• C. 3745 EPUB Proposta di legge presentata il 12 aprile 2016

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Atto a cui si riferisce:
C.3745 Modifica all'articolo 2233 del codice civile in materia di compensi degli avvocati


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
Testo senza riferimenti normativi
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 3745


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
SGAMBATO, MANFREDI, ROSTAN
Modifica all'articolo 2233 del codice civile in materia di compensi degli avvocati
Presentata il 12 aprile 2016


      

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Onorevoli Colleghi – La crisi economica sta incidendo notevolmente sul mondo delle professioni e in particolare sulla professione forense. Lo stato di depauperamento dei livelli reddituali degli avvocati appare imputabile anche a precedenti scelte politiche che, nel nome della libera concorrenza, hanno inciso nel mercato delle prestazioni professionali, rendendo la figura dell'avvocato indifesa ed esposta alle più spietate logiche di mercato: il tutto a discapito di una difesa libera e indipendente da attuarsi anche attraverso la tutela di una prestazione professionale il cui compenso non sia soggetto in assoluto alla logica del massimo ribasso.
      La Costituzione riconosce nel lavoro un fondamento della Repubblica e un diritto essenziale della persona, che anche tramite esso consegue libertà, dignità e riconoscimento sociale (articoli 1, 4 e 35 e seguenti).
      Nella nozione di «lavoro» deve senz'altro essere incluso, accanto al lavoro subordinato, anche il lavoro autonomo, del quale i professionisti sono fondamentale espressione. Oggi il mercato, con le sue regole e le sue possibilità di accesso, è sempre più piccolo, perché limitato nell'accesso a chi ha più possibilità economiche, ed è sempre più misero, in quanto il fatto di non avere regole lo rende tale, anche in termini di dignità.
      Nella previsione di un diritto collaborativo, in cui l'avvocato è chiamato a svolgere nuovi compiti e ad ampliare il suo ambito professionale, occorre recuperare la consapevolezza di non essere una mera categoria professionale per reidentificarsi quale comunità essenziale delle componenti sociali.
      Non solo sotto il profilo tecnico-giuridico, ma per la portata culturale, per la proficua testimonianza del vissuto umano e per la sensibilità interpersonale accumulata l'avvocatura deve mettere il suo patrimonio di esperienze a servizio della società. In questa prospettiva, la professione forense, affinché possa adempiere alla sua funzione sociale di garante dell'uguaglianza sostanziale delle parti nelle relazioni sociali, necessita di un quadro normativo che tuteli la dignità degli avvocati. Dignità che passa anche attraverso un equo e decoroso compenso, come sancito dall'articolo 2233 del codice civile, che determina i compensi dei professionisti, legandoli in qualche modo al parere dell'associazione professionale alla quale gli stessi appartengono, quando non sono le tariffe o gli usi ovvero il giudice stesso a determinarli.
      Il regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia n. 55 del 2014, in materia di compensi per la professione forense, tratta di parametri e non di tariffe (abolite dal cosiddetto decreto Bersani, il decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006), e i parametri hanno valore solo nell'ipotesi di liquidazione dei compensi da parte di un organo giurisdizionale e non nei casi di compensi pattuiti tra le parti, per il valore preminente attribuito all'autonomia privata. L'Avvocatura denuncia che purtroppo, a seguito dell'abolizione dei minimi tariffari, numerosi sono stati gli «attentati» alla dignità del professionista, obbligato alla stipula di convenzioni da clienti con astratta capacità di imporre condizioni di contratto per prestazioni professionali a carattere fiduciario, spesso indecorose.
      Il rapporto intercorrente tra le imprese e l'avvocato non è qualificato come rapporto commerciale tra imprese, sebbene tale sia considerato dal diritto europeo il professionista intellettuale (Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza del 19 febbraio 2002 causa C-35/99, nella quale il Consiglio nazionale forense è stato qualificato come associazione di imprese).
      La stessa disciplina interna conferma tale implicito riconoscimento: i professionisti intellettuali sono considerati come imprese ai fini dell'applicazione della tutela dei consumatori e beneficiano della disciplina sui ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali, anche ai fini dell'accesso ai fondi europei riservati alle piccole e medie imprese.
      Manca, allo stato, un espresso riconoscimento che consenta la sottoposizione dei professionisti allo statuto di impresa, dunque, sia in malam partem, con l'imposizione di obblighi antitrust e di correttezza commerciale, e sia in bonam partem, ai fini della tutela e del sostegno, volti a impedire che si integri un abuso del diritto di dipendenza economica a danno dell'avvocato, parte debole del rapporto contrattuale con l'impresa, in ragione di un preteso rapporto fiduciario.
      I medesimi princìpi devono ritenersi validi per qualsiasi rapporto con la clientela, anche di tipo privato, al fine di limitare la concorrenza sleale.
      Si propone, pertanto, una modifica all'articolo 2233 del codice civile prevedendo la clausola di nullità per le pattuizioni stipulate in violazione del secondo comma del medesimo articolo che palesino uno squilibrio di diritti e di obblighi.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.

      1. All'articolo 2233 del codice civile sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

      «Sono inoltre nulli i patti nei quali il compenso sia manifestamente sproporzionato all'opera prestata ai sensi del secondo comma. Ai fini della valutazione della sproporzione del compenso si applicano i parametri stabiliti dalla legislazione vigente per le professioni regolamentate nel sistema ordinistico.
      È altresì nulla qualsiasi pattuizione che stabilisca per il professionista un compenso inferiore a quanto liquidato dall'organo giurisdizionale, con diritto del cliente di trattenere la parte liquidata eccedente, ovvero che precluda al professionista di pretendere acconti nel corso della prestazione o che gli imponga l'anticipazione di spese per conto del cliente.
      La nullità non opera nei rapporti professionali disciplinati dal codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206».