• C. 3789 EPUB Proposta di legge presentata il 28 aprile 2016

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Atto a cui si riferisce:
C.3789 Modifica all'articolo 5 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261, in materia di sequestrabilità e pignorabilità dell'indennità mensile e della diaria spettanti ai membri del Parlamento


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
Testo senza riferimenti normativi
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 3789


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa del deputato CRISTIAN IANNUZZI
Modifica all'articolo 5 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261, in materia di sequestrabilità e pignorabilità dell'indennità mensile e della diaria spettanti ai membri del Parlamento
Presentata il 28 aprile 2016


      

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Onorevoli Colleghi! – Il trattamento economico dei parlamentari è una questione che ha sempre suscitato accese discussioni, sia a livello politico, sia nell'opinione pubblica, e i mass-media, oltre a una recente pubblicistica sui costi della politica, nel denunciare vizi, sprechi e privilegi delle varie «caste» del potere pubblico esprimono forti critiche sulle cifre ritenute eccessive.
      L'articolo 69 della Costituzione, secondo il quale «I membri del Parlamento ricevono un'indennità stabilita dalla legge», è nato con l'intento di favorire l'accesso alla politica nazionale anche alle persone provenienti dai ceti meno abbienti, consentendo loro di svolgere la propria funzione senza condizionamenti economici in quanto, durante i cento anni in cui vigeva lo Statuto albertino, all'articolo 50 si disponeva che «Le funzioni di Senatore e di Deputato non danno luogo ad alcuna retribuzione od indennità» e di conseguenza il sistema favoriva la politica notabilare in un contesto a suffragio ristrettissimo.
      Oggi la dottrina prevalente ritiene che l'indennità parlamentare abbia ormai assunto una natura sostanzialmente-retributiva, alla luce dei seguenti elementi tratti dall'evoluzione legislativa e dall'esperienza quotidiana: a) sua totale sottoposizione a prelievo fiscale, eccezione fatta per la diaria essendo questa un rimborso spese; b) formazione di un sistema previdenziale, alimentato da una contribuzione obbligatoria, che dà luogo a prestazioni (assegno vitalizio e assegno di fine mandato) simili a quelle erogate nel pubblico impiego (pensione e liquidazione); c) collocamento in aspettativa senza assegni per i dipendenti pubblici, che possono scegliere fra la corresponsione dell'indennità parlamentare e il mantenimento dello stipendio goduto presso l'amministrazione di appartenenza; d) carattere di marcata professionalità assunto progressivamente dall'impegno parlamentare.
      Ciò tuttavia – precisa la medesima dottrina – non significa che i componenti le Camere siano inquadrabili fra i pubblici impiegati, in quanto per essi continua a sussistere con lo Stato un rapporto di servizio onorario desumibile dall'originalità delle funzioni svolte, dalla temporaneità dell'incarico e dal carattere elettivo del mandato.
      La giurisprudenza della Corte Costituzionale è oscillante.
      Nella sentenza n. 24 del 1968 (che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della legge della Regione siciliana approvata nella seduta del 23 giugno 1965 con la quale si voleva estendere ai deputati regionali lo stesso regime fiscale di esenzione tributaria allora vigente per i membri del Parlamento) si afferma che «In un regime democratico a larga base popolare e nell'ambito del quale il potere non è riservato ai ceti che si trovino in condizioni economiche di vantaggio, il legislatore ha l'obbligo di porre in essere tutte quelle condizioni che appaiono indispensabili per consentire anche ai non abbienti l'accesso alle cariche pubbliche nell'esercizio delle funzioni a queste connesse. In attuazione di questo indirizzo, che si ricava dal principio generale formulato nel secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione, sia la Costituzione (articolo 69) sia alcuni Statuti speciali espressamente assicurano ai membri del Parlamento ed ai componenti dei Consigli regionali la corresponsione di una indennità, demandandone alla legge la determinazione: sicché essa, almeno nella misura in cui non è destinata a coprire le spese, assume l'indubbio carattere di reddito».
      Nella sentenza n. 289 del 1994 (con la quale è stato eliminato il trattamento tributario privilegiato – consistente nell'abbattimento al 60 per cento della base imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) – riconosciuto dall'articolo 2, comma 6-bis, del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 aprile 1989, n. 154, a favore degli assegni vitalizi degli ex parlamentari e delle categorie equiparate) la Corte, per motivare la differenza esistente fra assegno vitalizio e pensione ordinaria, osserva che il primo «viene a collegarsi ad un'indennità di carica goduta in relazione all'esercizio di un mandato pubblico: indennità che, nei suoi presupposti e nelle sue finalità, ha sempre assunto, nella disciplina costituzionale e ordinaria, connotazioni distinte da quelle proprie della retribuzione connessa al rapporto di pubblico impiego».
      Nella sentenza n. 245 del 1995 (che ha fatto venire meno il divieto di sequestro e di pignoramento dell'indennità dei deputati dell'Assemblea regionale siciliana derivante dal richiamo all'articolo 5 della legge n. 1261 del 1965 operato dalla legge regionale n. 44 del 1965) si rileva che nelle indennità di carica «è certo presente una funzione retributiva, insieme con le ulteriori connotazioni che si riconnettono al libero svolgimento del mandato elettivo».
      Nella sentenza n. 52 del 1997 (che, con riferimento all'allora vigente articolo 3, secondo comma, della legge n. 816 del 1985, come recepito nella Regione siciliana dall'articolo 1 della legge regionale n. 31 del 1986, ha riconosciuto legittimo il divieto di raddoppio dell'indennità di carica di sindaco, a prescindere dalla dimensione abitativa del comune, nel caso in cui l'eletto, essendo dipendente dello stesso comune, debba necessariamente essere collocato in aspettativa senza assegni, al fine di rimuovere la causa di ineleggibilità, senza la possibilità di permanere in servizio e di percepire la relativa retribuzione come invece avviene per gli altri pubblici dipendenti), la Consulta ha avuto modo di affermare, richiamando la sentenza n. 289 del 1994, che tale tipo di indennità è «regolata dal legislatore stesso con criteri del tutto peculiari che, nell'escludere qualsiasi assimilazione alla retribuzione connessa al rapporto di pubblico impiego (...) e qualsiasi riferimento, quanto alla commisurazione, al trattamento concretamente fruito in precedenza come stipendio, (...) portano a configurare la stessa come un ristoro forfettario per le funzioni svolte».
      La Suprema Corte di cassazione (sentenza sezione III civile n. 13445 del 2004) si schiera invece, senza tentennamenti, per il carattere retributivo dell'indennità, pronunciandosi così: «Non occorre un lungo discorso per ricordare che l'indennità corrisposta ai membri del Parlamento (pubblici funzionari elettivi i quali effettuano le loro prestazioni a titolo oneroso) ha funzione di corrispettivo, volto a garantire la loro indipendenza economica e a metterli in condizione di provvedere anche e in primo luogo alle necessità personali e familiari, come qualsiasi altra retribuzione continuativa; con la conseguenza che almeno nella parte in cui non è destinata a coprire le spese, detta indennità assume l'indubbio carattere di reddito lavorativo».
      In conclusione, attenendosi ai dati concreti, emergono due fattori: 1) che le spese connesse all'esercizio del mandato sono ormai coperte dalle varie voci di rimborso introdotte nel tempo da deliberazioni degli organi interni delle Camere; 2) che l'attività parlamentare è divenuta così impegnativa e complessata da assorbire pressoché interamente le energie psico-fisiche dell'eletto: in questa situazione l'indennità si presenta, quindi, come l'unica e principale forma di sostentamento del parlamentare e dei suoi familiari ponendosi come provento di un lavoro svolto a tempo pieno e quindi ha ormai assunto una natura sostanzialmente retributiva. E, nel rispetto del principio di uguaglianza, sancito dall'articolo 3 della Costituzione, è arrivato il momento che l'indennità e la diaria dei parlamentari, come quelli di qualsiasi altro lavoratore italiano, possano essere pignorate da eventuali creditori o sequestrate.
      L'articolo 1 della proposta di legge, abrogando il quarto comma dell'articolo 5 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261, consente che l'indennità mensile e la diaria dei parlamentari possano essere sequestrate o pignorate.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.

      1. Il quarto comma dell'articolo 5 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261, è abrogato. Si applicano le disposizioni dell'articolo 545 del codice di procedura civile.