della sua vita, dopo che la violenza fascista lo aveva ormai fiaccato. Tania – la sorella della moglie Giulia – ci dà notizie dell'idea di chiedere il trasferimento in Sardegna (ma non proprio a Ghilarza) in lettere alle sorelle Giulia (15 giugno 1935, quando Gramsci era in clinica a Formia, già da quasi un anno in libertà condizionata) ed Eugenia (6 marzo 1936, quando egli era a Roma alla clinica Quisisana). Il 18 maggio 1936 Tania scrive a Teresina, incaricandola di cercare un appartamento da affittare a Santu Lussurgiu, e il 1 agosto la sollecita a concludere l'affitto, così che Gramsci potesse indicare la dimora nella domanda di trasferimento (dunque, non ancora avanzata).
      Negli stessi giorni (primi di agosto del 1936) Gramsci scrive a Giulia un'interpretazione autentica della sua volontà di ritirarsi in Sardegna («sarebbe l'inizio di un nuovo ciclo della mia vita», mentre prima le aveva scritto: «se rientro in Sardegna tutto un ciclo della mia vita si chiuderà definitivamente»). C’è inoltre la testimonianza resa a Giuseppe Fiori dalla nipote Mea Gramsci (figlia di Gennaro, all'epoca miliziano repubblicano a Bilbao), secondo la quale Gramsci aveva scritto alla famiglia per chiedere che gli fosse cercato un alloggio a Santu Lussurgiu. Trovata la casa, aspettavano tutti che egli rientrasse da un giorno all'altro alla scadenza della pena. Una vicina entrerà però in casa e riferirà di aver sentito alla radio la notizia della morte. Il vecchio Francesco, nella casa di Ghilarza, gli sopravvivrà meno di un mese.
      In definitiva, è per questi motivi che, a seguito della seduta del 30 marzo 2016, la VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione) ha deliberato – con un'ampia condivisione da parte dei gruppi – di riferire

favorevolmente sul testo del progetto di legge C. 3450 Pes ed altri, recante «Dichiarazione di monumento nazionale della Casa Museo Gramsci in Ghilarza».
      Conformemente all'articolo 79, comma 4, del Regolamento della Camera, durante l'esame in sede referente è stato affrontato il tema se l'intervento legislativo fosse necessario. La conclusione è stata affermativa, sulla base sia dell'orientamento espresso dal Governo nella seduta del 1 marzo 2016, sia del precedente attinente alle Ville Palladiane in Veneto, dichiarate monumento nazionale con legge n. 64 del 2014. A ciò si aggiunga che già la Commissione regionale per il patrimonio culturale per la Sardegna – con decreto del 26 gennaio 2016, n. 16 – ha dichiarato la Casa Museo Gramsci in Ghilarza bene d'interesse storico, culturale e artistico ai sensi dell'articolo 10, commi 1 e 3, lettera d), del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004.
      La Commissione raccomanda pertanto l'approvazione della presente proposta di legge.

      Mara CAROCCI, Relatrice.

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PARERE DELLA I COMMISSIONE PERMANENTE
(Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)

        Il Comitato permanente per i pareri della I Commissione,

            esaminata la proposta di legge C. 3450 Pes, recante «Dichiarazione di monumento nazionale della Casa Museo Gramsci in Ghilarza»;

            ricordato che l'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione annovera la «tutela dei beni culturali» tra le materie di competenza esclusiva dello Stato;

            considerata la rilevanza storica e culturale della Casa Museo Gramsci;

            rilevato che la legge n. 1089 del 1939 ha introdotto, in luogo della definizione di monumento nazionale, la nozione di interesse storico-relazionale e che il codice dei beni culturali, di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, non ha modificato tale scelta;

            evidenziato che l'ufficio legislativo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con pareri del 6 marzo 2006, n. 9206, e del 27 marzo 2012, richiamati dalla circolare n. 13 del 5 giugno 2012 della Direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l'architettura e l'arte contemporanee del Ministero dei beni e delle attività culturali, ha fatto presente che la soluzione di operare nuove dichiarazioni di monumento nazionale dovrebbe ordinariamente, ricorrendone i presupposti, essere ricondotta ad una delle tipologie di beni culturali previste dal citato codice dei beni culturali;

            osservato che, a tal proposito, anche al fine di una maggiore tutela del bene oggetto della proposta di legge, la medesima tutela potrebbe essere ricondotta ad una delle tipologie di beni culturali previste dal codice dei beni culturali;

            ricordato, peraltro, che il rappresentante del Governo, nella seduta della VII Commissione del 1 marzo 2016, ha fatto presente che dall'istruttoria effettuata dai competenti uffici del dicastero non emergono motivi ostativi alla prosecuzione dell’iter legislativo,

            esprime

PARERE FAVOREVOLE


PARERE DELLA V COMMISSIONE PERMANENTE
(Bilancio, tesoro e programmazione)
NULLA OSTA

TESTO
della proposta di legge
Art. 1.

      1. La Casa Museo Gramsci in Ghilarza, nella provincia di Oristano, è dichiarata monumento nazionale.

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TESTO
della Commissione
Art. 1.

      Identico.