• C. 170 Proposta di legge presentata il 15 marzo 2013

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Atto a cui si riferisce:
C.170 Disposizioni per la promozione di un sistema di benessere sociale mediante la valorizzazione dell'investimento familiare e generazionale, nonché delega al Governo per la riforma degli istituti di sostegno al reddito delle famiglie con figli e per la promozione dell'autonomia finanziaria dei giovani


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 170


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
BOBBA, BINETTI, BINI, BIONDELLI, COCCIA, FONTANELLI, GRASSI, IORI, MALPEZZI, MARTELLA, OLIVERIO, PELUFFO, QUARTAPELLE PROCOPIO, REALACCI, SBERNA, TARICCO
Disposizioni per la promozione di un sistema di benessere sociale mediante la valorizzazione dell'investimento familiare e generazionale, nonché delega al Governo per la riforma degli istituti di sostegno al reddito delle famiglie con figli e per la promozione dell'autonomia finanziaria dei giovani
Presentata il 15 marzo 2013


      

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Onorevoli Colleghi! La presente proposta di legge intende concorrere alla realizzazione di un nuovo modello di welfare centrato sull'investimento nella famiglia e nelle nuove generazioni, quale investimento strategico prioritario per la crescita economica e sociale del Paese.
      A questo obiettivo è indirizzata una pluralità di strumenti, in parte già vigenti – e dunque in questa sede riqualificati o potenziati per alcuni aspetti specifici – in parte creati ex novo per dare piena ed estesa copertura non solo ai tradizionali bisogni della famiglia, ancora in larga misura trascurati, ma anche alle nuove ed emergenti esigenze di protezione sociale, imposte dai mutamenti socio-economici e dai loro riflessi sulle forme di vita e di lavoro delle persone. Non può trascurarsi, infatti, come in Italia la famiglia abbia subìto alcune profonde trasformazioni negli ultimi anni, che richiedono una revisione e un complessivo riorientamento dei tradizionali strumenti di protezione sociale. Basta soffermarsi su alcune dimensioni di contesto, attingendo ai dati raccolti dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Dal 1994 al 2003 le famiglie composte da una sola persona sono cresciute di circa 1,3 milioni di unità (passando dal 22,7 per cento nel 1994 al 27,2 per cento nel 2003). Di contro, nello stesso lasso di tempo, le coppie con figli sono diminuite di 400.000 unità (rappresentavano il 45 per cento nel 1994, erano il 40,8 per cento nel 2003). A perdere di consistenza numerica sono state le tipologie familiari con figli, a favore di quelle senza figli: in dieci anni quest'ultima tipologia di famiglia si è incrementata di 340.000 unità. In breve, nel nostro Paese si è affermato un modello familiare «leggero», in cui sono aumentati i single e le coppie senza figli, mentre sono diminuiti i nuclei familiari con almeno cinque componenti (passati dall'8,4 per cento nel 1994 al 6,8 per cento nel 2003).
      Questo processo sociale affonda le radici negli anni settanta. Fino a quel periodo, il modello familiare era caratterizzato da una marcata consistenza di coppie con figli, mentre erano residuali le tipologie familiari senza figli: quelle unipersonali erano poco più del 10 per cento e quelle con cinque o più membri rappresentavano circa un quinto delle famiglie. Il tasso di fecondità era costantemente superiore a due figli per donna e una famiglia era mediamente composta da quattro persone; inoltre, l'età media delle neo-mamme era di circa 25 anni.
      Dalla metà degli anni settanta, i principali indicatori demografici tendono progressivamente a cambiare di segno. Nel 1977 il tasso di fecondità scende per la prima volta sotto i due figli per donna e tale decremento si arresta solo nel 1995, toccando il minimo storico di 1,18 figli per donna.
      Molteplici sono i fattori che hanno influito sul calo delle nascite. In estrema sintesi, in quel periodo l'Italia ha vissuto forti cambiamenti sociali, in assenza di un disegno politico riformatore, capace di intercettare queste trasformazioni che si ripercuotevano sul tessuto della nostra società. Insomma, il Paese guardava avanti, ma le istituzioni non riuscivano ad assecondare i cambiamenti in atto.
      In tale ottica, la famiglia nella sua interezza non è mai assurta pienamente a soggetto legislativo. Infatti, il legislatore ha adottato molto spesso un approccio individualistico ai temi che riguardano da vicino le famiglie, non considerando a sufficienza le implicazioni sottese nel legame familiare. Dalle politiche fiscali fino a quelle sociali, la famiglia era ed è la somma di individui: i diritti sono riconosciuti a particolari categorie sociali ed economiche (minori, anziani, donne; contribuenti, utenti eccetera). Tale logica politica di guardare alla famiglia come somma di individui/categorie ha in parte svilito i proponimenti contenuti nella Carta costituzionale, laddove tanto all'articolo 29, quanto all'articolo 31, si fa esplicito riferimento all'idea di famiglia come soggetto di diritto.
      Solo di recente alcune iniziative legislative hanno introdotto il soggetto famiglia come elemento di diritto tout court (si pensi ai richiami della legge 8 novembre 2000, n. 328). Tali iniziative rimangono, tuttavia, tentativi estemporanei, per lo più non inquadrati all'interno di una politica unitaria e di sistema rivolta alla famiglia come soggetto che assicura la tenuta della società, mediando tra generi e generazioni.
      Ripartire quindi dalla Costituzione è una tappa obbligata per ripensare politiche familiari che siano più eque e, al tempo stesso, che sappiano assecondare i desideri, il futuro e la progettualità delle famiglie, anche e soprattutto nelle loro scelte e nelle loro aspettative.
      La seconda edizione dell'indagine campionaria sulle nascite condotta dall'ISTAT [2005] ha messo in luce come il desiderio di maternità delle madri fosse ampiamente al di sopra del tasso effettivo di fecondità. Le aspettative di procreazione si condensavano in un tasso atteso di 2,19 figli per madre, contro un valore effettivo di 1,33. Un tasso, quest'ultimo, tra i più bassi in Europa e che da tempo ha alimentato numerosi studi sulle conseguenze del declino della popolazione.
      Secondo le previsioni dell'ISTAT [2006], nel 2050 la popolazione residente in Italia si attesterà a circa 55,8 milioni con una perdita complessiva di oltre 3 milioni di abitanti. Peraltro, negli anni a venire, la piramide dell'età assumerà sempre più una forma «rovesciata», con un incremento sostanziale delle persone con oltre 65 anni d'età (passando dal 19,5 per cento del 2005 al 33,6 per cento nel 2050) e un conseguente decremento delle coorti anagrafiche più giovani (0-14 anni), che nel 2005 si attestavano al 14,2 per cento, mentre nel 2050 tale quota scenderà al 12,7 per cento. Ma ciò che più colpisce nelle proiezioni di lungo periodo dell'ISTAT è il progressivo assottigliamento della popolazione in età attiva (15-64 anni); infatti, nel periodo di riferimento (2005-2050), questo strato della popolazione segnerà un decremento di circa 13 punti percentuali (66,4 per cento nel 2005, 53,7 per cento nel 2050), nonostante un ipotetico apporto positivo della dinamica migratoria (attualmente il numero medio di figli per donna straniera è pari a 2,61).
      È evidente che questa tendenza si rifletterà, sul fronte interno, in una minore capacità del nostro Paese di produrre ricchezza e, a livello internazionale, in una perdita di competitività del «sistema Paese», visto anche il basso investimento dell'Italia nel settore ricerca e sviluppo che tendenzialmente potrebbe comportare un'ulteriore riduzione della nostra influenza economica nello scacchiere produttivo mondiale.
      Peraltro, il costante invecchiamento della popolazione comporterà inevitabilmente una dilatazione della spesa sociale in relazione a una maggiore domanda di servizi socio-sanitari. Nel nostro Paese le proiezioni al 2050 indicano un incremento della spesa sociale connessa all'invecchiamento della popolazione pari a 1,7 punti percentuali del prodotto interno lordo (PIL), ossia un aumento di circa il 5 per cento della spesa pubblica.
      Insomma, stante l'attuale tasso di fecondità, lo scenario che si profila è di un'involuzione dei principali fattori di sviluppo del sistema-Italia. Uno scenario che sarebbe di ben altro segno se le aspettative di maternità menzionate (2,19 figli per madre) coincidessero con l'effettivo indice di natalità registrato nel nostro Paese (1,33 figli per madre). Inoltre, non può trascurarsi che solo «con un numero medio di circa 2 figli la popolazione tende alla stazionarietà» (Campiglio, 2005, pagina 63).
      Il problema di fondo è dunque quello di definire interventi capaci di rimuovere gli ostacoli che, ad oggi, si frappongono tra il forte desiderio di maternità e paternità e un incremento della natalità «a scartamento ridotto». Occorre chiedersi quali fattori impediscano alle famiglie italiane di conciliare le aspettative di maternità e paternità con le condizioni per la loro realizzazione. In particolare, come incentivare la natalità in un Paese che sembra destinato a un progressivo invecchiamento della popolazione? E ancora, sul versante dell'occupazione, quali strumenti porre in essere per il raggiungimento degli obiettivi fissati nell'Agenda di Lisbona?
      Rispondere a tali interrogativi significa, nel concreto, riportare al centro del dibattito politico la famiglia, sia come «soggetto» promotore di sviluppo e di benessere sociali, saldando e preservando il legame intergenerazionale; sia come «luogo» in cui coltivare il futuro, il desiderio di maternità e paternità, rintracciando quelle difficili alchimie socio-economiche che all'interno della realtà italiana sembrano penalizzare soprattutto le famiglie con figli.
      Bisogna certo considerare che in Italia ci sono ancora diversi fattori culturali che osteggiano la libera scelta di diventare genitore, per esempio la rigida e asimmetrica divisione dei ruoli familiari (in quattordici anni gli uomini hanno aumentato la loro collaborazione in casa di soli 16 minuti, mentre hanno un'ora al giorno in più di tempo libero rispetto alla donna) e lo scarso utilizzo dei congedi parentali da parte dei padri (per i bambini nati nel 2003 ha preso un congedo parentale solo l'8 per cento dei padri, contro il 74,4 per cento delle madri).
      Ma vi sono soprattutto stringenti motivi socio-economici, legati prevalentemente alla sfera del lavoro – e quindi del reddito familiare – che condizionano pesantemente le scelte di natalità delle famiglie. Quanto al numero di figli desiderati, risulta più elevato quello delle donne lavoratrici, in particolare delle imprenditrici e delle dirigenti (rispettivamente 2,4 e 2,2). Eppure, il tasso di occupazione femminile diminuisce in modo assai evidente quando la coppia senza figli (76,5 per cento) diventa una famiglia con prole (55,1 per cento), raggiungendo il valore minimo del 37,4 per cento nelle famiglie con più di tre figli (Sabbadini, 2007). Insomma, i figli rappresentano nel nostro Paese un'insormontabile barriera d'accesso all'occupazione, soprattutto per le donne: il tasso di occupazione femminile è fra i più bassi d'Europa (il 45,3 per cento contro il 57,6 per cento francese e il 56 per cento della media europea) e la percentuale fissata dall'Agenda di Lisbona (il 60 per cento entro il 2010) sembra un traguardo ancora piuttosto lontano.
      Nel nostro Paese, circa una donna su cinque (19 per cento), quando diventa madre (ISTAT «Essere madri in Italia», 2005), decide di lasciare il lavoro. Accanto a questa considerevole quota di donne che abbandona la propria occupazione, vi è un quarto della popolazione femminile che cambia modalità di lavoro, passando da un impegno full-time ad uno part-time. Un orario dimezzato sembra dunque una valida alternativa per le donne italiane, soprattutto per coloro che sono meno istruite e per quelle che hanno due o più figli. Tuttavia, rispetto agli altri Paesi europei, questo tipo di impegno sembra, per un verso, scarsamente scelto dalle stesse lavoratrici, per un altro verso, sembra il part-time poco incentivato dalle aziende. Il mercato del lavoro italiano appare inoltre ancorato ad una visione tradizionale dell'organizzazione del lavoro, che prevede il rispetto di un orario standardizzato, difficilmente conciliabile con i ritmi attuali delle famiglie. Soprattutto nel settore privato, sono altrettanto poche le donne che nei luoghi di lavoro hanno la possibilità di utilizzare forme di flessibilità di orario, per esempio in entrata e in uscita. Ecco perché, nella maggior parte dei casi, i motivi che spingono le donne ad allontanarsi dal mercato del lavoro risiedono sostanzialmente nell'inconciliabilità fra tempi di vita e tempi di lavoro (65,3 per cento).
      Ma la rinuncia all'attività lavorativa non è legata esclusivamente ad un mercato del lavoro involuto e incapace di adeguarsi ai ritmi delle famiglie. Anche la rete di servizi di cura è poco efficiente e mal distribuita sul territorio nazionale. Se in Francia i principali fornitori di servizi all'infanzia rientrano nel settore pubblico e non profit, in Italia, la stragrande maggioranza dell'offerta è erogata da imprese private (62,5 per cento). È vero, rispetto al passato, i servizi pubblici sono in costante crescita, tuttavia, ad esempio, la percentuale di bambini che attualmente hanno la possibilità di accedere ad un nido comunale è piuttosto esigua (circa 10 per cento), con punte minime nelle isole maggiori (circa 2,4 per cento) e massime nel nord-est (circa 13,6 per cento).
      Stando così le cose, le famiglie italiane sono costrette a pagare cospicue somme di denaro per la cura dei figli o sono obbligate a fare ricorso ai nonni, i quali risultano ancora essere la principale fonte di care-giving dei piccoli. Non è un caso che in Italia più della metà dei genitori ricorra ai nonni per la cura dei propri figli (circa 54,5 per cento), mentre in Francia tale percentuale è del tutto residuale (4 per cento).
      I bambini sono però solo il secondo anello debole della nostra società. Nel Paese in cui vi è il più alto tasso al mondo di over-sessantenni, il primo anello debole è rappresentato dagli anziani. In Italia un anziano su tre vive solo [Quarto Rapporto sugli anziani in Italia (2004-2005),2006] e – come emerge da un altro studio [Pesaresi e Gori 2003] – il livello di sviluppo dell'assistenza domiciliare e residenziale agli anziani rimane tuttora particolarmente basso (rispettivamente il 3 per cento e il 2,7 per cento), registrando valori inferiori del 50 per cento rispetto alla maggior parte dei Paesi europei (a titolo esemplificativo, in Francia il livello di tali servizi registra rispettivamente percentuali pari al 7,9 per cento e al 6,1 per cento). Di fronte all'inadeguatezza dell'assistenza pubblica, le famiglie italiane, in particolare quelle del ceto medio, si sono dovute organizzare, rivolgendosi al mercato privato per il reperimento di badanti. Eppure, nonostante l'afflusso delle assistenti domiciliari straniere (si calcola una presenza di circa 500.000 badanti tra regolari e irregolari), il principale care-giver degli anziani rimane ancora una volta un familiare, per lo più di sesso femminile, fra i 40 e 70 anni [Sabbadini, 2006].
      In questo quadro, la famiglia italiana, attraverso un patto intergenerazionale inossidabile, si conferma tuttora come l'unico e più importante punto di riferimento nella promozione e nello sviluppo del benessere individuale e sociale, sia nei confronti dei discendenti che degli ascendenti. Ciò è anche confermato dalla particolare prossimità residenziale delle famiglie italiane, molte delle quali abitano vicino ad uno dei nuclei d'origine.
      D'altra parte, il sostegno della rete informale per la cura dei figli e degli anziani diviene una scelta obbligata, non solo per l'insufficiente offerta di strutture di accudimento, ma anche per una maggiore esposizione di queste famiglie ai rischi di marginalità sociale, connessi ad una condizione di più stringente vulnerabilità economica. In generale, stando ai dati dell'ISTAT nel 2005 più di una famiglia su dieci si collocava al di sotto della soglia di povertà relativa (11,1 per cento), con un'incidenza molto più alta del fenomeno nelle regioni meridionali e nelle isole (24 per cento). La morsa dell'indigenza colpisce soprattutto le famiglie numerose con tre e più figli (24,5 per cento); questo dato aumenta ulteriormente se queste famiglie hanno tre o più figli minorenni (27,8 per cento). In generale, la povertà in Italia cresce con l'aumentare dei componenti familiari e, a parità di numero di persone, con la presenza di minori e anziani. Non solo, anche le famiglie monogenitoriali si caratterizzano per una maggiore esposizione a situazioni di indigenza (13,4 per cento). Insomma, la penuria di risorse economiche è un segno tipicamente «familiare». Nel nostro Paese la nascita di un figlio e/o la presenza di un anziano in casa, il costo dell'educazione e dell'accudimento che ciò comporta, grava sui bilanci familiari e sul benessere socio-economico della famiglia. In tal senso è indicativo il dato sul reddito pro capite familiare: le famiglie unipersonali possono fare affidamento su un reddito di 18.750 euro, mentre nelle famiglie con quattro componenti il reddito pro capite è di 9.439 euro e di 6.326 euro nelle famiglie con cinque e più familiari (Indagine della Banca d'Italia sui bilanci familiari, 2004).
      Del resto, il nostro regime fiscale non sembra agevolare le famiglie maggiormente caratterizzate dallo spettro della povertà.
      Molti studiosi hanno posto l'accento sul fatto che l'attuale regime fiscale penalizza, a parità di reddito, proprio tali tipologie familiari. Eppure, paradossalmente, sono proprio le famiglie numerose a subire una maggiore imposizione fiscale rispetto ai single e alle coppie senza figli a doppia carriera. Tali contraddizioni sono anche frutto di un'insufficienza del sistema di detrazioni fiscali: «in particolare, la detrazione per coniuge a carico sottovaluta l'impegno del coniuge che decide di dedicarsi a tempo pieno alla cura dei figli, e le detrazioni a carico dei figli non tengono in debito conto l'impegno che la famiglia deve sostenere per il loro mantenimento, disincentivando la famiglia a procreare. Ne consegue che, in Italia, il principio dell'equità orizzontale non verrebbe rispettato, in particolare con riguardo alle famiglie monoreddito e numerose» (Rapporto dell'Istituto di studi e analisi economica, 2004).
      Molto rimane ancora da fare, a partire dalla suddivisione delle diverse voci di bilancio per le differenti prestazioni sociali.
      Nel nostro Paese, la spesa per la protezione sociale, in percentuale sul PIL (compresa la spesa previdenziale), è pari al 26,7 per cento, mentre quella a favore della famiglia è pari a poco più dell'1 per cento.
      L'insufficienza di politiche per la promozione del welfare familiare e generazionale danno peraltro vita a un altro fenomeno tutto italiano: il fenomeno delle cosiddette «famiglie lunghe». La percentuale di giovani tra i 18 e i 34 anni di età che vive ancora sotto lo stesso tetto dei genitori è quasi doppia rispetto alla media dell'Unione europea. Tra l'altro questa fascia della popolazione italiana è quella più esposta alla precarietà del lavoro: sono infatti soprattutto i giovani, in particolare le donne, ad essere maggiormente impiegati con contratti di lavoro «atipici».
      È chiaro che la ritardata autonomia dei giovani italiani comporta un rinvio anche nelle scelte procreative.
      Insomma, «fare famiglia» nel nostro Paese è sempre più un'impresa rischiosa e penalizzante. Già la fuoriuscita dalla famiglia d'origine per dar vita a un nuovo nucleo comporta una serie di difficoltà: dalla ricerca di un'occupazione stabile e sicura, a quella di un alloggio, fino alla gestione dei tempi di vita e di lavoro. La nascita di un figlio, poi, grava ulteriormente sull'organizzazione familiare di una coppia, già provata dal difficile avvio verso l'autonomia. L'insufficiente offerta di strutture pubbliche per l'infanzia; la presenza di un regime fiscale iniquo nei confronti delle famiglie con figli e, ancor più, per quelle numerose; l'aumento delle spese familiari dovuto alla cura e all'istruzione dei figli; un mercato del lavoro rigido e inadeguato rispetto ai cambiamenti dell'odierna organizzazione familiare: tutto ciò influisce negativamente sui comportamenti e sulle aspettative di vita dei giovani. Ed è soprattutto la donna l'elemento più vulnerabile, pagando in prima persona il prezzo della genitorialità attraverso la fuoriuscita anticipata dal mercato del lavoro, il difficile reinserimento lavorativo e gli eccessivi carichi domestici e di cura dei figli e degli anziani.
      Dunque, quali soluzioni porre in essere per liberare la famiglia da una condizione che ad oggi sembra rendere disagevole e poco incentivante un evento quale la nascita, che fino a qualche decennio fa appariva un avvenimento normale?
      La presente proposta di legge risponde a un problema sociale pressante, adottando un approccio che si basa su un'idea di famiglia come soggetto unitario e di diritto, coerentemente con i fondamenti della nostra Carta costituzionale. Pensare alla famiglia come principale aggregato sociale significa considerare un modello di welfare in termini di sistema. In tale prospettiva, attraverso una serie di interventi legislativi mirati, la proposta di legge intende valorizzare l'investimento familiare e generazionale rispetto a quattro assi prioritari d'intervento.
      Il primo ambito di intervento (capo II) prende in considerazione gli aspetti più strettamente economici, attraverso una modifica degli attuali istituti fiscali a favore della famiglia, oltre a prevedere una riforma degli strumenti di accesso alle prestazioni sociali e assistenziali per le famiglie. Sul fronte degli incentivi fiscali sono previsti i seguenti interventi:

          recupero delle detrazioni non godute per incapienza del debito d'imposta (articolo 2). A tale fine si propone che il contribuente incapiente possa riportare a compensazione l'importo della detrazione non goduta sull'anno di imposta successivo, oppure richiedere l'integrazione in misura equivalente dell'assegno familiare, fino all'importo massimo di 200 euro per ciascun familiare a carico;

          detrazioni fiscali per le spese sostenute dalle famiglie per l'assistenza ai bambini e agli anziani non autosufficienti, nonché per il pagamento di rette relative alla frequenza degli asili nido (articolo 3);

          l'applicazione dell'aliquota dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) agevolata al 4 per cento per l'acquisto di autoveicoli a sei o più posti per il trasporto di famiglie numerose (articolo 4).

      Un secondo pacchetto di misure (capo III) è dedicato all'ampliamento e alla riqualificazione delle condizioni di accesso alle prestazioni sociali e assistenziali.
      A tale fine si prevedono innanzitutto due importanti iniziative: la riforma dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), con la definizione di una nuova scala di equivalenza che, attraverso l'applicazione di apposite maggiorazioni per ciascun figlio a carico, valorizzi le famiglie numerose (articolo 5) e la conseguente rimodulazione delle tariffe

dei servizi pubblici locali applicabili ai nuclei familiari (articolo 6).
      A tali iniziative si affianca l'istituzione della «Carta famiglia» (articolo 7), da rilasciare a ciascun nucleo familiare con figli, per l'accesso a condizioni agevolate a prestazioni e servizi culturali, ricreativi, turistici e di trasporto, erogati da istituzioni, enti e società, pubblici o privati, con i quali il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali abbia stipulato apposite convenzioni o intese.
      Nello stesso contesto è inoltre prevista per i nuclei con tre o più figli l'equiparazione, ai fini della determinazione degli assegni familiari, dei figli maggiorenni ai figli minori, a condizione che siano iscritti all'ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado ovvero a corsi universitari, limitatamente al periodo di durata legale dei corsi medesimi (articolo 8).
      Per altro verso, sul fronte dell'ampliamento dell'offerta di prestazioni sociali, la presente proposta di legge rilancia l'investimento pubblico nei servizi all'infanzia.
      L'Italia registra infatti un duplice primato negativo: uno dei più bassi tassi di fertilità unito a un tasso di occupazione femminile tra i più bassi dell'Unione europea. Non a caso, uno dei dati che esprime più direttamente il crescente disagio delle famiglie e delle donne italiane è rappresentato dal tasso di natalità. Almeno la metà delle coppie con un figlio dichiara di non essere nella condizione economica di averne un altro, dimostrando come le politiche di sostegno alla natalità e alla famiglia siano più che mai cruciali per il mantenimento degli equilibri economici e sociali.
      La questione della quantità, accessibilità e omogenea distribuzione sul territorio dei servizi alla famiglia è di grandissima rilevanza per un sistema di welfare che ambisca a realizzare pienamente le aspettative di crescita delle persone e della società nel suo complesso, attraverso il riconoscimento dell'esigenza primaria di incrementare la partecipazione al lavoro delle donne.
      A tal fine, la presente proposta di legge punta a promuovere e a sostenere la realizzazione su tutto il territorio nazionale di almeno 3.000 nuovi asili nido entro l'anno 2015, in attuazione dell'obiettivo comune della copertura territoriale del 33 per cento fissato dal Consiglio europeo di Lisbona del 23-24 marzo 2000. Per questo scopo il Fondo nazionale per gli asili nido, istituito dalla citata legge finanziaria 2007, è incrementato nella misura di 100 milioni di euro per l'anno 2007 e di 200 milioni di euro in ragione d'anno per gli anni 2008, 2009 e 2010 (articolo 9).
      Il terzo fronte di intervento della presente proposta di legge è rappresentato dalla promozione della partecipazione al lavoro delle donne (capo IV) attraverso il potenziamento degli strumenti di conciliazione familiare e l'incentivazione delle prestazioni di lavoro flessibili su base volontaria.
      In particolare, l'articolo 10 innanzitutto incentiva, con il meccanismo del part-time su base volontaria, il protagonismo femminile nel mercato del lavoro, favorendo la trasformazione reversibile del rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno su richiesta delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri, anche adottivi o affidatari, con figli fino a dodici anni di età ovvero fino a quindici anni in caso di affidamento o di adozione.
      Ma soprattutto la nuova disciplina introduce delle nuove forme agevolate di accesso al part-time. Si ammette, infatti, che le lavoratrici dipendenti possano richiedere al datore di lavoro, in alternativa al congedo parentale, la trasformazione reversibile del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale in misura non superiore al 50 per cento, per un periodo massimo di sei anni. A seguito dell'esercizio di tale facoltà, i datori di lavoro sarebbero esonerati, per tutta la durata del rapporto a tempo parziale, dall'obbligo del versamento dei contributi alle forme di assicurazione generale obbligatoria, e sarebbero tenuti a corrispondere alle lavoratrici, a titolo di integrazione della retribuzione, una percentuale non inferiore a un terzo dei contributi ammessi all'esonero.
      Per altro verso, la presente proposta di legge interviene direttamente sulla disciplina dei congedi parentali, al fine di estendere fino a dodici mesi il periodo massimo di godimento per tutti i lavoratori dipendenti e, soprattutto, di incrementare fino al 70 per cento della retribuzione l'indennità di congedo – oggi fissata per tutti al 30 per cento – limitatamente ai nuclei familiari a basso reddito (articolo 11).
      Infine si prevedono incentivi fiscali ai datori di lavoro per l'assunzione di persone ultraquarantenni che avviano o riprendono l'attività lavorativa dopo periodi dedicati alla cura della famiglia (articolo 12). In particolare, si prevede l'integrale fiscalizzazione degli oneri contributivi dovuti dal datore di lavoro che assume tali soggetti con contratto a tempo indeterminato per un periodo di tre anni dalla data dell'assunzione.
      L'insieme di tali articoli mira in definitiva a incentivare l'occupazione, in particolare quella femminile, in direzione del raggiungimento degli obiettivi fissati dall'Agenda di Lisbona. Infatti, tutte queste proposte tendono, da un lato, a facilitare l'armonizzazione dei tempi di vita e di lavoro, scongiurando fenomeni come la rinuncia al lavoro nel caso delle neo-mamme; dall'altro, tutelano i genitori che si avvalgono di periodi di congedo dal lavoro per motivi familiari.
      Infine, il quarto e ultimo fronte di intervento è costituito dall'investimento generazionale (capo V).
      A questo proposito, si propongono due articolate discipline di delega legislativa al Governo: l'una per il potenziamento e la razionalizzazione degli istituti di sostegno al reddito delle famiglie con figli (articolo 13), l'altra per l'istituzione del «conto personale di cittadinanza», inteso quale strumento di risparmio agevolato orientato a promuovere l'autonomia finanziaria dei giovani (articolo 14).
      In particolare, nel quadro delle complessive riqualificazione e razionalizzazione degli istituti di sostegno al reddito delle famiglie con figli, è proposta l'istituzione di un «assegno di nascita» da erogare mensilmente in misura fissa a ciascun nucleo familiare, a decorrere dal quarto mese di gravidanza fino al terzo mese di vita del bambino (articolo 13, comma 1, lettera b)).
      Tale misura deve leggersi a sua volta nell'ambito della razionalizzazione e della progressiva sostituzione di tutti gli istituti di sostegno diretto e indiretto al reddito, a vario titolo riconosciuti ai nuclei familiari, con forme di sostegno diretto e universalistico alla famiglia, attivabili sulla base di nuovi e omogenei criteri di assegnazione, che tengano conto della condizione reddituale, dell'ampiezza e della composizione del nucleo familiare (articolo 13, comma 1, lettera a)).
      Nello stesso contesto, si dispone una complessiva revisione della disciplina dell'ISEE, orientata per un verso a massimizzare l'efficienza, l'equità e la trasparenza nella valutazione delle condizioni sociali e reddituali rilevanti ai fini del riconoscimento dell'assegno per la famiglia, e per altro verso a rendere pienamente accessibile e agevole l'autovalutazione di tali condizioni da parte dei soggetti interessati e a recuperare, con meccanismi di adeguamento automatici, la perdita del potere di acquisto delle famiglie (articolo 13, comma 1, lettere d) ed e)).
      Sul fronte del sostegno fiscale alla famiglia, la disciplina di delega reca inoltre una misura specifica (articolo 13, comma 1, lettera f) con riferimento alla base imponibile delle addizionali comunali e regionali IRPEF, prevedendo, l'introduzione di specifiche soglie di esenzione da applicare ai contribuenti in relazione al possesso di specifici requisiti reddituali e alle dimensione e natura del nucleo familiare, con priorità per i nuclei familiari con due o più figli.
      Ad una finalità di razionalizzazione complessiva del sistema corrisponde invece la disposizione di delega che prevede l'alternatività tra l'accesso alle detrazioni fiscali per gli asilo nido e le spese di assistenza e cura dei figli minori e l'accesso all'istituto del congedo parentale (articolo 13, comma 1, lettera g)).
      Infine, in funzione di contrasto alla dispersione scolastica, si dispone la previsione di adeguate forme di collegamento tra l'accesso all'assegno per la famiglia, da parte di nuclei familiari con figli minori, e la garanzia di ottemperanza alle disposizioni vigenti in materia di obbligo scolastico e lavoro minorile (articolo 13, comma 1, lettera h)).
      All'istituzione del «conto personale di cittadinanza», quale strumento di risparmio agevolato per le famiglie e di sostegno all'autonomia finanziaria dei giovani, è dedicata l'altra disciplina di delega legislativa prevista dalla presente proposta di legge (articolo 14).
      Essa prevede che a ciascun nuovo nato sia riconosciuta la titolarità di un conto personale di cittadinanza, istituito presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e finalizzato al sostegno economico per la cura, l'assistenza e la formazione del nuovo nato, nonché alla promozione della sua autonomia.
      Il conto potrà essere alimentato, fino al compimento del venticinquesimo anno di età del titolare, attraverso una pluralità di fonti di finanziamento: l'accreditamento degli importi erogati dallo Stato a titolo di prestito a condizioni agevolate, rimborsabile con rateazione a lungo termine, per specifiche finalità di istruzione o di formazione professionale del titolare del conto; versamenti, occasionali o periodici, da parte di familiari; la contribuzione statale o regionale integrativa, in relazione a particolari condizioni sociali ed economiche del titolare del conto; l'accreditamento di borse o assegni di studio riconosciuti al titolare del conto da istituzioni pubbliche e private, nonché dei contributi pubblici a vario titolo erogati per la tutela del diritto allo studio.
      Agli importi versati sul conto si applicherebbe un tasso annuo di rivalutazione, come annualmente individuato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, almeno pari al rendimento annuo dei titoli di credito a medio-lungo termine emessi dal Tesoro.
      Infine, si prevede che possano avere accesso al conto, fino al raggiungimento della maggiore età del titolare, i genitori del minore. In tale caso i prelievi eccedenti la quota di risorse derivante da contribuzione pubblica sono condizionati a documentate esigenze di concorso alle spese di sostentamento, cura, assistenza, istruzione e formazione del titolare del conto. Il titolare del conto potrebbe invece accedervi a decorrere dal raggiungimento della maggiore età, per documentate esigenze di istruzione o di formazione professionale, ovvero per l'avvio di attività professionali e imprenditoriali.
      In definitiva, nel suo insieme, la presente proposta di legge quadro intende riannodare il piano delle aspettative sulla maternità e sulla paternità con il piano dei comportamenti e delle scelte concretamente adottati dalle famiglie, attraverso un nuovo patto intergenerazionale in grado di rompere quel circolo vizioso (famiglie lunghe, ritardo di autonomia dei giovani, bassa fecondità) che alimenta «la trappola dell'invecchiamento della popolazione italiana».
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PROPOSTA DI LEGGE
Capo I
FINALITÀ
Art. 1.
(Finalità).

      1. Nell'ambito della realizzazione di un nuovo sistema di benessere sociale centrato sulla valorizzazione dell'investimento familiare e generazionale, in attuazione degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, la presente legge persegue i seguenti obiettivi:

          a) il riequilibrio del carico fiscale gravante sui nuclei familiari e il rafforzamento delle prestazioni sociali e assistenziali in favore delle famiglie, con particolare riguardo alle famiglie numerose;

          b) in funzione del raggiungimento degli obiettivi della strategia di Lisbona, stabiliti dal Consiglio europeo il 23-24 marzo 2000, in materia di occupazione e di garanzia della sostenibilità degli equilibri previdenziali, la promozione della partecipazione al lavoro delle donne, attraverso il potenziamento degli strumenti di conciliazione familiare e l'incentivazione delle prestazioni di lavoro flessibili su base volontaria;

          c) al fine di valorizzare l'investimento generazionale, la complessiva riqualificazione degli istituti di sostegno al reddito delle famiglie con figli, nonché l'introduzione di strumenti di risparmio agevolato orientati a promuovere l'autonomia finanziaria dei giovani.

Capo II
INTERVENTI IN MATERIA
DI FISCALITÀ DELLA FAMIGLIA
Art. 2.
(Recupero delle detrazioni non godute
per incapienza del debito d'imposta).

      1. Qualora l'importo complessivo delle detrazioni di cui all'articolo 12 del testo

unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, relativo alle detrazioni per carichi di famiglia, risulti superiore al debito d'imposta e alle detrazioni concorrano carichi di famiglia per due o più figli, il contribuente può riportare a compensazione l'importo della detrazione non goduta sull'anno di imposta successivo ovvero richiedere l'integrazione in misura equivalente dell'assegno per il nucleo familiare, fino all'importo massimo di 200 euro per ciascun familiare a carico.
      2. Entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente legge, con regolamento del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono dettate le disposizioni per l'attuazione del comma 1 del presente articolo.
Art. 3.
(Detrazione fiscale delle spese sostenute dalle famiglie per l'assistenza ai bambini e agli anziani).

      1. All'articolo 15, comma 1, del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, relativo alle detrazioni per oneri, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) la lettera i-septies) è sostituita dalla seguente:

          «i-septies) le spese documentate, per un importo non superiore a 6.000 euro annui, sostenute per gli addetti all'assistenza personale nei casi di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana, se il reddito complessivo non supera 40.000 euro»;

          b) dopo la lettera i-novies) sono aggiunte le seguenti:

          «i-decies) le spese documentate per un importo non superiore a 6.000 euro

annui, sostenute per i servizi di assistenza e cura di figli minori, se il reddito non supera 30.000 euro per un nucleo familiare monoreddito di tre componenti. Per nuclei familiari con diversa composizione, il requisito economico è riparametrato sulla base della scala di equivalenza di cui alla tabella 2 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, e successive modificazioni, tenendo conto delle maggiorazioni ivi previste;

          i-undecies) le spese documentate sostenute per il pagamento di rette relative alla frequenza degli asili nido, per un importo complessivamente non superiore a 3.600 euro annui per ogni figlio».

Art. 4.
(Agevolazione sull'imposta sul valore aggiunto per l'acquisto di autoveicoli a sei o più posti).

      1. Alla tabella A, parte II, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, recante beni e servizi soggetti all'aliquota del 4 per cento, e successive modificazioni, dopo il numero 31) è inserito il seguente:

              «31-bis) autoveicoli a sei o più posti acquistati da persone fisiche il cui nucleo familiare, certificato da idoneo stato di famiglia, è costituito da almeno sei componenti».

Capo III
NORME IN MATERIA DI PRESTAZIONI SOCIALI E ASSISTENZIALI PER LE FAMIGLIE
Art. 5.
(Riforma dell'indicatore della situazione economica equivalente).

      1. La tabella 2 allegata al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, e successive

modificazioni, è sostituita dalla seguente:
«Tabella 2

      A) Scala di equivalenza

Numero dei componenti             Parametro

                    1                                     1,00     

                    2                                     1,57     

                    3                                     2,04     

                    4                                     2,46     

                    5                                     2,85     
      Maggiorazione di 0,35 per ogni ulteriore componente.
      Maggiorazione di 0,2 in caso di presenza di un solo genitore.
      Maggiorazione di 0,5 per ogni componente con disabilità psico-fisica permanente ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, o con invalidità riconosciuta superiore al 66 per cento.

      B) Maggiorazioni per ogni figlio o equiparato minore di età

Numero di figli o equiparati             Maggiorazione

              1                                                0,03         

              2                                                0,08         

              3                                                0,61         
              4                                                0,65        
Per ogni ulteriore figlio                          0,65         
      Maggiorazioni applicabili anche ai soggetti maggiorenni, figli o equiparati, di età superiore a diciotto anni purché iscritti all'ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado ovvero a corsi universitari, limitatamente al periodo di durata legale dei corsi medesimi.

      C) Maggiorazioni ulteriori.

      Maggiorazione di 0,2 in caso di presenza nel nucleo di figli minori.
      Maggiorazione di 0,2 per nuclei familiari con figli minori, in cui entrambi i genitori svolgono attività di lavoro e di impresa».

Art. 6.
(Rimodulazione delle tariffe dei servizi pubblici locali applicabili ai nuclei familiari).

      1. Nell'ambito della normativa vigente in materia di regolazione dei servizi di pubblica utilità, le autorità e le amministrazioni pubbliche competenti sono tenute a utilizzare l'indicatore della situazione economica equivalente di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, come da ultimo modificato dall'articolo 5 della presente legge, nella definizione di condizioni agevolate di accesso ai servizi di rispettiva competenza.
      2. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con i Ministri del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro della salute, da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono rimodulate le fasce di tariffazione sociale e normale, con riferimento ai servizi di smaltimento dei rifiuti e di erogazione di energia elettrica, gas e acqua, introducendo tra i parametri per l'ammissione al beneficio il numero e la tipologia dei componenti del nucleo familiare.

Art. 7.
(Istituzione della «Carta famiglia»).

      1. Al fine di sostenere economicamente la famiglia, con particolare riguardo alla famiglia numerosa, è istituita a cura del Ministero del lavoro, dalla salute e delle politiche sociali, la «Carta famiglia», di seguito denominata «Carta». La Carta è rilasciata a ciascun nucleo familiare con figli e costituisce titolo per l'accesso a condizioni agevolate a prestazioni e a servizi culturali, ricreativi, turistici e di trasporto, individuati dal decreto di cui al comma 3, erogati da istituzioni, enti e società.
      2. Una quota non inferiore al 10 per cento del Fondo per le politiche della famiglia, di cui all'articolo 19, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223,

convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, è destinata al finanziamento di intese o convenzioni, da stipulare tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e le istituzioni, gli enti e le società di cui al comma 1 del presente articolo.
      3. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite le modalità di rilascio e le condizioni di utilizzo della Carta, nonché la tipologia di servizi e di prestazioni ammessi all'agevolazione.
Art. 8.
(Assegni per i nuclei familiari con figli maggiorenni).

      1. All'articolo 1, comma 11, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, la lettera d) è sostituita dalla seguente:

          «d) nel caso di nuclei familiari con tre o più figli o equiparati, ai fini della determinazione dell'assegno i figli di età superiore a diciotto anni iscritti all'ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado ovvero a corsi universitari sono assimilati ai figli minori, limitatamente al periodo di durata legale dei corsi medesimi».

Art. 9.
(Rifinanziamento del Fondo nazionale per gli asili nido).

      1. Al fine di promuovere e sostenere la realizzazione su tutto il territorio nazionale di almeno 3.000 nuovi asili nido entro l'anno 2015, in attuazione dell'obiettivo comune della copertura territoriale del 33 per cento fissato dal Consiglio europeo di Lisbona del 23-24 marzo 2000, il Fondo di cui all'articolo 1, comma 1259, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, è incrementato nella misura

di 100 milioni di euro per l'anno 2013 e di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016.
      2. Le maggiori risorse di cui al comma 1 sono destinate al cofinanziamento degli investimenti promossi dalle amministrazioni locali per la costruzione ovvero per la riqualificazione di strutture destinate ad asili nido, individuate con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, adottato, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
Capo IV
INCENTIVI ALLA PARTECIPAZIONE AL LAVORO DELLE DONNE E ALLA CONCILIAZIONE FAMILIARE
Art. 10.
(Misure di incentivazione e di sostegno della flessibilità oraria e del part-time).

      1. Al fine di promuovere il ricorso al lavoro a tempo parziale su base volontaria, in funzione di sostegno alla compatibilità dei tempi di vita e di lavoro, all'articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al comma 1, dopo la lettera a) è inserita la seguente:

          «a-bis) progetti che consentano la trasformazione, reversibile e su base volontaria, del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale, su richiesta delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri, anche adottivi o affidatari, con figli fino a dodici anni di età ovvero fino a quindici anni, in caso di affidamento o di adozione»;

          b) dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:
      «1-bis. I contributi di cui al comma 1 sono assegnati con priorità alle imprese

ubicate nelle aree del territorio nazionale a più basso tasso di occupazione femminile».

      2. Al capo III della legge 8 marzo 2000, n. 53, e successive modificazioni, dopo l'articolo 9, come da ultimo modificato dal comma 1 del presente articolo, è aggiunto il seguente:
      «Art. 9-bis. – (Part-time incentivato per le lavoratrici madri). – 1. Le lavoratrici dipendenti che hanno diritto al congedo parentale ai sensi dell'articolo 32 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, possono richiedere al datore di lavoro, in alternativa al ricorso a tale istituto, la trasformazione reversibile del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale in misura non superiore al 50 per cento, per un periodo massimo di sei anni.
      2. A seguito dell'esercizio della facoltà di cui al comma 1, i datori di lavoro sono esonerati, per tutta la durata del rapporto a tempo parziale, dall'obbligo del versamento dei contributi alle forme di assicurazione generale obbligatoria. I medesimi datori di lavoro sono tenuti a corrispondere alle lavoratrici, a titolo di integrazione della retribuzione, una percentuale non inferiore a un terzo dei contributi ammessi all'esonero.

          3. I periodi di attività lavorativa a tempo parziale di cui al comma 1 del presente articolo sono coperti da contribuzione figurativa utile ai fini della maturazione del diritto e del calcolo della misura delle prestazioni previdenziali, secondo le disposizioni di cui all'articolo 8 della legge 23 aprile 1981, n. 155.
      4. Per ogni anno o frazione di anno di attività lavorativa a tempo parziale prestata ai sensi del comma 1, l'età per l'accesso al pensionamento di vecchiaia a carico dell'assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti è elevata di un anno, fino al raggiungimento dell'età massima di sessantacinque anni.
      5. L'ammissione all'esonero di cui al comma 2 del presente articolo è alternativa all'ammissione ai contributi per il sostegno alle azioni positive di cui all'articolo 9».

Art. 11.
(Nuove norme in materia di trattamento economico e normativo dei periodi di congedo parentale).

      1. L'articolo 34 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, è sostituito dal seguente:
      «Art. 34. – (Trattamento economico e normativo dei congedi parentali). – 1. Per i periodi di congedo parentale di cui all'articolo 32, alle lavoratrici e ai lavoratori è dovuta fino al terzo anno di vita del bambino un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di dodici mesi. L'indennità è calcolata secondo quanto previsto all'articolo 23, ad esclusione del comma 2 dello stesso.
      2. Nel caso in cui le risorse economiche del nucleo familiare di appartenenza del bambino risultino pari o inferiori ai valori dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), di cui alla tabella 1 allegata al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, e successive modificazioni, come risultanti assumendo il valore 30.000 euro annui con riferimento a nuclei monoreddito con tre componenti, l'indennità di cui al comma 1 del presente articolo è pari al 70 per cento della retribuzione. Per nuclei familiari con diversa composizione, il requisito economico è riparametrato sulla base della scala di equivalenza di cui alla tabella 2 allegata al medesimo decreto legislativo n. 109 del 1998, e successive modificazioni, tenendo conto delle maggiorazioni ivi previste.
      3. L'indennità di cui ai commi 1 e 2 è corrisposta per tutto il periodo di prolungamento del congedo per la cura di minori disabili in situazione di gravità, ai sensi dell'articolo 33.
      4. Per i periodi di congedo parentale di cui all'articolo 32, ulteriori rispetto a quanto previsto ai commi 1 e 3 del presente articolo, è dovuta un'indennità pari al 50 per cento della retribuzione, a condizione

che ricorrano le condizioni di reddito di cui al comma 2.
      5. L'indennità per congedo parentale è corrisposta con le modalità di cui all'articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33, e successive modificazioni, e con gli stessi criteri previsti per l'erogazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie.
      6. I periodi di congedo parentale sono computati nell'anzianità di servizio a tutti gli effetti.
      7. Nel caso in cui ricorrano le condizioni di reddito di cui al comma 2, i periodi di congedo parentale sono considerati, ai fini della progressione nella carriera, come attività lavorativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari requisiti.
      8. Ai congedi parentali si applica quanto previsto all'articolo 22, commi 4, 6 e 7».
Art. 12.
(Incentivi ai datori di lavoro per l'assunzione di persone che avviano o che riprendono l'attività lavorativa dopo periodi dedicati alla cura della famiglia).

      1. Al fine di incentivare l'assunzione di persone di età superiore a quaranta anni, che avviano o che riprendono l'attività lavorativa dopo periodi dedicati alla cura della famiglia, gli oneri contributivi dovuti dal datore di lavoro che assume con contratto a tempo indeterminato un soggetto in possesso dei requisiti di cui al comma 2 sono integralmente fiscalizzati per un periodo di tre anni dalla data dell'assunzione.
      2. È ammesso all'incentivo di cui al comma 1 ciascun datore di lavoro che assume con contratto a tempo indeterminato una persona di età non inferiore a quaranta anni, in condizione di inoccupazione o disoccupazione da almeno due anni, che nello stesso periodo è stata impegnata in lavoro di cura in favore di:

          a) figli di età inferiore a dodici anni, anche adottivi o in affidamento;

          b) familiari disabili gravi, ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104;

          c) familiari non autosufficienti.

      3. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, di concerto con i Ministri del lavoro e delle politiche sociali, delle pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili e della salute, sono individuate le modalità di ammissione al beneficio di cui al presente articolo.

Capo V
DELEGHE PER LA RIFORMA DEGLI ISTITUTI DI SOSTEGNO AL REDDITO DELLE FAMIGLIE CON FIGLI E PER LA PROMOZIONE DELL'AUTONOMIA FINANZIARIA DEI GIOVANI
Art. 13.
(Delega al Governo per il potenziamento e per la razionalizzazione degli istituti di sostegno al reddito delle famiglie con figli).

      1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante disposizioni volte a potenziare e a razionalizzare gli istituti di sostegno al reddito delle famiglie con figli.
      2. Il Governo, nell'esercizio della delega di cui al comma 1, si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) prevedere, sulla base di una complessiva ricognizione di tutti gli istituti di sostegno diretto e indiretto al reddito, a vario titolo riconosciuti ai nuclei familiari, con particolare riguardo alla composizione e all'estensione della platea dei beneficiari, nonché alle condizioni di accesso a ciascun istituto e ai rispettivi costi, la razionalizzazione e la progressiva sostituzione degli stessi con forme di sostegno diretto

e universalistico al reddito delle famiglie, attivabili sulla base di nuovi e omogenei criteri di assegnazione, che tengano conto della condizione reddituale, dell'ampiezza e della composizione del nucleo familiare;

          b) in particolare, per la finalità di cui alla lettera a), prevedere l'istituzione di un «assegno di nascita», da erogare mensilmente in misura fissa a ciascun nucleo familiare a decorrere dal quarto mese di gravidanza fino al terzo mese di vita del bambino;

          c) al fine di limitare l'insorgenza di situazioni di incapienza nell'accesso alle agevolazioni fiscali per i carichi familiari, prevedere una ridefinizione della disciplina delle detrazioni prevista dall'articolo 13 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, orientata a ridurre progressivamente il ricorso a tale istituto e a potenziare corrispondentemente il ricorso alle forme di cui alla lettera a) del presente comma;

          d) disporre una complessiva revisione della disciplina dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, come da ultimo modificato dall'articolo 5 della presente legge, orientata a massimizzare l'efficienza, l'equità e la trasparenza nella valutazione delle condizioni sociali e reddituali rilevanti ai fini del riconoscimento dell'assegno per il nucleo familiare, rendendo a tale fine pienamente accessibile e agevole anche l'autovalutazione di tali condizioni da parte dei soggetti interessati;

          e) prevedere, nell'ambito della revisione della disciplina dell'ISEE di cui alla lettera d), meccanismi di adeguamento automatico delle tabelle di equivalenza, orientati a recuperare la perdita del potere di acquisto delle famiglie;

          f) con riferimento alla base imponibile delle addizionali comunali e regionali all'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), introdurre soglie di esenzione da applicare ai contribuenti in relazione

al possesso di specifici requisiti reddituali e alla dimensione e natura del nucleo familiare, con priorità per i nuclei familiari con due o più figli;

          g) al fine di incentivare la partecipazione al lavoro delle donne, prevedere che per ciascun nucleo familiare l'ammissione alle detrazioni fiscali per le spese relative agli addetti ai servizi di assistenza e cura dei figli minori ovvero alla frequenza di asilo nido sia alternativa al ricorso all'istituto del congedo parentale;

          h) prevedere adeguate forme di collegamento tra l'ammissione all'assegno per il nucleo familiare, da parte di nuclei familiari con figli minori, e la garanzia di ottemperanza alle disposizioni vigenti in materia di obbligo scolastico e di lavoro minorile.

Art. 14.
(Delega al Governo per l'istituzione
del «conto personale di cittadinanza»).

      1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante l'istituzione del «conto personale di cittadinanza», quale strumento di risparmio agevolato per le famiglie e di sostegno all'autonomia finanziaria dei giovani.
      2. Il Governo, nell'esercizio della delega di cui al comma 1, si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) prevedere che a ciascun nuovo nato sia riconosciuta la titolarità di un «conto personale di cittadinanza», di seguito denominato «conto», istituito presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e finalizzato al sostegno economico per la cura, l'assistenza e la formazione del nuovo nato, nonché alla promozione della sua autonomia;

          b) prevedere che il conto possa essere alimentato, fino al compimento del venticinquesimo anno di età del titolare, attraverso le seguenti fonti di finanziamento

segnalate con distinta evidenza contabile in sede di emissione dell'estratto conto:

              1) l'accreditamento degli importi erogati dallo Stato a titolo di prestito a condizioni agevolate, rimborsabile con rateazione a lungo termine, per specifiche finalità di istruzione o di formazione professionale del titolare del conto;

              2) i versamenti, occasionali o periodici, da parte di familiari, tutori o affidatari, nonché di altri soggetti privati a tal fine espressamente autorizzati dagli esercenti la potestà sul minore;

              3) la contribuzione statale o regionale integrativa, in relazione a particolari condizioni sociali ed economiche del titolare del conto, ovvero per specifiche finalità di impiego del contributo;

              4) l'accreditamento di borse o assegni di studio riconosciuti al titolare del conto da istituzioni pubbliche e private, nonché dei contributi pubblici a vario titolo erogati per la tutela del diritto allo studio;

          c) prevedere che agli importi versati sul conto si applichi un tasso annuo di rivalutazione, annualmente individuato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, almeno pari al rendimento annuo dei titoli di credito a medio-lungo termine emessi dal Tesoro;

          d) prevedere che possano avere accesso al conto:

              1) fino al raggiungimento della maggiore età del titolare, i genitori, tutori o affidatari del minore: in tal caso i prelievi eccedenti la quota di risorse derivante da contribuzione pubblica sono condizionati a documentate esigenze di concorso alle spese di sostentamento, cura, assistenza, istruzione e formazione del titolare del conto;

              2) il titolare del conto, a decorrere dal raggiungimento della maggiore età, per documentate esigenze di istruzione o di formazione professionale, ovvero per l'avvio di attività professionali e imprenditoriali.

Capo VI
DISPOSIZIONI FINANZIARIE
Art. 15.
(Copertura finanziaria).

      1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge si provvede, nel limite di 2.500 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013, mediante corrispondente riduzione del fondo speciale di parte corrente, iscritto, ai fini del bilancio triennale 2013-2015, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2013.
      2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.