• Testo MOZIONE

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Atto a cui si riferisce:
S.1/00591 premesso che: l'articolo 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante "Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici",...



Atto Senato

Mozione 1-00591 presentata da ANNA BONFRISCO
mercoledì 8 giugno 2016, seduta n.638

BONFRISCO, ZIZZA, AUGELLO, BRUNI, COMPAGNA, D'AMBROSIO LETTIERI, DI MAGGIO, LIUZZI, PERRONE, TARQUINIO - Il Senato,

premesso che:

l'articolo 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante "Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici", convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha escluso, per gli anni 2012 e 2013, la rivalutazione automatica, ai sensi dell'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e con le percentuali previste dall'articolo 69 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, di tutte le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS dell'anno rivalutato, ovvero 1.443 euro mensili lordi. Tutti i trattamenti pensionistici di importo superiore sono stati esclusi da rivalutazione. Su un totale di 16.533.152 pensionati, ne sono stati esclusi dalla rivalutazione 5.242.161, un pensionato su 3, secondo quanto riportato dall'INPS, casellario centrale dei pensionati al 31 dicembre 2012;

la Corte costituzionale, con sentenza 30 aprile 2015, n. 70, ha dichiarato: «l'illegittimità costituzionale dell'art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui prevede che "In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento"»;

per effetto di tale pronuncia di incostituzionalità, i titolari dei trattamenti pensionistici esclusi hanno riacquistato retroattivamente il diritto alla rivalutazione dei propri trattamenti pensionistici e quindi ad ottenere: a) il pagamento degli arretrati, con interessi dalla maturazione al saldo e rivalutazione; b) il ricalcolo della pensione a valere sui trattamenti successivi e sulla determinazione degli assegni futuri;

successivamente alla richiamata sentenza n. 70 del 2015, il Governo è intervenuto con il decreto-legge 21 maggio 2015 n. 65, recante "Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR", convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2015, n. 109, procedendo, mediante l'articolo 1, comma 1, ad una parziale restituzione degli arretrati e ad una limitata ricostruzione dei trattamenti pensionistici, con grave pregiudizio per i pensionati;

in concreto gli importi restituiti oscillano tra lo zero e il 21 per cento di quanto spettante, con un danno pari ad almeno il 79 per cento e al 100 per cento per le pensioni superiori ai 2.810 euro mensili lordi;

in base al provvedimento del Governo gli arretrati liquidati nel cedolino pensione di agosto 2015 hanno oscillato tra i 150 e gli 800 euro (niente è stato corrisposto ai titolari di pensioni superiori a 2.810 euro mensili lordi), con l'ingannevole descrizione "Credito sentenza C.C. 70/2015", non conforme all'effettivo calcolo che applica, in realtà, il decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65;

come espressamente dichiarato dall'INPS con la circolare 25 giugno 2015, n. 125: «Il riconoscimento della perequazione nei termini sopra indicati opera esclusivamente ai fini della determinazione degli importi arretrati relativi agli anni 2012-2013». Gli arretrati, cioè, non si consolidano nell'assegno pensionistico ovvero, in altri termini, non producono effetti sulle pensioni future, se non in minima parte e, ancora una volta, non per tutti. La rivalutazione, già ridotta, riconosciuta per il 2012- 2013 è infatti ulteriormente ridotta ai fini del calcolo degli assegni 2014-2016 secondo quanto disposto dall'articolo 24, commi 25-bis e 25-ter, del decreto-legge n. 201;

l'incremento perequativo attribuito per gli anni 2012 e 2013, che costituisce la base di calcolo per poi determinare gli importi mensili delle pensioni a partire dal 2014, viene riconosciuto per gli anni 2014 e 2015 nella misura del 20 per cento e per il 2016 nella misura del 50 per cento dell'incremento perequativo ottenuto nel biennio 2012-2013 (che, a seconda degli scaglioni, ammonta al 40 per cento, al 20 per cento o al 10 per cento, rispettivamente del 2,7 per cento per il 2012 e del 3 per cento per il 2013);

l'effetto trascinamento implica che i titolari di pensioni superiori a 1.443 euro mensili lordi percepiranno, vita natural durante, un assegno pensionistico inferiore a quello che sarebbe loro spettato (ad esempio: circa 90 euro mensili in meno per i titolari di pensioni pari a 1.500 euro mensili lordi; circa 160 euro mensili in meno per i titolari di pensioni pari a 3.000 euro mensili lordi; circa 330 euro mensili in meno per i titolari di pensioni pari a 6.000 euro mensili lordi);

trattandosi di diritti già entrati nel patrimonio dei titolari di assegni di pensione (diritti "quesiti" o "acquisiti") il decreto-legge n. 65 è irrilevante sia per quanto attiene agli importi maturati prima della sua entrata in vigore, sia per quanto riguarda gli arretrati, sia per quanto riguarda la ricostituzione;

considerato che:

come rileva la Corte costituzionale al paragrafo 10 della citata sentenza n. 70, sono «stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività» ed è stato disatteso «il nesso inscindibile che lega il dettato degli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.»;

l'INPS con messaggio del 12 giugno 2015, n. 004017, ha addirittura formalmente comunicato ai patronati di non effettuare conteggi di ricostruzione dei trattamenti pensionistici in base alla sentenza della Corte costituzionale, specificando «Pertanto, l'inoltro di eventuali domande di ricostituzione dei trattamenti pensionistici interessati alla sopra citata disposizione normativa, dovranno essere respinte e conseguentemente le stesse non potranno essere considerate utili ai fini del finanziamento dell'attività espletata dagli Istituti di patronato». Con detta comunicazione l'INPS di fatto si sostituisce pericolosamente al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Infatti la legge 30 marzo 2001, n. 152, recante "Nuova disciplina per gli istituti di patronato e di assistenza sociale" all'articolo 15, comma 1, primo periodo, precisa che "Gli istituti di patronato e di assistenza sociale sono sottoposti alla vigilanza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale". L'INPS, con il suo messaggio dunque si appropria del ruolo del Ministero in relazione alla verifica della validità delle operazioni ai fini del finanziamento pubblico, che come noto viene autorizzato dal medesimo Ministero solo a valle dell'attività di accertamento sul territorio svolta dai propri ispettori;

nonostante ciò, i patronati si stanno attenendo alle disposizioni avute dall'INPS, non provvedendo a tutelare gli interessi della parte debole, cioè i pensionati, soggetti verso i quali dovrebbero avere specifiche attenzioni e vocazioni, con grave pregiudizio per i principi fissati dalla citata legge n. 152;

sebbene il provvedimento di cui al decreto-legge n. 201 abbia lasciato indenni i 2 terzi dei beneficiari di trattamenti pensionistici, è ragionevole presumere che una fascia consistente di popolazione e di famiglie possa comunque essere messa in difficoltà dalla deindicizzazione totale delle pensioni di importo pari o superiore a 3 volte il minimo INPS;

si rileva la non congruenza tra la sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015 e le disposizioni di cui al decreto-legge n. 65;

la parziale ottemperanza della sentenza è stata motivata con la difficile situazione della finanza pubblica e con la necessità di mantenere gli equilibri di bilancio;

considerato inoltre che:

a seguito dell'adozione del decreto-legge n. 65, la Corte dei conti delle Marche, seguendo la linea già tracciata dalla Corte dei conti dell'Emilia-Romagna, e dai Tribunali di Palermo e Brescia, ha accolto, con ordinanza, il ricorso di un cittadino contro l'INPS, e sollevato la questione di legittimità costituzionale del decreto-legge n. 65 in quanto appare confliggere con gli articoli 136, 38, 36, 3, 2, 23 e 57 della Costituzione nonché con l'articolo 117, comma 1, della Costituzione rispetto all'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e l'articolo 1 del protocollo addizionale di detta convenzione ratificata e resa esecutiva con la legge n. 4 agosto 1955, n. 848;

dal Bollettino ufficiale della Regione Toscana n. 12 del 23 marzo 2016 si apprende che il Consiglio regionale della Toscana ha approvato, con il voto favorevole di tutti i gruppi, la mozione n. 228 del 2 marzo 2016, che impegna la Giunta regionale ad esercitare ogni utile pressione sul Governo, affinché venga data piena e concreta applicazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015, riguardante i pensionati italiani, con importo pensionistico mensile lordo superiore a 3 volte la pensione minima;

il testo della mozione appare pienamente condivisibile in quanto le sentenze della Corte costituzionale devono trovare piena attuazione ai sensi dell'articolo 136, primo comma, della Costituzione;

il decreto-legge n. 65 emanato successivamente alla sentenza della Corte costituzionale, teso a disapplicare o applicare solo parzialmente detta sentenza, rappresenta un escamotage pericoloso che mina la fiducia che i cittadini devono avere nello Stato, nei suoi organi costituzionali e nelle istituzioni;

ritenuto infine che:

occorre innalzare il livello della tutela per i pensionati al di sotto di un determinato livello di reddito, il cui assegno pensionistico non appare più sufficiente a garantire loro una vita dignitosa, mediante un adeguamento strutturale al costo reale della vita delle pensioni minime di cui all'articolo 38, comma 1, lettere a), b) e c), della legge 28 dicembre 2001, n. 448, e successive modificazioni, che per effetto di detta norma aumentarono dal 1° gennaio 2002 dai precedenti 392,69 euro al mese a 516,46 euro al mese;

l'aumento dei trattamenti pensionistici al minimo, come determinato dalla citata legge n. 448, dopo 14 anni, ovvero dopo l'ultimo aumento voluto dal Governo Berlusconi, è stato solo parzialmente e minimamente aggiornato all'inflazione non considerando, soprattutto nell'adeguamento periodico, il reale costo della vita che incide in modo sempre più evidente sul potere d'acquisto dei pensionati, aggravato dal 2008 dalla crisi economica che tuttora permane,

impegna il Governo:

1) ad intervenire già in sede di predisposizione della legge di stabilità per il 2017, pur con un criterio di gradualità e tenuto conto degli obiettivi di finanza pubblica, al fine di dare piena ed effettiva attuazione alla sentenza n. 70 del 2015 della Corte costituzionale, prevedendo, a favore dei titolari di pensione colpiti dal blocco previsto dall'articolo 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, come modificato dall'articolo 1, comma 1 del decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65, l'integrale restituzione degli importi maturati per effetto del ripristino della perequazione e la ricostruzione del trattamento pensionistico, con effetti sugli importi degli assegni pensionistici vita natural durante, inclusa la rivalutazione sull'importo rivalutato per gli anni successivi;

2) a garantire agli istituti di patronato legittimati ad operare, in base alla legge 30 marzo 2001, n. 152, la piena tutela degli interessi della parte debole, cioè i pensionati, secondo i principi e i criteri fissati dalla citata legge e dalle successive normative in materia, ovvero accertare attraverso il Ministero del lavoro l'illegittimità della comunicazione INPS n. 004017 del 12 giugno 2015, e darne immediata comunicazione agli istituti di patronato al fine di permettere il normale svolgimento del servizio nel rispetto della normativa vigente e nell'interesse della tutela da loro garantita ai diritti dei pensionati e la conseguente valorizzazione delle attività svolte dagli stessi istituti di patronato nell'ambito di quelle previste nella tabella A, allegata al decreto ministeriale 20 febbraio 2013;

3) a riformare il sistema pensionistico secondo le caratteristiche del mercato del lavoro di oggi, mettendo in sinergia le politiche a favore dell'occupazione, delle imprese e delle famiglie, prevedendo: versamenti effettuati sulla base di un'aliquota contributiva uniforme pari al 25-26 per cento, per dipendenti e autonomi, che diano luogo ad una pensione obbligatoria di natura contributiva; l'istituzione di un trattamento di base, uguale per tutti e ragguagliato all'importo dell'assegno sociale da adeguarsi con cadenza periodica al costo della vita, finanziato dalla fiscalità generale, che agisca a suo tempo da base per la pensione contributiva e svolga una funzione inclusiva per coloro che non hanno potuto assicurarsi un trattamento pensionistico contributivo; il finanziamento di un'eventuale pensione complementare dove il lavoratore possa optare per il versamento volontario della corrispondente quota contributiva di alcuni punti non versata alla previdenza obbligatoria, come definito dall'articolo 24, comma 28, ultimo periodo, del decreto-legge n. 201, individuando nel contempo meccanismi compensativi, in qualche modo retroattivi, per gli iscritti in via esclusiva alla gestione separata presso l'INPS;

4) ad aumentare, tenuto conto degli obiettivi di finanza pubblica ed in relazione al reale costo della vita, la misura delle maggiorazioni sociali dei trattamenti pensionistici di cui all'articolo 38, comma 1, lettere a), b) e c), della legge 28 dicembre 2001, n. 448, e successive integrazioni e modificazioni;

5) a ridurre, tenuto conto degli obiettivi di finanza pubblica ed in modo graduale, la tassazione sui trattamenti pensionistici minimi, o comunque inferiori a quelli sino a 3 volte il minimo, al fine di consentire un effettivo recupero del potere di acquisto dei percipienti l'assegno previdenziale, in relazione all'andamento reale del costo della vita.

(1-00591)