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Atto a cui si riferisce:
C.1/01288    premesso che:     era il 19 giugno 2009 quando la signora Asia Bibi, pakistana di fede cattolica, madre di cinque figli, veniva arrestata dalla polizia nel suo villaggio...



Atto Camera

Mozione 1-01288presentato daROMANINI Giuseppetesto diMartedì 24 maggio 2016, seduta n. 630

   La Camera,
   premesso che:
    era il 19 giugno 2009 quando la signora Asia Bibi, pakistana di fede cattolica, madre di cinque figli, veniva arrestata dalla polizia nel suo villaggio di Ittanwali, nella provincia del Punjab, a seguito della denuncia di alcune altre donne di credo musulmano per blasfemia in conseguenza ad una presunta offesa al profeta Maometto durante un diverbio;
    l'11 novembre 2010, oltre un anno dopo dall'arresto, il giudice di Nankana Sahib ha emesso una prima sentenza nella quale veniva «totalmente» esclusa la possibilità di considerare che l'imputata fosse stata accusata ingiustamente e che «non esistono circostanze attenuanti» per la stessa. Nel 2013, per questioni di sicurezza, la donna è stata trasferita dal carcere di Sheikhuprura a quello femminile di Multan, rendendo sostanzialmente impossibili i contatti tra Asia Bibi e la famiglia a causa della maggiore distanza e dei costi aggiuntivi di viaggio;
    il 16 ottobre 2014, dopo quasi quattro anni dalla presentazione del ricorso avverso la sentenza di primo grado, l'Alta Corte di Lahore ha confermato la condanna alla pena capitale per Asia Bibi. Il 24 novembre 2014 l'imputata ha tuttavia presentato appello dinanzi alla Corte suprema che il 22 luglio 2015 si è pronunciata stabilendo la sospensione della pena capitale e rimandando il processo ad una prossima udienza di legittimità sul procedimento penale;
    il caso della donna condannata per blasfemia ha mobilitato la società civile e la comunità internazionale. Appelli per la sua liberazione sono stati lanciati anche da Papa Benedetto XVI e da Papa Francesco che, con molteplici moniti, hanno chiesto al Presidente del Pakistan di concedere la grazia ad Asia Bibi;
    anche in sede europea e proprio nel semestre di Presidenza italiana, circa un anno fa, il caso di Asia e la legge di blasfemia sono stati al centro di un dibattito che li citava come paradigmatici del mancato rispetto dello standard minimo dei diritti umani in Pakistan e una nota della Commissione ha criticato il fatto che nella legge di blasfemia la sanzione è sproporzionata rispetto alla natura del reato ed anche un numero considerevole dei casi si basi su false dichiarazioni;
    sta di fatto che Asia Bibi è in carcere da oltre 2.500 giorni e le prese di posizione e i proclami politici rischiano di rimanere «lettera morta» se non sono accompagnati da una effettiva azione sul terreno economico come, ad esempio, una riduzione del raggio di azione e del volume di affari nei rapporti commerciali del Pakistan con i Paesi occidentali e con la Unione europea in particolare;
    in Pakistan, in suo favore si è espressa la Commissione sulla condizione delle donne, costituita nel 2000 per rimuovere le discriminazioni sessuali, che ha chiesto la sua immediata liberazione, ma intorno al suo caso si è determinata un'aspra contesa tra l'estremismo islamico, capillarmente diffuso nel Paese, e una concezione più «liberale» delle leggi e dello Stato;
    nel suo Paese la mobilitazione per la liberazione di Asia Bibi e più in generale per la abolizione della legge sulla blasfemia è costata la vita nel gennaio del 2011 al governatore del Punjab, Salman Taseer, che aveva difeso la donna e si era pronunciato contro la legge, così come all'unico ministro cristiano del governo di Islamabad, Shahbaz Bhatti, anche lui assassinato dopo per aver chiesto una riforma della stessa legge, considerata universalmente la più retrograda dell'intero mondo arabo e musulmano;
    il reato contestato ad Asia Bibi, che è stato introdotto nel codice penale pakistano del 1986 (articolo 295C sulla blasfemia), prevede infatti la pena di morte per chi offende Allah, Maometto o il Corano ed è stata sovente lo strumento attraverso il quale gli estremisti hanno rivolto attacchi alle minoranze religiose e alle sette eretiche musulmane e rappresenta spesso un pretesto per fomentare faide familiari, dal momento che la maggior parte delle accuse di questo tipo risultano costruite ad arte;
    il Pakistan nel 1948 ha aderito alla dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e negli ultimi anni ha ratificato la gran parte dei principali strumenti internazionali in materia di diritti dell'uomo, tra cui il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (ICCPR) e la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, strumenti che comprendono numerose disposizioni riguardanti l'amministrazione della giustizia, il diritto a un processo equo, l'uguaglianza davanti alla legge e il divieto di discriminazione;
    sono purtroppo ancora molti i Paesi nel mondo, anche tra quelli che hanno formalmente ratificato la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, che non rispettano il principio della libertà religiosa e la tutela delle minoranze e non consentono lo svolgimento di processi giusti, equi ed imparziali;
    sulla base del rapporto biennale 2014 sulla libertà religiosa nel mondo, redatto dalla Fondazione pontificia «aiuto alla Chiesa che soffre», dei 196 Paesi analizzati, in ben 116 si registra una preoccupante limitazione alla libertà religiosa. Nel periodo preso in esame (ottobre 2012 – giugno 2014) sono stati rilevati cambiamenti in 61 Paesi, ma soltanto in sei di questi (Cuba, Emirati Arabi Uniti, Iran, Qatar, Taiwan e Zimbabwe) tali modificazioni hanno coinciso con un miglioramento della situazione, spesso tra l'altro principalmente in ragione di iniziative locali;
    il rapporto ha messo in evidenza il fatto che l'Asia è il continente nel quale la libertà religiosa è maggiormente violata e dove si riscontra un incremento del fondamentalismo non soltanto islamico, ma anche indù e buddista ai danni della minoranza cristiana. In Medio Oriente e in Africa le limitazioni alla libertà religiosa offrono terreno fertile all'estremismo e al terrorismo con un incremento dei casi di intolleranza. In America Latina gli ostacoli alla libertà religiosa sono quasi sempre causati dalle politiche di regimi apertamente laicisti o atei che limitano la libertà di tutti i gruppi, senza alcuna distinzione di credo,

impegna il Governo:

   a farsi parte attiva nei confronti della comunità internazionale affinché si propongano iniziative volte alla piena affermazione del principio della libertà religiosa, della tutela delle minoranze religiose e del contrasto ad ogni violazione indiscriminata e persecuzione;
   ad attivarsi, nelle sedi diplomatiche, affinché in tutti i Paesi del mondo, a partire da quelli che aderiscono alle Nazioni Unite e alla dichiarazione universale dei diritti dell'uomo vi sia una moratoria definitiva delle condanne inflitte in violazione dell'inalienabile principio della libertà religiosa;
   a promuovere, in particolare, ogni più opportuna iniziativa diplomatica ed in campo economico nei confronti del Pakistan affinché proceda all'abrogazione delle disposizioni contenute nel codice penale che prescrivono l'ergastolo obbligatorio (sezione 295B), o addirittura la pena di morte (sezione 295C), per presunti atti di blasfemia, e quindi alla scarcerazione di Asia Bibi.
(1-01288) «Romanini, Zampa, Patrizia Maestri, Giuseppe Guerini, Carocci, Crivellari, Ghizzoni, Malisani, Venittelli, La Marca, Galperti, Pagani, Oliverio, Borghi, Bonomo, Carra, Gadda, Luciano Agostini, Salvatore Piccolo, Terrosi, Bossa, Antezza, Patriarca, Montroni, D'Incecco, Lavagno, Gandolfi, Bergonzi, Prina, Carloni, Paolo Rossi, Rostellato, Preziosi, Albanella».