• Testo RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA

link alla fonte scarica il documento in PDF

Atto a cui si riferisce:
C.6/00240    premesso che:     il Documento di economia e finanza 2016 presentato dal Governo alle Camere, benché tanti di rappresentare un quadro macroeconomico del nostro Paese...



Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00240presentato daFEDRIGA Massimilianotesto diMercoledì 27 aprile 2016, seduta n. 614

   La Camera,
   premesso che:
    il Documento di economia e finanza 2016 presentato dal Governo alle Camere, benché tanti di rappresentare un quadro macroeconomico del nostro Paese migliorato rispetto allo scorso anno, indicando un'Italia in uscita dalla crisi, delinea in realtà uno scenario ancora per diversi aspetti molto preoccupante, caratterizzato da una crescita troppo lenta (+0,8 per cento in termini grezzi);
    le precedenti stime del Governo non sembrano quindi essere state abbastanza prudenziali, tanto che, nel DEF in oggetto, compare un taglio delle stime sulla crescita per l'anno in corso, che scendono al +1,2 per cento dal +1,6 per cento previsto invece nella scorsa Nota di aggiornamento di settembre 2015. Stessa previsione in ribasso è fatta per il 2017, in cui il PIL dovrebbe mostrare una crescita del +1,2 per cento, in calo dalla previsione precedente a +1,6 per cento;
    l'ottimismo previsionale di questo DEF, risulta sconfessato dai dati dei principali istituti di ricerca nazionali ed internazionali che, nei primi mesi dell'anno, hanno stimato per il 2016 una crescita del PIL che si aggira tra 1 e 1,1 punti percentuali. E lo stesso vale anche per il 2017. Basti pensare ai dati del FMI-WEO del 12 aprile scorso – quindi contestuali alla presentazione del DEF –, che prevedono un +1 per cento per il 2016 e un +1,1 per cento per il 2017-, o a quelli dell'OCSE, che stima soltanto un punto percentuale di crescita per l'anno in corso, mentre addirittura il CER prevede un +0,9 per cento per il 2017;
    le stesse considerazioni valgono per il rapporto deficit/PIL, per il quale il Governo ha dovuto trovare un nuovo livello di indebitamento, che per il 2016 viene fissato al 2,3 per cento, mentre nel settembre scorso era previsto al 2,2 per cento. Si noti che l'indebitamento netto potrebbe comunque salire al 2,4 per cento, qualora venisse sfruttata a pieno la clausola di flessibilità per la crisi dell'immigrazione;
    su questo ultimo punto, nonostante quanto dichiarato dal Governo nei mesi scorsi dando per certo un esito positivo già da tempo, ancora oggi la Commissione Europea non ha accolto, per i numerosi dubbi e perplessità esplicitati anche direttamente al Presidente del Consiglio, la richiesta della clausola di flessibilità c.d. migranti, avanzata per le spese sostenute nel 2015 e stimate per l'anno corrente relative all'accoglienza;
    secondo quanto stimato nel DEF 2016, l'impatto sul bilancio dell'emergenza migranti, in termini di indebitamento netto e al netto dei contributi dell'Unione Europea, è attualmente stato solo quantificato in 2,6 miliardi per il 2015 e pari a 3,3 miliardi per il 2016, salvo ovviamente ulteriori incrementi di ingressi illegali nel nostro territorio, incentivati dalle attuali politiche di questo Governo in tema di immigrazione che, in contro tendenza con quelle degli altri Stati europei, rendono il nostro Paese la destinazione privilegiata dei viaggi organizzati dai trafficanti di esseri umani;
    come le altre previsioni, per il debito pubblico, che nel 2016 scenderà al 132,4 per cento, la stima di settembre era superiore di circa 1 punto percentuale di PIL: quindi, per il 2016, il rapporto debito/PIL calerà soltanto dello 0,3 per cento passando dal 132,7 per cento al 132,4 per cento, mentre a settembre si prevedeva un 131,4 per cento; per il 2017, ugualmente, in questo DEF si stima una percentuale debito/PIL del 130,9 per cento, mentre a settembre si stimava un 127,9 per cento, con una differenza, quindi, di ben 48 miliardi;
    il nostro Paese cresce dunque in maniera anomala, non soltanto rispetto agli altri Paesi dell'UEM e gli altri maggiori Paesi del mondo occidentale, i quali hanno dimostrato una tenuta più forte nel 2015, con gli Stati Uniti cresciuti del 2,4 per cento, la Germania dell'1,5 per cento, la Francia dell'1,1, il Regno Unito del 2,2 e la Spagna addirittura del 3,2. Il nostro PIL, infatti, seppur tornato ad un segno positivo, è, come dichiarano i tecnici dell'Ufficio parlamentare di bilancio, «anormalmente lento, sia se lo si confronta con le precedenti fasi cicliche espansiva, se si considera la forte caduta da cui l'economia deve riprendersi»;
    è vero, infatti, che la crescita è imputabile per lo più al solo aumento dell’export (che nel 2015 ha avuto una variazione positiva del 4,3 per cento rispetto ai consumi finali nazionali che hanno registrato soltanto uno + 0,5 per cento) e che la lieve ripresa dei consumi interni, seppur considerata dal documento in esame come buona componente del segno positivo del PIL, è dovuta principalmente alla diminuzione del prezzo delle materie prime, in particolare del petrolio, con effetto positivo sul potere d'acquisto delle famiglie;
    quale contributo alla ripresa, il Documento enfatizza la riforma del lavoro jobs act «di ampia portata e il cui impatto positivo è già evidente nei dati sull'occupazione a tempo indeterminato», osservando che il tasso di occupazione per i soggetti compresi tra i 20 ed i 64 anni di età, nel 2015, è risultato pari al 60,5 per cento, un valore di 0,6 punti percentuali superiore rispetto al tasso del 2014. In realtà nel 2015 l'occupazione è cresciuta dello 0,6 per cento e soltanto in ragione degli sgravi fiscali e già nei primi mesi del 2016 si è registrata una decrescita di nuovi rapporti di lavoro, proprio in ragione del dimezzamento degli sgravi fiscali previsti nell'ultima legge di stabilità;
    in merito si ricorda la recente analisi del centro studi Impresa Lavoro su dati Inps, la quale ha evidenziato che il 61 per cento del totale dei contratti di lavoro a tempo indeterminato attivati nel 2015 è assistito dall'esonero contributivo, a conferma che non si tratta di un'occupazione stabile, bensì di impieghi a termine incentivati;
    alla medesima conclusione è giunta anche l'indagine statistica Labour market Reforms in Italy: evaluating the effects of the Jobs Act, fatta da tre economisti (Marta Fana, dell’Institut des hautes etudes politiques de Paris, Dario Guarascio e Valeria Cirillo della Scuola superiore Sant'Anna di Pisa) che hanno incrociato i dati sull'occupazione e i contratti di Istat, Eurostat e Inps: il risultato è che il jobs act non ha funzionato come motore dell'occupazione, che la riforma non ha determinato una crescita del tempo indeterminato e che la maggior parte dei contratti è la trasformazione di una tipologia in un'altra;
    ugualmente all'occupazione, la produttività, nel 2015, rapportata al numero degli occupati è cresciuta soltanto dello 0,2 per cento, mentre misurata sulle ore lavorate è addirittura calata dello 0,1 per cento;
    senza un effettivo sostegno all'occupazione e alla produttività, il Paese non può riprendere a crescere: a questo proposito si rende necessaria una efficace linea programmatica di politica di bilancio di carattere espansivo che non punti soltanto a bonus monetari di dubbia efficacia economica, ma di certa utilità elettorale: il bonus di 80 euro ad esempio (che si aggiunge agli altri per le forze dell'ordine e ai bonus di 500 euro per i neomaggiorenni e agli insegnanti), introdotto con il decreto-legge n. 66 del 2014 come credito fiscale ai percettori di redditi di lavoro dipendente e di taluni redditi assimilati e reso strutturale con la legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014), oltre a non far crescere il Paese, si è rivelato, addirittura, un boomerang economico a sostegno del quale il Governo ha dovuto aumentare sommessamente la pressione fiscale su altri comparti di minore impatto mediatico, tra cui quella sui Fondi pensione (dall'11 per cento al 20 per cento) e quella sulle casse previdenziali dei professionisti (dal 20 per cento al 26 per cento);
    suddetto bonus inoltre, oltre a non rilanciare i consumi, perché – come ha rilevato la stessa ISTAT – le famiglie lo hanno riversato nei risparmi in ragione dell'incerta situazione economica in cui ancora versa l'Italia, non si è potuto conteggiare nella diminuzione del carico fiscale, tanto che nella Nota di aggiornamento di settembre 2015 il dato sulla pressione fiscale segnava un valore pari al 43,1 per cento del PIL solo se calcolato al netto del bonus e delle clausole di salvaguardia, mentre, in realtà, il valore effettivo è stato pari al 43,5 per cento, come si legge in questo DEF;
    secondo le ultime stime dell'Ocse, appena pubblicate nel Taxing Wages 2016, il peso del cuneo fiscale in Italia, sia per le famiglie sia per i single, è cresciuto ininterrottamente dal 2011 e si attesta, nel 2015, al 49 per cento, posizionando l'Italia al quarto posto in Europa per peso del fisco sui salari, senza una corrispondente crescita di servizi sociali;
    a ciò si aggiunge una spesa pubblica che è cresciuta progressivamente negli ultimi anni, fino ad attestarsi al 50,5 per cento del PIL nel 2015, e che il Governo punta a diminuire fino al 46,7 per cento nel 2019, senza però mettere in atto una efficace riforma del sistema tributario e un complessivo intervento razionale di spending review, non saranno infatti sufficienti né i decreti attuativi della riforma della Pubblica Amministrazione né quelli della delega fiscale, se non accompagnati da una effettiva diminuzione delle aliquote fiscali e da una vera implementazione di quanto già previsto nella legge 42 del 2009 per l'attuazione della delega costituzionale sul federalismo dell'articolo 119 della Costituzione, mai completata (tanto che anche la Corte costituzionale, nella sentenza n. 273/2013, ha parlato di riforma «inattuata»);
    per poter tagliare la spesa in maniera selettiva sarebbe infatti sufficiente applicare i principi dell'individuazione dei fabbisogni e dei costi standard con tagli previsti non sui bilanci consuntivi ma su quelli preventivi: il passaggio dalla spesa storica al costo potrebbe infatti orientare la politica delle amministrazioni verso una nuova logica meritocratica che eviti le note inefficienze del passato perché è ben noto come gli sprechi della pubblica amministrazione non siano attribuibili soltanto ed esclusivamente a situazioni patologiche di illegalità e incuria, ma anche a situazioni di normalità, a causa di una gestione non ottimale (o meglio non professionale) dell'azione amministrativa. Spesso, infatti, la spesa, sebbene utilizzata dagli attori amministrativi per finalità pubbliche, non è impiegata nel modo più produttivo e più efficace, a causa di un approccio non rigoroso, sul piano del metodo, alla progettazione delle politiche e dei servizi pubblici;
    il concetto dei costi standard è legato a due fondamentali scopi: quello di ottimizzare e omogeneizzare i valori produttivi e, attraverso essi, contenere i prezzi e quello di valutare gli scostamenti dei costi reali e, con essi, lo stato di efficienza del sistema produttivo;
    neanche la riforma costituzionale che il Governo inquadra nel DEF come un «affogamento della capacità istituzionale» assicura una effettiva e certa applicazione di questi indicatori, perché il coordinato disposto dei nuovi articoli 70 e 117, con il conferimento alla potestà legislativa esclusiva statale della materia del coordinamento della finanza pubblica, senza procedimento legislativo bicamerale, se sommato all'impatto che la legge costituzionale n. 1 del 2012 e che la legge rinforzata n. 243 del 2012 hanno avuto sull'impianto dell'autonomia finanziaria locale, vedrà ridursi, ancor più, la possibilità di manovra delle istanze territoriali in nome del rispetto, prima, del patto di bilancio e del raggiungimento, oggi, del pareggio di bilancio, segnando un'ulteriore battuta d'arresto del federalismo fiscale;
    in tema di riduzione del debito, inoltre, la scelta delle privatizzazioni quale strumento che dovrebbe portare alla diminuzione dello 0,5 per cento del PIL per il triennio 2016-2019 potrebbe svelare alcune insidie, se le operazioni non verranno portate avanti con razionalità. Nell'ambito delle misure volte alla sostenibilità delle finanze pubbliche, il programma nazionale di medio periodo prevede, fra le altre, la privatizzazione delle Ferrovie dello Stato, che sembra rinviata al 2017 per procedere ad un riassetto e alla definizione di un piano industriale. Per evitare che sia solo un'operazione economico-finanziaria e sia, invece, un momento di crescita e sviluppo per l'intero sistema del trasporto ferroviario, la privatizzazione deve essere accompagnata da specifiche clausole a salvaguardia della qualità del servizio offerto agli utenti, soprattutto nei settori a maggior richiesta che presentano attualmente profili di grosse criticità. A tal fine, è necessario che i futuri contratti di servizio prevedano la garanzia di standard minimi nel numero e nella qualità dei servizi offerti ai cittadini e che i programmi e gli accordi europei sul trasporto ferroviario di merci, strategici per il nostro Paese, vengano tutelati e sostenuti nei futuri piani industriali;
    a fianco di queste riforme, quelle che hanno interessato il sistema bancario, dal decreto-legge sulle banche popolari (decreto-legge n. 3 del 2015), passando per la messa in risoluzione delle quattro banche Cariferrara, Banca Etruria, Banca Marche e Carichieti (decreto-legge n. 183 del 2015 poi confluito nella legge di stabilità 2016), fino alla riforma del sistema creditizio cooperativo (decreto-legge n. 18 del 2016), non hanno tenuto conto della necessità di una revisione completa dell'intero sistema al fine di introdurre una separazione dei modelli bancari;
    la pesante crisi economico-finanziaria appena trascorsa, che dal 2007 ha investito prima l'economia finanziaria per poi riversarsi gravemente sull'economia reale, ha riaperto la discussione sulla patrimonializzazione degli istituti di credito e sugli eccessivi livelli di rischio che questi ultimi assumono, facendo emergere il drammatico problema dell'abuso delle leve finanziarie e della qualità degli strumenti finanziari detenuti dalle banche stesse;
    in realtà la responsabilità dell'attuale situazione è imputabile anche, e in buona parte, alla gestione negligente di alcuni vertici che, nell'impunità e nell'irresponsabilità più totale, hanno contribuito ad aggravare la situazione patrimoniale delle banche da loro gestite, consapevoli che poi i rischi sarebbero ricaduti anche sui correntisti, non risparmiando neanche le fasce più deboli;
    il problema della ricapitalizzazione delle banche si è posto anche in sede europea in cui, in seguito alla sopravvenuta necessità di interventi statali di salvataggio degli istituti di credito, si è proposta l'introduzione del principio del bail-in, ossia di un principio che regoli il risanamento e la risoluzione degli enti creditizi in un quadro di sorveglianza armonizzato che sia in grado di limitare il più possibile il ricorso a finanziamenti pubblici per il salvataggio degli istituti che, però, tradotto nel nostro Paese, ha causato delle conseguenze inaspettate anche sui piccoli investitori non professionisti;
    sembrerebbe quindi necessario prevedere una riorganizzazione del sistema creditizio che stabilisca la separazione tra le banche commerciali e le banche d'affari, ossia tra le banche che raccolgono e distribuiscono credito ad imprese e famiglie e le banche che operano nei mercati finanziari con attività speculative ad alto rischio; l'effetto di una tale riorganizzazione attraverso precise distinzioni delle partecipazioni azionarie e un diverso trattamento fiscale che avvantaggi le banche commerciali, comporterebbe una consistente immissione di liquidità in grado di aiutare la ripresa, ancora caratterizzata da un'alta instabilità finanziaria delle famiglie e delle aziende;
    è indubbio, infatti, che le criticità di accesso al credito bancario pesino negativamente sul potenziale di crescita e di competitività delle imprese italiane; difficoltà superate solo in parte dal recente accordo tra il Fondo Europeo per gli Investimenti ed il Fondo di Garanzia per le PMI, sostenuto dal Fondo europeo per gli investimenti strategici (strumento cardine del piano Juncker);
    il ridimensionamento della controgaranzia a vantaggio della garanzia diretta ha creato uno squilibrio nel sistema, rendendo il fondo medesimo uno strumento meno efficace ed efficiente per le imprese più piccole, quelle con maggiori difficoltà ad accedere al credito pur se strategiche per l'apparato produttivo del Paese (98,3 per cento delle imprese, 58 per cento dell'occupazione e 40,9 per cento del valore aggiunto realizzato);
    con riguardo al settore pensionistico, il Documento in oggetto afferma che il Governo valuterà «la fattibilità di interventi volti a favorire una maggiore flessibilità nelle scelte individuali, salvaguardando la sostenibilità finanziaria e il corretto equilibrio nei rapporti tra generazioni, peraltro già garantiti dagli interventi di riforma che si sono susseguiti dal 1995 ad oggi»;
   all'uopo è opportuno ricordare che la riforma Fornero del 2011 ha tradito generazioni passate e future. L'innalzamento tout court dei requisiti anagrafici, in combinato con l'eliminazione dei trattamenti di anzianità, ha impedito a molti di accedere alla pensione bloccando di fatto il ricambio generazionale;
    una revisione delle rigidità prodotte dalla nefasta legge Fornero sulle pensioni non è più rinviabile e le problematiche ancora in essere – come gli esodati, il IV trimestre nate ’56 per opzione donna, la tutela dei lavoratori precoci, ecc. – devono rivestire la massima priorità nelle scelte dettate dagli equilibri di bilancio;
    con riguardo alle misure di contrasto alla povertà e welfare, il DEF 2016, richiamando il disegno di legge cosiddetto «Social Act», ribadisce la volontà del Governo di razionalizzare «le prestazioni di natura assistenziale a quelle di natura previdenziale introducendo il principio di universalismo selettivo»;
    sebbene il Ministro Poletti abbia dichiarato che il riferimento debba attribuirsi ad «un errore tecnico» e che non c’è alcun disegno di razionalizzazione degli interventi anche di natura previdenziale, la probabilità di un giro di vite sulle pensioni di reversibilità con un eventuale aggancio all'Isee sembra quanto mai concretizzarsi;
    in merito al settore delle infrastrutture, il Documento non prevede alcun nuovo Allegato, né l'aggiornamento della Tabella «Opere prioritarie del Programma infrastrutture strategiche», riportata nell'Allegato 3 al DEF 2015, confermando, pertanto, l'invarianza dell'elenco delle 25 opere prioritarie del DEF 2015 e la volontà del Governo di superare la legge n. 443 del 2001 (cosiddetto «legge obiettivo») per ricondurre nella disciplina ordinaria le opere e gli insediamenti strategici per il Paese, nelle more dell'adozione di una nuova programmazione delle infrastrutture prioritarie;
    la Strategia nazionale per le aree interne del Paese, è carente di un'apposita strategia nazionale per le aree montane che individui agevolazioni finanziarie e fiscali per gli investimenti degli enti locali, soprattutto per i piccoli Comuni e per i Comuni disagiati, al fine di sostenerne il ripopolamento, lo sviluppo e la crescita di queste zone; nulla di strutturale e permanente è previsto, in termini di finanziamenti annuali, per la difesa del suolo e per un vasto piano di prevenzione e messa in sicurezza del territorio, allo scopo di evitare di intervenire a posteriori, sempre in situazioni di emergenza, per fare fronte agli interventi di risarcimento e di ricostruzione delle opere distrutte o danneggiate a seguito di danni provocati dalle calamità naturali;
    in materia ambientale è necessario rendere stabili e strutturali le agevolazioni fiscali per gli interventi di riqualificazione e di efficienza energetica disciplinate dall'articolo 1, comma 47, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015), nonché individuare appositi finanziamenti per le attività di bonifica dei siti inquinati, ai fini di un processo di reindustrializzazione delle aree con l'insediamento di nuove attività produttive e lo sviluppo di quelle esistenti;
    in tema di sanità, il taglio di 2,3 miliardi di euro al fondo previsto nel decreto-legge cosiddetto «Enti Locali» approvato lo scorso agosto, riducendolo così a 109,7 miliardi dal 2015, non rappresenta alcuna razionale spending review, trattasi di tagli lineari il cui peso maggiore è ricaduto sulla Lombardia che vedrà ridursi, complessivamente, le proprie entrate di 385 milioni, di cui 219 milioni solo nel settore beni e servizi;
    le Regioni virtuose come la Lombardia scontano anche altre criticità come quella dei pazienti extra-regione, in cerca della cura migliore o in lista per la seconda operazione, dopo interventi non andati a buon fine nelle strutture sanitarie di residenza. Il «turismo sanitario» muove circa 800 mila persone (di cui il 55 per cento diretti nelle strutture sanitarie del Nord);
    il sistema regionale anticipa le spese ospedaliere per ognuno dei pazienti ospitati; spese che invece dovrebbero essere a carico della Regione di provenienza. Il saldo delle pendenze è estremamente lento tanto che la Lombardia si trova a dover incassare 495 milioni di euro dalle altre Regioni;
    al fine di evitare che anche le Regioni «virtuose» siano continuamente oggetto di tagli lineari la soluzione invocata è quella dei costi standard che, in particolare per il settore sanitario, rappresentano il nuovo modello economico di riferimento sui quale fondare il finanziamento integrale dell'attività pubblica afferente l'erogazione ai cittadini dei principali servizi sociali, tra cui, prioritariamente, la sanità;
    se in tutto il Paese venissero applicati i costi sanitari pro-capite di Regione Lombardia, pari a 1240 euro, avremmo un risparmio strutturale di 23 miliardi di euro all'anno corrispondenti all'ammontare di un'intera finanziaria, che ben supera la copertura per IVA ed IMU, con le cui risorse liberate si recupererebbero ingenti risorse per defiscalizzare le imprese;
    con riguardo alla giustizia, non si può certo ignorare come questa venga avvertita sempre di più dai cittadini come inadeguata e incapace di assicurare la tutela delle persone offese dei reati e la conseguente tutela dei diritti, nonché inidonea nel contribuire al progresso civile del Paese;
    il numero dei processi pendenti sia nel settore civile che in quello penale, l'impossibilità che questi siano definiti in tempi ragionevoli, nonché l'adozione sistematica di provvedimenti cosiddetti «svuota carceri» o «indulti mascherati», tra cui, da ultimo, la legge 28 aprile 2014, n. 67 sulla depenalizzazione e la messa alla prova, determinano ormai una sfiducia generalizzata dei cittadini nel sistema giustizia;
    il sistema giustizia ha, infatti, un notevole impatto sul tessuto economico e in particolare sulle imprese, come dimostra il rapporto «Doing Business», stilato ogni anno dalla Banca Mondiale per individuare in quali Paesi sia più vantaggioso investire, che prende tra i diversi parametri (avvio di impresa, accesso al credito, sistema fiscale, eccetera) la durata media di un procedimento civile, ad esempio per il recupero di un credito, dato sicuramente importante per una azienda. Nel nostro paese, per ottenere un'azione esecutiva in caso di inadempimento contrattuale servono in media 1.210 giorni contro i 510 della media Ocse e si spende il 30 per cento del valore della causa (contro il 20 per cento degli altri paesi), è più facile ottenere giustizia in Sudan o Madagascar, insomma l'Italia risulta peggio del terzo mondo;
    inoltre, sempre secondo il rapporto «Doing Business» 2015, tra i 34 paesi Ocse, i più industrializzati, siamo sempre in fondo alla classifica; risultano più attraenti di noi anche paesi come la Lettonia, Romania e Montenegro o africani come il Rwanda;
    un efficiente sistema giudiziario, basato sulla reale attuazione dei principi della ragionevole durata e del giusto processo, e la garanzia della legalità costituiscono questioni interconnesse e di grande rilevanza sociale, non più rinviabili e che vanno assicurate con interventi strutturali e non emergenziali come quelli adottati nell'ultimo periodo;
    in tema di depenalizzazione, si ricorda che il Parlamento, ad eccezione della Lega Nord, con la legge 28 aprile 2014, n. 67, ha approvato l'abrogazione del reato di immigrazione clandestina trasformandolo in sanzione amministrativa;
    con la legge 28 aprile 2014, n. 67, il Governo ha approvato la depenalizzazione attraverso l'introduzione della non punibilità per particolare tenuità di ben 157 reati tra cui: furto, truffa, violazione di domicilio, minaccia, rissa, reati tributari, finanziari, corruzione, danneggiamenti, frodi, autoriciclaggio, omissione di soccorso, omicidio colposo;
    la riforma del processo penale e delle sanzioni penali in discussione, con il giusto aumento delle pene sui furti o meglio sui reati predatori, non consente di modificare l'opinione negativa sull'amministrazione della giustizia, poiché un aumento di pena che poi viene posto nel nulla da riti alternativi o messa alla prova, è solo un sistema per far credere qualcosa che non esiste e per radicare nel cittadino la convinzione che lo Stato non combatte alcun crimine salvo quello contro la persona offesa;
    riguardo al settore istruzione, anche se la Raccomandazione n. 5 del Consiglio europeo del 2015 riguardo agli sforzi per ridurre la disoccupazione giovanile fatti dal nostro Paese cita, tra l'altro, la legge di riforma della scuola, non si può non rimarcare come, al contrario, proprio questa riforma sarà foriera di disoccupazione che investirà i tanti insegnanti preparati a seguito di abilitazione di Stato i quali, non essendo presenti neppure nelle GAE, dovranno nuovamente sottoporsi al vaglio concorsuale, malgrado siano in possesso di esperienza maturata sul campo (insegnano già da anni), per rischiare di essere espulsi dal settore scolastico in modo definitivo se, dopo 3 anni, non risultassero tra i vincitori del concorso;
    la Relazione del 2016 per paese relativa all'Italia lamenta, per il nostro Paese, tassi di istruzione e di competenze della popolazione adulta inferiori alla media UE, con limitate prospettive di carriera per gli insegnanti; sembra inoltre interpretare in chiave un po’ troppo ottimistica le assunzioni nel comparto scuola che ci saranno a seguito del prossimo concorso;
    inoltre, nonostante la buona ratio, non si può certo non notare l'illogicità della disciplina del bonus di 500 euro per gli insegnanti, così com’è concepita dalla legge 107/2015: si sarebbe dovuto infatti prevedere l'erogazione successiva a fronte di documentate spese per corsi di effettivo aggiornamento;
    anche nel comparto università, la Relazione della Commissione europea rileva forti criticità a fronte di una spesa pubblica per l'istruzione terziaria tra le più basse in Europa (0,4 per cento del PIL), situazione aggravata dal notevole grado di invecchiamento del corpo docente, con un numero di professori che hanno meno di 40 anni pari circa al 15 per cento, anche se resta alta la qualità dell'insegnamento impartito;
    l'aspetto più problematico è sicuramente la spesa media per le tasse universitarie, che si attesta intorno ai 1.200 euro, quasi un terzo in più rispetto alla tassazione massima belga (tra i 600 e i 900 euro) e ben ventiquattro volte il contributo medio pagato dai giovani tedeschi, che è di soli 50 euro;
    a rendere ancora più impietoso il confronto con le altre realtà europee è il fatto che anche il sostegno agli studenti risulta notevolmente carente, visto che solo l'8% degli studenti riceve borse di studio (contro il 25 per cento dei tedeschi e il 34 per cento dei francesi) lasciando fuori circa un quarto tra gli aventi diritto, inoltre solo 12 per cento riesce ad ottenere l'esonero dalle tasse, contro il 28 per cento degli spagnoli, il 36 per cento dei francesi e il 40 per cento dei ragazzi croati;
    infine, con riguardo al settore agricolo e agroalimentare, il continuo aumento dei costi di produzione, la riduzione dei prezzi delle materie prime agricole, la concorrenza sleale, la contraffazione e l'aumento della tassazione sono ancora le criticità più evidenti per le aziende del settore;
    il Documento accentua le misure introdotte in favore del settore primario nella legge di stabilità 2016, come l'esenzione dell'IMU per i terreni agricoli e dell'IRAP per le imprese agricole e della pesca e cela la stangata, ad esempio, dovuta all'aumento dell'aliquota dell'imposta di registro per i trasferimenti di terreni agricoli dal 12 al 15 per cento e alla rivalutazione dei redditi agrari;
    nessuna strategia, nessuna ipotesi di intervento per superare la crisi del settore della zootecnia da latte. Il settore lattiero caseario conta circa 34 mila imprese produttrici, la maggioranza delle quali di dimensioni ridotte in termini di produzione e capi di allevamento. Gli allevatori hanno necessità di una programmazione, di certezza dal punto di vista industriale, non solo di sussistenza. Oggi nel nostro Paese ci sono moltissime aziende in difficoltà dal punto di vista strutturale che non possono fare investimenti: queste producono ad un costo più alto di quanto vendono e rischiano di chiudere le loro attività a causa della concorrenza dei Paesi esteri, soprattutto dell'Est Europa, che hanno costi inferiori perché il latte è di scarsa qualità. Nel 2015 sono più di mille le stalle che hanno chiuso la loro attività, delle quali il 60% in montagna,

impegna il Governo:

   nell'ambito della progettazione della tax expenditures, a prevedere non soltanto un riordino delle spese fiscali, ma a sistematizzare in maniera definitiva, concreta ed efficiente l'intero sistema fiscale contributivo, in direzione di una vera semplificazione che attiri gli investimenti e non vessi i contribuenti, prevedendo anche una riforma totale e complessiva dell'intera materia, sia riguardo le imprese che i cittadini in generale, al fine di introdurre un criterio proporzionale di imposizione fiscale con l'applicazione di un'aliquota fissa al 15 per cento e una deduzione fissa pari a 3.000 euro per ciascun contribuente o carico familiare in modo da rispettare i principi costituzionalmente previsti della progressività dell'imposta e dell'uguaglianza sostanziale tra i cittadini, tenuto conto della loro condizione economica e sociale, e al fine di combattere veramente l'evasione e l'elusione fiscale, data per lo più dall'enorme carico fiscale imposto nel nostro Paese;
   a prevedere, in opportuni provvedimenti, una riorganizzazione del sistema bancario al fine di introdurre un principio attraverso il quale venga valorizzato il modello di banca tradizionale che raccolga depositi ed eroghi credito alle famiglie e al sistema produttivo rispetto alle banche d'affari che attuano operazioni finanziarie ad alto rischio, prevedendo altresì delle agevolazioni fiscali a favore delle prime, tenuto conto della loro attività a sostegno dell'economia reale e in particolar modo in favore delle piccole e medie imprese;
   a prevedere una disciplina più stringente in termini di ritardi amministrativi che, spesso, soprattutto in merito agli investimenti pubblici per la realizzazione di infrastrutture, sono riconducibili all'inadempienza dell'amministratore, al fine di evitare la perenzione delle somme, la perdita dei requisiti per l'accesso ai finanziamenti europei o lo spropositato livello di contenzioso e sperpero di risorse pubbliche per la realizzazione di opere non più adeguate temporalmente al momento del loro completamento;
   a prevedere una più generale semplificazione del quadro normativo relativo al funzionamento delle pubbliche amministrazioni, contestuali ad un maggiore efficientamento del funzionamento delle stesse, stabilendo eventualmente, anche forme premiali di diversa natura a quelle amministrazioni in ordine con i pagamenti;
   a destinare le somme previste e stimate per l'anno in corso in tema di accoglienza migranti, per le quali chiedere una clausola di flessibilità, al controllo dei nostri confini, sia marittimi che terrestri, per azioni di respingimento, al presidio del nostro territorio e alla lotta al terrorismo mediante l'implementazione delle risorse destinate alle forze militari e di polizia preposte;
   a rafforzare le iniziative in favore delle MPMI che consentano di sfruttare al meglio il loro potenziale di sviluppo a sostegno della crescita dell'economia reale del Paese, adottando in loro favore specifiche iniziative per un più ampio ed agevole accesso ai finanziamenti, sia nazionali che europei, anche attraverso la revisione del Fondo di garanzia per le PMI, nel senso di una valorizzazione del canale della controgaranzia;
   ad adottare tutte le necessarie iniziative che permettano all'Italia di cogliere appieno tutte le opportunità che si aprono a favore delle PMI nell'ambito del Piano degli investimenti per l'Europa, rafforzando al riguardo tutti i possibili canali di finanziamento ad esse dedicati;
   ad agire in maniera incisiva e strutturale sulla riduzione del costo del lavoro, attraverso interventi volti ad uniformare e standardizzare alla media europea il costo del lavoro italiano, al duplice scopo di accrescere l'occupabilità e, al contempo, garantire maggiore competitività alle nostre imprese;
   a prevedere, in sede di riforma della contrattazione aziendale, l'aumento salariale non più in funzione dell'anzianità di servizio ma in base al raggiungimento di obiettivi prefissati, a criteri meritocratici ed alla produttività, nonché a rendere permanente la detassazione dei premi e del salario di produttività, superando l'attuale fase sperimentale e temporanea;
   a garantire, qualora dall'attività di monitoraggio risulti un onere previdenziale inferiore rispetto alle previsioni di spesa per opzione donna, che le risorse rimanenti e non utilizzate certificate dal così detto «contatore» siano vincolate a consentire l'accesso al regime «opzione donna» anche alle nate nel quarto trimestre del ‘56 e ad una eventuale prosecuzione del medesimo regime sperimentale fino al 2018;
   a concludere in maniera definitiva ed esaustiva la vicenda degli esodati, salvaguardando la platea di 23.200 lavoratori rimasti esclusi dalla 7a salvaguardia contenuta nella legge di stabilità per il 2016 (legge n. 208 del 2015, commi 263-270);
   a tutelare, negli interventi volti a favorire maggiore flessibilità in uscita sulla base delle introduzioni di quote quale somma dell'età anagrafica e dell'anzianità contributiva, i cosiddetti «lavoratori precoci»;
   a mantenere chiara la distinzione tra la spesa di natura previdenziale e quella destinata a finalità assistenziali, procedendo allo stralcio della norma contenuta nel disegno di legge delega di riforma delle politiche assistenziali e garantendo di non ancorare trattamenti previdenziali come le reversibilità, gli assegni sociali, l'integrazione al minimo, eccetera al reddito calcolato con il meccanismo dell'Isee;
   a programmare politiche razionali di contrasto alla povertà, mirate al sostegno della famiglia e alla lotta della piaga della denatalità, individuando quali beneficiari i cittadini italiani, i cittadini comunitari residenti e gli stranieri extracomunitari che abbiano accumulato almeno 30 punti dalla stipula dell'accordo di integrazione sottoscritto per il rilascio del permesso di soggiorno e che abbiano quindi dimostrato la reale intenzione di volersi integrare, al fine di evitare il disperdersi di risorse pubbliche;
   nell'ambito della procedura di approvazione del Documento Pluriennale di Pianificazione e della definizione della nuova programmazione infrastrutturale, a garantire l'inserimento delle opere ferroviarie: Potenziamento Milano Chiasso, termine lavori Arcisate Stabio, AV Milano-Brescia-Verona, Milano Mortara; delle opere viarie: collegamento Brebemi-Tangenziale di Brescia, Pedemontana Piemontese, Valdastico Nord, approvazione dell'atto aggiuntivo della Pedemontana lombarda, completamento della viabilità «Accessibilità della Valtellina», Autostrada ValTrompia; ed inoltre, del Progetto canale Truccazzano-Cremona e navigabilità del Po e del completamento della metropolitana di Milano M 5 fino a Monza;
   nell'ambito della Strategia nazionale per le aree interne del Paese, a definire una specifica strategia nazionale per le aree montane che prevede l'esclusione dai saldi contabilizzati ai fini del rispetto dei vincoli di finanza pubblica degli investimenti degli enti locali e agevolazioni fiscali per il ripopolamento, lo sviluppo e la crescita delle aree montane, soprattutto per i piccoli Comuni e per i Comuni disagiati;
   nell'ambito dell'attuazione del programma nazionale di riforma a provvedere alla celere emanazione dei decreti ministeriali di attuazione del decreto legislativo n. 50 del 2016, recante il nuovo Codice degli appalti pubblici e delle concessioni, per superare l'incertezza del periodo transitorio, soprattutto per quanto concerne le caratteristiche tecniche degli elaborati progettuali necessari ai fini della partecipazione alle gare;
   a provvedere, nella prossima legge di stabilità, a rendere stabili e strutturali le agevolazioni fiscali per gli interventi di riqualificazione e di efficienza energetica (cosiddetto ecobonus), disciplinate dall'articolo 1, comma 47, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015), nonché quelle per gli interventi di consolidamento statico ed antisismico degli edifici e della rimozione dell'amianto;
   ad individuare appositi finanziamenti per le attività di bonifica dei siti inquinati, ai fini di un processo di reindustrializzazione delle aree con l'insediamento di nuove attività produttive e lo sviluppo di quelle esistenti; nell'ambito di tali finanziamenti a provvedere per il completamento del «sistema integrato» di arginamento e di raccolta/drenaggio delle acque di falda del SIN di Venezia-Porto Marghera allo scopo di evitare il progressivo indebolimento dei tratti terminali delle strutture già realizzate che metterebbe in serio pericolo la bontà complessiva degli interventi eseguiti;
   ad individuare gli opportuni finanziamenti per un organico programma di interventi per il riassetto territoriale delle aree a rischio idrogeologico, d'intesa con le singole regioni, articolato attraverso azioni che prevedano progetti strategici di difesa del suolo e prevenzione del rischio idrogeologico e interventi di manutenzione diffusa del territorio e degli alvei dei fiumi e dei torrenti;
   a provvedere all'esclusione dai saldi contabilizzati ai fini del rispetto dei vincoli di finanza pubblica delle risorse destinate dagli enti locali per le bonifiche dei siti inquinati e per la prevenzione dal rischio idrogeologico, nonché per la manutenzione degli alvei dei fiumi e dei torrenti;
   nell'ambito del processo di privatizzazione che interessa il servizio ferroviario italiano, previsto dal programma governativo di medio periodo, ad impiegare i ricavi ottenuti dall'operazione per interventi a favore del trasporto pubblico locale, garantendo che il servizio venga svolto su tutto il territorio nazionale nel rispetto di più alti criteri di qualità, soprattutto nei settori a maggior richiesta che presentano attualmente profili di grosse criticità, e a prezzi sostenibili per i cittadini;
   a garantire il diritto alla salute per i cittadini previsto dall'articolo 32 della Costituzione attraverso la ridefinizione dei tagli previsti al Fondo per la sanità e, conseguentemente, alle prestazioni sanitarie erogate;
   ad introdurre al più presto il sistema dei costi standard, affinché il costo ragionevole dei servizi e degli strumenti sanitari, a parità di disponibilità finanziarie, possa diventare il riferimento nazionale nell'ambito delle politiche sanitarie ed il presupposto fondamentale per garantire il diritto alla salute;
   ad adottare gli opportuni provvedimenti affinché le regioni virtuose destinatarie del «turismo sanitario» possano recuperare entro tempi celeri i crediti vantati, trattandosi di cifre considerevoli che le regioni medesime potrebbero utilizzare a compensazione dei tagli subiti per garantire la qualità dei servizi erogati e le fasce di popolazione esentate dal pagamento del ticket sui farmaci;
   a realizzare la compiuta modernizzazione tecnologica di tutti gli uffici giudiziari, nonché la completa implementazione del processo telematico;
   a prevedere, attraverso lo strumento legislativo delle deleghe alla legge n. 107 del 2015, un doppio canale a scorrimento per il ruolo, nella fase transitoria, che vada parallelamente al concorso, per non disperdere la professionalità di tanti docenti abilitati, che non meritano di essere messi da parte dopo aver servito la scuola per molti anni;
   a modificare le finalità di utilizzo del bonus di 500 euro, legandole alla dimostrazione dell'effettiva frequenza di corsi di formazione e di aggiornamento;
   a prevedere un allargamento della No Tax Area fino a 28.000 euro di Isee, che permetterebbe l'esonero dalle tasse per il 39 per cento degli studenti in linea con gli standard europei, oltre all'introduzione di una tassazione progressiva e di una tassazione massima comune a tutti gli atenei;
   a rendere obbligatoria l'indicazione in etichetta dell'origine della materia prima contenuta nei prodotti agroalimentari, soprattutto a tutela delle produzioni del comparto lattiero-caseario, al fine di garantire la massima trasparenza, la corretta e completa informazione, la salute dei consumatori e la tutela degli operatori della filiera.
(6-00240) «Fedriga, Guidesi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».