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Atto a cui si riferisce:
C.1/01290    premesso che:     le sindromi dementigene e in particolare la malattia di Alzheimer, la più frequente e diffusa tra tutte le forme di demenza, sono caratterizzate da un...



Atto Camera

Mozione 1-01290presentato daVARGIU Pierpaolotesto diMercoledì 25 maggio 2016, seduta n. 631

   La Camera,
   premesso che:
    le sindromi dementigene e in particolare la malattia di Alzheimer, la più frequente e diffusa tra tutte le forme di demenza, sono caratterizzate da un progressivo deterioramento cognitivo che conduce in pochi anni al complessivo declino delle funzioni fondamentali dell'individuo: memoria, pensiero, ragionamento, linguaggio, orientamento spazio/tempo, personalità, controllo comportamentale ed emozionale;
    la ricerca scientifica non ha sino ad oggi individuato l'eziopatogenesi della maggior parte delle demenze degenerative, né trattamenti che ne consentano la guarigione; le moderne terapie farmacologiche si limitano infatti a benefici sintomatici e ad un rallentamento della velocità di progressione;
    numerosi sono i fattori di rischio (età, sesso, alimentazione, stili di vita, co-morbilità, genetica, traumi cranici, sindrome di Down) e i percorsi fisiologici (infiammazione, insulino-resistenza, cascata amiloide, proteina tau) che concorrono alla comparsa del quadro sintomatologico e neuropatologico della demenza di Alzheimer ed è probabile che un intervento farmacologico precocissimo abbinato al contemporaneo intervento su multipli fattori di rischio possa dimostrarsi efficace per posticipare l'età di insorgenza della patologia o – quanto meno – per rallentarne significativamente l'evolutività, aprendo nuove prospettive sulla sua gestione;
    poiché la malattia di Alzheimer e le altre sindromi dementigene sono «patologie età correlate», la rapida trasformazione demografica in corso in Europa e, in particolare, nel nostro Paese, caratterizzata dal progressivo aumento delle fasce di età più avanzate, è alla base della drammatica esplosione dei numeri correlati alla incidenza e alla prevalenza della malattia;
    su una popolazione globale di oltre 7,5 miliardi, attualmente vivono 900 milioni di persone over 60 che, entro il 2050, cresceranno del 56 per cento nei Paesi ad alto reddito, con un ritmo di circa 3-4 mesi l'anno. L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e l’Alzheimer's Disease International (ADI) hanno esortato i Governi nazionali a considerare la malattia di Alzheimer come «priorità mondiale di salute pubblica», invitandoli ad affrontarne l'impatto come una «minaccia crescente per la salute globale» (rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità, ADI, Ginevra 11 aprile 2012; OCSE, Health at a Glance 2015);
    con 82,4 anni di media, l'aspettativa di vita in Italia risulta al quarto posto tra i 34 paesi più avanzati e al secondo nell'Unione europea; sebbene, per la prima volta negli ultimi 10 anni, essa sia arretrata di 0,2 punti (dal 2014 al 2015 è passata da 80,3 a 80,1 per gli uomini e da 85 a 84,7 anni per le donne). Presentano una maggiore longevità rispetto all'Italia solo la popolazione del Giappone con 83,4 anni, della Spagna con 83,2 anni e della Svizzera con 82,9 anni (Istat, Report Indicatori Demografici del 19 febbraio 2016);
    l'incidenza della demenza cresce esponenzialmente con l'avanzare dell'età e raddoppia progressivamente ogni 6,3 anni, passando da 3,9 casi all'anno ogni 1000 persone con età tra i 60 e i 64 anni, a 104,8 casi all'anno ogni 1000 persone dai 90 anni in su (ADI, World Alzheimer Report 2015 – The Global Impact of Dementia);
    gli individui che nel mondo convivono con una forma di demenza sono 46,8 milioni, cifra destinata quasi a raddoppiare ogni 20 anni, raggiungendo 74,7 milioni di persone nel 2013 e 131,5 milioni nel 2050. Su scala mondiale, si registrano oltre 9,9 milioni di nuovi casi all'anno (un nuovo caso ogni 3,2 secondi), di cui il 25 per cento del totale (pari a 2,5 milioni) solo in Europa, area dove la prevalenza della demenza nella popolazione over 60 è del 4,6 per cento (ADI 2015, World Alzheimer Report 2015);
    tra il 1o gennaio 2015 e il 1o gennaio 2016 gli over 65 residenti in Italia sono passati da 13,2 a 13,4 milioni in termini assoluti (dal 21,7 per cento al 22 per cento in termini relativi). Scende invece a 39 milioni la popolazione in età attiva (15-64 anni) che oggi rappresenta il 64,3 per cento del totale, contro il 64,5 per cento. Decresce anche dello 0,1 (dal 13,8 al 13,7) anche la quota di giovani fino a 14 anni di età rispetto al totale della popolazione, in parte frutto della comparsa sulla scena della «piramide per età» della più piccola generazione di neonati che si sia mai rilevata nella storia nazionale (OCSE, Health at a Glance 2015);
    al 1o gennaio 2016 l'età media nazionale è di 44,6 anni; l'indice di dipendenza medio degli anziani – dato dal rapporto percentuale tra la popolazione over 65 anni e la popolazione in età attiva (15-64 anni) – è del 34,2; l'indice di vecchiaia – dato dal rapporto percentuale tra la popolazione over 65 anni e la popolazione under 14 anni – è di 161,1;
    molto variegata è la distribuzione geografica dell'invecchiamento. La Liguria si conferma la regione con l'età media più alta (48,5 anni) e con la più alta presenza di individui over 65 anni (28,2 per cento contro il 22 per cento della media nazionale). A forte invecchiamento sono anche il Friuli-Venezia Giulia (46,9 anni di età media con un 25,4 per cento di ultra 65enni) e la Toscana (46,5 e 24,9 per cento). In Campania si registra l'età media più bassa (41,7 anni) e la quota di over 65enni è pari al 17,9 per cento. Un caso a parte è rappresentato dalle Isole che fotografano una situazione significativamente diversa tra le realtà della Sardegna e della Sicilia con il 22,1 per cento di ultrasessantacinquenni sardi (contro il 20,2 per cento siciliani), una media di 45,7 anni dei sardi (contro i 43,1); un indice di dipendenza degli anziani del 33,4 per cento (contro il 30,8 per cento); un indice di vecchiaia del 187,7 per cento (contro il 141 per cento) (Report Istat, Indicatori demografici 2016);
    alla luce dell'attuale andamento demografico e del conseguente invecchiamento della popolazione italiana, si comprende come l'insieme delle sindromi dementigene rappresenti un fenomeno destinato ad esplodere, tanto da essere considerato una sorta di «incombente epidemia». Secondo le stime Istat, infatti, in Italia le persone affette da malattia di Alzheimer o da altre forme di demenza sono circa 600 mila: il 9,3 per mille della popolazione totale, quasi il doppio rispetto al 4,8 per mille del 2005 con un'incidenza maggiore tra le donne (13 per mille a fronte di un 5 per mille, degli uomini). Applicando il trend del +43 per cento previsto per i paesi G7 (Canada, Francia, Germania, Regno Unito, Italia, Giappone e USA), nel 2030 le persone con demenza nel nostro Paese supereranno le 800 mila unità, con un ritmo di crescita di 39 nuovi casi al giorno. (ISTAT, 2015: Le dimensioni della salute in Italia);
    nell'arco di otto anni (2005-2013), l'analisi dei tassi standardizzati evidenzia che nel nostro Paese l'incidenza della malattia di Alzheimer e delle altre forme di demenza rispetto ad altre patologie è cresciuta del 50 per cento: il terzo maggiore incremento dietro a tumore maligno (+60 per cento) e malattie della tiroide (+51,5 per cento). (ISTAT, 2015: Le dimensioni della salute in Italia);
    l'incidenza totale delle sindromi dementigene rispetto al totale della popolazione italiana è cresciuta quindi in otto anni di 4,5 punti. La media di 9,3 casi su 1000 osservata nel 2013 presenta tuttavia, come per la distribuzione geografica dell'invecchiamento, significative variazioni a livello locale. Le incidenze massime sono quelle di Marche (14,2 casi su mille), Umbria (12,6 casi su mille), Emilia Romagna (12,1 casi su mille), Toscana e Abruzzo (entrambe con 11,5 casi su mille). Le incidenze minime sono quelle delle province di Bolzano e Trento (4,4 e 5,5 casi su mille) e del Piemonte e Veneto (entrambe con 8,0 casi su mille). La restanti regioni si attestano su valori intermedi. A compendio delle considerazioni epidemiologiche suesposte, va rilevato come sia del tutto probabile che le attuali discrepanze, tra le regioni siano legate anche alla diversa sensibilità di rilevazione della patologia;
    su circa 600 mila persone affette da demenza, ben 583 mila sono ultrasessantacinquenni (il 971 per mille del totale dei malati). In particolare, l'incidenza delle persone over 65 affette da patologie dementigene è in media nazionale di 42,8 unità su mille persone della stessa classe di età. Anche in questo caso, si registrano valori significativamente diversi nelle varie aree del paese: si supera infatti la media nazionale nelle Isole (51,0), nel Sud (50,2) e al Centro (46,0), mentre al Nord-est e Nord Ovest i valori sono al di sotto della media (41,5 e 33,0). (Istat 2014, Condizioni di salute, fattori di rischio e prevenzione);
    negli ultimi 16 anni risulta evidente l'innalzamento progressivo sia dell'età media delle persone affette da demenza senile (73,6 anni nel 1999, 77,8 nel 2006 e 78,8 nel 2015) che quella dei caregiver (53,3 anni nel 1999, 54,8 nel 2006 e 59,2 nel 2015). I figli rimangono ancora i caregiver prevalenti, ma aumentano molto i partner (25,2 per cento nel 2006 contro il 37,0 per cento nel 2015), ciò soprattutto se il malato è di genere maschile;
    quest'ultimo dato consente di spiegare anche l'aumento della quota di malati che vive a casa propria: insieme con il coniuge (22,9 per cento nel 2006 e 34,3 per cento nel 2015) e con la badante (dal 12,7 per cento al 17,7 per cento) (CENSIS, «L'impatto economico e sociale della malattia di Alzheimer: rifare il punto dopo 16 anni. Anno 2016);
    nonostante la copiosità dei dati, delle cifre, delle percentuali e delle tendenze esposti, la prevalenza di qualsiasi malattia dipende sia dal suo tasso di incidenza che dalla durata della malattia stessa. I cambiamenti riguardanti uno o entrambi questi fattori possono alterare il tasso di prevalenza relativamente alle fasce di età. La notevole variabilità dell'andamento secolare dell'Alzheimer e delle altre forme di demenza senile riflette in modo incisivo anche i progressi fatti nell'ambito della sanità pubblica, in termini di accesso alte cure sanitarie e di rafforzamento dei sistemi e servizi sanitari finalizzati a identificare, curare e controllare questo tipo di sindromi;
    sebbene in Italia risulti migliorata la percezione e la consapevolezza della malattia e sia diminuito il tempo medio per avviare un percorso diagnostico (da 2,5 anni nel 1999 a 1,8 anni nel 2015) esso rimane ancora elevato. I motivi di tale ritardo dipendono in primo luogo dal fatto che i caregiver sono costretti a rivolgersi a diversi specialisti prima di ottenere la diagnosi ed in secondo luogo dalla sottovalutazione dei sintomi della malattia, spesso ricondotti all'invecchiamento ovvero alla depressione. Il primo interlocutore dei caregiver rimane ancora il medico di medicina generale (47,2 per cento), seguito dallo specialista pubblico (33,1 per cento) e dallo specialista privato (13,6 per cento); solo il 6,1 per cento si rivolge immediatamente alle unità valutative Alzheimer – UVA. (CENSIS, «L'impatto economico e sociale della malattia di Alzheimer: rifare il punto dopo 16 anni». Anno 2016);
    l'assistenza alle persone affette dal morbo di Alzheimer e da altre forme di demenza senile è inclusa nei livelli essenziali di assistenza (LEA) sia attraverso l'erogazione delle prestazioni di assistenza domiciliare integrata, sia attraverso i trattamenti in regime residenziale e semiresidenziale. Con riguardo alle tutele sanitarie a favore dei pazienti, il morbo di Alzheimer è una malattia inclusa nell'elenco delle malattie croniche e invalidanti che danno diritto all'esenzione dal ticket per le prestazioni sanitarie correlate, di tipo sia riabilitativo sia strumentale;
    il panorama dei trattamenti farmacologici disponibili per i malati di Alzheimer ha conosciuto negli ultimi 15 anni progressi significativi, innanzi tutto con il passaggio dalla non disponibilità gratuita degli inibitori dell'acetilcolinesterasi (rivastigmina, donepezil e galantamina) alla loro rimborsabilità, secondo quanto previsto in prima istanza dal Progetto Cronos. La gratuità della somministrazione di tali farmaci, sulla base della Nota 85 dell'AIFA, nel 2009 è stata estesa anche alla memantina, farmaco indicato per gli stadi più gravi della patologia. Tuttavia, nonostante la loro gratuità, negli ultimi anni si è registrata una riduzione della percentuale di malati che fanno ricorso a questi medicinali specifici, passata dal 59,9 per cento del 2006 al 56,1 per cento del 2015; viceversa, si presenta in aumento la quota di malati di Alzheimer che utilizza farmaci per disturbi del comportamento (agitazione psico-motoria e nervosismo, allucinazioni, deliri, stati depressione, ansia, agitazione, disturbi del sonno, e altro), passata dal 62,8 per cento del 2006 al 69,8 per cento del 2015;
    il Piano nazionale demenze – PND approvato il 30 ottobre 2014 dalla Conferenza Unificata tra il Governo, le regioni e le province autonome, individua nel modello della gestione integrata l'approccio più indicato per assistere le persone con patologie dementigene ed indica quale obiettivo strategico per gli anni a venire una maggiore razionalizzazione dell'offerta e il ricorso a metodologie di lavoro basate sull'appropriatezza delle prestazioni per elevare la capacità del Servizio sanitario nazionale;
    nell'ambito degli obiettivi del PND e del sistema regolatorio ECN emerge, anche alla luce dell'importanza della prevenzione, della diagnosi tempestiva, del trattamento e assistenza di forme ad esordio precoce della malattia di Alzheimer, la necessità di intensificare nei prossimi tre anni gli eventi formativi e di e-learning accreditati degli operatori sanitari, nonché di sollecitare la Commissione nazionale per la formazione continua in medicina insediatasi il 9 dicembre 2015 a riservare a questo particolare aspetto una maggiore attenzione;
    la circostanza che non siano disponibili dati ufficiali ed aggiornati sull'epidemiologia del morbo di Alzheimer ha ingenerato una potenziale carenza di informazioni, soprattutto riferite alla differente incidenza territoriale della patologia, che non ha giovato e non giova ad una qualità e un'efficacia uniforme dell'offerta di prestazioni erogate da ciascuna regione (conclusioni del 9o convegno ISS: «Il contributo dei centri per i disturbi cognitivi e le demenze nella gestione integrata dei pazienti» – 13 novembre 2015);
    il PND dovrà tenere conto che le evidenze dimostrano il permanere di significative disomogeneità regionali nell'erogazione e nel monitoraggio dei servizi socio-sanitari e dell'esistenza di rilevanti argini per una migliore strutturazione sul territorio della rete di servizi e iniziative post-diagnostiche. Alcune aree, concentrate soprattutto nel Sud e nelle Isole, non dispongono infatti di un adeguato numero di unità specialistiche di diagnosi e cura e di centri di neuropsicologia e psicoterapia – CNP in grado di assicurare una piena ed omogenea presa in carico dei pazienti e un'adeguata attività di supporto ai caregiver;
    il caregiver gioca un ruolo centrale nella vita del malato perché rappresenta sia il soggetto responsabile della sua assistenza, che la figura costantemente impegnata nel fornire, giorno dopo giorno, il sostegno emotivo al proprio congiunto. Il caregiver dedica al malato di Alzheimer mediamente 4,4 ore di assistenza diretta e 10,8 ore di sorveglianza, anche a distanza. Il totale coinvolgimento dei caregiver investe anche il percorso sanitario e le scelte terapeutiche della persona affetta da demenza; da ciò deriva l'importanza di un punto di riferimento unico per il trattamento della malattia;
    appare accertato che negli ultimi 16 anni si sia ridotto il ricorso a tutti i servizi per l'assistenza e la cura dei malati di Alzheimer. Questo vale per l'assistenza domiciliare integrata e socio-assistenziale, per i centri diurni, per i ricoveri in ospedale e in strutture riabilitative e assistenziali. Tale ridimensionamento coinvolge anche gli accessi all'UVA (passati dal 66,8 per cento del 2006 al 56,6 per cento del 2015), pur confermando una evidente diversità tra il Nord e il Centro rispetto al Sud e alle Isole (il 60,0 per cento contro il 50,7 per cento) (CENSIS, «L'impatto economico e sociale della malattia di Alzheimer: rifare il punto dopo 16 anni». Anno 2016);
    decisamente più ampio è il ricorso all'assistenza privata fondata sul sostegno dei caregiver, costituito in prevalenza dai familiari e secondariamente dal personale pagato, sebbene la percentuale dei malati che possono contare sull'aiuto delle badanti si presenti lievemente più contenuto del passato (40,9 per cento del 2006 e 38,0 per cento del 2015) probabilmente per effetto del perdurare della recessione;
    circa il 16 per cento dei caregiver non riceve però alcun aiuto nelle attività di assistenza e cura del malato e solo in percentuali molto residuali può far riferimento ad altre tipologie di aiuti. Tale segmento è in assoluto il più critico, non solo perché rappresenta un punto di caduta del welfare, ma perché, sommato alla fragilità economica che contraddistingue questa fascia sociale, ingenera un senso di solitudine e di abbandono che spesso sfocia in drammatici gesti di disperazione;
    se il caregiver rappresenta il principale riferimento del malato affetto da demenza, la badante costituisce attualmente una figura chiave nell'assistenza al caregiver. La badante ha generalmente un'età media di 48 anni, nel 95,7 per cento dei casi è di genere femminile e nel 77,3 per cento è straniera. Al prezioso supporto della badante si fa ricorso principalmente utilizzando denaro del malato (anche se con un peso molto inferiore rispetto al passato: 82,3 per cento del 2006 contro il 58,1 per cento del 2015), controbilanciato da un più ampio ricorso all'indennità di accompagnamento e al denaro dei figli o del coniuge. Nei prossimi anni, il verosimile miglioramento delle condizioni economiche e sociali dei Paesi di attuale provenienza delle badanti potrebbe introdurre nuovi elementi di debolezza nella strutturazione di questa tipologia assistenziale (CENSIS, «L'impatto economico e sociale della malattia di Alzheimer: rifare il punto dopo 16 anni.» Anno 2016);
    attualmente, il costo medio annuo per paziente affetto da Alzheimer è stimato in circa 70.587 euro (comprensivo sia dei costi familiari che di quelli a carico del Servizio sanitario nazionale e della collettività), di cui circa 19 mila euro (27 per cento) afferisce ai costi diretti e circa 51.600 (73 per cento) ai costi indiretti (CENSIS 2016, «L'impatto economico e sociale della malattia di Alzheimer: rifare il punto dopo 16 anni»);
    tra i costi diretti, emerge che la quota più significativa (60,1 per cento) è rappresentata da quelli legati all'assistenza informale che è totalmente a carico delle famiglie. Le spese sanitarie legate agli accessi all'UVA e ai ricoveri in strutture ospedaliere (totalmente a carico del Servizio sanitario nazionale) rappresentano il 5,1 per cento del totale, mentre le spese per l'accesso ai servizi socio-sanitari costituiscono il 19,1 per cento e sono articolate con quote più consistenti (70 per cento e oltre) a carico del Servizio sanitario nazionale per l'assistenza formale e i centri diurni e un carico equamente ripartito tra Servizio sanitario nazionale e famiglie per i ricoveri in strutture socio-sanitarie e assistenziali come le residenze sanitarie assistenziali (RSA). Le spese per le attività ambulatoriali, come visite, analisi e attrezzature e ausili sanitari rappresentano il 7,7 per cento del totale dei costi diretti e risultano principalmente a carico del Servizio sanitario nazionale (78,3 per cento); le spese per i farmaci (3,9 per cento del totale dei costi diretti) vanno distinte tra quelle relative a farmaci specifici per l'Alzheimer, che ricadono principalmente sul Servizio sanitario nazionale, e quelle per farmaci non specifici la cui spesa appare quasi ripartita tra famiglie e Servizio sanitario nazionale. Infine, ci sono gli esborsi per le modifiche dell'abitazione, costi sostanzialmente a carico delle famiglie e che rappresentano il 3,1 per cento dei costi diretti;
    i costi indiretti sono per definizione a carico della collettività e, come detto, rappresentano la quota più consistente, si tratta di costi stimati monetizzando gli oneri di assistenza che pesano sul caregiver a cui si aggiunge anche la piccola quota rappresentata dai mancati redditi di lavoro dei pazienti;
    la pressione dell'invecchiamento della popolazione, l'estrema diversificazione dei costi diretti e indiretti collegati alla malattia di Alzheimer e al suo lungo ed eterogeneo decorso confermano quanto oneroso risulti il costo globale delle patologie neurologiche degenerative sul Servizio sanitario nazionale, specie durante una fase recessiva che perdura da oltre otto anni e che ha visto il nostro Paese perdere circa 10 punti percentuali di prodotto interno lordo. Come è emerso dall'indagine conoscitiva sulle nuove esigenze del sistema sanitario e gli obiettivi di finanza pubblica, l'offerta di servizi di cura e assistenza dovrà pertanto essere continuamente adeguata per riuscire a soddisfare a pieno i «nuovi diritti alla salute» legati alle sindromi dementigene e per rivedere anche le forme di sostegno finanziario ai caregiver, integrando gli istituti regionali e locali – assegni di cura e contributi – con quelli nazionali – assegno di accompagnamento («La sfida della tutela della salute tra nuove esigenze del sistema sanitario e obiettivi di finanza pubblica», giugno 2014);
    in relazione agli andamenti demografici nazionali e alla necessità di sollevare il sistema Paese dal carico prevenibile di tali eventi morbosi e mortali, la prevenzione delle demenze è stata individuata tra le priorità di intervento ed i macro obiettivi del piano nazionale della prevenzione 2016-2018, approvato dalla Conferenza permanente Stato Regioni il 13 novembre 2014;
    le nuove linee guida europee in materia di sviluppo delle terapie per la malattia di Alzheimer e per le altre forme di demenza indicano quali elementi fondamentali del delicato terreno della prevenzione: la certezza della diagnosi, un modello che renda conto del tempo di progressione della malattia e la possibilità di misurare in modo affidabile i risultati di uno studio clinico (European Medicines Agency – EMA, 28 gennaio 2016);
    si rende pertanto necessario a livello nazionale potenziare la ricerca scientifica sia in riferimento alla ricerca corrente praticata dagli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico – IRCCS, che alla ricerca finalizzata affidata alle università, al Consiglio nazionale delle ricerche e ad altri enti di ricerca pubblica e privata;
    l'innovazione tecnologica sta configurando un'offerta di medical device sempre più ampia ed eterogenea in grado di fornire un'utilissima gamma di prodotti e servizi per la diagnosi, il trattamento, la stimolazione fisico-mentale dei pazienti con demenza ed il caregiving. Esiste un mercato emergente nel settore del safety e medical device di strumenti altamente specializzati mirati al profilo clinico della persona affetta da disabilità cognitiva, come ad esempio sensori non invasivi (scarpe ed orologi dotati di localizzatori GPS, Pocketfinder GPS Senior, Emergency/Medical Alert System e così via) oltre ad App da scaricare su smartphone e tablet. Questa tecnologia è volta a ritardare il più possibile la perdita dell'autosufficienza del malato, a mantenerlo in discrete condizioni di salute per il maggior tempo possibile e a facilitare il ruolo dei caregiver, contrastando ad esempio il tipico fenomeno di wandering (comportamento motorio aberrante o vagabondaggio) dei pazienti con demenza. In generale, educare i caregiver alla conoscenza e al ricorso sempre più frequente al safety e medical device dovrebbe essere considerato un successo etico, economico e sociale;
    a seguito dell'incremento esponenziale dei casi di Alzheimer e della conseguente necessità da parte dei caregiver di provvedere alla gestione economica quotidiana della persona affetta da demenza, la legge gennaio 2004, n. 6, ha introdotto e disciplinato la figura dell'amministratore di sostegno nominato dal giudice tutelare. Nonostante questa importante evoluzione normativa, permangono delle difficoltà burocratiche in ordine allo svolgimento del mandato degli amministratori di sostegno, soprattutto nel rapporto con gli istituti di credito che, nell'aprire un conto corrente specifico per l'amministratore di sostegno di un soggetto beneficiario, rifiutano ad esempio la concessione della carta bancomat, negano l'accesso al banking on line e consentono prelievi solo direttamente allo sportello e previo sblocco del conto con una nota giustificativa scritta sull'uso del denaro. Tale rigidità, di cui peraltro non si trova ragione nel dettato normativo, crea non pochi problemi nella gestione quotidiana di una relazione che già presenta le sue ovvie criticità, specie se si considera che le relazioni beneficiario-amministratore di sostegno sono generalmente basate su vincoli parentali e talvolta sulla totale assenza di patrimoni, laddove i movimenti economici sono relativi alla mera fruizione di sussidi e indennità utilizzate esclusivamente per il sostentamento del beneficiario;
    le complesse implicazioni sanitarie, sociali, economiche e giuridiche connesse con il morbo di Alzheimer, hanno indotto l'Organizzazione mondiale della sanità ad istituire nel 1994 la giornata mondiale dell'Alzheimer, la cui XXII edizione si è tenuta il 21 settembre 2015; questa giornata rappresenta in tutto il mondo un appuntamento annuale che mobilita tutti gli stakeholder (comunità scientifica, OCSE, OMS, pazienti, caregiver, istituzioni sanitarie, aziende farmaceutiche, agenzie regolatorie di tutto il mondo, payers, e altri) a concorrere all'informazione, al coinvolgimento e alla condivisione di progetti comuni,

impegna il Governo:

   a definire un percorso metodologico che porti al superamento delle attuali difficoltà di attuazione delle indicazioni contenute nel piano nazionale demenze e più in generale – del complesso delle attività finalizzate alla cura e all'assistenza della persona affetta da Alzheimer e da altre forme di demenza, attraverso iniziative per:
    a) l'accelerazione e il consolidamento del superamento della gestione del problema demenze, con il passaggio da un approccio oggi ancora parzialmente disorganico dal punto di vista diagnostico, assistenziale e riabilitativo al nuovo approccio di tipo integrato, che garantisca continuità assistenziale e una risposta adeguata ai diversi bisogni nelle diverse fasi della malattia e nei diversi setting sanitari, con particolare riferimento alle esigenze della persona affetta da demenza al pronto soccorso e in ospedale, ai PDTA specifici, alta gestione del delirium in ospedale, alle necessità di dialogo tra il medico di famiglia e il centro diagnostico, alla gestione dei disturbi del comportamento (prevedendo per i casi gravi le unità di cure specifiche ospedaliere sull'esempio dell'organizzazione modenese), agli interventi di riabilitazione cognitivo comportamentale (da realizzarsi non soltanto nei centri diurni integrati – comunque da potenziare – o nei moduli Alzheimer delle residenze sanitarie assistenziali, ma anche al domicilio del paziente, a carico del Servizio sanitario nazionale);
    b) il superamento delle significative disomogeneità regionali nell'accesso all'erogazione di tutti i servizi sanitari pubblici, con riferimento alle unità di valutazione dell'Alzheimer, ai centri di neuropsicologia e psicoterapia, ai servizi ambulatoriali medico-ospedalieri e alle Asl, al fine di offrire analoghi Lea sull'intero territorio nazionale;
    c) la tempestiva previsione di un sistema stabile ed aggiornato di monitoraggio epidemiologico del morbo di Alzheimer con una particolare attenzione alla differente incidenza territoriale della patologia che consenta di adottare iniziative omogenee nel Paese e di fornire diagnosi tempestive e terapie farmacologiche appropriate, fondamentali per il controllo della malattia stessa, come indicato anche dalle linee guida dell'EMA (Agenzia europea per i medicinali 2016);
    d) l'affiancamento attivo di tutte le regioni e province autonome perché si dotino di uno specifico piano regionale demenze, ancora assente in alcune regioni (come in Sardegna), coerente con i principi contenuti nel PND;
    e) il supporto attivo a tutte le Asl affinché redigano uno specifico piano aziendale dedicato alle sindromi dementigene, che declini con puntualità i servizi e le prestazioni garantiti per ogni fase della malattia;
    f) la diffusione di supporti dedicati ai caregiver formali e informali, basati sugli interventi psico-educazionali, sostegno psicologico, gruppi di mutuo aiuto, Caffè Alzheimer;
    g) la diffusione di un approccio al paziente basato sulla valutazione multidimensionale dei bisogni, con la scelta di percorsi terapeutici e riabilitativi personalizzati, ambiente proteico, e terapia riabilitativa cognitiva e comportamentale, anche nell'ottica di modificare t'attuale tendenza all'abuso della terapia farmacologica antipsicotica;
   ad assumere iniziative per inserire, nell'ambito del programma ECM (educazione continua in medicina), specifici obblighi formativi riferiti alla malattia di Alzheimer e alle altre forme di demenza per gli operatori della sanità che svolgono attività assistenziale riferita a tale patologia;
   ad adottare iniziative normative per favorire la semplificazione e la velocizzazione della gestione delle procedure burocratiche tra gli amministratori di sostegno (generalmente legati da rapporti parentali con il soggetto beneficiario) e gli istituti bancari, soprattutto per le situazioni di grave disagio economico e di assenza di patrimoni significativi;
   ad intervenire con specifiche iniziative volte ad implementare l'informatizzazione del procedimento amministrativo di riconoscimento dell'invalidità civile e dell'handicap sia nella fase relativa all'accertamento sanitario, che in quella relativa all'erogazione delle provvidenze economiche e al riconoscimento delle varie agevolazioni previste dalla normativa connesse all'invalidità;
   ad assumere iniziative per prevedere degli sgravi fiscali per l'acquisto ed il noleggio di medical device utili al caregiving e al miglioramento della qualità della vita della persona affetta da patologie dementigene, aumentandone e prolungandone l'autosufficienza e contenendone l'emarginazione sociale e lo stigma, cause della progressiva fine di ogni forma di vita relazionale nelle persone che ne sono affette ed elemento aggravante che precede e talvolta accelera la morte fisica;
   a promuovere idonee iniziative per intensificare gli studi e le analisi relativi alla malattia di Alzheimer e alle altre forme di demenza senile in termini di prevalenza, incidenza e mortalità e per incrementare lo sviluppo della ricerca scientifica (finalizzata e corrente) sempre in questo specifico settore attraverso la fissazione di una quota superiore al 25 per cento in relazione alle risorse finanziarie mobilitate per i bandi di progetti delle università, del CNR e di altri enti di ricerca pubblici e privati e di una quota superiore al 35 per cento in relazione ai progetti di ricerca corrente a cura degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico;
   a moltiplicare gli sforzi istituzionali per promuovere campagne di informazione e sensibilizzazione nella popolazione volte alla divulgazione della conoscenza dell'Alzheimer e delle altre forme di demenza senile, alla luce della circostanza che oggi oltre 9,3 italiani su 1000 ne sono colpiti e che tale cifra è destinata a raddoppiare nei prossimi vent'anni, configurandosi come una vera e propria incombente epidemia.
(1-01290) «Vargiu, Luciano Agostini, Arlotti, Baradello, Bechis, Capelli, Capezzone, Carloni, Carrescia, Causin, D'Ottavio, Distaso, Fauttilli, Fitzgerald Nissoli, Gadda, Gasparini, Iacono, Latronico, Librandi, Locatelli, Matarrese, Pastorelli, Porta, Quintarelli, Paolo Rossi, Vecchio, Venittelli, Calabrò».