• C. 1866-1865-A-Allegato 2 EPUB Relazioni di minoranza delle Commissioni permanenti MARCHI Maino, Relatore per la maggioranza - ROMANO Andrea, Relatore per la maggioranza

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Atto a cui si riferisce:
C.1866-TER [Seconda nota di variazioni al Bilancio 2014] Seconda nota di variazioni al Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016


Frontespizio Indice Relazioni Commissioni
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 1866-A
   N. 1865-A


ALLEGATO 2
RELAZIONI DI MINORANZA DELLE COMMISSIONI PERMANENTI
DISEGNO DI LEGGE
N. 1866
APPROVATO DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
il 27 novembre 2013 (v. stampato Senato n. 1121)
presentato dal ministro dell'economia e delle finanze
(SACCOMANNI)
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 e relativa nota di variazioni (1866-bis)
Trasmesso dal Presidente del Senato della Repubblica il 29 novembre 2013
e
DISEGNO DI LEGGE
N. 1865
APPROVATO DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
il 27 novembre 2013 (v. stampato Senato n. 1120)
presentato dal ministro dell'economia e delle finanze
(SACCOMANNI)
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)
Trasmesso dal Presidente del Senato della Repubblica il 29 novembre 2013
(Relatori per la maggioranza:
Andrea ROMANO, per il disegno di legge n. 1866; MARCHI, per il disegno di legge n. 1865)

NOTA: Relazioni di minoranza presentate nelle Commissioni permanenti sugli stati di previsione del disegno di legge di bilancio e sulle parti del disegno di legge di stabilità di rispettiva competenza.
ALLEGATO 2
RELAZIONI DI MINORANZA DELLE COMMISSIONI PERMANENTI     
RELAZIONI DI MINORANZA PRESENTATE NELLE COMMISSIONI PERMANENTI AI SENSI DELL'ARTICOLO 120, COMMA 3, DEL REGOLAMENTO, SUGLI STATI DI PREVISIONE DEL DISEGNO DI LEGGE DI BILANCIO E SULLE PARTI DEL DISEGNO DI LEGGE DI STABILITÀ DI RISPETTIVA COMPETENZA
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INDICE
IV COMMISSIONE PERMANENTE Pag. 7
(Difesa)
Tabella n. 11 (Difesa) Pag. 9
VIII COMMISSIONE PERMANENTE Pag. 21
(Ambiente, territorio e lavori pubblici)
Tabella n. 9 (Ambiente e tutela del territorio e del mare) Pag. 23
Tabella n. 10 (Infrastrutture e trasporti, limitatamente alle parti di competenza) Pag. 35
IX COMMISSIONE PERMANENTE Pag. 45
(Trasporti, poste e telecomunicazioni)
Tabella n. 3 (Sviluppo economico, limitatamente alle parti di competenza) Pag. 47
Tabella n. 3 (Sviluppo economico, limitatamente alle parti di competenza) e n. 10 (Infrastrutture e trasporti, limitatamente alle parti di competenza) Pag. 57
Tabella n. 10 (Infrastrutture e trasporti, limitatamente alle parti di competenza) Pag. 61
X COMMISSIONE PERMANENTE Pag. 71
(Attività produttive, commercio e turismo)
Tabella n. 2 (Economia e finanze, limitatamente alle parti di competenza), n. 3 (Sviluppo economico, limitatamente alle parti di competenza), n. 7 (Istruzione, università e ricerca, limitatamente alle parti di competenza) e n. 13 (Beni e attività cultuali e turismo, limitatamente alle parti di competenza) Pag. 73
XI COMMISSIONE PERMANENTE Pag. 85
(Lavoro pubblico e privato)
Tabella n. 4 (Lavoro e politiche sociali, limitatamente alle parti di competenza) Pag. 87
XII COMMISSIONE PERMANENTE Pag. 93
(Affari sociali)
Tabella n. 4 (Lavoro e politiche sociali, limitatamente alle parti di competenza) Pag. 95
Tabella n. 14 (Salute) Pag. 101
XIII COMMISSIONE PERMANENTE Pag. 107
(Agricoltura)
Tabella n. 12 (Politiche agricole, alimentari e forestali) Pag. 109
XIV COMMISSIONE PERMANENTE Pag. 113
(Politiche dell'Unione europea)
Tabella n. 2 (Economia e finanze, limitatamente alle parti di competenza) Pag. 115

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IV COMMISSIONE PERMANENTE
(Difesa)
IV COMMISSIONE PERMANENTE
(Difesa)
RELAZIONE    DI    MINORANZA
sui
DISEGNI DI LEGGE
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866)
Stato di previsione del Ministero della difesa per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016
(Tabella n. 11)
Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866-bis)
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) (1865)
dei deputati Duranti e Piras

      La IV Commissione,

          esaminata la Tabella n. 11, stato di previsione del Ministero della difesa per l'anno finanziario 2014, del disegno di legge C. 1866, recante «Bilancio dello Stato per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016» e relativa nota di variazioni, e le connesse parti del disegno di legge C. 1865, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)»;

          premesso che:

              dopo tanti sacrifici i cittadini italiani attendevano che la manovra economica del governo Letta ridesse fiato all'economia italiana, la quale dal 2007 ad

oggi ha perso addirittura il 9 per cento della produzione di beni e servizi e ha visto raddoppiare la disoccupazione, da un milione e mezzo a tre milioni di unità. Si possono avere molti dubbi sul fatto che la manovra riuscirà a portare il Pil a crescere almeno di un punto percentuale nel 2014 come il governo prevede;

              come più volte sottolineato, anche di recente da Confindustria, Rete Imprese Italia e dalla principali Associazioni Sindacali di categoria, sei anni di crisi finanziaria, prima globale e poi dei debiti sovrani nell'Eurozona, e due recessioni hanno colpito duramente l'economia europea e quella italiana, dove le conseguenze sono state più gravi che nella maggior parte degli altri paesi;

              rispetto al picco toccato sei anni fa, il prodotto interno lordo italiano si è ridotto del 9 per cento, il PIL procapite è diminuito del 10,4 per cento, ossia circa 2.700 euro correnti in meno per abitante, ed è così tornato ai livelli del 1997, caso unico tra i Paesi dell'euro (in Spagna e Francia, il PIL procapite, nonostante la crisi, è comunque più alto di oltre il 15 per cento rispetto al 1997);

              la riduzione della domanda interna è stata di un'intensità che dall'Unità d'Italia non ha precedenti in periodo di pace ed è stata la determinante del calo dell'attività economica, dato che le esportazioni sono tornate sopra i livelli del 2007. In seguito alla caduta del reddito disponibile, che in termini reali è sceso dell'11,1 per cento, la contrazione dei consumi delle famiglie è risultata del 7,8 per cento;

              l'occupazione è caduta del 7,2 per cento, pari a 1,8 milioni di unità di lavoro in meno. Molte delle persone che hanno perduto l'impiego non riusciranno a ricollocarsi nel sistema produttivo;

              la produzione industriale è a un livello inferiore del 24,2 per cento rispetto al picco pre-crisi del terzo trimestre del 2007; in alcuni settori la diminuzione supera il 40 per cento;

              il credit crunch ha trasmesso la crisi dalla finanza all'economia reale. È stato particolarmente severo in Italia, soprattutto dall'estate 2011. Nell'agosto scorso il credito erogato alle imprese italiane è risultato dell'8,0 per cento più basso che nel settembre 2011, con una contrazione media mensile dello 0,4 per cento. In valore si tratta di una riduzione di 74 miliardi di euro;

              la restrizione creditizia sta proseguendo. Tante imprese faticano a ottenere prestiti bancari: l'indagine ISTAT indica che a settembre l'11,4 per cento di quelle che ne hanno fatto richiesta non li hanno ricevuti, molto più del 6,9 per cento registrato nella prima metà del 2011. Altre imprese hanno rinunciato a domandare credito a fronte di costi troppo alti;

              la carenza di credito ostacola l'operatività di molte imprese, anche finanziariamente solide;

              nel manifatturiero la disponibilità di liquidità resta molto ridotta rispetto alle esigenze e le aziende continuano a prevederla in calo, anche se c’è stato un miglioramento negli ultimi mesi, verosimilmente a seguito dell'immissione di liquidità derivante dal pagamento di oltre 11 miliardi di debiti commerciali della pubblica amministrazione;

              le iniziative che il Governo avrebbe dovuto perseguire al fine di risollevare la condizione economica delle imprese appaiono del tutto deludenti, anche a seguito delle modifiche introdotte dal Senato, a partire di quanto previsto in materia di riduzione del cuneo fiscale e contributivo per aumentare il reddito disponibile delle persone, restituire competitività alle imprese e mantenere la coesione sociale, sostegno agli investimenti privati in ricerca e innovazione, con interventi semplici da gestire, rilancio della domanda pubblica e privata di beni di investimento, allentamento del patto di stabilità interno, rinnovo degli incentivi all'edilizia, sostegno alla liquidità del sistema e allentamento della morsa del credit crunch;

              il cuore economico e politico della Legge di Stabilità consiste nella riduzione del cuneo fiscale, cioè della differenza tra il costo che mediamente le imprese sostengono per ogni lavoratore e il salario netto che entra nelle tasche del lavoratore stesso. Una differenza dovuta, naturalmente, al peso di tasse e contributi che gravano sulle tasche degli imprenditori e dei lavoratori, e che in Italia è piuttosto elevato (secondo l'OCSE il cuneo assorbe il 47,6 per cento del costo del lavoro, contro una media del 35,6 per cento dell'insieme dei Paesi OCSE). La riduzione del cuneo fiscale nella misura in cui riduce il costo del lavoro per le imprese, determina una contrazione dei costi di produzione e quindi dei prezzi di vendita delle merci e dei servizi, facendo aumentare la competitività dell'industria nazionale. In questo modo, si rilanciano le esportazioni e si invogliano i consumatori a un maggiore acquisto di merci nazionali, e ciò porta a una riduzione delle importazioni. Dall'altro lato, nella misura in cui aumenta il reddito disponibile dei lavoratori, il taglio del cuneo fiscale determina una crescita della domanda di beni di consumo e ciò spinge le imprese ad aumentare la produzione e l'occupazione. Insomma, l'abbattimento del cuneo fiscale fa crescere la competitività e alimenta la domanda interna, tutte cose di cui abbiamo assoluto bisogno per riprendere la via dello sviluppo;

              il beneficio in busta paga per un lavoratore dipendente è inferiore a 200 euro in un anno. Non si può certo definire utile una simile misura per far ripartire i consumi nel nostro paese. Non dobbiamo dimenticare che la stessa arriva dopo un biennio in cui le politiche di rigore hanno letteralmente stremato il sistema produttivo, fatto lievitare a dismisura il carico fiscale e calare vistosamente il livello della domanda interna;

              l'intervento dunque è solo teoricamente buono. Va chiarito, infatti, che l'intervento del Governo, tra sgravi Irpef, Irap e decontribuzioni Inail, taglia il cuneo di 10,6 miliardi nel triennio, appena 2,5 miliardi nel 2014. A ben vedere, si tratta di un intervento estremamente contenuto, che nel 2014 metterà nelle tasche di un lavoratore medio solo una manciata di euro al mese e ben poco respiro darà alle imprese che non vedranno variare significativamente il costo del lavoro per unità di prodotto. Considerata la sua entità, si tratta dunque di un intervento che avrà effetti limitatissimi e che avrebbe potuto cominciare ad avere un qualche rilievo solo se l'intero importo previsto nel triennio avesse riguardato il solo 2014;

              la manovra per il 2014, nel suo complesso, vale circa 15 miliardi. Le risorse provengono soprattutto da tagli di spesa pubblica, da dismissioni, da qualche maggiore entrata e dal solito blocco della contrattazione e del turnover nel pubblico impiego;

              i tagli della spesa pubblica, gli aumenti delle tasse e la mannaia sui lavoratori pubblici portano con loro una minore domanda di merci e servizi proveniente direttamente o indirettamente dal settore pubblico e da quello privato, azzerando i già risicati effetti positivi dell'aumento del reddito disponibile delle famiglie assicurato dal taglio del cuneo. Se, infatti, il taglio del cuneo alimentava la domanda, tagli e tasse la riducono in misura maggiore. E se la domanda complessiva non torna a crescere non possiamo sperare che l'economia riparta. A riguardo è bene ricordare che dal 2002 al 2012 l'Italia ha registrato una dinamica della domanda interna complessivamente negativa (-1,6 per cento), contro valori significativamente in crescita nell'area euro ( 9 per cento) e soprattutto negli USA ( 15 per cento);

              in questo quadro risulta altrettanto risibile la previsione di una riduzione della pressione fiscale di un punto percentuale in tre anni, come è stato fatto osservare, giustamente, dalle stesse associazioni degli imprenditori, a maggior ragione se si considera che l'Iva è appena passata dal 21 al 22 per cento;

              manca una politica concentrata sulla domanda di lavoro mentre si continua

ad operare, e con misure minime, sull'offerta di lavoro. Invece che sul Piano del lavoro incentrato sul dissesto idrogeologico (per il quale si destinano 30 milioni!), sulla messa in sicurezza delle scuole, sull'innovazione tecnologica, cui si destinano 10-20 miliardi, si insiste sullo spot puramente pubblicitario della riduzione delle tasse sul lavoro;

              lo scopo principale della manovra è restare dentro i tanto discussi vincoli europei, e in particolare tenere il deficit pubblico (la differenza annua tra uscite ed entrate pubbliche) entro il limite del 3 per cento del Pil. In Europa sono in atto processi cumulativi di divergenza territoriale alimentati dalle politiche di austerità. Questi processi portano a una divaricazione drammatica tra aree centrali in crescita (in primis, la Germania) e aree periferiche in declino (l'Italia e gli altri PIIGS);

              qualunque manovra si muova dentro la cornice attuale dei vincoli non può riuscire a invertire i processi di divergenza in atto, e quindi a metterci al passo delle aree centrali d'Europa. Con la certezza che presto o tardi, in assenza di un cambiamento delle politiche europee, il gioco dell'euro salterà;

              dobbiamo registrare, inoltre, la falsa disubbidienza di Letta e Saccomanni rispetto a Bruxelles;

              dopo che la Commissione europea ha espresso la sua preoccupazione sul progetto di bilancio invitando le autorità italiane «a prendere le misure necessarie» per assicurare che la Finanziaria per il 2014 rispetti le norme del Patto di stabilità e crescita relative alla diminuzione del debito pubblico, Letta rispose affermando che «di troppa austerità si muore». Ma neanche una settimana dopo ha presentato un nuovo Programma per la revisione della spesa. Infatti, la legge di stabilità, sanciva che «nessun risparmio» è previsto per il 2014 mentre negli anni successivi i risparmi sono pari a 3,6 miliardi nel 2015, 8,3 miliardi nel 2016 e 11,3 miliardi a decorrere dal 2017;

              adesso il Programma della spending review arriva a quota 32 miliardi nel solo triennio 2014-2016 (prima erano previsti 11,9 miliardi); ed inoltre si prevede un piano di privatizzazioni di 12 miliardi;

              è importante ricordare che per la prima volta, dalla nascita dell'Europa di Maastricht, il progetto di legge di stabilità sarà prima vagliato dalla Commissione europea, che potrà imporre correttivi e comminare sanzioni in caso di inadempienza, e poi discusso ed approvato dal Parlamento;

              con l'entrata in vigore del cosiddetto «two-pack», il pacchetto di due regolamenti approvato dal parlamento di Strasburgo nel maggio scorso, si è infatti chiuso il cerchio in tema di «sorveglianza» europea sui bilanci dei Paesi dell'Eurozona, con tutto quello che ciò comporta per la «sovranità» e l'autonomia politica degli stessi;

              dentro un meccanismo così congegnato la funzione dei parlamenti nazionali è quasi del tutto esautorata: le forze politiche parlamentari non avranno grandi margini di manovra per modificare l'impianto e la filosofia del documento di bilancio se alla Commissione europea è stato riconosciuto un sostanziale diritto di veto sui bilanci nazionali;

              la legge di stabilità ed i provvedimenti collegati a differenza che nel passato, sono in primo luogo manovre contabili atte a correggere l'andamento dei conti pubblici, e solo secondariamente strumenti attraverso cui incidere sui processi economici e sociali;

              in Europa c’è un problema di risorse insufficienti, e c’è un problema di democrazia. La linea dell'austerità, combinata con l'esautoramento della democrazia, sta arrecando danni gravissimi alle nostre società, dove crescono disagio sociale e sfiducia nelle istituzioni. Gli unici che finora sembrano guadagnarci da questa situazione sono, su un versante, banche speculatori, sull'altro versante populisti e demagoghi;

          considerato che, per quanto riguarda le parti di competenza della IV Commissione:

              i commi da 21 a 24 dell'articolo 1 del disegno di Legge di Stabilità, a seguito delle modifiche intervenute al Senato, recano disposizioni in materia di programmi industriali di interesse delle Difesa. In particolare si dispone che, al fine di assicurare il mantenimento di adeguate capacità nel settore marittimo a tutela degli interessi di difesa nazionale e nel quadro di una politica comune europea, consolidando strategicamente l'industria navalmeccanica ad alta tecnologia, sono autorizzati contributi ventennali, di 40 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014, di 110 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015 e di 140 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016, da iscrivere nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico;

              è previsto che parte dei contributi già assegnati per il consolidamento della flotta navale siano destinati al finanziamento:

                  1) di programmi di ricerca e sviluppo di cui all'articolo 3 della legge 808/1985 prevedendo due contributi ventennali rispettivamente di importo di 30 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014 e di 10 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015;

                  2) della prosecuzione degli interventi in favore degli investimenti delle imprese marittime, già approvati dalla Commissione europea con decisione notificata con nota SG (2001) D/285716 del 1 febbraio 2001, è autorizzato un contributo ventennale di 5 milioni di euro a decorrere dall'esercizio 2014;

                  3) di progetti innovativi di prodotti e di processi nel campo navale avviati negli anni 2012 e 2013 ai sensi della disciplina europea degli aiuti di Stato alla costruzione navale n. 2011/C364/06, in vigore dal 1 gennaio 2012, con un contributo ventennale di 5 milioni di euro a decorrere dall'esercizio 2014;

              detti finanziamenti, in buona sostanza, sembrano confermare la prova provata della volontà di costruire nuove navi, non uscire dal costoso Programma FREMM, il che appare del tutto inaccettabile, se solo si considera l'aumento considerevole della tassazione previsto a copertura del provvedimento in esame, anche a seguito delle modifiche approvate in sede di esame del provvedimento presso il Senato della Repubblica;

              il comma 162 dell'articolo 1 provvede al rifinanziamento di 614 milioni per il 2014 del fondo per missioni internazionali di pace senza alcuna specificazione in merito alle missioni internazionali a cui il nostro Paese intenda partecipare;

              tale rifinanziamento, in mancanza di norme quadro sulle partecipazioni alle missioni internazionali appare ancora una volta vago e indeterminato anche alla luce della previsione nello stato dell'economia e delle finanze al capitolo 3004, nel fondo di riserva per le spese derivanti dalla proroga delle missioni internazionali di pace l'importo di 1.318,7 milioni di euro;

              la prospettiva dovrebbe essere quella del ritiro da tutte quelle missioni a chiara valenza aggressiva e di guerra e che non si iscrivono in una condizione, coordinata dalla comunità internazionale, di reale appoggio a situazioni in via di soluzione politica;

          considerato il programma di spending review attuato anche al Ministero della Difesa, nella prospettiva di contenere le spese, tali ulteriori investimenti sopra richiamati e gli ulteriori tagli all'esercizio previsti nella legge di Stabilità evidenziano una visione strategica della difesa totalmente sbagliata e non in linea con le esigenze di un paese moderno e civile orientato al perseguimento della pace come anche sancito dal dettato costituzionale;

          andrebbero cancellati i programmi d'armamento iscritti a bilancio nel Ministero della difesa, come la partecipazione italiana al programma del cacciabombardiere

F-35 Joint Strike Fighter, inutile considerato il programma già avviato per acquisire i caccia Eurofighter; come andrebbe cancellato l'acquisto della seconda serie di sommergibili U-212;

          le somme liberate da tali inutili investimenti potrebbero essere impegnati per la riconversione dell'industria a produzione militare, sfruttando il già eccellente know-how accumulato in questi anni; per aumentare le risorse destinate al servizio civile, nonché quelle da destinare alla cooperazione allo sviluppo;

          tutte le misure intraprese non sembrano andare nella prospettiva della riduzione delle spese militari, portandola auspicalmente sotto i 20 miliardi annui, che potrebbe essere già realizzata a partire dal 2014 con gli interventi già citati;
      per le ragioni illustrate in premessa,

DELIBERA DI RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO.
IV COMMISSIONE PERMANENTE
(Difesa)
RELAZIONE    DI    MINORANZA
sui
DISEGNI DI LEGGE
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866)
Stato di previsione del Ministero della difesa per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016
(Tabella n. 11)
Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866-bis)
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) (1865)
dei deputati Corda, Frusone, Basilio, Paolo Bernini, Artini, Rizzo e Tofalo

      La IV Commissione,

          esaminata la Tabella n. 11, stato di previsione del Ministero della difesa per l'anno finanziario 2014, del disegno di legge C. 1866, recante «Bilancio dello Stato per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016» e relativa nota di variazioni, e le connesse parti del disegno di legge C. 1865, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)»;

          considerato che:

              per il 2014 il Ministero della Difesa avrà a disposizione 20 miliardi e 226,6 milioni di euro, una lievissima flessione rispetto al 2009. Facendo riferimento al

PIL previsionale si arriva a un rapporto dell'1,262 per cento (in calo rispetto allo scorso anno quando il rapporto era poco sopra l'1,329 per cento). Questa flessione deriva da un calo nella disponibilità complessiva di 475,7 milioni di euro, praticamente già definita in sede di Bilancio 2013 alla fine dello scorso anno. Non si tratta quindi di un «sacrificio» imprevisto ma il solo mantenimento di una precedente indicazione, e dopo che la Difesa era riuscita ad assorbire gli effetti combinati delle spending review di Tremonti e di Monti con un balzo miliardario proprio tra il 2012 e il 2013 (da 19.962,1 del 2012 a 20.702,3, insomma un 2 per cento);

              tra le tendenze per il futuro va notato che si ipotizza una stabilizzazione dei fondi nel 2015 a fronte di una precedente previsione di crescita;

              la suddivisione interna del bilancio, vista nella ripartizione classica, vede una Funzione Difesa (le tre Forze armate) in calo di circa 370,9 milioni ma comunque sopra i 14 miliardi, ed una Funzione Sicurezza Territorio (in pratica, i Carabinieri) in minima flessione a 5,6 miliardi complessivi. Le funzioni esterne si prendono le briciole (meno di 100 milioni, 98 esattamente) mentre continuano a galoppare gli effetti dell'impatto di quella anomalia che porta il nome di ausiliaria, cioè l'indennità pagata a ufficiali «a riposo» come premio per il loro rimanere «a disposizione» del Governo. Si tratta di 449,1 milioni di euro;

              nonostante i numerosi proclami e le velleità (ribadite in questi come nei precedenti documenti) di riequilibrio, anche per il 2014 la parte del leone della spesa è assegnata al personale. Se ci concentriamo sugli ambiti operativi riscontriamo una percentuale legata agli stipendi e al mantenimento degli effettivi del 75 per cento (il 67 per cento limitatamente alla Funzione Difesa) ben lontana dal 50 per cento che da diversi anni viene visto come l'obiettivo strutturale e virtuoso;

              per completezza di trattazione e per riportare le considerazioni sulla ripartizione delle spese di bilancio alle loro corrette proporzioni, le stesse andrebbero considerate includendovi anche le somme stanziate sul bilancio del MISE (vedi più avanti) stimate per il 2014 a 2,61 miliardi di euro. Considerando questi importi il bilancio della difesa complessivamente sale a 22,84 miliardi (se vi includiamo la funzione sicurezza del territorio) o a 16,7 se ci limitiamo a considerare le somme effettivamente destinate alla Difesa nazionale. Al contempo, le spese di investimento passerebbero a circa 5,83 miliardi dai 3,22 nominali. Ciò si traduce, in termini di incidenza percentuale delle tre componenti personale, esercizio e investimento, a una situazione completamente ribaltata, come si può vedere dallo schema sottostante:

Ammontare totale stanzia    menti funzione Difesa
16,7 miliardi
Spese personale
9,47 miliardi
Spese investimento
5,83 miliardi
Spese esercizio
1,34 miliardi

              che, in termini percentuali, si traduce rispettivamente in 56 per cento per il personale, 35 per cento per l'investimento e solo l'8 per cento esercizio, Cifre che segnalano non tanto uno squilibrio derivante da insufficienza di stanziamenti, quanto piuttosto quale conseguenza di scelte strategiche che hanno privilegiato l'accumulo di mezzi, materiali e armamenti senza che poi ci fosse la concreta possibilità di utilizzarli per le loro potenzialità. Il che spiega perché oltre la metà, ad esempio, dei carri Ariete entrati in servizio relativamente pochi anni fa siano fermi, per quale motivo almeno il 30 per cento della flotta non sia operativa e oltre il 50 per cento dei velivoli non siano operativi. Una politica puramente esibizionistica a scapito della funzionalità e dell'efficienza. Basterebbe sacrificare 0,8 miliardi

dei 5,83 che saranno spesi per l'acquisto di nuovi armamenti e materiali trasferendoli ai capitoli dell'esercizio per far aumentare di quasi il 60 per cento tale voce;

              le spese per il cosiddetto «Esercizio» cioè alla gestione operativa e all'addestramento dei soldati, sono ben lontane dal 25 per cento preconizzato dal Governo con i decreti delegati della legge 244: un aumento del solo 0,6 per cento in più rispetto al 2013. Permane quindi il rischio di blocco funzionale che, negli ultimi anni, è stato sempre superato usando come stampella i fondi per le missioni all'estero divenuti una componente standard e non episodica della spesa militare. La soluzione ancora una volta è individuata nella Nota aggiuntiva del 2014 nella diminuzione strutturale del numero degli effettivi previsto dalla riforma dello strumento militare. Non può sfuggire il fatto che la riforma, così come congeniata, si basa sullo spostamento di costi ad altri comparti di spesa pubblica. In questa manovra di bilancio viene mancato ancora una volta anche il passaggio intermedio a 170000 unità attestandosi nelle previsioni del 2014 a 204.892 unità di cui 175.900 militari e 28.992 civili. Si osserva inoltre che la diminuzione del personale per il 2014 è in maggioranza allocata tra i lavoratori civili (-1.567 unità) che tra i militari (-1.400) accentuando ancora di più il rapporto percentuale di squilibrio – senza eguali in Europa – tra dipendenti civili e militari (con quest'ultimi che costano almeno 2,7 volte in più dei loro colleghi civili);

              gli Investimenti (ovvero l'acquisizione e lo sviluppo di nuovi sistemi d'arma) subiscono una diminuzione di 370,9 milioni di euro, per un totale comunque di 3,222 miliardi, che viene ampiamente compensato dall'aumento dei fondi provenienti dal Ministero per lo sviluppo economico. Il meccanismo dei contributi pluriennali continua poi a dispiegarsi in tutta la propria valenza (anche di opacità) pur con la Legge di Stabilità in esame. I commi da 21 a 24 dell'articolo 1 del disegno di Legge di Stabilità infatti, pur con una insufficiente riduzione intervenuta al Senato, recano disposizioni in materia di programmi industriali di interesse delle Difesa. Al fine di assicurare il mantenimento di adeguate capacità nel settore marittimo a tutela degli interessi di difesa nazionale e nel quadro di una politica comune europea, si punta al consolidamento strategico dell'industria navalmeccanica ad alta tecnologia. Consolidamento che tuttavia appare in contraddizione con l'intenzione, dichiarata dal Governo, di privatizzate Fincantieri. Si tratta, se non fermata, della classica privatizzazione all'italiana, con un cospicuo budget di commesse pubbliche per 20 anni che supereranno o si avvicineranno, probabilmente, al guadagno che lo Stato avrà dalla vendita di Fincantieri. Si tratta di finanziamenti ventennali, una pioggia di soldi in questo spazio temporale intorno a 6 miliardi di euro, fatti di 40 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014, di 110 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015 e di 140 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016, da iscrivere nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico. Questa operazione, che è stata chiamata a gran voce nei mesi e settimane scorse dal Capo di Stato Maggiore della Marina, Ammiraglio De Giorgi, prevede un totale di esborso da qui al 2036 di 5,8 miliardi. Non finisce qui. Occorre sommare i due contributi ventennali, rispettivamente di importo di 30 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014 e di 10 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015, per i programmi di ricerca e sviluppo di cui all'articolo 3 della legge n. 808 del 1985; un contributo ventennale di 5 milioni di euro a decorrere dall'esercizio 2014 per la prosecuzione degli interventi in favore degli investimenti delle imprese marittime, già approvati dalla Commissione europea con decisione notificata con nota SG (2001) D/285716 del 1 febbraio 2001; un contributo ventennale di 5 milioni di euro a decorrere dall'esercizio 2014 per i progetti

innovativi di prodotti e di processi nel campo navale avviati negli anni 2012 e 2013 ai sensi della disciplina europea degli aiuti di Stato alla costruzione navale n. 2011/C364/06, in vigore dal 1 gennaio 2012;

              i fondi del Ministero per lo sviluppo economico messi a disposizione della Difesa si devono considerare a tutti gli effetti parte della spesa militare perché è il Ministero di via XX Settembre a deciderne la destinazione, a condizioni peraltro sfavorevoli per lo Stato e molto vantaggiose per l'industria che li riceve. L'ammontare previsto è di poco superiore ai 2,6 miliardi con una crescita di circa 330 milioni ( 14 per cento) rispetto allo scorso anno. Da qui vengono recuperati abbondantemente i tagli nella quota di Investimento prevista nel Bilancio proprio della Difesa: nel 2014 sono perciò 5865 i milioni impiegati dall'Italia per «acquisti armati»;

              della destinazione precisa dei soldi provenienti dal MISE, in quanto derivanti da contributi di spesa pluriennale che si sono agglomerati e sommati nel tempo, abbiamo qualche indicazione maggiore. I fondi, come già in passato, serviranno alla realizzazione del programma pluriennale del caccia Eurofighter (la cui ipotesi di spesa complessiva è stata aumentata di 3 miliardi proprio nel 2013), alla costruzione di concerto con la Francia delle fregate multi-missione FREMM ed infine alla realizzazione di un Veicolo Blindato Medio 8x8 «Freccia» per l'Esercito. Tutti programmi considerati «di particolare valenza industriale per l'impegno e l'innovazione tecnologica (...) e il consolidamento della competitività dell'industria aerospaziale ed elettronica». Scuse di natura economica ed industriale per mettere una foglia di fico sulla realtà: si tratta nella sostanza di progetti «di elevata priorità ed urgenza per la Difesa». Dalle tabelle di dettaglio sui provvedimenti legati ai contributi pluriennali deriviamo anche il costo totale delle FREMM per il 2014 (785 milioni tondi) mentre per quanto riguarda l’Eurofighter non è possibile chiarire la cifra totale (da sempre comunque stimata sul miliardo di euro) che deriva da numerosi provvedimenti;

              si arriva infine alla valutazione dei fondi che, annualmente e con decreti convertiti, vengono messi a disposizione della Difesa per l'espletamento delle missioni all'estero. In linea di principio è ovvio che si debba trattare di fondi «extra bilancio» e legati a particolari attività o compiti derivanti dall'indirizzo politico e dalle scelte di intesa internazionale. I dati sull'uso squilibrato dei fondi base di bilancio che abbiamo visto in precedenza dimostrano, tuttavia, come le Forze armate ormai non possano più fare a meno di questa entrata per coprire rilevanti attività di addestramento ed esercizio. La parte militare dei fondi delle missioni all'estero (cui si accompagna una più ridotta quota in cooperazione) deve essere per tali motivi pienamente considerata all'interno della spesa militare italiana ed è su tale numero che vanno fatti i confronti con il PIL, il che conduce ad un rapporto dell'1,47 per cento. La valutazione sul 2014 però è del tutto presunta poiché si tratta di provvedimenti autorizzati nel corso dell'anno e per i quali in questo caso, e diversamente dallo scorso anno, il Ministero dell'Economia non ha nemmeno previsto una posta ipotetica (l'anno scorso valutata in poco più di un miliardo come effettivamente accaduto). Considerando quindi che il 2014 dovrebbe vedere il ritiro dall'Afghanistan delle nostre truppe, o quantomeno l'inizio del processo, e che proprio questa è la missione di maggiore impatto monetario si può stimare che la spesa per il prossimo anno sarà in qualche modo inferiore. L'ipotesi che avanziamo oggi è quella di un costo complessivo annuale di 800 milioni di euro, ma se alla fine il livello dovesse essere comunque quello del 2013 (1 miliardo, come detto) ciò servirebbe solo a rendere ancora minore la già esigua flessione della spesa militare italiana portandola sotto l'1 per cento su base annua.

Quadro delle spese militari italiane e confronto con gli anni precedenti
(in miliardi)
 
2012
2013
2014
Bilancio Difesa
19,89
20,7
20,23
Fondi Sviluppo Economico
1,67
2,28
2,61
Fondi MEF per Missioni militari
1,4
1,08*
0,80**
        TOTALE
22,96
24,06
23,64

(*) fondi certi da decreti
(**) fondi stimati con provvedimenti di fine anno.

      Disattese pertanto, le richieste del contenimento e riduzione della spesa militare, l'abbandono o la riduzione di costosi sistemi d'arma che per loro natura non sono considerabili «difensivi», l'indeterminazione nella conclusione di alcune missioni militari in primis l'Afghanistan,

DELIBERA DI RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO.
VIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Ambiente, territorio e lavori pubblici)
VIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Ambiente, territorio e lavori pubblici)
RELAZIONE    DI    MINORANZA
sui
DISEGNI DI LEGGE
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866)
Stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016
(Tabella n. 9)
Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866-bis)
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) (1865)
dei deputati Zan, Zaratti e Pellegrino

      La VIII Commissione,

          esaminato il disegno di legge di stabilità 2014, e lo stato di previsione del Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare (Tabella n. 9),

          premesso che

              dopo tanti sacrifici i cittadini italiani attendevano che la manovra economica del Governo Letta ridesse fiato all'economia italiana, la quale dal 2007 ad oggi ha perso addirittura il 9 per cento della produzione di beni e servizi, e ha visto raddoppiare la disoccupazione da un milione e mezzo a tre milioni di unità. Si possono avere molti dubbi sul fatto che la manovra riuscirà a portare il Pil a crescere almeno di un punto percentuale nel 2014 come il Governo prevede;

              come più volte sottolineato, anche di recente da Confindustria, Rete Imprese Italia e dalla principali Associazioni Sindacali

di categoria, sei anni di crisi finanziaria, prima globale e poi dei debiti sovrani nell'Eurozona, e due recessioni hanno colpito duramente l'economia europea e quella italiana, dove le conseguenze sono state più gravi che nella maggior parte degli altri paesi;

              rispetto al picco toccato sei anni fa, il prodotto interno lordo italiano si è ridotto del 9 per cento, il PIL procapite è diminuito del 10,4 per cento, ossia circa 2.700 euro correnti in meno per abitante, ed è così tornato ai livelli del 1997, caso unico tra i Paesi dell'euro (in Spagna e Francia, il PIL procapite, nonostante la crisi, è comunque più alto di oltre il 15 per cento rispetto al 1997); la riduzione della domanda interna è stata di una intensità che dall'Unità d'Italia non ha precedenti in periodo di pace ed è stata la determinante del calo dell'attività economica, dato che le esportazioni sono tornate sopra i livelli del 2007. In seguito alla caduta del reddito disponibile, che in termini reali è sceso dell'11,1 per cento, la contrazione dei consumi delle famiglie è risultata del 7,8 per cento;

              l'occupazione è caduta del 7,2 per cento, pari a 1,8 milioni di unità di lavoro in meno. Molte delle persone che hanno perduto l'impiego non riusciranno a ricollocarsi nel sistema produttivo;

              la produzione industriale è a un livello inferiore del 24,2 per cento rispetto al picco pre-crisi del terzo trimestre del 2007; in alcuni settori la diminuzione supera il 40 per cento;

              il credit crunch ha trasmesso la crisi dalla finanza all'economia reale. È stato particolarmente severo in Italia, soprattutto dall'estate 2011. Nell'agosto scorso il credito erogato alle imprese italiane è risultato dell'8,0 per cento più basso che nel settembre 2011, con una contrazione media mensile dello 0,4 per cento. In valore si tratta di una riduzione di 74 miliardi di euro;

              la restrizione creditizia sta proseguendo. Tante imprese faticano a ottenere prestiti bancari: l'indagine ISTAT indica che a settembre l'11,4 per cento di quelle che ne hanno fatto richiesta non li hanno ricevuti, molto più del 6,9 per cento registrato nella prima metà del 2011. Altre imprese hanno rinunciato a domandare credito a fronte di costi troppo alti;

              la carenza di credito ostacola l'operatività di molte imprese, anche finanziariamente solide;

              nel manifatturiero la disponibilità di liquidità resta molto ridotta rispetto alle esigenze e le aziende continuano a prevederla in calo, anche se c’è stato un miglioramento negli ultimi mesi, verosimilmente a seguito dell'immissione di liquidità derivante dal pagamento di oltre 11 miliardi di debiti commerciali della pubblica amministrazione;

              le iniziative che il Governo avrebbe dovuto perseguire al fine di risollevare la condizione economica delle imprese appaiono del tutto deludenti, anche a seguito delle modifiche introdotte dal Senato, a partire da quanto previsto in materia di riduzione del cuneo fiscale e contributivo per aumentare il reddito disponibile delle persone, restituire competitività alle imprese e mantenere la coesione sociale, sostegno agli investimenti privati in ricerca e innovazione, con interventi semplici da gestire, rilancio della domanda pubblica e privata di beni di investimento, allentamento del patto di stabilità interno, rinnovo degli incentivi all'edilizia, sostegno alla liquidità del sistema e allentamento della morsa del credit crunch;

              il cuore economico e politico della Legge di Stabilità consiste nella riduzione del cuneo fiscale, cioè della differenza tra il costo che mediamente le imprese sostengono per ogni lavoratore e il salario netto che entra nelle tasche del lavoratore stesso. Una differenza dovuta, naturalmente, al peso di tasse e contributi che gravano sulle tasche degli imprenditori e dei lavoratori, e che in Italia è piuttosto elevato (secondo l'OCSE il cuneo assorbe il 47,6 per cento del costo del lavoro, contro una media del 35,6 per cento dell'insieme

dei Paesi OCSE). La riduzione del cuneo fiscale nella misura in cui riduce il costo del lavoro per le imprese, determina una contrazione dei costi di produzione e quindi dei prezzi di vendita delle merci e dei servizi, facendo aumentare la competitività dell'industria nazionale, in questo modo, si rilanciano le esportazioni e si invogliano i consumatori a un maggiore acquisto di merci nazionali, e ciò porta a una riduzione delle importazioni. Dall'altro lato, nella misura in cui aumenta il reddito disponibile dei lavoratori, il taglio del cuneo fiscale determina una crescita della domanda di beni di consumo e ciò spinge le imprese ad aumentare la produzione e l'occupazione. Insomma, l'abbattimento del cuneo fiscale fa crescere la competitività e alimenta la domanda interna, tutte cose di cui abbiamo assoluto bisogno per riprendere la via dello sviluppo;

              ma il beneficio in busta paga per un lavoratore dipendente inferiore a 200 euro in un anno. Non si può certo definire utile una simile misura per far ripartire i consumi nel nostro paese. Non dobbiamo dimenticare che la stessa arriva dopo un biennio in cui le politiche di rigore hanno letteralmente stremato il sistema produttivo, fatto lievitare a dismisura il carico fiscale e calare vistosamente il livello della domanda interna;

              l'intervento dunque è solo teoricamente buono. Va chiarito, infatti, che l'intervento del Governo – tra sgravi Irpef e Irap, e decontribuzioni Inail – taglia il cuneo di 10,6 miliardi nel triennio, appena 2,5 miliardi nel 2014. A ben vedere, si tratta di un intervento estremamente contenuto, che nei 2014 metterà nelle tasche di un lavoratore medio solo una manciata di euro al mese e ben poco respiro darà alle imprese che non vedranno variare significativamente il costo del lavoro per unità di prodotto. Considerata la sua entità, si tratta dunque di un intervento che avrà effetti limitatissimi e che avrebbe potuto cominciare ad avere un qualche rilievo solo se l'intero importo previsto nel triennio avesse riguardato il solo 2014;

              la manovra per il 2014, nel suo complesso, vale circa 15 miliardi. Le risorse provengono soprattutto da tagli di spesa pubblica, da dismissioni, da qualche maggiore entrata e dal solito blocco della contrattazione e dei turnover nel pubblico impiego;

              ma i tagli della spesa pubblica, gli aumenti delle tasse e la mannaia sui lavoratori pubblici portano con loro una minore domanda di merci e servizi proveniente direttamente o indirettamente dal settore pubblico e da quello privato, e questo azzera i già risicati effetti positivi dell'aumento del reddito disponibile delle famiglie assicurato dal taglio del cuneo. Se, infatti, il taglio del cuneo alimentava la domanda, tagli e tasse la riducono in misura maggiore. E se la domanda complessiva non torna a crescere non possiamo sperare che l'economia riparta. A riguardo è bene ricordare che dal 2002 al 2012 l'Italia ha registrato una dinamica della domanda interna complessivamente negativa (-1,6 per cento), contro valori significativamente in crescita nell'area euro (più 9 per cento) e soprattutto negli USA (più 15 per cento);

              in questo quadro risulta altrettanto risibile la previsione di una riduzione della pressione fiscale di un punto percentuale in tre anni, come è stato fatto osservare, giustamente, dalle stesse associazioni degli imprenditori, a maggior ragione se si considera che l'Iva è appena passata dal 21 al 22 per cento;

              manca una politica concentrata sulla domanda di lavoro mentre si continua ad operare, e con misure minime, sull'offerta di lavoro. Invece di Piano del lavoro incentrato sul dissesto idrogeologico (per il quale si destinano 30 milioni!), la messa in sicurezza delle scuole, l'innovazione tecnologica, di 10-20 miliardi, si insiste su lo spot puramente pubblicitario della riduzione delle tasse sul lavoro;

              lo scopo principale della manovra è restare dentro i tanto discussi vincoli europei, e in particolare tenere il deficit pubblico (la differenza annua tra uscite ed

entrate pubbliche) entro il limite del 3 per cento del Pil. In Europa sono in atto processi cumulativi di divergenza territoriale alimentati dalle politiche di austerità. Questi processi portano a una divaricazione drammatica tra aree centrali in crescita (in primis, la Germania) e aree periferiche in declino (l'Italia e gli altri Piigs);

              qualunque manovra si muova dentro la cornice attuale dei vincoli non può riuscire a invertire i processi di divergenza in atto, e quindi a metterci al passo delle aree centrali d'Europa. Con la certezza che presto o tardi, in assenza di un cambiamento delle politiche europee, il gioco dell'euro salterà;

              dobbiamo registrare, inoltre, la falsa disubbidienza di Letta e Saccomanni rispetto a Bruxelles. Dopo che la Commissione europea ha espresso la sua preoccupazione sul progetto di bilancio invitando le autorità italiane «a prendere le misure necessarie» per assicurare che la Finanziaria per il 2014 rispetti le norme del Patto di stabilità e crescita relative alla diminuzione del debito pubblico, Letta rispose affermando che «di troppa austerità si muore». Ma neanche una settimana dopo ha presentato un nuovo Programma per la revisione della spesa: infatti, la legge di stabilità, sanciva che «nessun risparmio» è previsto per il 2014 mentre negli anni successivi i risparmi sono pari a 3,6 miliardi nel 2015, 8,3 miliardi nel 2016 e 11,3 miliardi a decorrere dal 2017;

              adesso il Programma della spending review arriva a quota 32 miliardi nel solo triennio 2014-2016 (prima erano previsti 11,9 miliardi); ed inoltre si prevede un piano di privatizzazioni di 12 miliardi;

              è importante ricordare che per la prima volta, dalla nascita dell'Europa di Maastricht, il progetto di legge di stabilità sarà prima vagliato dalla Commissione europea, che potrà imporre correttivi e comminare sanzioni in caso di inadempienza, e poi discusso ed approvato dal Parlamento;

              con l'entrata in vigore del cosiddetto «two-pack», il pacchetto di due regolamenti approvato dal parlamento di Strasburgo nel maggio scorso, si è infatti chiuso il cerchio in tema di «sorveglianza» europea sui bilanci dei Paesi dell'Eurozona, con tutto quello che ciò comporta per la «sovranità» e l'autonomia politica degli stessi;

              dentro un meccanismo così congegnato la funzione dei parlamenti nazionali è quasi del tutto esautorata: le forze politiche parlamentari non avranno grandi margini di manovra per modificare l'impianto e la filosofia del documento di bilancio se alla Commissione europea è stato riconosciuto un sostanziale diritto di veto sui bilanci nazionali;

              la legge di stabilità ed i provvedimenti collegati a differenza che nel passato, sono in primo luogo manovre contabili atte a correggere l'andamento dei conti pubblici, e solo secondariamente strumenti attraverso cui incidere sui processi economici e sociali;

              in Europa c’è un problema di risorse insufficienti, e c’è un problema di democrazia. La linea dell'austerità, combinata con l'esautoramento della democrazia, sta arrecando danni gravissimi alle nostre società, dove crescono disagio sociale e sfiducia nelle istituzioni. Gli unici che finora sembrano guadagnarci da questa situazione sono, su un versante, banche speculatori, sull'altro versante populisti e demagoghi;

          valutato inoltre, per le parti di competenza, che:

              con la legge di stabilità in esame, si è ancora una volta persa l'occasione per avviare un piano pluriennale per la messa in sicurezza del nostro territorio e per il contrasto al dissesto idrogeologico quale vera e prioritaria «grande opera» infrastrutturale in grado non solamente di mettere in sicurezza il nostro fragile territorio,

ma di attivare migliaia di cantieri distribuiti sul territorio, con evidenti ricadute importanti dal punto di vista economico e occupazionale;

              i sempre più frequenti fenomeni alluvionali e calamitosi – la Sardegna rappresenta l'ultimo e drammatico esempio – che colpiscono il nostro Paese, mettono in luce drammaticamente l'estrema fragilità del nostro territorio e la necessità di una sua ormai improcrastinabile messa in sicurezza complessiva, contestualmente a una sostenibile pianificazione urbanistica;

              peraltro gli effetti conseguenti ai cambiamenti climatici in atto, sono ormai tali che gli eventi estremi in Italia hanno subito un aumento esponenziale, passando da uno circa ogni 15 anni prima degli anni ’90, a 4-5 l'anno;

              ricordiamo che il Ministero dell'Ambiente, sulla base dei dati dell'Ispra, ha valutato che il costo complessivo dei danni provocati dagli eventi franosi ed alluvionali dal 1951 al 2009, rivalutato in base agli indici Istat al 2009, risulta superiore a 52 miliardi di euro, quindi circa 1 miliardo di euro all'anno e, complessivamente, più di quanto servirebbe per realizzare l'insieme delle opere di mitigazione del rischio idrogeologico sull'intero territorio nazionale, individuate nei piani stralcio per l'assetto idrogeologico e quantificate in 40 miliardi di euro;

              la legge di stabilità, pur individuando positivamente opportune modalità e un crono programma volto ad accelerare l'utilizzo delle risorse (circa 1,4 mld.) già previste per dette finalità, stanzia risorse «nuove» per la difesa per solo 30 milioni per l'anno 2014, 50 milioni di euro per il 2015 e 100 milioni per l'anno 2016;

              risorse chiaramente del tutto insufficienti e inaccettabili per consentire alle regioni e agli enti locali di poter programmare un qualunque straccio di credibile lavoro di messa in sicurezza del territorio;

              peraltro le risorse per la difesa del suolo continuano a non essere escluse dai vincoli imposti dal patto di stabilità interno;

              va altresì evidenziato come il previsto fondo per il finanziamento (30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015) di un piano straordinario di bonifica delle discariche abusive, seppure vada valutato positivamente, risulta essere insufficiente negli importi stanziati;

              seppure sono positive le numerose norme volte a sostenere con diverse modalità, la ricostruzione dei territori colpiti da calamità naturali, non possono che considerarsi del tutto insufficienti le risorse assegnate in particolare alla regione Sardegna colpita dal violento nubifragio del 18 novembre scorso. Dopo i primi 20 milioni subito stanziati per il 2013 con decreto, la legge di stabilità in esame, stanzia per l'anno 2014 poco più di 51 milioni, dei quali: fino a 27,6 milioni di euro «giacenti sulla contabilità speciale intestata al Commissario straordinario per il dissesto», nonché 23,52 milioni relativi alle spese effettuate a valere sulle risorse assegnate alla Regione Sardegna dalla delibera Cipe 8/2012 (e che non vengono assoggettate per il 2014 al patto di stabilità interno). Per il 2015 si prevede uno stanziamento di 50 milioni di euro. Si prevede inoltre che l'ANAS per il ripristino di ponti e strade danneggiate, possa anticipare le risorse (non quantificate) autorizzate per il «programma degli interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse nazionale in gestione ad ANAS SpA»;

              al di là dell'esiguità delle suddette risorse stanziate (poco più di 100 milioni in due anni) a fronte di un evento calamitoso drammatico che ha provocato morti e distruzione in molti comuni sardi, laddove, per la sola Gallura, è plausibile parlare di 500 milioni di danni, va evidenziato che le gran parte delle suddette risorse non sono «risorse nuove», ma spostamenti di risorse già esistenti e già finalizzate per interventi a favore della

difesa del suolo, delle infrastrutture e del Ministero dell'Ambiente. Infatti, di tutte le risorse stanziate:

                  i 27,6 milioni di euro per il 2014 sono risorse già giacenti sulla contabilità speciale per il dissesto;

                  i 23,52 milioni stanziati, sono risorse già assegnate alla Regione Sardegna dalla delibera Cipe 8/2012 sul dissesto idrogeologico;

              l'esclusione dal patto di stabilità dei suddetti 23,52 milioni di euro, sono coperti con una diminuzione per il 2014 delle risorse a favore del Ministero dell'Ambiente (riportate dalla Tabella 13 della legge di stabilità) e che sono finalizzate principalmente a interventi a favore della difesa del suolo, interventi di bonifica e ripristino dei siti inquinati;

              le risorse per il ripristino di ponti e strade danneggiate, altro non sono che l'anticipazione delle risorse previste per il «programma degli interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse nazionale in gestione ad ANAS SpA»;

              è positiva la proroga delle detrazioni per le ristrutturazioni edilizie e per l'efficientamento energetico, anche se non si prevede alcuna stabilizzazione nel tempo di dette detrazioni come da sempre richiesto, e come ha previsto il comma 1, articolo 15, del decreto legge 63/2013: «Nelle more della definizione di misure ed incentivi selettivi di carattere strutturale, da adottare entro il 31 dicembre 2013, finalizzati a favorire la realizzazione di interventi per il miglioramento, l'adeguamento antisismico e la messa in sicurezza degli edifici esistenti, nonché per l'incremento dell'efficienza idrica e del rendimento energetico degli stessi...»;

              per quanto riguarda le norme in materia energetica, si ritiene grave quanto previsto dal comma 99 della legge di stabilità, laddove si interviene in materia di remunerazione delle capacità di produzione di energia elettrica, prevedendo che L'Autorità per l'energia elettrica e il gas, definisca un'integrazione del corrispettivo «per la remunerazione della disponibilità di capacità» prevista dal decreto legislativo n. 379/2003;

              si tratta di fatto in un supporto al termoelettrico che potrebbe configurarsi come aiuto di Stato, e che introduce una forma di capacity payment attraverso la remunerazione della capacità non utilizzata per le centrali termoelettriche (in difficoltà a causa della concorrenza del fotovoltaico, e per la crisi), allo scopo di garantire la redditività degli impianti pur agli attuali tassi di utilizzo;

              questa remunerazione dell'energia da fonti fossili, che altro non è che una forma di sostegno, non sarà finanziata con un «appesantimento» della bolletta elettrica, ma finanziato dal contributo di tutte le fonti di energia, rinnovabili incluse, ai costi di mantenimento in sicurezza del sistema elettrico;

              l'effetto paradossale della norma è quello per cui le fonti rinnovabili andrebbero a finanziare l'energia da fonti fossili. Peraltro si segnala che sia il Ministro Orlando che il Ministro Zanonato («sono assolutamente contrario a questo emendamento») si sono impegnati a togliere questa norma dal testo;

              così come si ritiene negativa la norma di interpretazione autentica contenuta nei commi 74 e 75, che esclude le centrali termoelettriche e turbogas, alimentate da fonti convenzionali, sopra i 300 MW realizzate dal 10 febbraio 2002 in poi, dall'obbligo di corrispondere ai Comuni gli oneri di urbanizzazione;

              le risorse assegnate alle aree protette e ai parchi, si confermano anche quest'anno del tutto insufficienti. Con le risorse assegnate dalla legge di stabilità, dovrebbero essere assicurati non soltanto il funzionamento dei parchi nazionali esistenti, ma anche quello delle Riserve Naturali dello Stato, del Parco tecnologico ed archeologico delle colline metallifere grossetane, del Parco museo delle miniere dell'Amiata, eccetera. Peraltro i parchi e le

aree protette rappresentano, tra l'altro, un motore economico di aree talora depresse e forma di tutela della natura che oltretutto attira turisti con conseguente giro d'affari;

              insufficienti si rivelano anche le risorse assegnate all'ISPRA. Risorse che non consentono all'Istituto di poter svolgere compiutamente gli importanti compiti di controllo che è tenuto a svolgere;

              per quanto riguarda lo Stato di previsione del Ministero dell'ambiente si rileva un aumento delle risorse a favore del Programma 18.12 (Tutela e conservazione del territorio e delle risorse idriche, trattamento e smaltimento rifiuti, bonifiche) e del Programma 18.13 (Tutela e conservazione della fauna e della flora, salvaguardia della biodiversità e dell'ecosistema marino). Contestualmente si ha una riduzione del Programma 18.3 (Prevenzione e riduzione integrata dell'inquinamento) di circa 17 milioni di euro; una riduzione del Programma 18.5 (Sviluppo sostenibile) di 10,9 milioni di euro (- 16,3 per cento); una diminuzione del Programma 18.8 (Vigilanza, prevenzione e repressione in ambito ambientale) per circa 1,9 milioni di euro: una riduzione del programma 17.3 (ricerca in materia ambientale) di 2,7 milioni di euro rispetto alle previsioni assestate 2013 (pari al 3,1 per cento);

          per tutto quanto ciò premesso,

DELIBERA DI RIFERIRE
IN SENSO CONTRARIO
VIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Ambiente, territorio e lavori pubblici)
RELAZIONE    DI    MINORANZA
sui
DISEGNI DI LEGGE
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866)
Stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016
(Tabella n. 9)
Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866-bis)
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) (1865)
dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle

      La VIII Commissione,

          premesso che:

              il provvedimento in esame rappresenta la prima manovra economica di un Governo di «larghe intese» nato dal responso delle urne del febbraio scorso e a forte caratterizzazione politica;

              la maggioranza che sostiene il Governo è già stata oggetto di un forte ridimensionamento a causa della scissione di una delle principali forze sostenitrici e lo stesso Capo dello Stato ha auspicato un passaggio parlamentare per fotografare il rinnovato quadro politico;

              il quadro macroeconomico che emerge dalle stime e dalle previsioni dei più autorevoli esperti di economia evidenzia una situazione di straordinaria gravità; secondo il Fondo Monetario Internazionale il Prodotto interno lordo del Paese è destinato a diminuire dell'1,8 per cento nel

2013, registrando, per il sesto anno consecutivo, valori di stagnazione, se non di recessione;

              le risposte dei governi che si sono succeduti non sono sembrate all'altezza dell'esigenza di un rilancio dell'economia che salvaguardasse i redditi e i servizi e puntasse ad interventi realmente efficaci;

              una sostanziale debolezza nei confronti delle istituzioni sovranazionali ha avviato una politica economica di austerità, con l'introduzione di continui tagli «lineari» che hanno ridotto la spesa pubblica – importante volano per l'economia – e hanno progressivamente determinato l'aumento degli interessi sul debito pubblico, aumentando indirettamente speculazioni finanziarie e trasferimenti di risorse all'estero;

              i dati sulla disoccupazione e sulla povertà relativa registrano una situazione sempre più preoccupante e le misure che man mano vengono adottate – sia con i provvedimenti della sessione di bilancio, sia con le continue manovre correttive, quasi sempre adottate con lo strumento della decretazione d'urgenza – si sono rivelate punitive nei confronti dei cittadini e della vitalità economica del sistema Paese e inconsistenti in termini di efficacia sui conti pubblici e sui parametri da rispettare in ambito europeo;

              l'orientamento che il Governo sembra voler perseguire con gli interventi di politica economica posti in essere nella fase iniziale della legislatura – dal decreto «del fare», alla manovrina, al documento di economia e finanza – oltre ad essere in sostanziale continuità con i precedenti esecutivi, ricalca l'indirizzo di un'adesione ad una politica dell'Unione Europea prevalentemente monetarista e più vicina al mondo della finanza e delle banche che ai bisogni dei cittadini e delle imprese;

              il nostro Paese avrebbe bisogno di rilanciare una nuova politica europea che non sia basata sulla finanza e sul mercato, ma che privilegi un'impostazione che metta in primo piano il lavoro, i diritti, la tutela ambientale, la conoscenza, la democrazia, l'uguaglianza; attraverso questa impostazione innovativa si potrebbe avviare – come sostenuto nel Forum organizzato a livello europeo da importanti reti di economisti, sindacati, centri di ricerca, movimenti sociali e media a giugno del 2012 – un vero e proprio «new deal verde», con l'obiettivo di creare adeguati investimenti per una transizione ecologica del nostro sistema economico verso la sostenibilità, che permetterebbe di creare nuovi posti di lavoro di qualità;

              è necessario avviare una nuova politica economica che, di fronte alle spinte recessive, attui una efficace strategia anticiclica basata su scelte di rottura con le politiche del passato, ad iniziare dalla riconversione del modello industriale e produttivo che porti ad una maggiore sostenibilità ecologica e al raggiungimento di una completa giustizia sociale;

              una nuova politica economica deve abbandonare la fallimentare strada, già percorsa con scarso successo in passato, della privatizzazione di pezzi importanti dello Stato, che hanno portato modeste risorse nelle casse pubbliche, senza alcun vantaggio per i lavoratori e per la qualità dei servizi, ma che hanno causato anomalie ed inefficienze del mercato, per le quali sono stati necessari comunque interventi a spese della collettività;

              l'Italia dovrebbe avere il coraggio e la forza di diventare il Paese guida in una proposta di trasformazione dell'Europa in una società e in un'economia sostenibile, attraverso la riduzione dell'uso delle fonti energetiche e delle risorse non rinnovabili, attraverso misure finalizzate alla tutela del suolo, degli ecosistemi e del paesaggio, così come sancito dalla nostra carta costituzionale, riducendo le emissioni di gas climalteranti, in linea con gli impegni assunti nelle sedi internazionali, avviando, finalmente, una seria azione di riduzione della produzione dei rifiuti e portando l'intero territorio nazionale ad elevate percentuali di raccolta differenziata e di riciclo, promuovendo meccanismi di incentivi

e disincentivi che stimolino domanda e offerta di beni e servizi ecosostenibili; i sistemi di ecoprogettazione, di raccolta differenziata porta a porta e di gestione della filiera di riuso e riciclo hanno oltretutto importanti risvolti occupazionali (alcune migliaia di posti di lavoro dalle prime stime) ed economici (riduzione dei costi della gestione dei rifiuti solidi urbani di circa il 20 per cento);

              è necessario rivedere la nostra politica infrastrutturale ed energetica, ancora stabilmente legata ad una visione espansiva non più compatibile con le risorse del paese e del pianeta, come dimostrano i documenti programmatici del Governo e gli interventi normativi degli ultimi mesi, che continuano ad allocare risorse su opere come la Torino-Lione, sottraendo liquidità a famiglie ed imprese e contribuendo ad alimentare la spirale recessiva e una sempre più iniqua distribuzione dei redditi;

              sui temi di stretta competenza della commissione ambiente, pur a fronte di qualche timido segnale positivo, non si può che confermare un giudizio estremamente critico sulle politiche ambientali ricomprese nella manovra di bilancio del Governo per il 2014;

              il piccolo aumento delle risorse a disposizione del ministero dell'Ambiente, pari a circa 40 milioni di euro, non appare certo risolutivo rispetto ad un devastante trend negativo che ha visto il bilancio del dicastero passare da 1469 milioni di euro del 2009, a 1265 nel 2010, fino ad arrivare ai 468 milioni dell'esercizio finanziario corrente;

              anche le misure contenute nell'articolato del provvedimento in materia di dissesto idrogeologico appaiono decisamente insufficienti a far fronte a quelle che continuano ad essere definite «emergenze», quando sono, purtroppo, la più che prevedibile conseguenza del combinato disposto delle politiche infrastrutturali e di governo del territorio unite all'assoluta mancanza di risorse e di pianificazione di interventi destinati alla prevenzione e alla messa in sicurezza del territorio e gli eventi calamitosi che si sono verificati proprio durante la sessione di bilancio – al punto che un primo intervento è stato disposto proprio durante il passaggio del provvedimento al Senato – mettono amaramente in luce questo quadro desolante;

              strettamente connesso alle tematiche sulla difesa del suolo è il tema dei cambiamenti climatici, la cui importanza non può essere brandita sul piano mediatico, come ha fatto il ministro Orlando, che ha sottolineato come «gli impatti economici dei cambiamenti climatici potrebbero costare all'Italia fino a 30 miliardi euro», senza che vi siano poi azioni concrete sul piano delle scelte, come dimostra l'assoluta assenza del tema nella legge di stabilità;

              molti altri settori, già oggetto di tagli negli anni passati e con le risorse ridotte al lumicino, sono stati completamente trascurati e le aree protette, la convenzione CITES sulle specie esotiche, la strategia sulla biodiversità non hanno visto alcun stanziamento aggiuntivo di risorse;

              in relazione all'istituzione di un Fondo nello stato di previsione del Ministero dell'Ambiente per il finanziamento di un Piano Straordinario di bonifica delle discariche abusive individuate dalle competenti autorità statali in relazione alla procedura di infrazione comunitaria n. 2003/2007, va prioritariamente evidenziato la penalizzante ristrettezza delle risorse messe a disposizione per tali complesse operazioni di riparazione del danno ambientale. Inoltre, non può essere disattesa la legittima aspettativa delle popolazioni residenti nelle province campane della cd «Terra dei Fuochi», affinché gli interventi di bonifica siano prioritariamente indirizzati verso le discariche abusive ivi presenti, in ragione della complessiva grave compromissione delle matrici acqua, suolo ed atmosfera ivi insistenti. A tal fine si richiama la necessità di prevedere, ai sensi dell'articolo 240, c. 1 lett. q)

del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152 cd testo unico ambientale, oltre agli interventi di bonifica, anche le operazioni di ripristino ambientale. Sarebbe necessario, inoltre, che il 10 per cento delle risorse stanziate fossero indirizzate, previo accordo con le regioni e le Province autonome, alla mappatura e all'aggiornamento dei siti oggetto di abbandoni e depositi illeciti di rifiuti. Si tratta di attività che rispondono ad una concreta applicazione del principio comunitario della prevenzione. Contestualmente dovrebbero essere garantiti controlli su ulteriori abbandoni illeciti di rifiuti anche tramite sistemi di sorveglianza in remoto e la chiusura o il traffico regolamentato delle strade di accesso ai siti interessati dalle anzidette operazioni illecite;

              decisamente negativa appare inoltre l'introduzione al Senato dei commi 74, 75 e 99, i primi due dei quali finalizzati all'esclusione delle centrali termoelettriche e turbogas dall'obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione e l'ultimo che prevede ulteriori contributi alle fonti fossili anticipando al 2014 il meccanismo di finanziamento delle centrali termoelettriche, potenzialmente a discapito delle fonti rinnovabili, su cui potrebbe gravare un onere retroattivo;

              per quanto riguarda queste ultime sarebbe comunque auspicabile una puntuale analisi basata sul reale ritorno energetico, sulla sostenibilità ambientale e sul bisogno di energia del nostro Paese, che porterebbe ad evidenti risparmi, visto l'aumento esponenziale di richieste autorizzative di impianti di ogni tipo e dimensione che per il 2012 hanno sottratto al Sistema Paese circa 10 miliardi di euro (per costruzione e pagamento dell'energia degli impianti a biogas e biomasse) frenando la transizione all'era post combustibili fossili;

DELIBERA DI RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO
VIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Ambiente, territorio e lavori pubblici)
RELAZIONE    DI    MINORANZA
sui
DISEGNI DI LEGGE
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866)
Stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016
(Tabella n. 10, limitatamente alle parti di competenza)
Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866-bis)
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) (1865)
dei deputati Zan, Zaratti e Pellegrino

      La VIII Commissione,

          esaminato il disegno di legge di stabilità 2014, e lo stato di previsione del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti (Tabella n. 10) per le parti di competenza,

          premesso che:

              dopo tanti sacrifici i cittadini italiani attendevano che la manovra economica del Governo Letta ridesse fiato all'economia italiana, la quale dal 2007 ad oggi ha perso addirittura il 9 per cento della produzione di beni e servizi, e ha visto raddoppiare la disoccupazione da un milione e mezzo a tre milioni di unità. Si possono avere molti dubbi sul fatto che la manovra riuscirà a portare il Pil a crescere almeno di un punto percentuale nel 2014 come il Governo prevede;

              come più volte sottolineato, anche di recente da Confindustria, Rete Imprese Italia e dalla principali Associazioni Sindacali

di categoria, sei anni di crisi finanziaria, prima globale e poi dei debiti sovrani nell'Eurozona, e due recessioni hanno colpito duramente l'economia europea e quella italiana, dove le conseguenze sono state più gravi che nella maggior parte degli altri paesi;

              rispetto al picco toccato sei anni fa, il prodotto interno lordo italiano si è ridotto del 9 per cento, il PIL procapite è diminuito del 10,4 per cento, ossia circa 2.700 euro correnti in meno per abitante, ed è così tornato ai livelli del 1997, caso unico tra i Paesi dell'euro (in Spagna e Francia, il PIL procapite, nonostante la crisi, è comunque più alto di oltre il 15 per cento rispetto al 1997); la riduzione della domanda interna è stata di una intensità che dall'Unità d'Italia non ha precedenti in periodo di pace ed è stata la determinante del calo dell'attività economica, dato che le esportazioni sono tornate sopra i livelli del 2007. In seguito alla caduta del reddito disponibile, che in termini reali è sceso dell'11,1 per cento, la contrazione dei consumi delle famiglie è risultata del 7,8 per cento;

              l'occupazione è caduta del 7,2 per cento, pari a 1,8 milioni di unità di lavoro in meno. Molte delle persone che hanno perduto l'impiego non riusciranno a ricollocarsi nel sistema produttivo;

              la produzione industriale è a un livello inferiore del 24,2 per cento rispetto al picco pre-crisi del terzo trimestre del 2007; in alcuni settori la diminuzione supera il 40 per cento;

              il credit crunch ha trasmesso la crisi dalla finanza all'economia reale. È stato particolarmente severo in Italia, soprattutto dall'estate 2011. Nell'agosto scorso il credito erogato alle imprese italiane è risultato dell'8,0 per cento più basso che nel settembre 2011, con una contrazione media mensile dello 0,4 per cento. In valore si tratta di una riduzione di 74 miliardi di euro;

              la restrizione creditizia sta proseguendo. Tante imprese faticano a ottenere prestiti bancari: l'indagine ISTAT indica che a settembre l'11,4 per cento di quelle che ne hanno fatto richiesta non li hanno ricevuti, molto più del 6,9 per cento registrato nella prima metà del 2011. Altre imprese hanno rinunciato a domandare credito a fronte di costi troppo alti;

              la carenza di credito ostacola l'operatività di molte imprese, anche finanziariamente solide;

              nel manifatturiero la disponibilità di liquidità resta molto ridotta rispetto alle esigenze e le aziende continuano a prevederla in calo, anche se c’è stato un miglioramento negli ultimi mesi, verosimilmente a seguito dell'immissione di liquidità derivante dal pagamento di oltre 11 miliardi di debiti commerciali della pubblica amministrazione;

              le iniziative che il Governo avrebbe dovuto perseguire al fine di risollevare la condizione economica delle imprese appaiono del tutto deludenti, anche a seguito delle modifiche introdotte dal Senato, a partire da quanto previsto in materia di riduzione del cuneo fiscale e contributivo per aumentare il reddito disponibile delle persone, restituire competitività alle imprese e mantenere la coesione sociale, sostegno agli investimenti privati in ricerca e innovazione, con interventi semplici da gestire, rilancio della domanda pubblica e privata di beni di investimento, allentamento del patto di stabilità interno, rinnovo degli incentivi all'edilizia, sostegno alla liquidità del sistema e allentamento della morsa del credit crunch;

              il cuore economico e politico della Legge di Stabilità consiste nella riduzione del cuneo fiscale, cioè della differenza tra il costo che mediamente le imprese sostengono per ogni lavoratore e il salario netto che entra nelle tasche del lavoratore stesso. Una differenza dovuta, naturalmente, al peso di tasse e contributi che gravano sulle tasche degli imprenditori e dei lavoratori, e che in Italia è piuttosto elevato (secondo l'OCSE il cuneo assorbe il 47,6 per cento del costo del lavoro, contro una media del 35,6 per cento dell'insieme

dei Paesi OCSE). La riduzione del cuneo fiscale nella misura in cui riduce il costo del lavoro per le imprese, determina una contrazione dei costi di produzione e quindi dei prezzi di vendita delle merci e dei servizi, facendo aumentare la competitività dell'industria nazionale. In questo modo, si rilanciano le esportazioni e si invogliano i consumatori a un maggiore acquisto di merci nazionali, e ciò porta a una riduzione delle importazioni. Dall'altro lato, nella misura in cui aumenta il reddito disponibile dei lavoratori, il taglio del cuneo fiscale determina una crescita della domanda di beni di consumo e ciò spinge le imprese ad aumentare la produzione e l'occupazione. Insomma, l'abbattimento del cuneo fiscale fa crescere la competitività e alimenta la domanda interna, tutte cose di cui abbiamo assoluto bisogno per riprendere la via dello sviluppo;

              ma il beneficio in busta paga per un lavoratore dipendente inferiore a 200 euro in un anno. Non si può certo definire utile una simile misura per far ripartire i consumi nel nostro paese. Non dobbiamo dimenticare che la stessa arriva dopo un biennio in cui le politiche di rigore hanno letteralmente stremato il sistema produttivo, fatto lievitare a dismisura il carico fiscale e calare vistosamente il livello della domanda interna;

              l'intervento dunque è solo teoricamente buono. Va chiarito, infatti, che l'intervento del Governo – tra sgravi Irpef e Irap, e decontribuzioni Inail – taglia il cuneo di 10,6 miliardi nel triennio, appena 2,5 miliardi nel 2014. A ben vedere, si tratta di un intervento estremamente contenuto, che nel 2014 metterà nelle tasche di un lavoratore medio solo una manciata di euro al mese e ben poco respiro darà alle imprese che non vedranno variare significativamente il costo del lavoro per unità di prodotto. Considerata la sua entità, si tratta dunque di un intervento che avrà effetti limitatissimi e che avrebbe potuto cominciare ad avere un qualche rilievo solo se l'intero importo previsto nel triennio avesse riguardato il solo 2014;

              la manovra per il 2014, nel suo complesso, vale circa 15 miliardi. Le risorse provengono soprattutto da tagli di spesa pubblica, da dismissioni, da qualche maggiore entrata e dal solito blocco della contrattazione e del turnover nel pubblico impiego;

              ma i tagli della spesa pubblica, gli aumenti delle tasse e la mannaia sui lavoratori pubblici portano con loro una minore domanda di merci e servizi proveniente direttamente o indirettamente dal settore pubblico e da quello privato, e questo azzera i già risicati effetti positivi dell'aumento del reddito disponibile delle famiglie assicurato dal taglio del cuneo. Se, infatti, il taglio del cuneo alimentava la domanda, tagli e tasse la riducono in misura maggiore. E se la domanda complessiva non torna a crescere non possiamo sperare che l'economia riparta. A riguardo è bene ricordare che dal 2002 al 2012 l'Italia ha registrato una dinamica della domanda interna complessivamente negativa (-1,6 per cento), contro valori significativamente in crescita nell'area euro (più 9 per cento) e soprattutto negli USA (più 15 per cento);

              in questo quadro risulta altrettanto risibile la previsione di una riduzione della pressione fiscale di un punto percentuale in tre anni, come è stato fatto osservare, giustamente, dalle stesse associazioni degli imprenditori, a maggior ragione se si considera che l'Iva è appena passata dal 21 al 22 per cento;

              manca una politica concentrata sulla domanda di lavoro mentre si continua ad operare, e con misure minime, sull'offerta di lavoro. Invece di Piano del lavoro incentrato sul dissesto idrogeologico (per il quale si destinano 30 milioni!), la messa in sicurezza delle scuole, l'innovazione tecnologica, di 10-20 miliardi, si insiste sullo spot puramente pubblicitario della riduzione delle tasse sul lavoro;

              lo scopo principale della manovra è restare dentro i tanto discussi vincoli europei, e in particolare tenere il deficit pubblico (la differenza annua tra uscite ed

entrate pubbliche) entro il limite del 3 per cento del Pil. In Europa sono in atto processi cumulativi di divergenza territoriale alimentati dalle politiche di austerità. Questi processi portano a una divaricazione drammatica tra aree centrali in crescita (in primis, la Germania) e aree periferiche in declino (l'Italia e gli altri Piigs);

              qualunque manovra si muova dentro la cornice attuale dei vincoli non può riuscire a invertire i processi di divergenza in atto, e quindi a metterci al passo delle aree centrali d'Europa. Con la certezza che presto o tardi, in assenza di un cambiamento delle politiche europee, il gioco dell'euro salterà;

              dobbiamo registrare, inoltre, la falsa disubbidienza di Letta e Saccomanni rispetto a Bruxelles. Dopo che la Commissione europea ha espresso la sua preoccupazione sul progetto di bilancio invitando le autorità italiane «a prendere le misure necessarie» per assicurare che la Finanziaria per il 2014 rispetti le norme del Patto di stabilità e crescita relative alla diminuzione del debito pubblico, Letta rispose affermando che «di troppa austerità si muore». Ma neanche una settimana dopo ha presentato un nuovo Programma per la revisione della spesa: infatti, la legge di stabilità, sanciva che «nessun risparmio» è previsto per il 2014 mentre negli anni successivi i risparmi sono pari a 3,6 miliardi nel 2015, 8,3 miliardi nel 2016 e 11,3 miliardi a decorrere dal 2017;

              adesso il Programma della spending review arriva a quota 32 miliardi nel solo triennio 2014-2016 (prima erano previsti 11,9 miliardi); ed inoltre si prevede un piano di privatizzazioni di 12 miliardi;

              è importante ricordare che per la prima volta, dalla nascita dell'Europa di Maastricht, il progetto di legge di stabilità sarà prima vagliato dalla Commissione europea, che potrà imporre correttivi e comminare sanzioni in caso di inadempienza, e poi discusso ed approvato dal Parlamento;

              con l'entrata in vigore del cosiddetto «two-pack», il pacchetto di due regolamenti approvato dal parlamento di Strasburgo nel maggio scorso, si è infatti chiuso il cerchio in tema di «sorveglianza» europea sui bilanci dei Paesi dell'Eurozona, con tutto quello che ciò comporta per la «sovranità» e l'autonomia politica degli stessi;

              dentro un meccanismo così congegnato la funzione dei parlamenti nazionali è quasi del tutto esautorata: le forze politiche parlamentari non avranno grandi margini di manovra per modificare l'impianto e la filosofia del documento di bilancio se alla Commissione europea è stato riconosciuto un sostanziale diritto di veto sui bilanci nazionali;

              la legge di stabilità ed i provvedimenti collegati a differenza che nel passato, sono in primo luogo manovre contabili atte a correggere l'andamento dei conti pubblici, e solo secondariamente strumenti attraverso cui incidere sui processi economici e sociali;

              in Europa c’è un problema di risorse insufficienti, e c’è un problema di democrazia. La linea dell'austerità, combinata con l'esautoramento della democrazia, sta arrecando danni gravissimi alle nostre società, dove crescono disagio sociale e sfiducia nelle istituzioni. Gli unici che finora sembrano guadagnarci da questa situazione sono, su un versante, banche speculatori, sull'altro versante populisti e demagoghi;

          valutato inoltre, per le parti di competenza, che:

              accanto al finanziamento di interventi infrastrutturali condivisibili, per esempio l'autostrada Salerno-Reggio Calabria, i provvedimenti in esame, continuano a stanziare ingenti risorse per le grandi opere laddove la vera e urgente priorità infrastrutturale dovrebbe essere individuata in un programma di messa in sicurezza del nostro territorio;

              il sistema «MOSE» viene finanziato con 151 milioni di euro per il 2014,

100 milioni per il 2015, 71 milioni per il 2016 e 79 milioni di euro per l'anno 2017;

              il progetto TAV può contare su 49 milioni di euro per il 2014, 243 milioni per il 2015, 141 milioni per il 2016, e 2 miliardi di euro dal 2017;

              si conferma così il consistente rifinanziamento per gli anni 2016, 2017 e successivi, della nuova linea ferroviaria Torino-Lione fino al 2019, opera inutile rispetto a quanto previsto dall'Europa, e del tutto incompatibile con l'ordine di priorità di destinazione delle risorse che dovrebbe essere applicato nell'agenda politica del Governo;

              nulla si prevede inoltre in materia di politiche abitative e di social housing, in grado di fornire una prima efficace risposta all'emergenza abitativa e un sostegno alle classi sociali più deboli ed esposte alla crisi, nulla si prevede con riferimento alle politiche di social housing;

              si prevede peraltro un piano di dismissioni di immobili pubblici al fine di consentire introiti non inferiori a 500 milioni l'anno nel triennio 2014-2016, laddove si sarebbe potuto disporre la destinazione di una quota parte degli introiti all'edilizia residenziale sociale pubblica;

              non è previsto alcuno stanziamento del Fondo nazionale di sostegno per l'accesso alle abitazioni in locazione, di cui alla legge 431/1998, in materia di locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo, un importante strumento legislativo in mano agli enti locali per consentire una integrazione economica per quella famiglie con redditi molto bassi che hanno difficoltà a pagare i canoni d'affitto;

              per quanto riguarda lo Stato di previsione del Ministero delle Infrastrutture si segnala che la missione relativa a «Infrastrutture pubbliche e logistica», stanzia circa 3,8 miliardi di euro per il 2014, con una diminuzione di 360,2 milioni di euro rispetto all'assestamento del 2013;

              il programma relativo ad «Opere strategiche, edilizia statale ed interventi speciali e per pubbliche calamità», con uno stanziamento di 2,7 miliardi di euro, risulta inferiore di 192,8 milioni di euro rispetto alle previsioni assestate 2013;

          per tutto quanto ciò premesso,

DELIBERA DI RIFERIRE
IN SENSO CONTRARIO
VIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Ambiente, territorio e lavori pubblici)
RELAZIONE    DI    MINORANZA
sui
DISEGNI DI LEGGE
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866)
Stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016
(Tabella n. 10, limitatamente alle parti di competenza)
Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866-bis)
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) (1865)
dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle

      La VIII Commissione,

          premesso che:

              il provvedimento in esame rappresenta la prima manovra economica di un Governo di «larghe intese» nato dal responso delle urne del febbraio scorso e a forte caratterizzazione politica;

              la maggioranza che sostiene il Governo è già stata oggetto di un forte ridimensionamento a causa della scissione di una delle principali forze sostenitrici e lo stesso Capo dello Stato ha auspicato un passaggio parlamentare per fotografare il rinnovato quadro politico;

              il quadro macroeconomico che emerge dalle stime e dalle previsioni dei più autorevoli esperti di economia evidenzia una situazione di straordinaria gravità; secondo il Fondo Monetario Internazionale il Prodotto interno lordo del Paese è destinato a diminuire dell'1,8 per cento nel

2013, registrando, per il sesto anno consecutivo, valori di stagnazione, se non di recessione;

              le risposte dei Governi che si sono succeduti non sono sembrate all'altezza dell'esigenza di un rilancio dell'economia che salvaguardasse i redditi e i servizi e puntasse ad interventi realmente efficaci;

              una sostanziale debolezza nei confronti delle istituzioni sovranazionali ha avviato una politica economica di austerità, con l'introduzione di continui tagli «lineari» che hanno ridotto la spesa pubblica – importante volano per l'economia – e hanno progressivamente determinato l'aumento degli interessi sul debito pubblico, aumentando indirettamente speculazioni finanziarie e trasferimenti di risorse all'estero;

              i dati sulla disoccupazione e sulla povertà relativa registrano una situazione sempre più preoccupante e le misure che man mano vengono adottate – sia con i provvedimenti della sessione di bilancio, sia con le continue manovre correttive, quasi sempre adottate con lo strumento della decretazione d'urgenza – si sono rivelate punitive nei confronti dei cittadini e della vitalità economica del sistema Paese e inconsistenti in termini di efficacia sui conti pubblici e sui parametri da rispettare in ambito europeo;

              l'orientamento che il Governo sembra voler perseguire con gli interventi di politica economica posti in essere nella fase iniziale della legislatura – dal decreto «del fare», alla manovrina, al documento di economia e finanza – oltre ad essere in sostanziale continuità con i precedenti esecutivi, ricalca l'indirizzo di un'adesione ad una politica dell'Unione Europea prevalentemente monetarista e più vicina al mondo della finanza e delle banche che ai bisogni dei cittadini e delle imprese;

              il nostro Paese avrebbe bisogno di rilanciare una nuova politica europea che non sia basata sulla finanza e sul mercato, ma che privilegi un'impostazione che metta in primo piano il lavoro, i diritti, la tutela ambientale, la conoscenza, la democrazia, l'uguaglianza; attraverso questa impostazione innovativa si potrebbe avviare – come sostenuto nel Forum organizzato a livello europeo da importanti reti di economisti, sindacati, centri di ricerca, movimenti sociali e media a giugno del 2012 – un vero e proprio «new deal verde», con l'obiettivo di creare adeguati investimenti per una transizione ecologica del nostro sistema economico verso la sostenibilità, che permetterebbe di creare nuovi posti di lavoro di qualità;

              è necessario avviare una nuova politica economica che, di fronte alle spinte recessive, attui una efficace strategia anticiclica basata su scelte di rottura con le politiche del passato, ad iniziare dalla riconversione del modello industriale e produttivo che porti ad una maggiore sostenibilità ecologica e al raggiungimento di una completa giustizia sociale;

              una nuova politica economica deve abbandonare la fallimentare strada, già percorsa con scarso successo in passato, della privatizzazione di pezzi importanti dello Stato, che hanno portato modeste risorse nelle casse pubbliche, senza alcun vantaggio per i lavoratori e per la qualità dei servizi, ma che hanno causato anomalie ed inefficienze del mercato, per le quali sono stati necessari comunque interventi a spese della collettività;

              l'Italia dovrebbe avere il coraggio e la forza di diventare il Paese guida in una proposta di trasformazione dell'Europa in una società e in un'economia sostenibile, attraverso la riduzione dell'uso delle fonti energetiche e delle risorse non rinnovabili, attraverso misure finalizzate alla tutela del suolo, degli ecosistemi e del paesaggio, così come sancito dalla nostra carta costituzionale, riducendo le emissioni di gas climalteranti, in linea con gli impegni assunti nelle sedi internazionali, avviando, finalmente, una seria azione di riduzione della produzione dei rifiuti e portando l'intero territorio nazionale ad elevate percentuali di raccolta differenziata e di riciclo, promuovendo meccanismi di incentivi

e disincentivi che stimolino domanda e offerta di beni e servizi ecosostenibili; i sistemi di ecoprogettazione, di raccolta differenziata porta a porta e di gestione della filiera di riuso e riciclo hanno oltretutto importanti risvolti occupazionali (alcune migliaia di posti di lavoro dalle prime stime) ed economici (riduzione dei costi della gestione dei rifiuti solidi urbani di circa il 20 per cento);

              è necessario rivedere la nostra politica infrastrutturale ed energetica, ancora stabilmente legata ad una visione espansiva non più compatibile con le risorse del paese e del pianeta, come dimostrano i documenti programmatici del Governo e gli interventi normativi degli ultimi mesi, che continuano ad allocare risorse su opere come la Torino-Lione, sottraendo liquidità a famiglie ed imprese e contribuendo ad alimentare la spirale recessiva e una sempre più iniqua distribuzione dei redditi;

              per quanto riguarda queste ultime sarebbe comunque auspicabile una puntuale analisi basata sul reale ritorno energetico, sulla sostenibilità ambientale e sul bisogno di energia del nostro paese, che porterebbe ad evidenti risparmi, visto l'aumento esponenziale di richieste autorizzative di impianti di ogni tipo e dimensione che per il 2012 hanno sottratto al Sistema Paese circa 10 miliardi di euro (per costruzione e pagamento dell'energia degli impianti a biogas e biomasse) frenando la transizione all'era post combustibili fossili;

              la chiave di lettura sostanziale di un'impostazione rigidamente ancorata ad un modello di sviluppo non più sostenibile è quella legata alle politiche infrastrutturali e trasportistiche: quasi il 20 per cento dell'ammontare complessivo della manovra di bilancio, pari a circa 2 miliardi di euro, viene destinato alle infrastrutture strategiche, locuzione con cui viene definito lo smisurato – e vieppiù crescente – elenco di grandi opere ad elevato impatto ambientale, passato dalle 115 opere per un costo di 125,8 miliardi di euro del 2001 alle 375 opere per 390 miliardi di euro del 2012; un programma infrastrutturale tanto ambizioso quanto pieno di criticità e di incognite, a cominciare dalla reale disponibilità di risorse, e che non è assolutamente in grado di risolvere le esigenze del Paese; nel piano delle grandi opere infatti è lampante lo squilibrio a favore di opere ad alto impatto ambientale, elevato rapporto costo/beneficio, bassa resa occupazionale, quando il vero gap del nostro paese rispetto all'Europa non sono le grandi infrastrutture, ma la mobilità urbana sostenibile, il trasporto pubblico, le reti ferroviarie locali, settori sui quali non si fanno investimenti sufficienti, mentre si continua a finanziare impropriamente l'autotrasporto;

              va segnalata, all'interno dell'articolato della legge di stabilità, la presenza di finanziamenti ad hoc per interventi infrastrutturali che non sembrano rispondere ad un'esigenza di pianificazione e coordinamento strategico e che appaiono in contrasto con il principio che prevede l'esclusione, dalla legge di stabilità, di disposizioni finalizzate direttamente al sostegno o al rilancio dell'economia nonché di carattere ordinamentale, microsettoriale e localistico;

DELIBERA DI RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO
IX COMMISSIONE PERMANENTE
(Trasporti, poste e telecomunicazioni)
IX COMMISSIONE PERMANENTE
(Trasporti, poste e telecomunicazioni)
RELAZIONE    DI    MINORANZA
sui
DISEGNI DI LEGGE
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866)
Stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016
(Tabella n. 3, limitatamente alle parti di competenza)
Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866-bis)
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) (1865)
dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia e Libertà

      La IX Commissione,

          esaminato, per le parti di propria competenza, il disegno di legge A.C 1866 «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016» (Tabella n. 3) e le parti corrispondenti del disegno di legge A.C 1865 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)»;

          premesso che:

              dopo tanti sacrifici i cittadini italiani attendevano che la manovra economica del governo Letta ridesse fiato all'economia italiana, la quale dal 2007 ad oggi ha perso addirittura il 9 per cento della produzione di beni e servizi e ha visto raddoppiare la disoccupazione, da un milione e mezzo a tre milioni di unità. Si possono avere molti dubbi sul fatto che la

manovra riuscirà a portare il Pil a crescere almeno di un punto percentuale nel 2014 come il governo prevede;

              come più volte sottolineato, anche di recente da Confindustria, Rete Imprese Italia e dalla principali Associazioni Sindacali di categoria, sei anni di crisi finanziaria, prima globale e poi dei debiti sovrani nell'Eurozona, e due recessioni hanno colpito duramente l'economia europea e quella italiana, dove le conseguenze sono state più gravi che nella maggior parte degli altri paesi;

              rispetto al picco toccato sei anni fa, il prodotto interno lordo italiano si è ridotto del 9 per cento, il PIL procapite è diminuito del 10,4 per cento, ossia circa 2.700 euro correnti in meno per abitante, ed è così tornato ai livelli del 1997, caso unico tra i Paesi dell'euro (in Spagna e Francia, il PIL procapite, nonostante la crisi, è comunque più alto di oltre il 15 per cento rispetto al 1997);

          la riduzione della domanda interna è stata di una intensità che dall'Unità d'Italia non ha precedenti in periodo di pace ed è stata la determinante del calo dell'attività economica, dato che le esportazioni sono tornate sopra i livelli del 2007. In seguito alla caduta del reddito disponibile, che in termini reali è sceso dell'11,1 per cento, la contrazione dei consumi delle famiglie è risultata del 7,8 per cento;

          l'occupazione è caduta del 7,2 per cento, pari a 1,8 milioni di unità di lavoro in meno. Molte delle persone che hanno perduto l'impiego non riusciranno a ricollocarsi nel sistema produttivo;

          la produzione industriale è a un livello inferiore del 24,2 per cento rispetto al picco pre-crisi del terzo trimestre del 2007; in alcuni settori la diminuzione supera il 40 per cento;

          il credit crunch ha trasmesso la crisi dalla finanza all'economia reale. È stato particolarmente severo in Italia, soprattutto dall'estate 2011. Nell'agosto scorso il credito erogato alle imprese italiane è risultato dell'8,0 per cento più basso che nel settembre 2011, con una contrazione media mensile dello 0,4 per cento. In valore si tratta di una riduzione di 74 miliardi di euro;

          la restrizione creditizia sta proseguendo. Tante imprese faticano a ottenere prestiti bancari: l'indagine ISTAT indica che a settembre l'11,4 per cento di quelle che ne hanno fatto richiesta non li hanno ricevuti, molto più del 6,9 per cento registrato nella prima metà del 2011. Altre imprese hanno rinunciato a domandare credito a fronte di costi troppo alti;

          la carenza di credito ostacola l'operatività di molte imprese, anche finanziariamente solide;

          nel manifatturiero la disponibilità di liquidità resta molto ridotta rispetto alle esigenze e le aziende continuano a prevederla in calo, anche se c’è stato un miglioramento negli ultimi mesi, verosimilmente a seguito dell'immissione di liquidità derivante dal pagamento di oltre 11 miliardi di debiti commerciali della pubblica amministrazione;

          le iniziative che il Governo avrebbe dovuto perseguire al fine di risollevare la condizione economica delle imprese appaiono del tutto deludenti, anche a seguito delle modifiche introdotte dal Senato, a partire di quanto previsto in materia di riduzione del cuneo fiscale e contributivo per aumentare il reddito disponibile delle persone, restituire competitività alle imprese e mantenere la coesione sociale, sostegno agli investimenti privati in ricerca e innovazione, con interventi semplici da gestire, rilancio della domanda pubblica e privata di beni di investimento, allentamento del patto di stabilità interno, rinnovo degli incentivi all'edilizia, sostegno alla liquidità del sistema e allentamento della morsa del credit crunch;

          il cuore economico e politico della Legge di Stabilità consiste nella riduzione del cuneo fiscale, cioè della differenza tra il costo che mediamente le imprese sostengono per ogni lavoratore e il salario netto che entra nelle tasche del lavoratore

stesso. Una differenza dovuta, naturalmente, al peso di tasse e contributi che gravano sulle tasche degli imprenditori e dei lavoratori, e che in Italia è piuttosto elevato (secondo l'OCSE il cuneo assorbe il 47,6 per cento del costo del lavoro, contro una media del 35,6 per cento dell'insieme dei Paesi OCSE). La riduzione del cuneo fiscale nella misura in cui riduce il costo del lavoro per le imprese, determina una contrazione dei costi di produzione e quindi dei prezzi di vendita delle merci e dei servizi, facendo aumentare la competitività dell'industria nazionale. In questo modo, si rilanciano le esportazioni e si invogliano i consumatori a un maggiore acquisto di merci nazionali, e ciò porta a una riduzione delle importazioni. Dall'altro lato, nella misura in cui aumenta il reddito disponibile dei lavoratori, il taglio del cuneo fiscale determina una crescita della domanda di beni di consumo e ciò spinge le imprese ad aumentare la produzione e l'occupazione. Insomma, l'abbattimento del cuneo fiscale fa crescere la competitività e alimenta la domanda interna, tutte cose di cui abbiamo assoluto bisogno per riprendere la via dello sviluppo;

          ma il beneficio in busta paga per un lavoratore dipendente inferiore a 200 euro in un anno. Non si può certo definire utile una simile misura per far ripartire i consumi nel nostro paese. Non dobbiamo dimenticare che la stessa arriva dopo un biennio in cui le politiche di rigore hanno letteralmente stremato il sistema produttivo, fatto lievitare a dismisura il carico fiscale e calare vistosamente il livello della domanda interna;

          l'intervento dunque è solo teoricamente buono. Va chiarito, infatti, che l'intervento del governo – tra sgravi Irpef e Irap, e decontribuzioni Inail – taglia il cuneo di 10,6 miliardi nel triennio, appena 2,5 miliardi nel 2014. A ben vedere, si tratta di un intervento estremamente contenuto, che nel 2014 metterà nelle tasche di un lavoratore medio solo una manciata di euro al mese e ben poco respiro darà alle imprese che non vedranno variare significativamente il costo del lavoro per unità di prodotto. Considerata la sua entità, si tratta dunque di un intervento che avrà effetti limitatissimi e che avrebbe potuto cominciare ad avere un qualche rilievo solo se l'intero importo previsto nel triennio avesse riguardato il solo 2014;

          la manovra per il 2014, nel suo complesso, vale circa 15 miliardi. Le risorse provengono soprattutto da tagli di spesa pubblica, da dismissioni, da qualche maggiore entrata e dal solito blocco della contrattazione e del turnover nel pubblico impiego;

          ma i tagli della spesa pubblica, gli aumenti delle tasse e la mannaia sui lavoratori pubblici portano con loro una minore domanda di merci e servizi proveniente direttamente o indirettamente dal settore pubblico e da quello privato, e questo azzera i già risicati effetti positivi dell'aumento del reddito disponibile delle famiglie assicurato dal taglio del cuneo. Se, infatti, il taglio del cuneo alimentava la domanda, tagli e tasse la riducono in misura maggiore. E se la domanda complessiva non torna a crescere non possiamo sperare che l'economia riparta. A riguardo è bene ricordare che dal 2002 al 2012 l'Italia ha registrato una dinamica della domanda interna complessivamente negativa (-1,6 per cento), contro valori significativamente in crescita nell'area euro (più 9 per cento) e soprattutto negli USA (più 15 per cento);

          in questo quadro risulta altrettanto risibile la previsione di una riduzione della pressione fiscale di un punto percentuale in tre anni, come è stato fatto osservare, giustamente, dalle stesse associazioni degli imprenditori, a maggior ragione se si considera che l'Iva è appena passata dal 21 al 22 per cento;

          manca una politica concentrata sulla domanda di lavoro mentre si continua ad operare, e con misure minime, sull'offerta di lavoro. Invece di Piano del lavoro incentrato sul dissesto idrogeologico (per il quale si destinano 30 milioni!), la messa in sicurezza delle scuole, l'innovazione

tecnologica, di 10-20 miliardi, si insiste su lo spot puramente pubblicitario della riduzione delle tasse sul lavoro;

          lo scopo principale della manovra è restare dentro i tanto discussi vincoli europei, e in particolare tenere il deficit pubblico (la differenza annua tra uscite ed entrate pubbliche) entro il limite del 3 per cento del Pil. In Europa sono in atto processi cumulativi di divergenza territoriale alimentati dalle politiche di austerità. Questi processi portano a una divaricazione drammatica tra aree centrali in crescita (in primis, la Germania) e aree periferiche in declino (l'Italia e gli altri Piigs);

          qualunque manovra si muova dentro la cornice attuale dei vincoli non può riuscire a invertire i processi di divergenza in atto, e quindi a metterci al passo delle aree centrali d'Europa. Con la certezza che presto o tardi, in assenza di un cambiamento delle politiche europee, il gioco dell'euro salterà;

          dobbiamo registrare, inoltre, la falsa disubbidienza di Letta e Saccomanni rispetto a Bruxelles.

          Dopo che la Commissione europea ha espresso la sua preoccupazione sul progetto di bilancio invitando le autorità italiane «a prendere le misure necessarie» per assicurare che la Finanziaria per il 2014 rispetti le norme del Patto di stabilità e crescita relative alla diminuzione del debito pubblico, Letta rispose affermando che «di troppa austerità si muore». Ma neanche una settimana dopo ha presentato un nuovo Programma per la revisione della spesa: infatti, la legge di stabilità, sanciva che «nessun risparmio» è previsto per il 2014 mentre negli anni successivi i risparmi sono pari a 3,6 miliardi nel 2015, 8,3 miliardi nel 2016 e 11,3 miliardi a decorrere dal 2017;

          adesso il Programma della spending review arriva a quota 32 miliardi nel solo triennio 2014-2016 (prima erano previsti 11,9 miliardi); ed inoltre si prevede un piano di privatizzazioni di 12 miliardi;

          è importante ricordare che per la prima volta, dalla nascita dell'Europa di Maastricht, il progetto di legge di stabilità sarà prima vagliato dalla Commissione europea, che potrà imporre correttivi e comminare sanzioni in caso di inadempienza, e poi discusso ed approvato dal Parlamento;

          con l'entrata in vigore del cosiddetto «two-pack», il pacchetto di due regolamenti approvato dal parlamento di Strasburgo nel maggio scorso, si è infatti chiuso il cerchio in tema di «sorveglianza» europea sui bilanci dei Paesi dell'Eurozona, con tutto quello che ciò comporta per la «sovranità» e l'autonomia politica degli stessi;

          dentro un meccanismo così congegnato la funzione dei parlamenti nazionali è quasi del tutto esautorata: le forze politiche parlamentari non avranno grandi margini di manovra per modificare l'impianto e la filosofia del documento di bilancio se alla Commissione europea è stato riconosciuto un sostanziale diritto di veto sui bilanci nazionali;

          la legge di stabilità ed i provvedimenti collegati a differenza che nel passato, sono in primo luogo manovre contabili atte a correggere l'andamento dei conti pubblici, e solo secondariamente strumenti attraverso cui incidere sui processi economici e sociali;

          in Europa c’è un problema di risorse insufficienti, e c’è un problema di democrazia. La linea dell'austerità, combinata con l'esautoramento della democrazia, sta arrecando danni gravissimi alle nostre società, dove crescono disagio sociale e sfiducia nelle istituzioni. Gli unici che finora sembrano guadagnarci da questa situazione sono, su un versante, banche speculatori, sull'altro versante populisti e demagoghi;

          per quanto riguarda le disposizioni di competenza della IX Commissione;

          nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e trasporti, la missione 13 «Diritto alla mobilità» subisce una

serie di tagli in termini di competenza, che rischiano di avere pesanti effetti sul diritto alla mobilità dei cittadini. In particolare, alla missione relativa al «Diritto alla mobilità» sono destinate, per il 2014, risorse pari a 7,4 miliardi di euro, che sconta una riduzione di 795,8 milioni di euro rispetto alle previsioni dell'assestamento 2013. In tale ambito, il programma 13.6 (corrispondente al n. 2.7 della Tabella 10) relativo allo «Sviluppo e sicurezza della mobilità locale», sono appostati 5,6 miliardi di euro, con una riduzione di circa 245 milioni rispetto alle previsioni assestate;

          ciò appare particolarmente grave e preoccupante considerato l'impegno più volte manifestato dall'attuale Governo a reperire, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, le risorse necessarie per realizzare il rilancio del trasporto pubblico locale e corrispondere alle esigenze ripetutamente manifestate dai cittadini ed in particolare dai pendolari, garantendo al contempo, la piena funzionalità e lo sviluppo del settore dei trasporti per via aerea, marittima e terrestre e corrispondere alle esigenze ripetutamente manifestate in particolare dalle imprese e dai cittadini;

          e questo indipendentemente dal fatto che le variazioni apportate dal Senato al disegno di legge di stabilità 2014 abbiano limitato tale riduzione principalmente in relazione ai programmi 13.2 autotrasporto e intermodalità e 13.6 sviluppo e sicurezza della mobilità locale;

          nell'ambito della missione relativa a «Infrastrutture pubbliche e logistica», seppur non di diretta competenza della Commissione IX ma della VIII, si rileva come siano stanziati circa 3,8 miliardi di euro per il 2014, con una diminuzione di 360,2 milioni di euro rispetto all'assestamento 2013;

          in virtù delle risultanze della nota di variazione lo stanziamento relativo alla missione 14 per l'anno 2014, inizialmente pari precisamente a 3.852,6 milioni di euro, risulta incrementato di 618,4 milioni, per cui risulta pari a 4.471 milioni di euro. Nell'ambito di tale missione, il 70 per cento delle risorse è concentrato nel programma 14.10 (opere strategiche, edilizia statale ed interventi speciali e per pubbliche calamità) con 3.131 milioni di euro (tale importo è la risultante di un incremento di 280,8 milioni disposto dalla nota di variazioni);

          nell'ambito di tale ultima missione, gran parte delle risorse sono concentrate nel programma relativo ad «Opere strategiche, edilizia statale ed interventi speciali e per pubbliche calamità» (n. 14.10, che corrisponde al n. 1.7 della Tabella 10), con uno stanziamento di 2,7 miliardi di euro, inferiore di 192,8 milioni di euro rispetto alle previsioni assestate 2013;

          per il programma relativo a «Sistemi stradali, autostradali, ferroviari e intermodali» (n. 14.11, corrispondente al n. 1.2 della Tabella 10), si rileva che le risorse di tale programma, inizialmente pari a 961,3 milioni di euro (-159,3 milioni di euro rispetto al dato assestato 2013, pari al 14,2 per cento), risultano elevate di 338 milioni in virtù della nota di variazioni. Lo stanziamento di competenza risultante per il 2014 è quindi pari a 1.299,3 milioni di euro;

          pur tuttavia, se si confronta la serie storica dal 2008 al 2013 agli stanziamenti previsti per la missione 14 emerge che le risorse disponibili si sono ridotte drasticamente, con ciò impedendo la realizzazione di importanti interventi per migliorare e potenziare la dotazione infrastrutturale del Paese;

          anche tale aspetto appare particolarmente criticabile considerati gli impegni recentemente assunti dall'attuale Governo a reperire le risorse necessarie, anche di provenienza comunitaria, da destinare al miglioramento e al potenziamento della dotazione infrastrutturale del Paese in termini di reti e nodi, di plurimodalità e di logistica, e soprattutto di grandi assi di collegamento, nonché ad adottare specifici interventi per lo sviluppo sia dei sistemi portuali sia di quelli aeroportuali italiani, che rispetto ai principali sistemi concorrenti

in Europa e nel mondo, accusano un forte ritardo competitivo, potenziando il loro raccordo intermodale con la rete ferroviaria;

          con riferimento alla disposizioni contenute nel disegno di legge di stabilità del Governo si rileva inoltre che all'articolo 1 comma 43 si interviene in modo assai curioso in materia di lavori del sistema Mose, TAV e SS172 dei Trulli stralcio funzionale;

          nella versione originaria del testo questa norma autorizzava la spesa di 200 milioni di euro per l'anno 2014, 100 milioni di euro per l'anno 2015, 71 milioni di euro per l'anno 2016 e 30 milioni di euro per l'anno 2017 per consentire: a) la prosecuzione immediata dei lavori del sistema MO.S.E. previsti dal 43 atto attuativo alla Convenzione generale sottoscritta tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Magistrato alle Acque di Venezia e il Consorzio Venezia Nuova, con presa d'atto da parte del CIPE; b) il completamento dell'intero sistema MO.S.E., con atto aggiuntivo alla Convenzione generale di cui alla lettera a) da sottoporre al CIPE entro il 30 giugno 2014;

          nel testo successivo approvato dal Senato della Repubblica tale spesa viene ridotta a 151 milioni di euro per l'anno 2014, 100 milioni di euro per l'anno 2015, 71 milioni di euro per l'anno 2016 e 79 milioni di euro per l'anno 2017;

          in buona sostanza le risorse sottratte al Mose nel 2014 sono date al TAV. Si tratta di 49 milioni di euro nel 2014, cui corrisponde analoga riduzione di 49 milioni di euro nel 2017 in Tabella E;

          secondo la Relazione tecnica presentata dal Governo tale rimodulazione non pregiudica il completamento del sistema Mose e sempre in relazione al TAV segnala che in Tabella E vengono assegnati 8 milioni di euro per l'anno 2014 in favore delle opere e misure compensative dell'impatto territoriale e sociale correlate alla realizzazione di progetti pilota nei territori interessati dal nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione (TAV). Le relative risorse sono sottratte al Fondo per le infrastrutture ferroviarie e stradali e relativo ad opere di interesse strategico;

          pur tuttavia la Relazione tecnica depositata dal Governo evidenzia che conseguentemente a tale stanziamento in favore del TAV, l'assegnazione disposta di 9 milioni di euro per la sS172 dei Trulli I stralcio funzionale disposta per il 2014 con delibera CIPE 97/2013 è stata rimodulata in 1 milione di euro per il 2014 e 8 milioni di euro per il 2016;

          di fatto quindi viene sostanzialmente azzerata o rinviata alle calende la disponibilità delle risorse già previste per la realizzazione di un'opera che attende di essere completata da anni;

          la strada statale 172 (cosiddetta «dei Trulli») è una importante via di comunicazione che unisce Taranto a Casamassima, ove si raccorda alla strada statale 100 che da Taranto conduce a Bari;

          tale strada, nel suo primo tratto (Taranto-Orimini) è già stata oggetto, ormai molti anni fa, di lavori di adeguamento ed allargamento della sede e, attualmente, si presenta a quattro corsie. Il restante percorso, nonostante l'intenso traffico che l'attraversa, soprattutto durante i mesi estivi, è invece tuttora a due sole corsie;

          in data 21 novembre 2003 veniva sottoscritta fra la regione Puglia e l'ANAS una convenzione che prevedeva, tra l'altro, due importanti interventi sulla strada statale 172: l’»adeguamento e ammodernamento in sede ed in variante – IV corsia Orimini superiore», dell'importo di 15,494 milioni di euro; i «lavori di costruzione della variante di Martina Franca e del tronco Casamassima-Putignano» dell'importo di 35,537 milioni di euro. Entrambi con finanziamento ad intero carico dell'ANAS;

          l'ANAS ha previsto per la strada statale 172 i seguenti interventi: adeguamento ed ammodernamento in sede e in variante, costruzione della quarta corsia sull'Orimini superiore e variante all'abitato

di Martina Franca; tronco Casamassima-Putignano, lavori di ammodernamento ed adeguamento; adeguamento della strada statale 172-dir da Fasano a Laureto, in particolare nel tratto compreso dal chilometro 6 al chilometro 9,5;

          l'adeguamento ed ammodernamento in sede e in variante, costruzione della quarta corsia sull'Orimini superiore e la variante all'abitato di Martina Franca hanno livello di progettazione definitivo;

          l'adeguamento della strada statale 172-dir da Fasano a Laureto, in particolare nel tratto compreso dal chilometro 6 al chilometro 9,5 ha un livello di progettazione preliminare;

          l'intervento relativo al tronco Casamassima-Putignano, lavori di ammodernamento ed adeguamento della sede stradale alla sezione C1, del decreto ministeriale 5 novembre 2001, esclusa la variante di Turi, ha un livello di progettazione preliminare, secondo le informazioni acquisite, da ultimo nel mese di ottobre 2011, dalla struttura di missione del Ministero della infrastrutture e dei trasporti;

          l'adeguamento ed ammodernamento in sede e in variante – costruzione della quarta corsia sull'Orimini superiore, e la variante all'abitato di Martina Franca hanno un costo stimato in 70 milioni di euro, per i quali la delibera CIPE n. 62 del 3 agosto 2011 ha assegnato complessivamente un finanziamento di 51 milioni di euro così articolato: 36 milioni di euro per l'adeguamento e ammodernamento in sede ed in variante, costruzione della quarta corsia tra i chilometri 56 e 60,5 ed asse di penetrazione a Martina Franca; 15 milioni di euro per il superamento del centro di Martina Franca;

          l'adeguamento della strada statale 172-dir da Fasano a Laureto, in particolare nel tratto compreso dal chilometro 6 al chilometro 9,5 ha un costo di 15 milioni di euro ed è integralmente finanziato con fondi messi a disposizione dalla Regione Puglia;

          i lavori di ammodernamento ed adeguamento della sede stradale alla sezione C1 del decreto ministeriale 5 novembre 2001, relativa al tronco Casamassima-Putignano, hanno un costo di 50,50 milioni di euro, e una copertura finanziaria indicata in 35 milioni di euro;

          i dati statistici elaborati dall'ACI e dall'ANAS per il periodo 2006-2010 evidenziano che sul tratto Putignano-Turi-Casamassima si rileva un tasso di incidentalità e di mortalità particolarmente elevato, peraltro in aumento nel corso degli ultimi anni;

          la regione Puglia ha destinato 15 milioni di euro per il finanziamento della strada statale 172 DIR e 51 milioni di euro di fondi FAS di competenza regionale per la costruzione e adeguamento della quarta corsia sull'Orimini superiore e la variante all'abitato di Martina Franca;

          sull'infrastruttura in progetto è stimato un traffico giornaliero medio pari a circa 21.570 veicoli-giorno, l'ammodernamento del tratto Casamassima-Putignano consentirebbe di migliorare le condizioni di sicurezza della circolazione, l'adeguamento degli svincoli e la regolarizzazione degli accessi ai fondi, anche con l'introduzione di viabilità di servizio;

          il CIPE nella seduta del 6 dicembre 2011 ha assegnato le risorse finanziarie a valere sulle disponibilità di cui all'articolo 32, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011 per vari interventi;

          lo stesso articolo 32 stanzia le risorse da finalizzare prioritariamente ai lotti costruttivi dell'AV/AC ed ai contratti di programma ANAS ed RFI;

          il consiglio regionale della Puglia nella seduta del 24 gennaio 2011 ha approvato all'unanimità un ordine del giorno che impegnava il presidente della giunta regionale e l'assessore ai lavori pubblici a farsi parte attiva presso il Governo nazionale affinché fossero garantiti il finanziamento

del tronco Putignano-Turi-Casamassima e l'avvio dell'iter di approvazione del progetto preliminare da parte del CIPE;

          grazie a tale impegno, l'opera infrastrutturale è stata prima inserita nel contratto di programma ANAS 2007-2011 approvato dal CIPE nella seduta del 20 luglio 2011 e, successivamente, nella riunione del 23 marzo del 2012, il CIPE ha individuato l'ammodernamento e l'adeguamento di tale viabilità stradale come priorità, approvando il progetto e stanziando le risorse economiche necessarie per effettuare i miglioramenti all'opera infrastrutturale in questione;

          l'approvazione delle modifiche intervenute al Senato dimostrano con tutta evidenza che il Governo non intende procedere rapidamente all'assegnazione delle risorse già stanziate e destinate ai lavori di adeguamento e ammodernamento della strada statale 172 nel tratto Putignano-Turi-Casamassima, al fine di rispondere all'improcrastinabile bisogno di sicurezza delle comunità dei paesi interessati, e di fermare una ormai decennale catena di incidenti, spesso mortali, considerato che le risorse economiche precedentemente stanziate per vari interventi su tutto il territorio nazionale, e in particolare per «la statale dei trulli», siano state spostate su altre infrastrutture ritenute più meritevoli e urgenti;

          nonostante le riduzioni previste dalla Legge di Stabilità si prevede, infatti, in Tabella E un consistente rifinanziamento per gli anni 2016, 2017 e successivi, della nuova linea ferroviaria Torino-Lione fino al 2019, opera che, anche ai più convinti sostenitori del progetto infrastrutturale, stante la drammatica crisi economica in cui versa il nostro Paese, dovrebbe apparire evidente come la realizzazione di un progetto così impegnativo per le finanze dello Stato e perfettamente inutile rispetto a quanto previsto dall'Europa, sia del tutto incompatibile con l'ordine di priorità di destinazione delle risorse che dovrebbe essere applicato e tale principio dovrebbe entrare con forza nell'agenda politica di qualsiasi Governo;

          il comma 52 dell'articolo 1 autorizza poi la spesa di 330 milioni di euro per l'anno 2014 per interventi in favore del settore dell'autotrasporto. Sotto tale profilo si segnala come risulti assolutamente inutile continuare a rifinanziare sussidi all'autotrasporto in termini di pedaggi, spese non documentate, premi RC Auto, che tendono sostanzialmente al mantenimento sul mercato di imprese marginali e non competitive. Da più di dieci anni a questa parte, lo Stato paga cifre esorbitanti per sostenere il settore dell'Autotrasporto. Solo nel decennio 2000-2009 sono stati spesi 3,5 miliardi di euro in favore della categoria degli autotrasportatori. Ciononostante il settore dell'autotrasporto in Italia continua a rivelarsi molto poco competitivo nell'ambito sistema economico europeo per crescita dimensionale, organizzativa e tecnologica, anche e soprattutto a causa dell'assenza di una strategia complessiva della politica nazionale in materia che dia il quadro di riferimento all'interno del quale si possano individuare finalità, priorità e risorse per il rilancio del settore, con precisi impegni dello Stato e dei diversi livelli di articolazione della Repubblica, al fine di orientare le strategie dei diversi soggetti imprenditoriali coinvolti. Sarebbe, dunque, opportuno che il Governo vari quanto prima ad una riforma organica della disciplina del settore dell'autotrasporto nel pieno rispetto dei principi della concorrenza, della trasparenza, della tutela della sicurezza stradale e della sicurezza sui luoghi di lavoro. Una riforma, dunque, che sia in grado di rilanciare concretamente un asset strategico della nostra economia attraverso il perseguimento di obiettivi mirati che non possono ridursi al semplice riordino e valorizzazione delle funzioni del Comitato centrale per l'autotrasporto introdotta al Senato con i commi da 54 a 56 dell'articolo 1;

          in tema di trasporto pubblico locale si rileva che nonostante la Nota Integrativa al disegno di legge di Bilancio di previsione

il trasporto pubblico locale sia considerato «l'emergenza primaria su cui concentrare le azioni di intervento», le risorse destinate al trasporto pubblico locale rimangono comunque ampiamente insufficienti e tali da non garantire il rilancio e la piena funzionalità a livello nazionale;

          il comma 50 dell'articolo 1 dispone provvidenze per il servizio di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale incrementando, al fine di favorire il rinnovo dei parchi automobilistici e ferroviari, la dotazione del Fondo per l'acquisto di veicoli adibiti al miglioramento dei servizi offerti per il trasporto pubblico locale istituito dall'articolo 1, comma 1031, della legge finanziaria 2007 (296/2006) di 100 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2014-2016, da destinare all'acquisto di materiale rotabile su gomma; di 200 milioni di euro per l'anno 2014 da destinare all'acquisto di materiale rotabile ferroviario. Al relativo riparto tra le Regioni si provvede entro il 30 giugno di ciascuno degli anni del triennio con le procedure di cui all'articolo 1, comma 1032, della citata legge 296/2006 sulla base del maggiore carico medio per servizio effettuato, registrato nell'anno precedente;

          sotto tale profilo si segnala che i relativi pagamenti sono esclusi dal patto di stabilita interno, nel limite del 45 per cento, mentre nella versione iniziale del testo l'esclusione ammontava al 50 per cento dell'assegnazione di ciascuna regione per l'anno 2014. Inoltre, si evidenzia come la Conferenza delle Regioni abbia sollecitato un incremento delle risorse attualmente previste per l'acquisto del materiale rotabile gomma-ferro per un ammontare pari a almeno a 300 milioni di euro per il 2014 e più in generale abbia manifestato l'esigenza di rendere maggiormente flessibile la gestione delle risorse disponibili nell'ambito di una programmazione integrata dei servizi di trasporto pubblico locale, consentendo un utilizzo più coerente con le specifiche esigenze di servizio dei singoli territori. Ciò anche alla luce della recente riprogrammazione dei servizi di TPL, effettuata ai sensi dell'articolo 16-bis della legge n. 135/2012;

          per le ragioni illustrate in premessa,

DELIBERA DI RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO
IX COMMISSIONE PERMANENTE
(Trasporti, poste e telecomunicazioni)
RELAZIONE    DI    MINORANZA
sui
DISEGNI DI LEGGE
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866)
Stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016
(Tabella n. 3, limitatamente alle parti di competenza; tabella n. 10, limitatamente alle parti di competenza)
Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866-bis)
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) (1865)
dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle

      La IX Commissione,

          esaminato lo stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016, nonché le parti corrispondenti del disegno di legge di stabilità, premesso che:

          i provvedimenti in esame risultano del tutto insufficienti per affrontare la difficile situazione del Paese, risvegliare le energie e intercettare e sviluppare i pur debolissimi segnali di ripresa. La legge di stabilità è fatta di tanti piccoli interventi microsettoriali e non prevede un effettivo rilancio economico, il coraggioso e drastico abbattimento del cuneo fiscale, il forte sostegno dei consumi;

          nel triennio 2010-2012 è stata adoperata una riduzione della spesa pubblica

per investimenti infrastrutturali di oltre il 40 per cento rispetto alla media del triennio precedente a testimonianza dello scarso rilievo assegnato alle infrastrutture e soprattutto alle problematiche relative ai trasporti nella sessione di bilancio e a conferma, pertanto, della volontà a non investire in un programma di opere prioritarie la cui realizzazione rappresenta un interesse strategico per il sistema-Paese ed in particolare per le esigenze dei cittadini;

          emerge chiaramente come si sia persa ogni relazione funzionale tra le opere da realizzare e gli obiettivi di crescita e o di qualità della vita da perseguire e come si sia scelto di realizzare prioritariamente infrastrutture estremamente costose per la comunità quali gallerie, autostrade e linee ferroviarie AC/AV, a svantaggio delle opere realmente più utili al Paese, quali la manutenzione delle linee ferroviarie esistenti e la realizzazione di nuove tratte, nonché l'ammodernamento e l'intermodalità dei porti;

          sarebbe stato opportuno predisporre una maggiore attenzione e quindi razionalizzazione delle risorse destinate a settori fondamentali per il nostro paese quali quelli relativi all'autotrasporto, al trasporto pubblico locale e all'alta velocità;

          i commi 54 e 55 della legge di stabilità, recanti modifiche alle funzioni e alla composizione del Comitato centrale per l'Albo nazionale degli autotrasportatori, disciplinano e istituzionalizzano di fatto una associazione lobbistica conferendo all'albo, tra le altre cose, un compito di consulenza e di studio in materia di progetti normativi e di accesso al mercato dell'autotrasporto e alla professione di autotrasportatore;

          nel testo non sono previsti stanziamenti che incentivino lo spostamento delle merci su ferro anzichè su gomma, né misure volte ad incentivare forme di aggregazione e associazionismo delle imprese di autotrasporto, recando gravi ricadute sia dal punto di vista ambientale che economico. Il comma 52 provvede piuttosto alla semplice autorizzazione di spesa in favore del settore in oggetto;

          il comma 47 dispone ulteriori risorse per le tratte Brescia-Verona-Padova della linea ferroviaria AV/AC Milano-Venezia, nonché la tratta Apice-Orsara e la tratta Frasso Telesino-Vitulano della linea ferroviaria AV/AC Napoli-Bari e dispone che queste ultime debbano essere realizzate secondo la procedura relativa ai lotti costruttivi, confermando quindi la scelta di procedere per «lotti costruttivi» e non per «lotti funzionali», cioè non per parti di opera che, pur qualora non dovesse essere completata, abbia comunque una qualche utilità per i territori interessati;

          si è preferito stanziare ingenti somme a progetti la cui realizzazione è incerta, come ad esempio le tratte ad alta velocità, impedendo la destinazione delle stesse verso interventi minori capaci di produrre vantaggi immediati alla collettività;

          lo stanziamento previsto dal comma 50 di 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016 per l'acquisto di materiale rotabile su gomma e di 200 milioni di euro per l'acquisto di materiale su ferro non risulta soddisfare le reali esigenze del comparto del trasporto pubblico locale atteso che la media anagrafica del parco mezzi italiano risulta essere di gran lunga superiore rispetto alla media europea;

          i 20,75 milioni di euro stanziati per il completamento del piano nazionale della banda larga risultano del tutto insufficienti rispetto agli obiettivi prefissati nel piano nazionale per la banda larga predisposto dal ministero dello sviluppo economico nell'ottobre 2011 e non in linea con l'ultima valutazione elaborata nel giugno 2013 dalla Commissione dove si apprende che il nostro Paese è all'ultimo posto per quanto riguarda la diffusione della banda larga ad alta velocità;

          il comma 51, introdotto al Senato, dispone, in maniera localistica, la revoca di taluni interventi al fine di recuperare le risorse da destinare prioritariamente alla

realizzazione della metrotramvia di Padova senza considerare altri interventi che potrebbero essere definiti più urgenti o più utili;

          sorgono dubbi in riferimento al comma 53 che dispone che i diritti aeroportuali della società di gestione dell'aeroporto Trapani Birgi siano versati al bilancio dello stato per poi essere riassegnati alla stessa società di gestione di suddetto aeroporto;

DELIBERA DI RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO
IX COMMISSIONE PERMANENTE
(Trasporti, poste e telecomunicazioni)
RELAZIONE    DI    MINORANZA
sui
DISEGNI DI LEGGE
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866)
Stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016
(Tabella n. 10, limitatamente alle parti di competenza)
Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866-bis)
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) (1865)
dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia e Libertà

      La IX Commissione,

          esaminato, per le parti di propria competenza, il disegno di legge A.C 1866 «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016» (Tabella n. 10) e le parti corrispondenti del disegno di legge A.C 1865 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)»;

          premesso che:

              dopo tanti sacrifici i cittadini italiani attendevano che la manovra economica del governo Letta ridesse fiato all'economia italiana, la quale dal 2007 ad oggi ha perso addirittura il 9 per cento della produzione di beni e servizi e ha visto raddoppiare la disoccupazione, da un milione e mezzo a tre milioni di unità. Si possono avere molti dubbi sul fatto che la

manovra riuscirà a portare il Pil a crescere almeno di un punto percentuale nel 2014 come il governo prevede;

              come più volte sottolineato, anche di recente da Confindustria, Rete Imprese Italia e dalla principali Associazioni Sindacali di categoria, sei anni di crisi finanziaria, prima globale e poi dei debiti sovrani nell'Eurozona, e due recessioni hanno colpito duramente l'economia europea e quella italiana, dove le conseguenze sono state più gravi che nella maggior parte degli altri paesi;

              rispetto al picco toccato sei anni fa, il prodotto interno lordo italiano si è ridotto del 9 per cento, il PIL procapite è diminuito del 10,4 per cento, ossia circa 2.700 euro correnti in meno per abitante, ed è così tornato ai livelli del 1997, caso unico tra i Paesi dell'euro (in Spagna e Francia, il PIL procapite, nonostante la crisi, è comunque più alto di oltre il 15 per cento rispetto al 1997);

              la riduzione della domanda interna è stata di una intensità che dall'Unità d'Italia non ha precedenti in periodo di pace ed è stata la determinante del calo dell'attività economica, dato che le esportazioni sono tornate sopra i livelli del 2007. In seguito alla caduta del reddito disponibile, che in termini reali è sceso dell'11,1 per cento, la contrazione dei consumi delle famiglie è risultata del 7,8 per cento;

              l'occupazione è caduta del 7,2 per cento, pari a 1,8 milioni di unità di lavoro in meno. Molte delle persone che hanno perduto l'impiego non riusciranno a ricollocarsi nel sistema produttivo;

              la produzione industriale è a un livello inferiore del 24,2 per cento rispetto al picco pre-crisi del terzo trimestre del 2007; in alcuni settori la diminuzione supera il 40 per cento;

              il credit crunch ha trasmesso la crisi dalla finanza all'economia reale. È stato particolarmente severo in Italia, soprattutto dall'estate 2011. Nell'agosto scorso il credito erogato alle imprese italiane è risultato dell'8,0 per cento più basso che nel settembre 2011, con una contrazione media mensile dello 0,4 per cento. In valore si tratta di una riduzione di 74 miliardi di euro;

              la restrizione creditizia sta proseguendo. Tante imprese faticano a ottenere prestiti bancari: l'indagine ISTAT indica che a settembre l'11,4 per cento di quelle che ne hanno fatto richiesta non li hanno ricevuti, molto più del 6,9 per cento registrato nella prima metà del 2011. Altre imprese hanno rinunciato a domandare credito a fronte di costi troppo alti;

              la carenza di credito ostacola l'operatività di molte imprese, anche finanziariamente solide;

              nel manifatturiero la disponibilità di liquidità resta molto ridotta rispetto alle esigenze e le aziende continuano a prevederla in calo, anche se c’è stato un miglioramento negli ultimi mesi, verosimilmente a seguito dell'immissione di liquidità derivante dal pagamento di oltre 11 miliardi di debiti commerciali della pubblica amministrazione;

              le iniziative che il Governo avrebbe dovuto perseguire al fine di risollevare la condizione economica delle imprese appaiono del tutto deludenti, anche a seguito delle modifiche introdotte dal Senato, a partire di quanto previsto in materia di riduzione del cuneo fiscale e contributivo per aumentare il reddito disponibile delle persone, restituire competitività alle imprese e mantenere la coesione sociale, sostegno agli investimenti privati in ricerca e innovazione, con interventi semplici da gestire, rilancio della domanda pubblica e privata di beni di investimento, allentamento del patto di stabilità interno, rinnovo degli incentivi all'edilizia, sostegno alla liquidità del sistema e allentamento della morsa del credit crunch;

              il cuore economico e politico della Legge di Stabilità consiste nella riduzione del cuneo fiscale, cioè della differenza tra il costo che mediamente le imprese sostengono per ogni lavoratore e il salario netto che entra nelle tasche del lavoratore

stesso. Una differenza dovuta, naturalmente, al peso di tasse e contributi che gravano sulle tasche degli imprenditori e dei lavoratori, e che in Italia è piuttosto elevato (secondo l'OCSE il cuneo assorbe il 47,6 per cento del costo del lavoro, contro una media del 35,6 per cento dell'insieme dei Paesi OCSE). La riduzione del cuneo fiscale nella misura in cui riduce il costo del lavoro per le imprese, determina una contrazione dei costi di produzione e quindi dei prezzi di vendita delle merci e dei servizi, facendo aumentare la competitività dell'industria nazionale. In questo modo, si rilanciano le esportazioni e si invogliano i consumatori a un maggiore acquisto di merci nazionali, e ciò porta a una riduzione delle importazioni. Dall'altro lato, nella misura in cui aumenta il reddito disponibile dei lavoratori, il taglio del cuneo fiscale determina una crescita della domanda di beni di consumo e ciò spinge le imprese ad aumentare la produzione e l'occupazione. Insomma, l'abbattimento del cuneo fiscale fa crescere la competitività e alimenta la domanda interna, tutte cose di cui abbiamo assoluto bisogno per riprendere la via dello sviluppo;

              ma il beneficio in busta paga per un lavoratore dipendente inferiore a 200 euro in un anno. Non si può certo definire utile una simile misura per far ripartire i consumi nel nostro paese. Non dobbiamo dimenticare che la stessa arriva dopo un biennio in cui le politiche di rigore hanno letteralmente stremato il sistema produttivo, fatto lievitare a dismisura il carico fiscale e calare vistosamente il livello della domanda interna;

              l'intervento dunque è solo teoricamente buono. Va chiarito, infatti, che l'intervento del governo – tra sgravi Irpef e Irap, e decontribuzioni Inail – taglia il cuneo di 10,6 miliardi nel triennio, appena 2,5 miliardi nel 2014. A ben vedere, si tratta di un intervento estremamente contenuto, che nel 2014 metterà nelle tasche di un lavoratore medio solo una manciata di euro al mese e ben poco respiro darà alle imprese che non vedranno variare significativamente il costo del lavoro per unità di prodotto. Considerata la sua entità, si tratta dunque di un intervento che avrà effetti limitatissimi e che avrebbe potuto cominciare ad avere un qualche rilievo solo se l'intero importo previsto nel triennio avesse riguardato il solo 2014;

              la manovra per il 2014, nel suo complesso, vale circa 15 miliardi. Le risorse provengono soprattutto da tagli di spesa pubblica, da dismissioni, da qualche maggiore entrata e dal solito blocco della contrattazione e del turnover nel pubblico impiego;

              ma i tagli della spesa pubblica, gli aumenti delle tasse e la mannaia sui lavoratori pubblici portano con loro una minore domanda di merci e servizi proveniente direttamente o indirettamente dal settore pubblico e da quello privato, e questo azzera i già risicati effetti positivi dell'aumento del reddito disponibile delle famiglie assicurato dal taglio del cuneo. Se, infatti, il taglio del cuneo alimentava la domanda, tagli e tasse la riducono in misura maggiore. E se la domanda complessiva non torna a crescere non possiamo sperare che l'economia riparta. A riguardo è bene ricordare che dal 2002 al 2012 l'Italia ha registrato una dinamica della domanda interna complessivamente negativa (-1,6 per cento), contro valori significativamente in crescita nell'area euro (più 9 per cento) e soprattutto negli USA (più 15 per cento);

              in questo quadro risulta altrettanto risibile la previsione di una riduzione della pressione fiscale di un punto percentuale in tre anni, come è stato fatto osservare, giustamente, dalle stesse associazioni degli imprenditori, a maggior ragione se si considera che l'Iva è appena passata dal 21 al 22 per cento;

              manca una politica concentrata sulla domanda di lavoro mentre si continua ad operare, e con misure minime, sull'offerta di lavoro. Invece di Piano del lavoro incentrato sul dissesto idrogeologico (per il quale si destinano 30 milioni!), la messa in sicurezza delle scuole, l'innovazione

tecnologica, di 10-20 miliardi, si insiste su lo spot puramente pubblicitario della riduzione delle tasse sul lavoro;

              lo scopo principale della manovra è restare dentro i tanto discussi vincoli europei, e in particolare tenere il deficit pubblico (la differenza annua tra uscite ed entrate pubbliche) entro il limite del 3 per cento del Pil. In Europa sono in atto processi cumulativi di divergenza territoriale alimentati dalle politiche di austerità. Questi processi portano a una divaricazione drammatica tra aree centrali in crescita (in primis, la Germania) e aree periferiche in declino (l'Italia e gli altri Piigs);

              qualunque manovra si muova dentro la cornice attuale dei vincoli non può riuscire a invertire i processi di divergenza in atto, e quindi a metterci al passo delle aree centrali d'Europa. Con la certezza che presto o tardi, in assenza di un cambiamento delle politiche europee, il gioco dell'euro salterà;

              dobbiamo registrare, inoltre, la falsa disubbidienza di Letta e Saccomanni rispetto a Bruxelles.

      Dopo che la Commissione europea ha espresso la sua preoccupazione sul progetto di bilancio invitando le autorità italiane «a prendere le misure necessarie» per assicurare che la Finanziaria per il 2014 rispetti le norme del Patto di stabilità e crescita relative alla diminuzione del debito pubblico, Letta rispose affermando che «di troppa austerità si muore». Ma neanche una settimana dopo ha presentato un nuovo Programma per la revisione della spesa: infatti, la legge di stabilità, sanciva che «nessun risparmio» è previsto per il 2014 mentre negli anni successivi i risparmi sono pari a 3,6 miliardi nel 2015, 8,3 miliardi nel 2016 e 11,3 miliardi a decorrere dal 2017;

          adesso il Programma della spending review arriva a quota 32 miliardi nel solo triennio 2014-2016 (prima erano previsti 11,9 miliardi); ed inoltre si prevede un piano di privatizzazioni di 12 miliardi;

          è importante ricordare che per la prima volta, dalla nascita dell'Europa di Maastricht, il progetto di legge di stabilità sarà prima vagliato dalla Commissione europea, che potrà imporre correttivi e comminare sanzioni in caso di inadempienza, e poi discusso ed approvato dal Parlamento;

          con l'entrata in vigore del cosiddetto «two-pack», il pacchetto di due regolamenti approvato dal parlamento di Strasburgo nel maggio scorso, si è infatti chiuso il cerchio in tema di «sorveglianza» europea sui bilanci dei Paesi dell'Eurozona, con tutto quello che ciò comporta per la «sovranità» e l'autonomia politica degli stessi;

          dentro un meccanismo così congegnato la funzione dei parlamenti nazionali è quasi del tutto esautorata: le forze politiche parlamentari non avranno grandi margini di manovra per modificare l'impianto e la filosofia del documento di bilancio se alla Commissione europea è stato riconosciuto un sostanziale diritto di veto sui bilanci nazionali;

          la legge di stabilità ed i provvedimenti collegati a differenza che nel passato, sono in primo luogo manovre contabili atte a correggere l'andamento dei conti pubblici, e solo secondariamente strumenti attraverso cui incidere sui processi economici e sociali;

          in Europa c’è un problema di risorse insufficienti, e c’è un problema di democrazia. La linea dell'austerità, combinata con l'esautoramento della democrazia, sta arrecando danni gravissimi alle nostre società, dove crescono disagio sociale e sfiducia nelle istituzioni. Gli unici che finora sembrano guadagnarci da questa situazione sono, su un versante, banche speculatori, sull'altro versante populisti e demagoghi;

          per quanto riguarda le disposizioni di competenza della IX Commissione;

          nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e trasporti, la missione 13 «Diritto alla mobilità» subisce una

serie di tagli in termini di competenza, che rischiano di avere pesanti effetti sul diritto alla mobilità dei cittadini. In particolare, alla missione relativa al «Diritto alla mobilità» sono destinate, per il 2014, risorse pari a 7,4 miliardi di euro, che sconta una riduzione di 795,8 milioni di euro rispetto alle previsioni dell'assestamento 2013. In tale ambito, il programma 13.6 (corrispondente al n. 2.7 della Tabella 10) relativo allo «Sviluppo e sicurezza della mobilità locale», sono appostati 5,6 miliardi di euro, con una riduzione di circa 245 milioni rispetto alle previsioni assestate;

          ciò appare particolarmente grave e preoccupante considerato l'impegno più volte manifestato dall'attuale Governo a reperire, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, le risorse necessarie per realizzare il rilancio del trasporto pubblico locale e corrispondere alle esigenze ripetutamente manifestate dai cittadini ed in particolare dai pendolari, garantendo al contempo, la piena funzionalità e lo sviluppo del settore dei trasporti per via aerea, marittima e terrestre e corrispondere alle esigenze ripetutamente manifestate in particolare dalle imprese e dai cittadini;

          e questo indipendentemente dal fatto che le variazioni apportate dal Senato al disegno di legge di stabilità 2014 abbiano limitato tale riduzione principalmente in relazione ai programmi 13.2 autotrasporto e intermodalità e 13.6 sviluppo e sicurezza della mobilità locale;

          nell'ambito della missione relativa a «Infrastrutture pubbliche e logistica», seppur non di diretta competenza della Commissione IX ma della VIII, si rileva come siano stanziati circa 3,8 miliardi di euro per il 2014, con una diminuzione di 360,2 milioni di euro rispetto all'assestamento 2013;

          in virtù delle risultanze della nota di variazione lo stanziamento relativo alla missione 14 per l'anno 2014, inizialmente pari precisamente a 3.852,6 milioni di euro, risulta incrementato di 618,4 milioni, per cui risulta pari a 4.471 milioni di euro. Nell'ambito di tale missione, il 70 per cento delle risorse è concentrato nel programma 14.10 (opere strategiche, edilizia statale ed interventi speciali e per pubbliche calamità) con 3.131 milioni di euro (tale importo è la risultante di un incremento di 280,8 milioni disposto dalla nota di variazioni);

          nell'ambito di tale ultima missione, gran parte delle risorse sono concentrate nel programma relativo ad «Opere strategiche, edilizia statale ed interventi speciali e per pubbliche calamità» (n. 14.10, che corrisponde al n. 1.7 della Tabella 10), con uno stanziamento di 2,7 miliardi di euro, inferiore di 192,8 milioni di euro rispetto alle previsioni assestate 2013;

          per il programma relativo a «Sistemi stradali, autostradali, ferroviari e intermodali» (n. 14.11, corrispondente al n. 1.2 della Tabella 10), si rileva che le risorse di tale programma, inizialmente pari a 961,3 milioni di euro (-159,3 milioni di euro rispetto al dato assestato 2013, pari al 14,2 per cento), risultano elevate di 338 milioni in virtù della nota di variazioni. Lo stanziamento di competenza risultante per il 2014 è quindi pari a 1.299,3 milioni di euro;

          pur tuttavia, se si confronta la serie storica dal 2008 al 2013 agli stanziamenti previsti per la missione 14 emerge che le risorse disponibili si sono ridotte drasticamente, con ciò impedendo la realizzazione di importanti interventi per migliorare e potenziare la dotazione infrastrutturale del Paese;

          anche tale aspetto appare particolarmente criticabile considerati gli impegni recentemente assunti dall'attuale Governo a reperire le risorse necessarie, anche di provenienza comunitaria, da destinare al miglioramento e al potenziamento della dotazione infrastrutturale del Paese in termini di reti e nodi, di plurimodalità e di logistica, e soprattutto di grandi assi di collegamento, nonché ad adottare specifici interventi per lo sviluppo sia dei sistemi portuali sia di quelli aeroportuali italiani, che rispetto ai principali sistemi concorrenti

in Europa e nel mondo, accusano un forte ritardo competitivo, potenziando il loro raccordo intermodale con la rete ferroviaria;

          con riferimento alla disposizioni contenute nel disegno di legge di stabilità del Governo si rileva inoltre che all'articolo 1 comma 43 si interviene in modo assai curioso in materia di lavori del sistema Mose, TAV e SS172 dei Trulli stralcio funzionale;

          nella versione originaria del testo questa norma autorizzava la spesa di 200 milioni di euro per l'anno 2014, 100 milioni di euro per l'anno 2015, 71 milioni di euro per l'anno 2016 e 30 milioni di euro per l'anno 2017 per consentire: a) la prosecuzione immediata dei lavori del sistema MO.S.E. previsti dal 43 atto attuativo alla Convenzione generale sottoscritta tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Magistrato alle Acque di Venezia e il Consorzio Venezia Nuova, con presa d'atto da parte del CIPE; b) il completamento dell'intero sistema MO.S.E., con atto aggiuntivo alla Convenzione generale di cui alla lettera a) da sottoporre al CIPE entro il 30 giugno 2014;

          nel testo successivo approvato dal Senato della Repubblica tale spesa viene ridotta a 151 milioni di euro per l'anno 2014, 100 milioni di euro per l'anno 2015, 71 milioni di euro per l'anno 2016 e 79 milioni di euro per l'anno 2017;

          in buona sostanza le risorse sottratte al Mose nel 2014 sono date al TAV. Si tratta di 49 milioni di euro nel 2014, cui corrisponde analoga riduzione di 49 milioni di euro nel 2017 in Tabella E;

          secondo la Relazione tecnica presentata dal Governo tale rimodulazione non pregiudica il completamento del sistema Mose e sempre in relazione al TAV segnala che in Tabella E vengono assegnati 8 milioni di euro per l'anno 2014 in favore delle opere e misure compensative dell'impatto territoriale e sociale correlate alla realizzazione di progetti pilota nei territori interessati dal nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione (TAV). Le relative risorse sono sottratte al Fondo per le infrastrutture ferroviarie e stradali e relativo ad opere di interesse strategico;

          pur tuttavia la Relazione tecnica depositata dal Governo evidenzia che conseguentemente a tale stanziamento in favore del TAV, l'assegnazione disposta di 9 milioni di euro per la sS172 dei Trulli I stralcio funzionale disposta per il 2014 con delibera CIPE 97/2013 è stata rimodulata in 1 milione di euro per il 2014 e 8 milioni di euro per il 2016;

          di fatto quindi viene sostanzialmente azzerata o rinviata alle calende la disponibilità delle risorse già previste per la realizzazione di un'opera che attende di essere completata da anni;

          la strada statale 172 (cosiddetta «dei Trulli») è una importante via di comunicazione che unisce Taranto a Casamassima, ove si raccorda alla strada statale 100 che da Taranto conduce a Bari;

          tale strada, nel suo primo tratto (Taranto-Orimini) è già stata oggetto, ormai molti anni fa, di lavori di adeguamento ed allargamento della sede e, attualmente, si presenta a quattro corsie. Il restante percorso, nonostante l'intenso traffico che l'attraversa, soprattutto durante i mesi estivi, è invece tuttora a due sole corsie;

          in data 21 novembre 2003 veniva sottoscritta fra la regione Puglia e l'ANAS una convenzione che prevedeva, tra l'altro, due importanti interventi sulla strada statale 172: l’«adeguamento e ammodernamento in sede ed in variante – IV corsia Orimini superiore», dell'importo di 15,494 milioni di euro; i «lavori di costruzione della variante di Martina Franca e del tronco Casamassima-Putignano» dell'importo di 35,537 milioni di euro. Entrambi con finanziamento ad intero carico dell'ANAS;

          l'ANAS ha previsto per la strada statale 172 i seguenti interventi: adeguamento ed ammodernamento in sede e in variante, costruzione della quarta corsia

sull'Orimini superiore e variante all'abitato di Martina Franca; tronco Casamassima-Putignano, lavori di ammodernamento ed adeguamento; adeguamento della strada statale 172-dir da Fasano a Laureto, in particolare nel tratto compreso dal chilometro 6 al chilometro 9,5;

          l'adeguamento ed ammodernamento in sede e in variante, costruzione della quarta corsia sull'Orimini superiore e la variante all'abitato di Martina Franca hanno livello di progettazione definitivo;

          l'adeguamento della strada statale 172-dir da Fasano a Laureto, in particolare nel tratto compreso dal chilometro 6 al chilometro 9,5 ha un livello di progettazione preliminare;

          l'intervento relativo al tronco Casamassima-Putignano, lavori di ammodernamento ed adeguamento della sede stradale alla sezione C1, del decreto ministeriale 5 novembre 2001, esclusa la variante di Turi, ha un livello di progettazione preliminare, secondo le informazioni acquisite, da ultimo nel mese di ottobre 2011, dalla struttura di missione del Ministero della infrastrutture e dei trasporti;

          l'adeguamento ed ammodernamento in sede e in variante – costruzione della quarta corsia sull'Orimini superiore, e la variante all'abitato di Martina Franca hanno un costo stimato in 70 milioni di euro, per i quali la delibera CIPE n. 62 del 3 agosto 2011 ha assegnato complessivamente un finanziamento di 51 milioni di euro così articolato: 36 milioni di euro per l'adeguamento e ammodernamento in sede ed in variante, costruzione della quarta corsia tra i chilometri 56 e 60,5 ed asse di penetrazione a Martina Franca; 15 milioni di euro per il superamento del centro di Martina Franca;

          l'adeguamento della strada statale 172-dir da Fasano a Laureto, in particolare nel tratto compreso dal chilometro 6 al chilometro 9,5 ha un costo di 15 milioni di euro ed è integralmente finanziato con fondi messi a disposizione dalla Regione Puglia;

          i lavori di ammodernamento ed adeguamento della sede stradale alla sezione C1 del decreto ministeriale 5 novembre 2001, relativa al tronco Casamassima-Putignano, hanno un costo di 50,50 milioni di euro, e una copertura finanziaria indicata in 35 milioni di euro;

          i dati statistici elaborati dall'ACI e dall'ANAS per il periodo 2006-2010 evidenziano che sul tratto Putignano-Turi-Casamassima si rileva un tasso di incidentalità e di mortalità particolarmente elevato, peraltro in aumento nel corso degli ultimi anni;

          la regione Puglia ha destinato 15 milioni di euro per il finanziamento della strada statale 172 DIR e 51 milioni di euro di fondi FAS di competenza regionale per la costruzione e adeguamento della quarta corsia sull'Orimini superiore e la variante all'abitato di Martina Franca;

          sull'infrastruttura in progetto è stimato un traffico giornaliero medio pari a circa 21.570 veicoli-giorno, l'ammodernamento del tratto Casamassima-Putignano consentirebbe di migliorare le condizioni di sicurezza della circolazione, l'adeguamento degli svincoli e la regolarizzazione degli accessi ai fondi, anche con l'introduzione di viabilità di servizio;

          il CIPE nella seduta del 6 dicembre 2011 ha assegnato le risorse finanziarie a valere sulle disponibilità di cui all'articolo 32, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011 per vari interventi;

          lo stesso articolo 32 stanzia le risorse da finalizzare prioritariamente ai lotti costruttivi dell'AV/AC ed ai contratti di programma ANAS ed RFI;

          il consiglio regionale della Puglia nella seduta del 24 gennaio 2011 ha approvato all'unanimità un ordine del giorno che impegnava il presidente della giunta regionale e l'assessore ai lavori pubblici a farsi parte attiva presso il Governo nazionale affinché fossero garantiti il finanziamento del tronco Putignano-Turi-Casamassima

e l'avvio dell'iter di approvazione del progetto preliminare da parte del CIPE;

          grazie a tale impegno, l'opera infrastrutturale è stata prima inserita nel contratto di programma ANAS 2007-2011 approvato dal CIPE nella seduta del 20 luglio 2011 e, successivamente, nella riunione del 23 marzo del 2012, il CIPE ha individuato l'ammodernamento e l'adeguamento di tale viabilità stradale come priorità, approvando il progetto e stanziando le risorse economiche necessarie per effettuare i miglioramenti all'opera infrastrutturale in questione;

          l'approvazione delle modifiche intervenute al Senato dimostrano con tutta evidenza che il Governo non intende procedere rapidamente all'assegnazione delle risorse già stanziate e destinate ai lavori di adeguamento e ammodernamento della strada statale 172 nel tratto Putignano-Turi-Casamassima, al fine di rispondere all'improcrastinabile bisogno di sicurezza delle comunità dei paesi interessati, e di fermare una ormai decennale catena di incidenti, spesso mortali, considerato che le risorse economiche precedentemente stanziate per vari interventi su tutto il territorio nazionale, e in particolare per «la statale dei trulli», siano state spostate su altre infrastrutture ritenute più meritevoli e urgenti;

          nonostante le riduzioni previste dalla Legge di Stabilità si prevede, infatti, in Tabella E un consistente rifinanziamento per gli anni 2016, 2017 e successivi, della nuova linea ferroviaria Torino-Lione fino al 2019, opera che, anche ai più convinti sostenitori del progetto infrastrutturale, stante la drammatica crisi economica in cui versa il nostro Paese, dovrebbe apparire evidente come la realizzazione di un progetto così impegnativo per le finanze dello Stato e perfettamente inutile rispetto a quanto previsto dall'Europa, sia del tutto incompatibile con l'ordine di priorità di destinazione delle risorse che dovrebbe essere applicato e tale principio dovrebbe entrare con forza nell'agenda politica di qualsiasi Governo;

          il comma 52 dell'articolo 1 autorizza poi la spesa di 330 milioni di euro per l'anno 2014 per interventi in favore del settore dell'autotrasporto. Sotto tale profilo si segnala come risulti assolutamente inutile continuare a rifinanziare sussidi all'autotrasporto in termini di pedaggi, spese non documentate, premi RC Auto, che tendono sostanzialmente al mantenimento sul mercato di imprese marginali e non competitive. Da più di dieci anni a questa parte, lo Stato paga cifre esorbitanti per sostenere il settore dell'Autotrasporto. Solo nel decennio 2000-2009 sono stati spesi 3,5 miliardi di euro in favore della categoria degli autotrasportatori. Ciononostante il settore dell'autotrasporto in Italia continua a rivelarsi molto poco competitivo nell'ambito sistema economico europeo per crescita dimensionale, organizzativa e tecnologica, anche e soprattutto a causa dell'assenza di una strategia complessiva della politica nazionale in materia che dia il quadro di riferimento all'interno del quale si possano individuare finalità, priorità e risorse per il rilancio del settore, con precisi impegni dello Stato e dei diversi livelli di articolazione della Repubblica, al fine di orientare le strategie dei diversi soggetti imprenditoriali coinvolti. Sarebbe, dunque, opportuno che il Governo vari quanto prima ad una riforma organica della disciplina del settore dell'autotrasporto nel pieno rispetto dei principi della concorrenza, della trasparenza, della tutela della sicurezza stradale e della sicurezza sui luoghi di lavoro. Una riforma, dunque, che sia in grado di rilanciare concretamente un asset strategico della nostra economia attraverso il perseguimento di obiettivi mirati che non possono ridursi al semplice riordino e valorizzazione delle funzioni del Comitato centrale per l'autotrasporto introdotta al Senato con i commi da 54 a 56 dell'articolo 1;

          in tema di trasporto pubblico locale si rileva che nonostante la Nota Integrativa al disegno di legge di Bilancio di previsione il trasporto pubblico locale sia considerato «l'emergenza primaria su cui concentrare le azioni di intervento», le risorse destinate

al trasporto pubblico locale rimangono comunque ampiamente insufficienti e tali da non garantire il rilancio e la piena funzionalità a livello nazionale;

          il comma 50 dell'articolo 1 dispone provvidenze per il servizio di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale incrementando, al fine di favorire il rinnovo dei parchi automobilistici e ferroviari, la dotazione del Fondo per l'acquisto di veicoli adibiti al miglioramento dei servizi offerti per il trasporto pubblico locale istituito dall'articolo 1, comma 1031, della legge finanziaria 2007 (296/2006) di 100 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2014-2016, da destinare all'acquisto di materiale rotabile su gomma; di 200 milioni di euro per l'anno 2014 da destinare all'acquisto di materiale rotabile ferroviario. Al relativo riparto tra le Regioni si provvede entro il 30 giugno di ciascuno degli anni del triennio con le procedure di cui all'articolo 1, comma 1032, della citata legge 296/2006 sulla base del maggiore carico medio per servizio effettuato, registrato nell'anno precedente;

          sotto tale profilo si segnala che i relativi pagamenti sono esclusi dal patto di stabilita interno, nel limite del 45 per cento, mentre nella versione iniziale del testo l'esclusione ammontava al 50 per cento dell'assegnazione di ciascuna regione per l'anno 2014. Inoltre, si evidenzia come la Conferenza delle Regioni abbia sollecitato un incremento delle risorse attualmente previste per l'acquisto del materiale rotabile gomma-ferro per un ammontare pari a almeno a 300 milioni di euro per il 2014 e più in generale abbia manifestato l'esigenza di rendere maggiormente flessibile la gestione delle risorse disponibili nell'ambito di una programmazione integrata dei servizi di trasporto pubblico locale, consentendo un utilizzo più coerente con le specifiche esigenze di servizio dei singoli territori. Ciò anche alla luce della recente riprogrammazione dei servizi di TPL, effettuata ai sensi dell'articolo 16-bis della legge n. 135/2012;

          per le ragioni illustrate in premessa,

DELIBERA DI RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO
X COMMISSIONE PERMANENTE
(Attività produttive, commercio e turismo)
X COMMISSIONE PERMANENTE
(Attività produttive, commercio e turismo)
RELAZIONE    DI    MINORANZA
sui
DISEGNI DI LEGGE
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866)
Stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016
(Tabella n. 2, limitatamente alle parti di competenza; Tabella n. 3, limitatamente alle parti di competenza; Tabella n. 7, limitatamente alle parti di competenza; Tabella n. 13, limitatamente alle parti di competenza)
Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866-bis)
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) (1865)
dei deputati Fantinati, Mucci, Della Valle, Prodani, Crippa, Petraroli e Vallascas

      La X Commissione,

          esaminato, per le parti di propria competenza, il disegno di legge A.C. 1866, «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016» (Tabella n. 3) e le parti corrispondenti del disegno di legge A.C.1865, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)»;

          premesso che:

              la legge di stabilità dal punto di vista finanziario, in termini aggregati, resta neutrale sui saldi, aumentando il suo

impatto redistributivo dagli originari 12,5 ai 15 miliardi;

              ma la questione più problematica è sotto il profilo delle coperture finanziarie, oltreché del merito. Per quanto riguarda il primo aspetto, come ha rilevato la CGIA di Mestre, si paventa un duplice rischio: la possibilità di non rispettare l'indicazione di incassare 1.525 milioni di euro entro la fine di novembre (925 di maggiore IVA e 600 di sanatoria sui giochi), con la conseguente attivazione della clausola di salvaguardia, che prevede inasprimenti fiscali a carico dei cittadini (il decreto-legge 102/2013 prevede l'aumento automatico degli acconti Ires e Irap in capo alle imprese e delle accise sul gas, l'energia elettrica e le bevande alcoliche). Il rischio che ciò avvenga è molto elevato;

              tale legge di stabilità si inserisce in quadro economico allarmante per il Nostro Paese L'industria è il settore ove il calo della produzione, sia nella componente manifatturiera sia in quella delle costruzioni, è stato più forte. All'inizio del 2013 la produzione industriale risultava inferiore di circa un quarto al livello pre-crisi. Nel dettaglio, la produzione industriale è ad un livello inferiore del 24,2 per cento rispetto al picco pre-crisi del terzo trimestre del 2007. In alcuni settori la diminuzione supera il 40 per cento. Le recenti stime del Centro Studi Confindustria indicano che, a settembre 2013, la produzione industriale è aumentata dello 0,4 per cento. Anche a volerli considerare timidi segnali di ripresa, se non accompagnati da misure di carattere strutturale rischiano di vanificare i sacrifici compiuti da imprese e lavoratori in questi anni;

          secondo i dati forniti da Rete Imprese Italia, il 24 ottobre 2013, in sede di audizione presso le Commissioni congiunte del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, dal primo trimestre 2008 al secondo 2013, il PIL espresso in termini reali è diminuito di 8,9 punti percentuali. Particolarmente rilevanti appaiono le contrazioni degli investimenti fissi lordi (-26,2 per cento) e dei consumi delle famiglie (-7,4 per cento);

              i provvedimenti adottati fino ad ora dal Governo sono stati deboli e poco strutturali inoltre sono stati più volte annunciati provvedimenti come ad esempio il collegato Sviluppo che ancora si attende l'approvazione del Consiglio dei Ministri;

              la pressione fiscale in Italia (vale a dire la somma della pressione tributaria e quella contributiva sul Pil) è salita al 44 per cento (per quest'anno è prevista in aumento di un altro 0,4 per cento). Tra i big dell'Ue solo la Francia (46,9 per cento) aveva un carico fiscale superiore al nostro, mentre tutti gli altri si collocavano abbondantemente al di sotto: Germania al 40,6 per cento; Regno Unito al 37,1 per cento, mentre la media Ue era del 40,5 per cento;

              tale manovra finanziaria non riduce la pressione fiscale basta guardare la confusione nei tributi locali;

              in merito alle parti di competenza della Commissione attività produttive si rileva degli interventi normativi della legge di stabilità a favore della grande impresa e poco per le micro, piccole e medie imprese che rappresentano l'ossatura economica-produttiva dell'Italia;

              infatti il comma 26 estende l'intervento della Cassa depositi e prestiti anche per le grandi imprese di fatto escludendo le piccole e medie imprese;

              sulla norma del Sistema garanzia al comma 31 si pone l'attenzione sul fondo dedicato ai grandi progetti di ricerca e innovazione sarebbe opportuno rendere usufruibile esclusivamente alle micro, piccole e medie imprese;

              si sottolinea le poco risorse per lo sviluppo della banda larga 20 milioni di euro quando si stanziano risorse pari a 30 milioni per interventi localistici a favore della cosiddetta legge Mancia;

              invece sul Fondo rotativo (istituito con il decreto-legge n. modificazioni dalla L. 394/1981) destinato alla concessione di finanziamenti a tasso agevolato alle imprese

esportatrici in particolare è prevista inoltre una riserva di destinazione fino al 40 per cento dell'importo per le imprese del settore agroalimentare che si aggregano per finalità di promozione, sviluppo e consolidamento sui mercati esteri, sarebbe opportuno indirizzare le risorse di cui sopra alle imprese agricole che producono prodotti agricoli DOP e DOC;

              su l'ecobonus nessuna modifica alla norma che ha prorogato per il 2014 gli sgravi fiscali Irpef per i lavori di ristrutturazione edilizia e di efficientamento energetico rispettivamente al 50 per cento e al 65 per cento. Dal dossier Camera-Cresme è arrivata la conferma che le due misure costituiscono effettivamente uno strumento decisivo per la crescita in edilizia con una stima degli investimenti annui di 1,9 miliardi, oltre un punto di Pil. Il Senato non ha proposto modifiche alla norma, ma alla Camera ci auguriamo una stabilizzazione;

              inoltre la norma (comma 99) sul capacity payment difende interessi del passato anziché guardare al futuro; non ci sono dubbi infatti sulla direzione da seguire: il futuro dell'energia è nel risparmio energetico, nell'efficienza, nell'innovazione, nella ricerca, nella fonti rinnovabili;

              invece sulla norma (comma 74 e 75) che esclude le centrali termoelettriche e turbogas dall'obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione ai Comuni. Sarebbe giusto disporre che l'esclusione non è applicabile per i soggetti privati che hanno realizzato l'impianto non in qualità di concessionario pubblico;

              sulla legge di bilancio si rileva per quanto riguarda la missione 11 – Competitività e sviluppo delle imprese per il 2014 risultano assegnate risorse pari a 3.153,7 milioni di euro (- 279,6 milioni di euro rispetto alle previsioni assestate per il 2013);

              un taglio di risorse alla competitività delle imprese inopportuno visto la crisi economica che stiamo attraversando. Inoltre sul turismo le risorse sono veramente esigue stiamo parlando di un settore che è un pilastro dell'economia italiana per il suo contributo al PIL. Il volume di posti di lavoro che genera e gli effetti indiretti favorevoli su altri comparti dell'economia italiana. Spesso però esso non è sufficientemente considerato come settore economico, forse a causa della sua trasversalità e questa manovra finanziaria conferma il totale disinteresse;

              infine sulla spending review si rileva che il vero risparmio pubblico si ottiene attraverso le riforme costituzionali (abolizione province, riduzione numero parlamentari e consiglieri regionali) ma intanto non comprendiamo perché al Senato è stata abrogata la norma della soppressione ed accorpamento di PromuovItalia;

              il rilancio del sistema Paese richiede uno spettro di interventi di politiche pubbliche che nel medio periodo modifichino vari elementi strutturali di funzionamento del nostro sistema economico, così da aprire la società al cambiamento e da accrescerne la competitività. Tra questi interventi occorre innanzitutto prevedere la riduzione della pressione fiscale sul lavoro, la creazione di garanzie pubbliche di ultima istanza, così da assicurare alle imprese vie alternative ai crediti bancari, gli incentivi alla diffusione e al rafforzamento delle reti di impresa, gli incentivi per l'ampliamento dimensionale, la sburocratizzazione e la semplificazione delle procedure, una migliore qualità formativa delle risorse umane, l'ammodernamento delle infrastrutture immateriali e materiali,

DELIBERA DI RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO
X COMMISSIONE PERMANENTE
(Attività produttive, commercio e turismo)
RELAZIONE    DI    MINORANZA
sui
DISEGNI DI LEGGE
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866)
Stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016
(Tabella n. 2, limitatamente alle parti di competenza; Tabella n. 3, limitatamente alle parti di competenza; Tabella n. 7, limitatamente alle parti di competenza; Tabella n. 13, limitatamente alle parti di competenza)
Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866-bis)
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) (1865)
dei deputati Lacquaniti, Matarrelli e Ferrara

      La X Commissione,

          esaminato, per le parti di propria competenza, il disegno di legge A.C. 1866 «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016» (Tabella n. 3) e le parti corrispondenti del disegno di legge A.C. 1865 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)»;

          premesso che:

              dopo tanti sacrifici i cittadini italiani attendevano che la manovra economica

del governo Letta ridesse fiato all'economia italiana, la quale dal 2007 ad oggi ha perso addirittura il 9 per cento della produzione di beni e servizi e ha visto raddoppiare la disoccupazione, da un milione e mezzo a tre milioni di unità. Si possono avere molti dubbi sul fatto che la manovra riuscirà a portare il Pil a crescere almeno di un punto percentuale nel 2014 come il governo prevede;

              come più volte sottolineato, anche di recente da Confindustria, Rete Imprese Italia e dalla principali Associazioni Sindacali di categoria, sei anni di crisi finanziaria, prima globale e poi dei debiti sovrani nell'Eurozona, e due recessioni hanno colpito duramente l'economia europea e quella italiana, dove le conseguenze sono state più gravi che nella maggior parte degli altri paesi;

              rispetto al picco toccato sei anni fa, il prodotto interno lordo italiano si è ridotto del 9 per cento, il PIL procapite è diminuito del 10,4 per cento, ossia circa 2.700 euro correnti in meno per abitante, ed è così tornato ai livelli del 1997, caso unico tra i Paesi dell'euro (in Spagna e Francia, il PIL procapite, nonostante la crisi, è comunque più alto di oltre il 15 per cento rispetto al 1997);

              la riduzione della domanda interna è stata di una intensità che dall'Unità d'Italia non ha precedenti in periodo di pace ed è stata la determinante del calo dell'attività economica, dato che le esportazioni sono tornate sopra i livelli del 2007. In seguito alla caduta del reddito disponibile, che in termini reali è sceso dell'11,1 per cento, la contrazione dei consumi delle famiglie è risultata del 7,8 per cento;

              l'occupazione è caduta del 7,2 per cento, pari a 1,8 milioni di unità di lavoro in meno. Molte delle persone che hanno perduto l'impiego non riusciranno a ricollocarsi nel sistema produttivo;

              la produzione industriale è a un livello inferiore del 24,2 per cento rispetto al picco pre-crisi del terzo trimestre del 2007; in alcuni settori la diminuzione supera il 40 per cento;

              il credit crunch ha trasmesso la crisi dalla finanza all'economia reale. È stato particolarmente severo in Italia, soprattutto dall'estate 2011. Nell'agosto scorso il credito erogato alle imprese italiane è risultato dell'8,0 per cento più basso che nel settembre 2011, con una contrazione media mensile dello 0,4 per cento. In valore si tratta di una riduzione di 74 miliardi di euro;

              la restrizione creditizia sta proseguendo. Tante imprese faticano a ottenere prestiti bancari: l'indagine ISTAT indica che a settembre l'11,4 per cento di quelle che ne hanno fatto richiesta non li hanno ricevuti, molto più del 6,9 per cento registrato nella prima metà del 2011. Altre imprese hanno rinunciato a domandare credito a fronte di costi troppo alti;

              la carenza di credito ostacola l'operatività di molte imprese, anche finanziariamente solide;

              nel manifatturiero la disponibilità di liquidità resta molto ridotta rispetto alle esigenze e le aziende continuano a prevederla in calo, anche se c’è stato un miglioramento negli ultimi mesi, verosimilmente a seguito dell'immissione di liquidità derivante dal pagamento di oltre 11 miliardi di debiti commerciali della pubblica amministrazione;

              le iniziative che il Governo avrebbe dovuto perseguire al fine di risollevare la condizione economica delle imprese appaiono del tutto deludenti, anche a seguito delle modifiche introdotte dal Senato, a partire di quanto previsto in materia di riduzione del cuneo fiscale e contributivo per aumentare il reddito disponibile delle persone, restituire competitività alle imprese e mantenere la coesione sociale, sostegno agli investimenti privati in ricerca e innovazione, con interventi semplici da gestire, rilancio della domanda pubblica e privata di beni di investimento, allentamento del patto di stabilità interno, rinnovo degli incentivi all'edilizia, sostegno

alla liquidità del sistema e allentamento della morsa del credit crunch;

              il cuore economico e politico della Legge di Stabilità consiste nella riduzione del cuneo fiscale, cioè della differenza tra il costo che mediamente le imprese sostengono per ogni lavoratore e il salario netto che entra nelle tasche del lavoratore stesso. Una differenza dovuta, naturalmente, al peso di tasse e contributi che gravano sulle tasche degli imprenditori e dei lavoratori, e che in Italia è piuttosto elevato (secondo l'OCSE il cuneo assorbe il 47,6 per cento del costo del lavoro, contro una media del 35,6 per cento dell'insieme dei Paesi OCSE). La riduzione del cuneo fiscale nella misura in cui riduce il costo del lavoro per le imprese, determina una contrazione dei costi di produzione e quindi dei prezzi di vendita delle merci e dei servizi, facendo aumentare la competitività dell'industria nazionale. In questo modo, si rilanciano le esportazioni e si invogliano i consumatori a un maggiore acquisto di merci nazionali, e ciò porta a una riduzione delle importazioni. Dall'altro lato, nella misura in cui aumenta il reddito disponibile dei lavoratori, il taglio del cuneo fiscale determina una crescita della domanda di beni di consumo e ciò spinge le imprese ad aumentare la produzione e l'occupazione. Insomma, l'abbattimento del cuneo fiscale fa crescere la competitività e alimenta la domanda interna, tutte cose di cui abbiamo assoluto bisogno per riprendere la via dello sviluppo;

              ma il beneficio in busta paga per un lavoratore dipendente inferiore a 200 euro in un anno. Non si può certo definire utile una simile misura per far ripartire i consumi nel nostro paese. Non dobbiamo dimenticare che la stessa arriva dopo un biennio in cui le politiche di rigore hanno letteralmente stremato il sistema produttivo, fatto lievitare a dismisura il carico fiscale e calare vistosamente il livello della domanda interna;

              l'intervento dunque è solo teoricamente buono. Va chiarito, infatti, che l'intervento del governo – tra sgravi Irpef e Irap, e decontribuzioni Inail – taglia il cuneo di 10,6 miliardi nel triennio, appena 2,5 miliardi nel 2014. A ben vedere, si tratta di un intervento estremamente contenuto, che nel 2014 metterà nelle tasche di un lavoratore medio solo una manciata di euro al mese e ben poco respiro darà alle imprese che non vedranno variare significativamente il costo del lavoro per unità di prodotto. Considerata la sua entità, si tratta dunque di un intervento che avrà effetti limitatissimi e che avrebbe potuto cominciare ad avere un qualche rilievo solo se l'intero importo previsto nel triennio avesse riguardato il solo 2014;

              la manovra per il 2014, nel suo complesso, vale circa 15 miliardi. Le risorse provengono soprattutto da tagli di spesa pubblica, da dismissioni, da qualche maggiore entrata e dal solito blocco della contrattazione e del turnover nel pubblico impiego;

              ma i tagli della spesa pubblica, gli aumenti delle tasse e la mannaia sui lavoratori pubblici portano con loro una minore domanda di merci e servizi proveniente direttamente o indirettamente dal settore pubblico e da quello privato, e questo azzera i già risicati effetti positivi dell'aumento del reddito disponibile delle famiglie assicurato dal taglio del cuneo. Se, infatti, il taglio del cuneo alimentava la domanda, tagli e tasse la riducono in misura maggiore. E se la domanda complessiva non torna a crescere non possiamo sperare che l'economia riparta. A riguardo è bene ricordare che dal 2002 al 2012 l'Italia ha registrato una dinamica della domanda interna complessivamente negativa (-1,6 per cento), contro valori significativamente in crescita nell'area euro (più 9 per cento) e soprattutto negli USA (più 15 per cento);

              in questo quadro risulta altrettanto risibile la previsione di una riduzione della pressione fiscale di un punto percentuale in tre anni, come è stato fatto osservare, giustamente, dalle stesse associazioni degli imprenditori, a maggior ragione se si considera che l'Iva è appena passata dal 21 al 22 per cento;

              manca una politica concentrata sulla domanda di lavoro mentre si continua ad operare, e con misure minime, sull'offerta di lavoro. Invece di Piano del lavoro incentrato sul dissesto idrogeologico (per il quale si destinano 30 milioni!), la messa in sicurezza delle scuole, l'innovazione tecnologica, di 10-20 miliardi, si insiste su lo spot puramente pubblicitario della riduzione delle tasse sul lavoro;

              lo scopo principale della manovra è restare dentro i tanto discussi vincoli europei, e in particolare tenere il deficit pubblico (la differenza annua tra uscite ed entrate pubbliche) entro il limite del 3 per cento del Pil. In Europa sono in atto processi cumulativi di divergenza territoriale alimentati dalle politiche di austerità. Questi processi portano a una divaricazione drammatica tra aree centrali in crescita (in primis, la Germania) e aree periferiche in declino (l'Italia e gli altri Pigs);

              qualunque manovra si muova dentro la cornice attuale dei vincoli non può riuscire a invertire i processi di divergenza in atto, e quindi a metterci al passo delle aree centrali d'Europa. Con la certezza che presto o tardi, in assenza di un cambiamento delle politiche europee, il gioco dell'euro salterà;

              dobbiamo registrare, inoltre, la falsa disubbidienza di Letta e Saccomanni rispetto a Bruxelles;

          dopo che la Commissione europea ha espresso la sua preoccupazione sul progetto di bilancio invitando le autorità italiane «a prendere le misure necessarie» per assicurare che la Finanziaria per il 2014 rispetti le norme del Patto di stabilità e crescita relative alla diminuzione del debito pubblico, Letta rispose affermando che «di troppa austerità si muore». Ma neanche una settimana dopo ha presentato un nuovo Programma per la revisione della spesa: infatti, la legge di stabilità, sanciva che «nessun risparmio» è previsto per il 2014 mentre negli anni successivi i risparmi sono pari a 3,6 miliardi nel 2015, 8,3 miliardi nel 2016 e 11,3 miliardi a decorrere dal 2017;

          adesso il Programma della spending review arriva a quota 32 miliardi nel solo triennio 2014-2016 (prima erano previsti 11,9 miliardi); ed inoltre si prevede un piano di privatizzazioni di 12 miliardi;

          è importante ricordare che per la prima volta, dalla nascita dell'Europa di Maastricht, il progetto di legge di stabilità sarà prima vagliato dalla Commissione europea, che potrà imporre correttivi e comminare sanzioni in caso di inadempienza, e poi discusso ed approvato dal Parlamento;

          con l'entrata in vigore del cosiddetto «two-pack», il pacchetto di due regolamenti approvato dal parlamento di Strasburgo nel maggio scorso, si è infatti chiuso il cerchio in tema di «sorveglianza» europea sui bilanci dei Paesi dell'Eurozona, con tutto quello che ciò comporta per la «sovranità» e l'autonomia politica degli stessi;

          dentro un meccanismo così congegnato la funzione dei parlamenti nazionali è quasi del tutto esautorata: le forze politiche parlamentari non avranno grandi margini di manovra per modificare l'impianto e la filosofia del documento di bilancio se alla Commissione europea è stato riconosciuto un sostanziale diritto di veto sui bilanci nazionali;

          la legge di stabilità ed i provvedimenti collegati a differenza che nel passato, sono in primo luogo manovre contabili atte a correggere l'andamento dei conti pubblici, e solo secondariamente strumenti attraverso cui incidere sui processi economici e sociali;

          in Europa c’è un problema di risorse insufficienti, e c’è un problema di democrazia. La linea dell'austerità, combinata con l'esautoramento della democrazia, sta arrecando danni gravissimi alle nostre società, dove crescono disagio sociale e sfiducia nelle istituzioni. Gli unici che finora sembrano guadagnarci da questa situazione sono, su un versante, banche speculatori, sull'altro versante populisti e demagoghi;

          considerato che, per quanto riguarda le parti di competenza della X Commissione:

              al comma 31 dell'articolo 1 del disegno di Legge di Stabilità, a seguito delle modifiche intervenute al Senato, vengono dettate nuove norme in materia di finanziamenti a imprese e famiglie attraverso la costituzione di un sistema nazionale di garanzia che a sua volta ricomprende:

                  a) il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662;

                  b) la Sezione speciale di garanzia «Progetti di Ricerca e Innovazione», istituita nell'ambito del Fondo di garanzia con una dotazione finanziaria di euro 100.000.000 a valere sulle disponibilità del medesimo Fondo;

                  c) il Fondo di garanzia per la prima casa, per la concessione di garanzie, a prima richiesta, su mutui ipotecari o su portafogli di mutui ipotecari, istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, cui sono attribuite risorse pari a euro 200 milioni per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016, nonché le attività e le passività del Fondo di cui all'articolo 13, comma 3-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, che viene contestualmente soppresso;

              al comma 32 del medesimo articolo 1, inoltre, si dispone che mediante riduzione delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione siano assegnati 200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016 al Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese. Con apposita delibera del CIPE sono poi assegnati al predetto Fondo di garanzia, a valere sul medesimo Fondo per lo sviluppo e la coesione, ulteriori 600 milioni di euro. Viene, inoltre, ridotta la dotazione del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali, di cui all'articolo 6, comma 2, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2008, n. 189, e successive modificazioni per 15 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015;

              infine, al comma 33 dell'articolo 1, per favorire l'accesso al credito delle piccole e medie imprese, si destina in parti uguali una quota del diritto annuale di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), della legge 29 dicembre 1993, n. 580, e una quota del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per un ammontare complessivo di euro 100 milioni di euro per l'anno 2014, 150 milioni di euro per l'anno 2015 e 200 milioni di euro per l'anno 2016 per costituire un Fondo presso Unioncamere con la finalità di patrimonializzare i Confidi sottoposti alla vigilanza della Banca d'Italia ovvero i Confidi che realizzeranno operazioni di fusione finalizzate all'iscrizione nell'elenco o nell'albo degli intermediari vigilati dalla Banca d'Italia, nei successivi 24 mesi dalla data di pubblicazione della legge di stabilità;

              i predetti interventi seppur condivisibili nel merito, rappresentano la summa di un sostanziale trasferimento e riallocazione di fondi che gravano, in parte, su coperture assolutamente inaccettabili considerato che a copertura di tali oneri viene decurtata di ben cinque punti percentuali l'esclusione dal patto di stabilità interno dei fondi destinati all'acquisto del materiale rotabile del trasporto pubblico locale da parte delle Regioni. I relativi pagamenti, infatti, nel testo della legge di stabilità trasmesso dal Governo al Senato venivano esclusi nel limite del 50 per cento dell'assegnazione di ciascuna regione per l'anno 2014 e integralmente per gli anni 2015 e 2016. Con le modifiche introdotte dal Senato tale percentuale viene quindi ridotta dal 50 al 45 per cento;

              e sempre a copertura di tali oneri, alla Tabella E, missione «Competitività e

sviluppo delle imprese», programma «Incentivazione per lo sviluppo industriale nell'ambito delle politiche di sviluppo e coesione», voce Ministero dello Sviluppo Economico, decreto-legge n. 201 del 2011 – articolo 3, comma 4, Dotazione/Incremento Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese – Interventi a favore delle imprese industriali (1.3 – cap. 7342) sono decurtati in termini di cassa e di competenza ben 200 milioni di euro per ciascun degli anni 2014, 2015 e 2016;

              in buona sostanza per attivare il circuito virtuoso di questo sistema di garanzie e ricostituzione delle disponibilità dei fondi si va ad attingere agli stessi soldi che la stessa Legge di Stabilità in entrata al Senato già attribuiva alla imprese;

              e ciò deve considerarsi tanto più grave, considerato le risorse finanziarie complessive a disposizione del Ministero dello sviluppo economico appaiono decisamente ridotte rispetto alle previsioni assestate per l'anno finanziario 2013;

              gli interventi in materia di ricerca e innovazione appaiono del tutto assenti, come sono assenti le indicazioni di carattere programmatico che pure ci sarebbero dovute essere in relazione alle politiche economiche e di settore da adottare in tal senso;

              le misure volte a sostenere direttamente il sistema delle imprese sono contenute quasi unicamente nei primi 65 commi della Legge di Stabilità e, nonostante le modifiche approvate dal Senato, non sembrano riuscire a sortire gli effetti economici positivi e anticiclici sperati;

              al netto della previsione della dotazione aggiuntiva del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione di 54, 810 milioni di euro, le misure introdotte al Senato appaiono del tutto irrilevanti e di bassa efficacia. E anche in relazione a questa ultima misura relativa, come si è detto, all'incremento della dotazione del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione, il Servizio del Bilancio del Senato ha segnalato, che pur essendo l'onere per il bilancio dello Stato limitato all'entità dello stanziamento, il prospetto riepilogativo rende conto solo degli effetti finanziari per il triennio 2014-2016, mentre non è illustrato la ripartizione dell'onere, di notevole entità, che graverà sugli esercizi 2017-2020;

              il comma 9 dell'articolo 1 disciplina la destinazione delle somme derivanti dalle restituzioni dei finanziamenti concessi alle imprese ai sensi dell'articolo 3 della legge 24 dicembre 1985, n. 808. Sul punto vale la pena ricordare che la legge 24 dicembre 1985, n. 808 costituisce il principale provvedimento a sostegno del settore aeronautico e prevede interventi in favore delle imprese nazionali che partecipino a programmi industriali in collaborazione internazionale per la realizzazione di aeromobili, motori, equipaggiamenti e materiali aeronautici;

          in buona sostanza si tratta di fondi legati alle imprese operanti nel settore aeronautico che non sono mai stati utilizzati e che sono riassegnati per la medesima destinazione. La relazione tecnica stima che dette somme restituite ammontino intorno ai 30 milioni di euro, ma desta altissima preoccupazione l'ipotesi che tali somme possano essere utilizzate anche per finanziare programmi di intervento come quello degli F35;

              i commi da 21 a 24 dell'articolo 1 recano disposizioni in materia di programmi industriali di interesse delle Difesa. In particolare si dispone che, al fine di assicurare il mantenimento di adeguate capacità nel settore marittimo a tutela degli interessi di difesa nazionale e nel quadro di una politica comune europea, consolidando strategicamente l'industria navalmeccanica ad alta tecnologia, sono autorizzati contributi ventennali, di 40 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014, di 110 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015 e di 140 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016, da iscrivere nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico. Inoltre è previsto che parte dei contributi già assegnati per il consolidamento della flotta navale siano destinati al finanziamento:

                  1) di programmi di ricerca e sviluppo di cui all'articolo 3 della legge

808/1985 prevedendo due contributi ventennali rispettivamente di importo di 30 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014 e di 10 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015;

                  2) della prosecuzione degli interventi in favore degli investimenti delle imprese marittime, già approvati dalla Commissione europea con decisione notificata con nota SG (2001) D/285716 del 1 febbraio 2001, è autorizzato un contributo ventennale di 5 milioni di euro a decorrere dall'esercizio 2014;

                  3) di progetti innovativi di prodotti e di processi nel campo navale avviati negli anni 2012 e 2013 ai sensi della disciplina europea degli aiuti di Stato alla costruzione navale n. 2011/C364/06, in vigore dal 1 gennaio 2012, con un contributo ventennale di 5 milioni di euro a decorrere dall'esercizio 2014:

                  detti finanziamenti, in buona sostanza, sembrano confermare la prova provata della volontà di costruire nuove navi, non uscire dal costoso Programma FREMM, il che appare del tutto inaccettabile, se solo si considera l'aumento considerevole della tassazione previsto a copertura del provvedimento in esame, anche a seguito delle modifiche approvate in sede di esame del provvedimento presso il Senato della Repubblica;

                  si segnala, infatti, che in Tabella E il finanziamento del perseguimento del programma di sviluppo per l'acquisizione delle unità navali FREMM ammonta a 785 milioni di euro per il 202014, 778 milioni di euro per il 2015, 526 milioni di euro per il 2016, 899 milioni di euro dal 2017 in poi;

                  il comma 58 dell'articolo 1 autorizza, infine, la sola spesa di 20,75 milioni di euro per l'anno 2014, per il completamento del Piano nazionale banda larga, definito dal Ministero dello sviluppo economico – Dipartimento per le comunicazioni e autorizzato dalla Commissione europea;

              anche questo punto si evidenzia la totale inadeguatezza da parte del Governo nel voler adottare misure immediate per l'implementazione della banda larga e ultra larga, infrastruttura di fondamentale importanza per l'ammodernamento delle imprese e per lo sviluppo dei servizi della pubblica amministrazione;

              per la modernizzazione del Paese è fondamentale, infatti, garantire una dotazione adeguata di infrastrutture di comunicazione avanzata su tutto il territorio nazionale puntando a superare il digital divide esistente e soprattutto ad assicurare connessioni ad alta velocità a territori a più alta densità di imprese come ad esempio i distretti industriali. Si tratta di infrastrutture e tecnologie abilitanti con un chiaro effetto, diretto e indiretto, sullo sviluppo economico complessivo;

              infatti, secondo quanto riferito dal Sottosegretario allo Sviluppo economico Catricalà, oltre ai venti milioni di euro stanziati dal provvedimento in esame ne servirebbero altri 2,5 miliardi per i prossimi quattro anni, allo scopo di raggiungere gli obiettivi dell'Agenda digitale europea fissati per il 2020;

              sotto tale profilo si rammenta che, in data 20 settembre 2010, la Commissione Europea ha, presentato un pacchetto di misure finalizzate al raggiungimento dell'obiettivo, nel quadro dell'agenda digitale europea, di fornire ai cittadini europei l'accesso alla banda larga (base per il 2013 e veloce per il 2020);

              del sopra citato pacchetto sulla banda larga fa parte anche la raccomandazione relativa all'accesso regolamentato alle reti di accesso di nuova generazione (next generation networks-nga), C(2010)6223) che ha lo scopo di favorire lo sviluppo del mercato unico rafforzando la certezza del diritto e promuovendo gli investimenti, la concorrenza e l'innovazione sul mercato dei servizi a banda larga, in particolare nella transizione alle reti di accesso di nuova generazione (nga);

              le reti di accesso di nuova generazione sono reti di accesso cablate costituite,

in tutto o in parte, da elementi ottici e in grado di fornire servizi d'accesso a banda larga con caratteristiche più avanzate (quale una maggiore capacità di trasmissione) rispetto a quelli forniti tramite le reti in rame esistenti;

              dette reti, definite anche come delle vere e proprie «autostrade informatiche» per veicolare il traffico dati a grande velocità, in sicurezza e senza strozzature, secondo quanto emerge dal secondo rapporto dell'Osservatorio I-com sulle reti di nuova generazione, potrebbero rappresentare non solo uno strumento di sviluppo e crescita dell'economia, ma anche e sopratutto una modalità di investimento per evitare il cosiddetto «sotto-sviluppo» dei Paesi;

              non a caso, proprio sulle reti di nuova generazione, si sono indirizzati importanti investimenti sia di carattere pubblico, che privato nei principali Paesi del mondo e, in particolare, negli Stati Uniti, in Cina, in Corea, in India e in Australia;

              anche i Paesi europei a più elevato tasso di digitalizzazione quali il Regno Unito, l'Olanda e le economie scandinave hanno recentemente investito sulle reti di accesso di nuova generazione;

              numerosi studi di caratura nazionale e internazionale dimostrano come le reti di nuova generazione (fisse e mobili) possono promuovere la crescita almeno di un 1 punto di prodotto interno lordo ogni 10 per cento aggiuntivo di diffusione della banda larga e, al contempo, generare importanti risparmi che, a regime, per l'Italia corrisponderebbero a quasi 40 miliardi all'anno. Sul punto, si segnala come la Banca Mondiale stimi, infatti, in 1,21 per cento l'impatto per i Paesi ad alto reddito di prodotto interno lordo aggiuntivo per ogni 10 per cento di diffusione della banda larga (Qiang e Rosotto, «Economic impacts of broadband», in Information and Communication for Development 2009: Extending Reach and Increasing Impact, Word Bank). Con riferimento specifico all'Italia, inoltre, il Progetto Italia digitale 2010 di Confindustria quantifica i risparmi grazie al telelavoro (in 2 miliardi di euro), e-learning (in 1,4 miliardi di euro), e-government e impresa digitale (in 16 miliardi di euro), e-health (in 8,6 miliardi di euro), giustizia e sicurezza digitale (in 0,5 miliardi di euro), gestione energetica intelligente (in 9,5 miliardi di euro). Analoghe considerazioni sono contenute nel rapporto Oecd (2009) «Network developments in support of innovation and user needs»-Directorate for science, technology and industry;

              attuare l'agenda digitale in Italia appare quindi quanto mai urgente anche per il fatto che nel nostro Paese i dati di alfabetizzazione informatica, di copertura di rete fissa e di sviluppo dei servizi on line, sia sotto il profilo di utilizzo da parte dei consumatori che delle imprese, sono nettamente al di sotto della media europea. Inoltre, ad avviso dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nel 2015, nel nord Europa il peso sul prodotto interno lordo dell'economia internet raddoppierà, mentre per l'Italia il peso dell'economia digitale rischia di rimanere modesto, qualora non si proceda rapidamente ad interventi che garantiscano una netta inversione di tendenza;

              non si riscontrano tuttavia interventi tesi a ad assicurare un'adeguata copertura internet su tutto il territorio nazionale evitando i grossi disagi denunciati da numerosissimi utenti e Comuni, considerato che la diffusione delle risorse di connettività e delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione influenza direttamente la qualità di vita dei cittadini, le condizioni di lavoro e la competitività delle imprese e dei servizi di tutto il territorio nazionale;
      per le ragioni illustrate in premessa,

DELIBERA DI RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO.
XI COMMISSIONE PERMANENTE
(Lavoro pubblico e privato)
XI COMMISSIONE PERMANENTE
(Lavoro pubblico e privato)
RELAZIONE    DI    MINORANZA
sui
DISEGNI DI LEGGE
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866)
Stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016
(Tabella n. 4, limitatamente alle parti di competenza)
Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866-bis)
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) (1865)
dei deputati Rostellato, Cominardi, Ciprini, Rizzetto, Tripiedi, Baldassarre, Bechis e Chimienti

      La XI Commissione,

          esaminato, limitatamente alle parti di competenza, lo stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (Tabella n. 4) del bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e del bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (C. 1866), nonché le connesse parti del disegno di legge di stabilità 2014 (C. 1865);

          premesso che:

              come evidenziato, tra gli altri, nel rapporto di Confindustria, nel primo decennio degli anni Duemila l'Italia è risultata il Paese dell'Eurozona che è cresciuto al ritmo più lento, circa un terzo della media, meno della metà della Germania, quasi un terzo della Francia;

              rispetto al picco toccato sei anni fa, il prodotto interno lordo italiano si è

ridotto del 9 per cento, il PIL pro capite è diminuito del 10,4 per cento, pari a circa 2.700 euro in meno per abitante, ed è così tornato ai livelli del 1997, costituendo un caso unico (e perciò ancora più preoccupante) tra i Paesi dell'euro;

              le tabelle ISTAT sul secondo trimestre 2013 rilevano che sono 3 milioni i disoccupati e 3 milioni le persone che non cercano impiego ma sono disponibili a lavorare, nel gruppo dei inattivi (disponibili all'impiego ma non impegnati a trovarne);

              in ambito pensionistico si rileva che su 7,2 milioni di pensionati, il 17 per cento può contare su un reddito sotto i 500 euro, il 35 per cento ha una pensione tra 500 e 1000 euro e solo il 2,9 per cento ha una pensione che va oltre i 3000 euro;

              dai dati forniti dalla Coldiretti sono 4 milioni le persone che nel 2013 sono state costrette a chiedere aiuto per sfamarsi con un aumento del 10 per cento rispetto allo scorso anno e del 47 per cento rispetto al 2010;

              le persone che si trovano sulla soglia della povertà relativa sono 9.563.000 pari al 15,8 per cento della popolazione;

              nel biennio 2012-2014 la contrazione complessiva dei consumi delle famiglie italiane ammonterà a circa 60 miliardi di euro, influendo in modo significativamente negativo sulla produzione e sull'occupazione. La contrazione del potere di acquisto delle famiglie si è determinata anche in relazione all'incremento dell'Iva le cui ricadute in termini annui ammonteranno per famiglia a 207 euro con un aggravio del 0,80 per cento del tasso di inflazione;

              la riduzione della domanda interna è stata la determinante del calo dell'attività economica. In seguito alla caduta del reddito disponibile, che in termini reali è sceso dell'11,1 per cento, la contrazione dei consumi delle famiglie è risultata del 7,8 per cento;

              l'occupazione è calata del 7,2 per cento, pari a 1,8 milioni di unità di lavoro in meno, e la produzione industriale è a un livello inferiore del 24,2 per cento (con punte del 40 per cento in alcuni settori) rispetto al terzo trimestre del 2007;

              il livello di tassazione e contribuzione sul lavoro è ormai insostenibile per le imprese e riduce il reddito disponibile delle famiglie oltre a penalizzare la competitività delle imprese stesse. L'elevata imposizione sui redditi da lavoro comporta infatti un livello di retribuzione netta tra le più basse d'Europa. L'effetto dell'elevata contribuzione sociale, invece, è quello di rendere il costo del lavoro molto più elevato della retribuzione lorda: l'incidenza del cuneo contributivo in Italia è del 32 per cento del costo del lavoro, la più alta tra i Paesi OCSE;

              un ulteriore grave ostacolo alla operatività delle imprese è costituito dalla carenza di credito alle imprese: nell'agosto scorso il credito erogato alle imprese italiane è risultato dell'8 per cento più basso che nel settembre 2011 (con una contrazione media mensile dello 0,4 per cento) pari, in termini assoluti, ad una riduzione di 74 miliardi di euro. Secondo un'indagine ISTAT, a settembre 2013, l'11,4 per cento delle imprese che hanno presentato richiesta per un prestito bancario non lo hanno ricevuto (nella prima metà del 2011 erano pari al 6,9 per cento) mentre altre imprese hanno semplicemente rinunciato a domandare credito a fronte di costi troppo alti;

          considerato che:

              dall'esame dello stato di previsione del Ministero lavoro e delle politiche sociali, di cui alla Tabella 4 del disegno di legge di bilancio (AS 1121), si evincono le seguenti criticità:

                  a) una riduzione pari a 24.546.623 euro per il 2014 delle risorse destinate al programma 1.10 (Servizi territoriali per il lavoro). Tale riduzione appare assai grave in quanto incidendo sui servizi territoriali per il lavoro lede il

funzionamento di strutture le quali devono essere i primi attuatori delle politiche per l'impiego e per tale ragione necessiterebbero al contrario di un deciso potenziamento. Peraltro è necessario rilevare come tale riduzione si ponga in netta contraddizione sia con le direttive europee in materia sia con quanto più volte affermato dal Governo circa l'intenzione di procedere ad un riordino dei servizi territoriali per il lavoro;

                  b) una riduzione pari a 633.202 euro per il 2014 delle risorse destinate al programma 4.3 (Terzo settore: volontariato ONLUS e formazioni sociali) su 3.052.088 di euro di cui alla previsione assestata per il 2013;

                  c) di particolare gravità, alla luce della attuale situazione di grave emergenza in merito, la riduzione, pari a 2.388.695 per l'anno 2014, delle risorse destinate al programma 5.1 (Flussi migratori e politiche di integrazione sociale delle persone immigrate) le quali risultano nella previsione per il medesimo anno finanziario pari a 1.997.512, pari a circa un decimo delle risorse previste per il programma 7.1 (Gabinetto e gli Uffici di diretta collaborazione del Ministro), le quali pur subendo una riduzione 2.227.019 euro per il 2014, risultano nella previsione per il medesimo anno finanziario pari a ben 11.640.919 di euro;

          considerato altresì che:

              gli interventi contenuti nel disegno di legge di stabilità 2014 comportano nel complesso un aumento delle entrate nel 2014 per circa 1 miliardo di euro ed un aumento della spesa pubblica nel 2014 per 2,6 miliardi di euro come risulta nell'allegato 3 del ddl stabilità (A.S. 1120) che riepiloga gli effetti sui saldi di finanza pubblica delle misure adottate con il ddl di stabilità. A coprire i circa 11 miliardi di uscite nel 2014, concorreranno per 3,5 miliardi i tagli alla spesa pubblica, così ripartiti: 2,5 miliardi di tagli alla spesa statale e 1 miliardo in meno alle Regioni;

              tra le disposizioni di competenza della Commissione:

                  a) le «Misure fiscali per il lavoro e le imprese» apportano modifiche al comma 13 del Testo unico sulle imposte sui redditi al fine di incrementare la detrazione degli importi spettante allorché nel reddito complessivo concorrano redditi di lavoro dipendente e/o taluni redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente; il comma 2 stabilisce che con apposito decreto ministeriale si provveda ad una riduzione dei premi e le malattie professionali; il comma 3 introduce una defiscalizzazione ai fini IRAP per le nuove assunzioni a tempo indeterminato; il comma 4 stabilisce la restituzione integrale del contributo addizionale ASPI sul lavoro a tempo determinato in caso di trasformazione a tempo indeterminato;

                  b) Il disegno di legge in esame reca «Misure di carattere sociale» e prevede uno stanziamento di 600 milioni di euro per il Fondo sociale per l'occupazione e la formazione di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a) del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, al fine di rifinanziare gli ammortizzatori sociali in deroga di cui all'articolo 2, commi 64, 65 e 66, della legge 28 giugno 2012, n. 92; il comma 7 prevede il rifinanziamento, nella misura di 250 milioni di euro per l'anno 2014, del programma Carta acquisti di cui all'articolo 81, commi 29 e seguenti del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;

                  c) Il DDl altresì reca «Disposizioni per la razionalizzazione della spesa previdenziale», ed in particolare: viene innalzato da 6 a 12 mesi il termine per la corresponsione ai dipendenti dei trattamenti di fine servizio o di fine rapporto, comunque denominati e modifica l'attuale meccanismo di versamento rateale del medesimo trattamento; si introduce un contributo di solidarietà, per il periodo 2014-2016, sui trattamenti pensionistici obbligatori eccedenti il limite di 150.000 euro lordi annui;

          valutato che:

              nel complesso, gli interventi appaiono nettamente inferiori a quanto necessario per avere effetti rilevanti sull'economia:

                  a) la disposizione che prevede un incremento delle detrazioni per lavoro dipendente con l'obiettivo di dare un maggiore vantaggio ai redditi medi tra i 15.000 e i 35.000 euro (dove si colloca il 50 per cento dei redditi di lavoro dipendente) non ha effetti sui redditi più bassi, riducendo la spinta positiva sui consumi;

                  b) per quanto riguarda l'operatività della riduzione dei primi e dei contributi INAIL, essa è subordinata agli «andamenti degli eventi relativi al rispetto della normativa generale sulla sicurezza e salute sui luoghi di lavoro»: tale formulazione è assai ambigua e può essere foriera di contenzioso: in particolare, non è chiaro se tale formulazione sia riferita all'accadimento di infortuni e malattie professionali ovvero alla semplice irrogazione di sanzioni, pur in assenza di eventi lesivi. Ancora, non sono indicati né il parametro temporale al quale ancorare la disposizione, né a quale fatto giuridico fare riferimento, né, soprattutto, in che modo e misura «l'andamento degli eventi» incida sulla riduzione dei premi;

                  c) gli sgravi IRAP sui neo-assunti a beneficio delle imprese varranno pochi euro l'anno per ogni nuovo contratto stabilizzato: una manovra che può apparire formalmente positiva ma che potrebbe non generare alcun effetto concreto a livello macroeconomico. Sarebbe al contrario auspicabile un superamento totale dell'IRAP;

                  d) le disposizioni che afferiscono al sistema previdenziale risultano nella loro attuale formulazione assolutamente inefficaci sia per quanto riguarda il perseguimento di finalità di mantenimento in equilibrio del sistema pensionistico, come enunciato dalla relazione introduttiva del disegni di legge in esame, sia per contribuire al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga;

              tutti i provvedimenti si inseriscono in quella tendenza alla legislazione «emergenziale», caratterizzata da interventi settoriali, tra loro non collegati e spesso incoerenti, che appare necessario abbandonare al più presto al fine di assicurare al lavoratori la certezza dello stato sociale;

              l'introduzione della Carta acquisti non costituisce e non ha costituito intervento adeguato alla situazione di grave emergenza sociale. Peraltro, ulteriori tentativi già attuati di regolare l'apporto economico degli appositi fondi europei tramite il solo utilizzo di carte di acquisto rischiano di comportare mancata assistenza da parte dello Stato per milioni di cittadini in condizioni di povertà o di esclusione sociale;

              ferma restando la necessità di provvedere al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga e di garantire i lavoratori che usufruiscono di questa tipologia di benefici, appare necessario provvedere ad un piano di riassetto complessivo degli strumenti di tutela del reddito;

          valutato altresì che:

              non si riscontrano nei disegni di legge in esame misure concrete per perseguire obiettivi prioritari quali:

                  a) la drastica riduzione del cuneo fiscale e contributivo al fine di aumentare il reddito disponibile delle persone, restituire competitività alle imprese e mantenere la coesione sociale;

                  b) la semplificazione del welfare al fine di renderlo al contempo più certo ed essenziale, più concretamente presente nella vita dei cittadini molti dei quali sono costretti a sopravvivere al problema occupazionale dovendosi al contempo confrontare con un sistema eccessivamente frammentato e non in grado di fornire certezze;

                  c) l'introduzione tra gli ammortizzatori sociali del reddito di cittadinanza,

anch'esso rientrante nel complesso di misure finalizzate al sostegno del reddito di coloro che si trovano involontariamente in una situazione di non occupazione. Peraltro, misure di attuazione del reddito di cittadinanza sono presenti nella maggior parte dei Paesi dell'UE e in molti paesi non comunitari. Il reddito di cittadinanza è uno strumento che assicura, in via principale e preminente, l'autonomia delle persone e la loro dignità, e non si riduce ad una mera misura assistenzialistica contro la povertà;

                  d) una generale razionalizzazione dei servizi per l'impiego, attraverso una riforma complessiva delle strutture esistenti valorizzando e ampliando la centralità delle strutture pubbliche a partire dal ruolo Ministero del lavoro e delle politiche sociali, evitando le duplicazioni e le sovrapposizioni di funzione attraverso un chiaro riparto delle funzioni stesse tra strutture centrali e periferiche;

                  e) una drastica riduzione del carico fiscale sulle imprese attraverso la definitiva abolizione dell'IRAP;

DELIBERA DI RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO
XII COMMISSIONE PERMANENTE
(Affari sociali)
XII COMMISSIONE PERMANENTE
(Affari sociali)
RELAZIONE    DI    MINORANZA
sui
DISEGNI DI LEGGE
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866)
Stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016
(Tabella n. 4, limitatamente alle parti di competenza)
Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866-bis)
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) (1865)
dei deputati Nicchi, Piazzoni e Aiello

      La XII Commissione,

          esaminato il disegno di legge di stabilità e lo Stato di previsione del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali (Tabella n. 4) per le parti di competenza,

          premesso che:

              dopo tanti sacrifici i cittadini italiani attendevano che la manovra economica del governo Letta ridesse fiato all'economia italiana, la quale dal 2007 ad oggi ha perso addirittura il 9 per cento della produzione di beni e servizi, e ha visto raddoppiare la disoccupazione da un milione e mezzo a tre milioni di unità. Si possono avere molti dubbi sul fatto che la manovra riuscirà a portare il Pil a crescere almeno di un punto percentuale nel 2014 come il governo prevede;

              come più volte sottolineato, anche di recente da Confindustria, Rete Imprese Italia e dalla principali Associazioni Sindacali

di categoria, sei anni di crisi finanziaria, prima globale e poi dei debiti sovrani nell'Eurozona, e due recessioni hanno colpito duramente l'economia europea e quella italiana, dove le conseguenze sono state più gravi che nella maggior parte degli altri paesi;

              rispetto al picco toccato sei anni fa, il prodotto interno lordo italiano si è ridotto del 9 per cento, il PIL procapite è diminuito del 10,4 per cento, ossia circa 2.700 euro correnti in meno per abitante, ed è così tornato ai livelli del 1997, caso unico tra i Paesi dell'euro (in Spagna e Francia, il PIL procapite, nonostante la crisi, è comunque più alto di oltre il 15 per cento rispetto al 1997);

              la riduzione della domanda interna è stata di una intensità che dall'Unità d'Italia non ha precedenti in periodo di pace ed è stata la determinante del calo dell'attività economica, dato che le esportazioni sono tornate sopra i livelli del 2007. In seguito alla caduta del reddito disponibile, che in termini reali è sceso dell'11,1 per cento, la contrazione dei consumi delle famiglie è risultata del 7,8 per cento;

              l'occupazione è caduta del 7,2 per cento, pari a 1,8 milioni di unità di lavoro in meno. Molte delle persone che hanno perduto l'impiego non riusciranno a ricollocarsi nel sistema produttivo;

              la produzione industriale è a un livello inferiore del 24,2 per cento rispetto al picco pre-crisi del terzo trimestre del 2007; in alcuni settori la diminuzione supera il 40 per cento;

              il credit crunch ha trasmesso la crisi dalla finanza all'economia reale. È stato particolarmente severo in Italia, soprattutto dall'estate 2011. Nell'agosto scorso il credito erogato alle imprese italiane è risultato dell'8,0 per cento più basso che nel settembre 2011, con una contrazione media mensile dello 0,4 per cento. In valore si tratta di una riduzione di 74 miliardi di euro;

              la restrizione creditizia sta proseguendo. Tante imprese faticano a ottenere prestiti bancari: l'indagine ISTAT indica che a settembre l'11,4 per cento di quelle che ne hanno fatto richiesta non li hanno ricevuti, molto più del 6,9 per cento registrato nella prima metà del 2011. Altre imprese hanno rinunciato a domandare credito a fronte di costi troppo alti;

              la carenza di credito ostacola l'operatività di molte imprese, anche finanziariamente solide;

              nel manifatturiero la disponibilità di liquidità resta molto ridotta rispetto alle esigenze e le aziende continuano a prevederla in calo, anche se c’è stato un miglioramento negli ultimi mesi, verosimilmente a seguito dell'immissione di liquidità derivante dal pagamento di oltre 11 miliardi di debiti commerciali della pubblica amministrazione;

              le iniziative che il Governo avrebbe dovuto perseguire al fine di risollevare la condizione economica delle imprese appaiono del tutto deludenti, anche a seguito delle modifiche introdotte dal Senato, a partire di quanto previsto in materia di riduzione del cuneo fiscale e contributivo per aumentare il reddito disponibile delle persone, restituire competitività alle imprese e mantenere la coesione sociale, sostegno agli investimenti privati in ricerca e innovazione, con interventi semplici da gestire, rilancio della domanda pubblica e privata di beni di investimento, allentamento del patto di stabilità interno, rinnovo degli incentivi all'edilizia, sostegno alla liquidità del sistema e allentamento della morsa del credit crunch;

              il cuore economico e politico della Legge di Stabilità consiste nella riduzione del cuneo fiscale, cioè della differenza tra il costo che mediamente le imprese sostengono per ogni lavoratore e il salario netto che entra nelle tasche del lavoratore stesso. Una differenza dovuta, naturalmente, al peso di tasse e contributi che gravano sulle tasche degli imprenditori e dei lavoratori, e che in Italia è piuttosto elevato (secondo l'OCSE il cuneo assorbe il

47,6 per cento del costo del lavoro, contro una media del 35,6 per cento dell'insieme dei Paesi OCSE). La riduzione del cuneo fiscale nella misura in cui riduce il costo del lavoro per le imprese, determina una contrazione dei costi di produzione e quindi dei prezzi di vendita delle merci e dei servizi, facendo aumentare la competitività dell'industria nazionale. In questo modo, si rilanciano le esportazioni e si invogliano i consumatori a un maggiore acquisto di merci nazionali, e ciò porta a una riduzione delle importazioni. Dall'altro lato, nella misura in cui aumenta il reddito disponibile dei lavoratori, il taglio del cuneo fiscale determina una crescita della domanda di beni di consumo e ciò spinge le imprese ad aumentare la produzione e l'occupazione. Insomma, l'abbattimento del cuneo fiscale fa crescere la competitività e alimenta la domanda interna, tutte cose di cui abbiamo assoluto bisogno per riprendere la via dello sviluppo;

              ma il beneficio in busta paga per un lavoratore dipendente inferiore a 200 euro in un anno. Non si può certo definire utile una simile misura per far ripartire i consumi nel nostro paese. Non dobbiamo dimenticare che la stessa arriva dopo un biennio in cui le politiche di rigore hanno letteralmente stremato il sistema produttivo, fatto lievitare a dismisura il carico fiscale e calare vistosamente il livello della domanda interna;

              l'intervento dunque è solo teoricamente buono. Va chiarito, infatti, che l'intervento del governo – tra sgravi Irpef e Irap, e decontribuzioni Inail – taglia il cuneo di 10,6 miliardi nel triennio, appena 2,5 miliardi nel 2014. A ben vedere, si tratta di un intervento estremamente contenuto, che nel 2014 metterà nelle tasche di un lavoratore medio solo una manciata di euro al mese e ben poco respiro darà alle imprese che non vedranno variare significativamente il costo del lavoro per unità di prodotto. Considerata la sua entità, si tratta dunque di un intervento che avrà effetti limitatissimi e che avrebbe potuto cominciare ad avere un qualche rilievo solo se l'intero importo previsto nel triennio avesse riguardato il solo 2014;

              la manovra per il 2014, nel suo complesso, vale circa 15 miliardi. Le risorse provengono soprattutto da tagli di spesa pubblica, da dismissioni, da qualche maggiore entrata e dal solito blocco della contrattazione e del turnover nel pubblico impiego;

              ma i tagli della spesa pubblica, gli aumenti delle tasse e la mannaia sui lavoratori pubblici portano con loro una minore domanda di merci e servizi proveniente direttamente o indirettamente dal settore pubblico e da quello privato, e questo azzera i già risicati effetti positivi dell'aumento del reddito disponibile delle famiglie assicurato dal taglio del cuneo. Se, infatti, il taglio del cuneo alimentava la domanda, tagli e tasse la riducono in misura maggiore. E se la domanda complessiva non torna a crescere non possiamo sperare che l'economia riparta. A riguardo è bene ricordare che dal 2002 al 2012 l'Italia ha registrato una dinamica della domanda interna complessivamente negativa (-1,6 per cento), contro valori significativamente in crescita nell'area euro (più 9 per cento) e soprattutto negli USA (più 15 per cento);

              in questo quadro risulta altrettanto risibile la previsione di una riduzione della pressione fiscale di un punto percentuale in tre anni, come è stato fatto osservare, giustamente, dalle stesse associazioni degli imprenditori, a maggior ragione se si considera che l'Iva è appena passata dal 21 al 22 per cento;

              manca una politica concentrata sulla domanda di lavoro mentre si continua ad operare, e con misure minime, sull'offerta di lavoro. Invece di Piano del lavoro incentrato sul dissesto idrogeologico (per il quale si destinano 30 milioni!), la messa in sicurezza delle scuole, l'innovazione tecnologica, di 10-20 miliardi, si insiste su lo spot puramente pubblicitario della riduzione delle tasse sul lavoro;

              lo scopo principale della manovra è restare dentro i tanto discussi vincoli europei,

e in particolare tenere il deficit pubblico (la differenza annua tra uscite ed entrate pubbliche) entro il limite del 3 per cento del Pil. In Europa sono in atto processi cumulativi di divergenza territoriale alimentati dalle politiche di austerità. Questi processi portano a una divaricazione drammatica tra aree centrali in crescita (in primis, la Germania) e aree periferiche in declino (l'Italia e gli altri Piigs);

              qualunque manovra si muova dentro la cornice attuale dei vincoli non può riuscire a invertire i processi di divergenza in atto, e quindi a metterci al passo delle aree centrali d'Europa. Con la certezza che presto o tardi, in assenza di un cambiamento delle politiche europee, il gioco dell'euro salterà;

              dobbiamo registrare, inoltre, la falsa disubbidienza di Letta e Saccomanni rispetto a Bruxelles. Dopo che la Commissione europea ha espresso la sua preoccupazione sul progetto di bilancio invitando le autorità italiane «a prendere le misure necessarie» per assicurare che la Finanziaria per il 2014 rispetti le norme del Patto di stabilità e crescita relative alla diminuzione del debito pubblico, Letta rispose affermando che «di troppa austerità si muore». Ma neanche una settimana dopo ha presentato un nuovo Programma per la revisione della spesa: infatti, la legge di stabilità, sanciva che «nessun risparmio» è previsto per il 2014 mentre negli anni successivi i risparmi sono pari a 3,6 miliardi nel 2015, 8,3 miliardi nel 2016 e 11,3 miliardi a decorrere dal 2017;

              adesso il Programma della spending review arriva a quota 32 miliardi nel solo triennio 2014-2016 (prima erano previsti 11,9 miliardi); ed inoltre si prevede un piano di privatizzazioni di 12 miliardi;

              è importante ricordare che per la prima volta, dalla nascita dell'Europa di Maastricht, il progetto di legge di stabilità sarà prima vagliato dalla Commissione europea, che potrà imporre correttivi e comminare sanzioni in caso di inadempienza, e poi discusso ed approvato dal Parlamento;

              con l'entrata in vigore del cosiddetto «two-pack», il pacchetto di due regolamenti approvato dal parlamento di Strasburgo nel maggio scorso, si è infatti chiuso il cerchio in tema di «sorveglianza» europea sui bilanci dei Paesi dell'Eurozona, con tutto quello che ciò comporta per la «sovranità» e l'autonomia politica degli stessi;

              dentro un meccanismo così congegnato la funzione dei parlamenti nazionali è quasi del tutto esautorata: le forze politiche parlamentari non avranno grandi margini di manovra per modificare l'impianto e la filosofia del documento di bilancio se alla Commissione europea è stato riconosciuto un sostanziale diritto di veto sui bilanci nazionali;

              la legge di stabilità ed i provvedimenti collegati a differenza che nel passato, sono in primo luogo manovre contabili atte a correggere l'andamento dei conti pubblici, e solo secondariamente strumenti attraverso cui incidere sui processi economici e sociali;

              in Europa c’è un problema di risorse insufficienti, e c’è un problema di democrazia. La linea dell'austerità, combinata con l'esautoramento della democrazia, sta arrecando danni gravissimi alle nostre società, dove crescono disagio sociale e sfiducia nelle istituzioni. Gli unici che finora sembrano guadagnarci da questa situazione sono, su un versante, banche speculatori, sull'altro versante populisti e demagoghi;

          valutato inoltre, per le parti di competenza, che:

              la legge di stabilità in esame non da adeguate risposte al crescente impoverimento di ampi strati della nostra società e all'acuirsi delle condizioni di vita di moltissime persone, nonché agli inaccettabili livelli di disuguaglianza raggiunti nel nostro Paese, dove la forbice tra poveri e ricchi si è andata sempre più allargando.

Una crisi economica iniziata nel 2007-2008, e che sembra non avere fine;

              sotto questo aspetto le politiche sociali messe in campo per contrastare il diffuso impoverimento sono troppo deboli;

              uno dei principali e più efficaci strumenti per il finanziamento degli interventi e dei servizi sociali è rappresentato dal Fondo nazionale per le politiche sociali, le cui risorse sono stabilite annualmente dalla legge di stabilità. Un Fondo che in questi ultimi anni, ha visto ridurre le risorse a sua disposizione. La legge di stabilità in esame stanzia per il 2014, 317 milioni di euro, a fronte di 344,2 milioni di euro stanziati per il 2013 dalla legge di stabilità dello scorso anno;

              lo stesso Fondo nazionale per l'Infanzia e l'adolescenza, ha visto ridurre negli anni la sua dotazione finanziaria: se la legge di stabilità per il 2012 stanziava quasi 40 milioni di euro per il 2012, e la legge di stabilità dello scorso anno stanziava per il 2013 circa 39,6 milioni, la legge di stabilità in esame, stanzia per il 2014 meno di 28,7 milioni di euro. Ciò si è tradotto in una riduzione del 28 per cento delle risorse assegnate al medesimo Fondo per l'Infanzia;

              si ricorda in proposito come nell'ultima Relazione al Parlamento dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza si sottolinea come «l'Autorità non manca di ricordare alle istituzioni i già richiamati costi sociali ed economici dei mancati investimenti sull'infanzia e l'adolescenza e quello che sarà l'impatto di essi sull'Italia del presente ma soprattutto del futuro»;

              lo stesso Fondo per le politiche della Famiglia, seppur lievemente incrementato rispetto allo scorso anno, subisce comunque un sensibile taglio se confrontato a quanto era stato stanziato dalla legge di stabilità per il 2012, ossia 32 milioni di euro a fronte degli attuali 20,9 milioni;

              al forte ridimensionamento dell'intervento pubblico in questi ambiti, si aggiunga la mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale;

              pur in presenza di norme che mirano a dare un qualche sostegno alle classi sociali più deboli ed esposte alla crisi, nulla si prevede con riferimento alle politiche di social housing, a un piano nazionale per il contrasto alla povertà, a un serio programma di sostegno alle famiglie e agli anziani anche attraverso il rafforzamento dell'assistenza domiciliare; a un piano per la realizzazione di asili nido e l'implementazione dei servizi socio educativi per la prima infanzia al fine di incrementare la presa in carico degli utenti di detti servizi;

              seppure vada valutato positivamente l'incremento delle risorse per le non autosufficienze a seguito delle modifiche apportate dal Senato, le risorse disponibili sono ancora del tutto insufficienti. Parliamo infatti di complessivi 350 milioni di euro per l'anno 2014, laddove sia nel 2010 che nel 2011 poteva contare su 400 milioni di euro;

              il comma 130 della legge di stabilità in esame, incrementa di 20 milioni, per ciascun anno 2015 e 2016 il Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, istituito dal decreto-legge n. 95 del 2012, con una dotazione di 5 milioni di euro per l'anno 2012. La dotazione è stata quindi incrementata di 20 milioni per l'anno 2013, dal decreto legge n. 120 del 2013;

              il Fondo per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, non risulta quindi finanziato per l'anno 2014;

              va peraltro detto che le risorse assegnate al medesimo Fondo sono del tutto insufficienti. I dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali riportano, al 30 settembre 2013, la segnalazione di 7821 minori stranieri non accompagnati;

              ricordiamo che i Comuni hanno sempre maggior difficoltà a far fronte agli oneri derivanti dalla presenza di minori stranieri non accompagnati sul proprio territorio: si tratta di ragazzi stranieri che arrivano o si trovano soli sul territorio e che il Comune, per competenza, deve provvedere a collocare temporaneamente in un luogo sicuro sino a quando non si possa provvedere in modo definitivo alla loro protezione,

      delibera di

RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO.
XII COMMISSIONE PERMANENTE
(Affari sociali)
RELAZIONE    DI    MINORANZA
sui
DISEGNI DI LEGGE
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866)
Stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016
(Tabella n. 14)
Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866-bis)
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) (1865)
dei deputati Nicchi, Piazzoni e Aiello

      La XII Commissione,

          esaminato il disegno di legge di stabilità e lo Stato di previsione del Ministero della salute (Tabella n. 14),

          premesso che:

              dopo tanti sacrifici i cittadini italiani attendevano che la manovra economica del governo Letta ridesse fiato all'economia italiana, la quale dal 2007 ad oggi ha perso addirittura il 9 per cento della produzione di beni e servizi, e ha visto raddoppiare la disoccupazione da un milione e mezzo a tre milioni di unità. Si possono avere molti dubbi sul fatto che la manovra riuscirà a portare il Pil a crescere almeno di un punto percentuale nel 2014 come il governo prevede;

              come più volte sottolineato, anche di recente da Confindustria, Rete Imprese

Italia e dalla principali Associazioni Sindacali di categoria, sei anni di crisi finanziaria, prima globale e poi dei debiti sovrani nell'Eurozona, e due recessioni hanno colpito duramente l'economia europea e quella italiana, dove le conseguenze sono state più gravi che nella maggior parte degli altri paesi;

              rispetto al picco toccato sei anni fa, il prodotto interno lordo italiano si è ridotto del 9 per cento, il PIL procapite è diminuito del 10,4 per cento, ossia circa 2.700 euro correnti in meno per abitante, ed è così tornato ai livelli del 1997, caso unico tra i Paesi dell'euro (in Spagna e Francia, il PIL procapite, nonostante la crisi, è comunque più alto di oltre il 15 per cento rispetto al 1997);

              la riduzione della domanda interna è stata di una intensità che dall'Unità d'Italia non ha precedenti in periodo di pace ed è stata la determinante del calo dell'attività economica, dato che le esportazioni sono tornate sopra i livelli del 2007. In seguito alla caduta del reddito disponibile, che in termini reali è sceso dell'11,1 per cento, la contrazione dei consumi delle famiglie è risultata del 7,8 per cento;

              l'occupazione è caduta del 7,2 per cento, pari a 1,8 milioni di unità di lavoro in meno. Molte delle persone che hanno perduto l'impiego non riusciranno a ricollocarsi nel sistema produttivo;

              la produzione industriale è a un livello inferiore del 24,2 per cento rispetto al picco pre-crisi del terzo trimestre del 2007; in alcuni settori la diminuzione supera il 40 per cento;

              il credit crunch ha trasmesso la crisi dalla finanza all'economia reale. È stato particolarmente severo in Italia, soprattutto dall'estate 2011. Nell'agosto scorso il credito erogato alle imprese italiane è risultato dell'8,0 per cento più basso che nel settembre 2011, con una contrazione media mensile dello 0,4 per cento. In valore si tratta di una riduzione di 74 miliardi di euro;

              la restrizione creditizia sta proseguendo. Tante imprese faticano a ottenere prestiti bancari: l'indagine ISTAT indica che a settembre l'11,4 per cento di quelle che ne hanno fatto richiesta non li hanno ricevuti, molto più del 6,9 per cento registrato nella prima metà del 2011. Altre imprese hanno rinunciato a domandare credito a fronte di costi troppo alti;

              la carenza di credito ostacola l'operatività di molte imprese, anche finanziariamente solide;

              nel manifatturiero la disponibilità di liquidità resta molto ridotta rispetto alle esigenze e le aziende continuano a prevederla in calo, anche se c’è stato un miglioramento negli ultimi mesi, verosimilmente a seguito dell'immissione di liquidità derivante dal pagamento di oltre 11 miliardi di debiti commerciali della pubblica amministrazione;

              le iniziative che il Governo avrebbe dovuto perseguire al fine di risollevare la condizione economica delle imprese appaiono del tutto deludenti, anche a seguito delle modifiche introdotte dal Senato, a partire di quanto previsto in materia di riduzione del cuneo fiscale e contributivo per aumentare il reddito disponibile delle persone, restituire competitività alle imprese e mantenere la coesione sociale, sostegno agli investimenti privati in ricerca e innovazione, con interventi semplici da gestire, rilancio della domanda pubblica e privata di beni di investimento, allentamento del patto di stabilità interno, rinnovo degli incentivi all'edilizia, sostegno alla liquidità del sistema e allentamento della morsa del credit crunch;

              il cuore economico e politico della Legge di Stabilità consiste nella riduzione del cuneo fiscale, cioè della differenza tra il costo che mediamente le imprese sostengono per ogni lavoratore e il salario netto che entra nelle tasche del lavoratore stesso. Una differenza dovuta, naturalmente, al peso di tasse e contributi che gravano sulle tasche degli imprenditori e dei lavoratori, e che in Italia è piuttosto elevato (secondo l'OCSE il cuneo assorbe il

47,6 per cento del costo del lavoro, contro una media del 35,6 per cento dell'insieme dei Paesi OCSE). La riduzione del cuneo fiscale nella misura in cui riduce il costo del lavoro per le imprese, determina una contrazione dei costi di produzione e quindi dei prezzi di vendita delle merci e dei servizi, facendo aumentare la competitività dell'industria nazionale. In questo modo, si rilanciano le esportazioni e si invogliano i consumatori a un maggiore acquisto di merci nazionali, e ciò porta a una riduzione delle importazioni. Dall'altro lato, nella misura in cui aumenta il reddito disponibile dei lavoratori, il taglio del cuneo fiscale determina una crescita della domanda di beni di consumo e ciò spinge le imprese ad aumentare la produzione e l'occupazione. Insomma, l'abbattimento del cuneo fiscale fa crescere la competitività e alimenta la domanda interna, tutte cose di cui abbiamo assoluto bisogno per riprendere la via dello sviluppo;

              ma il beneficio in busta paga per un lavoratore dipendente inferiore a 200 euro in un anno. Non si può certo definire utile una simile misura per far ripartire i consumi nel nostro paese. Non dobbiamo dimenticare che la stessa arriva dopo un biennio in cui le politiche di rigore hanno letteralmente stremato il sistema produttivo, fatto lievitare a dismisura il carico fiscale e calare vistosamente il livello della domanda interna;

              l'intervento dunque è solo teoricamente buono. Va chiarito, infatti, che l'intervento del governo – tra sgravi Irpef e Irap, e decontribuzioni Inail – taglia il cuneo di 10,6 miliardi nel triennio, appena 2,5 miliardi nel 2014. A ben vedere, si tratta di un intervento estremamente contenuto, che nel 2014 metterà nelle tasche di un lavoratore medio solo una manciata di euro al mese e ben poco respiro darà alle imprese che non vedranno variare significativamente il costo del lavoro per unità di prodotto. Considerata la sua entità, si tratta dunque di un intervento che avrà effetti limitatissimi e che avrebbe potuto cominciare ad avere un qualche rilievo solo se l'intero importo previsto nel triennio avesse riguardato il solo 2014;

              la manovra per il 2014, nel suo complesso, vale circa 15 miliardi. Le risorse provengono soprattutto da tagli di spesa pubblica, da dismissioni, da qualche maggiore entrata e dal solito blocco della contrattazione e del turnover nel pubblico impiego;

              ma i tagli della spesa pubblica, gli aumenti delle tasse e la mannaia sui lavoratori pubblici portano con loro una minore domanda di merci e servizi proveniente direttamente o indirettamente dal settore pubblico e da quello privato, e questo azzera i già risicati effetti positivi dell'aumento del reddito disponibile delle famiglie assicurato dal taglio del cuneo. Se, infatti, il taglio del cuneo alimentava la domanda, tagli e tasse la riducono in misura maggiore. E se la domanda complessiva non torna a crescere non possiamo sperare che l'economia riparta. A riguardo è bene ricordare che dal 2002 al 2012 l'Italia ha registrato una dinamica della domanda interna complessivamente negativa (-1,6 per cento), contro valori significativamente in crescita nell'area euro (più 9 per cento) e soprattutto negli USA (più 15 per cento);

              in questo quadro risulta altrettanto risibile la previsione di una riduzione della pressione fiscale di un punto percentuale in tre anni, come è stato fatto osservare, giustamente, dalle stesse associazioni degli imprenditori, a maggior ragione se si considera che l'Iva è appena passata dal 21 al 22 per cento;

              manca una politica concentrata sulla domanda di lavoro mentre si continua ad operare, e con misure minime, sull'offerta di lavoro. Invece di Piano del lavoro incentrato sul dissesto idrogeologico (per il quale si destinano 30 milioni!), la messa in sicurezza delle scuole, l'innovazione tecnologica, di 10-20 miliardi, si insiste su lo spot puramente pubblicitario della riduzione delle tasse sul lavoro;

              lo scopo principale della manovra è restare dentro i tanto discussi vincoli europei,

e in particolare tenere il deficit pubblico (la differenza annua tra uscite ed entrate pubbliche) entro il limite del 3 per cento del Pil. In Europa sono in atto processi cumulativi di divergenza territoriale alimentati dalle politiche di austerità. Questi processi portano a una divaricazione drammatica tra aree centrali in crescita (in primis, la Germania) e aree periferiche in declino (l'Italia e gli altri Piigs);

              qualunque manovra si muova dentro la cornice attuale dei vincoli non può riuscire a invertire i processi di divergenza in atto, e quindi a metterci al passo delle aree centrali d'Europa. Con la certezza che presto o tardi, in assenza di un cambiamento delle politiche europee, il gioco dell'euro salterà;

              dobbiamo registrare, inoltre, la falsa disubbidienza di Letta e Saccomanni rispetto a Bruxelles. Dopo che la Commissione europea ha espresso la sua preoccupazione sul progetto di bilancio invitando le autorità italiane «a prendere le misure necessarie» per assicurare che la Finanziaria per il 2014 rispetti le norme del Patto di stabilità e crescita relative alla diminuzione del debito pubblico, Letta rispose affermando che «di troppa austerità si muore». Ma neanche una settimana dopo ha presentato un nuovo Programma per la revisione della spesa: infatti, la legge di stabilità, sanciva che «nessun risparmio» è previsto per il 2014 mentre negli anni successivi i risparmi sono pari a 3,6 miliardi nel 2015, 8,3 miliardi nel 2016 e 11,3 miliardi a decorrere dal 2017;

              adesso il Programma della spending review arriva a quota 32 miliardi nel solo triennio 2014-2016 (prima erano previsti 11,9 miliardi); ed inoltre si prevede un piano di privatizzazioni di 12 miliardi;

              è importante ricordare che per la prima volta, dalla nascita dell'Europa di Maastricht, il progetto di legge di stabilità sarà prima vagliato dalla Commissione europea, che potrà imporre correttivi e comminare sanzioni in caso di inadempienza, e poi discusso ed approvato dal Parlamento;

              con l'entrata in vigore del cosiddetto «two-pack», il pacchetto di due regolamenti approvato dal parlamento di Strasburgo nel maggio scorso, si è infatti chiuso il cerchio in tema di «sorveglianza» europea sui bilanci dei Paesi dell'Eurozona, con tutto quello che ciò comporta per la «sovranità» e l'autonomia politica degli stessi;

              dentro un meccanismo così congegnato la funzione dei parlamenti nazionali è quasi del tutto esautorata: le forze politiche parlamentari non avranno grandi margini di manovra per modificare l'impianto e la filosofia del documento di bilancio se alla Commissione europea è stato riconosciuto un sostanziale diritto di veto sui bilanci nazionali;

              la legge di stabilità ed i provvedimenti collegati a differenza che nel passato, sono in primo luogo manovre contabili atte a correggere l'andamento dei conti pubblici, e solo secondariamente strumenti attraverso cui incidere sui processi economici e sociali.

              in Europa c’è un problema di risorse insufficienti, e c’è un problema di democrazia. La linea dell'austerità, combinata con l'esautoramento della democrazia, sta arrecando danni gravissimi alle nostre società, dove crescono disagio sociale e sfiducia nelle istituzioni. Gli unici che finora sembrano guadagnarci da questa situazione sono, su un versante, banche speculatori, sull'altro versante populisti e demagoghi;

          valutato inoltre, per le parti di competenza, che:

              va presa piena consapevolezza che il nostro Servizio sanitario in questi anni ha già dato, e non può sopportare ulteriori tagli e definanziamenti, pena il rischio di non poter garantire i livelli di assistenza e quindi l'equità nell'accesso alle prestazioni sanitarie da parte dei cittadini;

              già adesso le regioni sottoposte a piani di rientro, faticano a garantire la qualità dell'assistenza e la stessa erogazione dei LEA;

              a fronte di tagli pesantissimi volti a ridurre il peso della spesa sanitaria sul bilancio statale, il nostro servizio sanitario pubblico rimane comunque tra i meno costosi al mondo. Nelle statistiche internazionali, l'Italia si presenta con una spesa più bassa della media OCSE e della media Unione europea;

              nella precedente legislatura, il Governo Berlusconi ha previsto 20 miliardi di tagli, ai quali si aggiungono altri 10 miliardi di euro previsti dal successivo Governo Monti;

              per il periodo 2010-2015 si sono e saranno realizzati tagli rispetto alla spesa tendenziale che arrivano ad una cifra impressionante, intorno ai 30 miliardi di euro;

              dal 2001 al 2011 sono quasi 100 mila i posti letto tagliati negli ospedali del SSN, senza che contestualmente sia avvenuto un rafforzamento della medicina e dell'assistenza territoriale;

              se è vero che non vi sono tagli pesanti alla nostra sanità pubblica nella quantità imposta dai precedenti governi, è pur vero che la legge di stabilità per il 2014, non introduce alcuna inversione di tendenza rispetto alla prosecuzione del definanziamento del nostro Servizio sanitario nazionale;

              accanto ai prossimi previsti tagli che avverranno con la spending review sulla quale sta lavorando il Commissario Cottarelli, vi è comunque – in questa legge di stabilità – una riduzione complessiva di 1 miliardo e 150 milioni dal 2015 del livello statale di finanziamento del Servizio sanitario nazionale. Una riduzione conseguente al risparmio derivante dalle norme sul blocco dell'indennità di vacanza contrattuale sui valori in godimento al 31 dicembre 2013, e ad una serie di interventi sul trattamento accessorio del personale del Servizio sanitario nazionale;

              non è quindi vero che la legge di stabilità non impone ulteriori tagli alla sanità, come ha fin qui sostenuto anche la Ministra Lorenzin. Sul personale sanitario si applicano le stesse disposizioni che sono previste per tutto il pubblico impiego (indennità di vacanza contrattuale, blocco della contrattazione, trattamento economico accessorio, ecc.), disposizioni che si aggiungono a quelle già introdotte negli anni passati e che rendono ancora più critica la situazione del personale;

              questi «tagli» sul personale sanitario incidono inevitabilmente sui livelli di assistenza. Dopo anni di riorganizzazioni, incertezze, restrizioni e blocchi stipendiali, i professionisti della sanità risultano quasi ovunque sempre più penalizzati;

              è evidente che oltre certi limiti, la richiesta di continui sacrifici non può che tradursi in un peggioramento delle condizioni di lavoro e, di conseguenza, in una riduzione della quantità e della qualità dei servizi sanitari erogati;

              la legge di stabilità in esame inoltre, non prevede alcuno stanziamento aggiuntivo, e quindi non dà alcuna soluzione all'annoso problema degli specializzandi e al diritto alla formazione post-laurea delle giovani generazioni di laureati in medicina e nelle altre discipline dell'area sanitaria;

              attualmente le risorse finanziarie destinate alla formazione post-laurea é sufficiente a finanziare circa 2500 nuovi contratti di specializzazione a fronte di 7500 aspiranti specializzandi che nel 2014 concorreranno per l'accesso alle scuole di specializzazione di area medica. Inoltre non consente l'equiparazione contrattuale degli specializzandi di area sanitaria laureati in altre discipline e dei corsisti in medicina generale;

              a fronte di detti mancati stanziamenti, il governo ha invece trovato 400 milioni di euro per finanziare i Policlinici universitari gestiti da università non statali con 50 milioni per il 2014 e 35 milioni annui per gli anni dal 2015 al 2024;

              si stanziano quindi 400 milioni di euro (seppure in 10 anni) per i policlinici privati, mentre non si trovano risorse per gli specializzandi, per la stabilizzazione dei precari nella sanità, per allentare il blocco del turn over, per la messa in sicurezza degli ospedali pubblici;

              per quanto riguarda specificatamente lo Stato di previsione del Ministero della salute (Tabella 14), si evidenziamo complessivamente delle riduzione di stanziamenti rispetto alla legge di Bilancio dello scorso anno;

              il programma 20.1 – Prevenzione e comunicazione in materia sanitaria umana e coordinamento in ambito internazionale –, viene ridotto per il 2014 di 4,7 milioni euro; una diminuzione di 8 milioni di euro riguarda il programma 20.2 – Sanità pubblica veterinaria, igiene e sicurezza degli alimenti (quasi tutta a carico degli interventi, soprattutto a carico del capitolo 5391 – Spese per il potenziamento della sorveglianza epidemiologica delle encefalopatie spongiformi trasmissibili, delle altre malattie infettive e diffusive degli animali, nonché del sistema di identificazione e registrazione degli animali); il capitolo di bilancio n.2406 – Progetto Ospedale territorio senza dolore non presenta stanziamenti nel triennio in esame; il programma 20.4 – Regolamentazione e vigilanza in materia di prodotti farmaceutici ed altri prodotti sanitari ad uso umano e di sicurezza delle cure – che nel 2013 presenta un dato assestato pari a 481 milioni di euro, sconta una diminuzione visto che le previsioni per il 2014 per il suddetto programma 20.4, si attestano ora a 448,4 milioni di euro;

          per tutto quanto ciò premesso,

DELIBERA DI RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO.
XIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Agricoltura)
XIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Agricoltura)
RELAZIONE    DI    MINORANZA
sui
DISEGNI DI LEGGE
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866)
Stato di previsione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016
(Tabella n. 12)
Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866-bis)
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) (1865)
dei deputati Lupo, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gallinella, Gagnarli, L'Abbate e Parentela

      La XIII Commissione,

          esaminato il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016 (C. 1866 Governo, approvato dal Senato) e relativa nota di variazioni (C. 1866-bis Governo), con riferimento allo stato di previsione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Tabella n. 12) e le connesse parti del disegno di legge di stabilità per il 2014 (C. 1865 Governo, approvato dal Senato),

          premesso che:

              il disegno di legge recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014), contrariamente a quanto

affermato dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali in più occasioni, non presenta nessuna misura di rilievo per il settore primario;

              rifinanziamento del Fondo per la distribuzione delle derrate alimentari agli indigenti, pur trovandoci pienamente d'accordo nel principio, presenta più di una criticità nella modalità di gestione: sia per quanto riguarda il ruolo di AGEA sia perché non si privilegia il recupero del cibo invenduto ed inutilizzato rispetto all'acquisto, come peraltro ci chiede l'Unione Europea;

              altri rilievi devono essere fatti in riferimento al finanziamento di attività di sensibilizzazione: riteniamo che ci sia poco da sensibilizzare e molto da fare, prima tra tutti l'attivazione di misure a sostegno dell'occupazione, strumento principe per combattere la povertà. Finanziare attività di sensibilizzazione, a nostro avviso, espone al rischio di trasferire risorse alle solite ONG che dietro l'intento solidaristico spesso nascondono finalità di tutt'altra natura;

              la modifica inserita nel corso dell'esame al Senato, che riporta in capo ad AGEA le funzioni di coordinamento relative alle attività tecnico operative in ambito PAC, ci trova assolutamente contrari, in quanto la ormai acclarata malagestione dell'Agenzia dovrebbe suggerire di riformare completamente la struttura a partire da una revisione dei compiti ad essa assegnati. Segnaliamo inoltre che tale funzione era stata trasferita in capo al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, per finalità di contenimento dei costi e di razionalizzazione delle risorse, appena un anno fa;

              riteniamo, altresì, insufficienti le misure a favore dei giovani agricoltori per i quali si dispongono soltanto una serie di priorità nell'ambito di norme già esistenti che nulla innovano;

              ci preme sottolineare negativamente la mancata reintroduzione dell'agevolazione relativa alla possibilità per le aziende agricole di determinare il reddito su base catastale. Noi abbiamo proposto di reintrodurre tale possibilità, escludendo le imprese che producono e vendono energia al fine di circoscrivere il costo dell'agevolazione stessa;

              ci saremmo aspettati, infine, un intervento decisivo in materia di fiscalità agricola per mettere a regime l'esenzione degli immobili rurali ad uso strumentale dei terreni agricoli dall'IMU e per svincolare dal Patto di Stabilità interno la quota di cofinanziamento dei programmi di sviluppo rurale (PSR) al fine di utilizzare pienamente le risorse previste nella prossima programmazione 2014-2020;

              restiamo, tra l'altro, ancora in attesa della legge delega per il riordino dell'agroalimentare che non è stata ancora assegnata a questa Commissione, mentre il settore primario è l'unico che, nonostante la grave crisi economica, presenta segnali di crescita, sia in ambito occupazionale sia per ciò che riguarda l'export di prodotti DOP all'estero,

DELIBERA DI RIFERIRE FAVOREVOLMENTE

      alle seguenti condizioni:

          a) che il Fondo per la distribuzione di derrate alimentari agli indigenti (comma 139) sia destinato per l'85 per cento alla copertura dei costi sostenuti dalle organizzazioni caritatevoli beneficiarie dei contributi per i servizi di trasporto, stoccaggio e distribuzione del cibo invenduto da recuperare secondo quanto disposto dal decreto ministeriale di cui al comma 2 dell'articolo 58 del decreto legge 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134; e che la gestione delle risorse di tale fondo sia affidata al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;

          b) che si lascino in capo al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali le funzioni (comma 187) a carattere tecnico-operativo relative al coordinamento di cui all'articolo 6, comma 3, del

regolamento (CE) n. 1290/2005 del Consiglio, del 21 giugno 2005, connesse alla gestione degli aiuti derivanti dalla politica agricola comune;

          c) che si indirizzino le risorse previste dal comma 188, per iniziative di controllo della qualità dei prodotti agroalimentari, verso strutture ed enti già esistenti e pienamente funzionanti;

          d) che le risorse previste dal comma 189, per potenziare il servizio fitosanitario nazionale siano distribuite estendendo la priorità nell'assegnazione delle stesse alle diverse emergenze nazionali, attraverso una scelta operata a livello ministeriale sulla base di un'analisi dei rischi;

          e) che non sia superato il limite di 19 anni per le concessioni demaniali ad uso pesca e acquacoltura (comma 183);
      e con le seguenti osservazioni:

          valutare l'opportunità di ripristinare l'agevolazione relativa alla possibilità per le aziende agricole di determinare il reddito su base catastale (comma 20) introdotta dalla legge finanziaria per il 2007 e soppressa dalla legge di stabilità per il 2013, escludendo dall'agevolazione gli imprenditori agricoli che producono e vendono energia elettrica;

          valutare la possibilità di escludere dal patto di stabilità interno delle regioni la quota di cofinanziamento regionale per l'attuazione dei piani di sviluppo rurale (PSR);

          valutare la possibilità di mettere a regime l'esenzione dall'IMU per i terreni agricoli e i beni strumentali all'attività agricola.

XIV COMMISSIONE PERMANENTE
(Politiche dell'Unione europea)
XIV COMMISSIONE PERMANENTE
(Politiche dell'Unione europea)
RELAZIONE    DI    MINORANZA
sui
DISEGNI DI LEGGE
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866)
Stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016
(Tabella n. 2, limitatamente alle parti di competenza)
Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866-bis)
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) (1865)
dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle

      La XIV Commissione,

          esaminati, per le parti di competenza, il disegno di legge relativo alla legge di stabilità per il triennio 2014-2016 ed il disegno di legge sul bilancio di previsione dello Stato per il medesimo triennio;

          premesso che il Consiglio ECOFIN del 9 luglio 2013 ha approvato in via definitiva raccomandazioni specifiche per ciascun Paese dell'UE, sui relativi Piani nazionali di riforma (PNR) e sui programmi di stabilità, ove è confermato l'obiettivo di finanza pubblica dell'aprile 2013 di mantenere il deficit al di sotto del 3 per cento del PIL e il raggiungimento stabile a partire dal 2014 dell'obiettivo di medio termine (OMT) del pareggio strutturale di bilancio e la progressiva riduzione del rapporto debito/PIL;

          considerato che la raccomandazione di cui sopra, contenente le linee guida

necessarie a stimolare la crescita economica dell'UE, prescrive di potenziare l'efficienza della pubblica amministrazione, semplificare il quadro amministrativo e normativo per i cittadini e le imprese, abbreviare la durata dei procedimenti civili potenziare il quadro giuridico relativo alla repressione della corruzione, apportare modifiche strutturali al fine di migliorare la gestione dei fondi dell'UE nelle regioni del Mezzogiorno in vista del periodo di programmazione 2014-2020, aumentare l'efficienza e la semplificazione del sistema creditizio e del carico fiscale sul lavoro e spostare il peso fiscale dal lavoro a consumi e proprietà, ma che i provvedimenti qui valutati sembrano andare in tutt'altra direzione;

          considerato che a seguito delle modifiche al disegno di legge di stabilità 2014 approvate dal Senato, nella Nota di Variazioni lo stanziamento previsto per il Programma 3.1 – Partecipazione italiana alle politiche di bilancio in ambito UE – è pari a 23.106 milioni di euro e si prevede un aumento dello stanziamento per i successivi anni finanziari del triennio considerato, pari a 24.005,9 milioni di euro per il 2015 e per il 2016;

          considerato che a seguito delle modifiche al disegno di legge di stabilità 2014 approvate dal Senato, nella Nota di Variazioni lo stanziamento previsto per il programma 21.3 – Presidenza del Consiglio dei ministri – nel quale rientra anche il centro di responsabilità e spesa del dipartimento per le politiche comunitarie, risulta essere di 474 milioni di euro, con un aumento di 31,2 milioni di euro rispetto alla previsione iniziale, dei quali non si conosce ancora la ripartizione esatta tra centri di responsabilità;

          rilevato che dal Bollettino statistico pubblicato dalla RGS sulla situazione complessiva riferita all'anno 2012, risulta che nel corso dell'esercizio l'Italia ha versato al Bilancio generale dell'Unione europea 15.973,19 milioni di euro ed ha ricevuto 9.768,94 milioni di euro per quanto riguarda le risorse attivate per i Fondi strutturali e le altre linee di intervento, facendo pertanto registrare un saldo negativo (ovvero la differenza tra i movimenti in entrata e quelli in uscita) pari a 6.204,25 milioni di euro, confermando la tendenza del nostro paese a superare abbondantemente i rientri con i versamenti al bilancio generale UE;

          ritenendo opportuna una modifica dell'articolo 1 comma 160 per prevedere che in taluni casi di pronunce di condanna per il mancato o ritardato recepimento dei provvedimenti dell'Unione europea siano i diretti responsabili del danno a pagare le relative sanzioni;

          ritenendo opportuno precisare la natura dell'impegno e il tipo di iniziativa che si andrà a realizzare con il Semestre Europeo di cui all'articolo 1 comma 174, dove al fine di assicurare il tempestivo adempimento degli indifferibili impegni connessi con l'organizzazione della Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione Europea del 2014 e con il funzionamento della delegazione, è prevista un'autorizzazione alla spesa di euro 56.000.000 per l'anno 2014, a nostro avviso eccessiva, anche visto lo stanziamento previsto nel precedente semestre di presidenza del 2003, pari a circa la metà di quello del 2014. Riteniamo quindi opportuno quanto meno ridurre lo stanziamento 2014 e annullare quello di euro 2.000.000 per l'anno 2015;

          ritenendo inoltre doveroso che prima dell'inizio del semestre europeo il Governo informi il Parlamento, mediante nota puntuale, relativamente al riparto delle risorse stanziate, suddivise per finalità ed iniziative e che tale informazione venga mantenuta anche durante lo svolgimento di tutto il semestre di presidenza, mediante relazioni periodiche e puntuali sulle spese sostenute;

          ritenendo auspicabile che gli incontri previsti nell'ambito del semestre di presidenza, si svolgessero tutti in un'unica città, onde evitare un aumento vertiginoso dei costi di gestione e delle indennità di missione;

          ritenendo altresì desiderabile un'applicazione rigorosa della normativa vigente, senza deroghe di varia natura, come quelle previste all'articolo 1 comma 174, vista la non eccezionalità dell'evento, prevedibile anche con diversi anni di anticipo;

          ritenendo opportuno stabilire dei requisiti minimi di conoscenza, quantomeno linguistica (inglese, francese e italiano) e delle regolari selezioni pubbliche per quanto concerne il comma 174, che autorizza la spesa di euro 1.032.022 per l'anno 2014 per l'assunzione di personale con contratto temporaneo per le esigenze della Rappresentanza Permanente a Bruxelles connesse con il semestre di presidenza del Consiglio dell'Unione Europea, senza specificare i requisiti e le modalità di selezione,

      delibera di

RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO.
XIV COMMISSIONE PERMANENTE
(Politiche dell'Unione europea)
RELAZIONE    DI    MINORANZA
sui
DISEGNI DI LEGGE
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866)
Stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016
(Tabella n. 2, limitatamente alle parti di competenza)
Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016 (1866-bis)
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) (1865)
dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia e Libertà

      La XIV Commissione,

          esaminato, per le parti di propria competenza, il disegno di legge A.C. 1686 «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2014 e per il triennio 2014-2016» e le parti corrispondenti del disegno di legge A.C. 1685 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)»;

          premesso che:

              dopo tanti sacrifici i cittadini italiani attendevano che la manovra economica del governo Letta ridesse fiato all'economia italiana, la quale dal 2007 ad oggi ha perso addirittura il 9 per cento della produzione di beni e servizi e ha visto raddoppiare la disoccupazione, da un milione e mezzo a tre milioni di unità. Si possono avere molti dubbi sul fatto che la

manovra riuscirà a portare il Pil a crescere almeno di un punto percentuale nel 2014 come il governo prevede;

              come più volte sottolineato, anche di recente da Confindustria, Rete Imprese Italia e dalla principali Associazioni Sindacali di categoria, sei anni di crisi finanziaria, prima globale e poi dei debiti sovrani nell'Eurozona, e due recessioni hanno colpito duramente l'economia europea e quella italiana, dove le conseguenze sono state più gravi che nella maggior parte degli altri paesi;

              rispetto al picco toccato sei anni fa, il prodotto interno lordo italiano si è ridotto del 9 per cento, il PIL procapite è diminuito del 10,4 per cento, ossia circa 2.700 euro correnti in meno per abitante, ed è così tornato ai livelli del 1997, caso unico tra i Paesi dell'euro (in Spagna e Francia, il PIL procapite, nonostante la crisi, è comunque più alto di oltre il 15 per cento rispetto al 1997);

              la riduzione della domanda interna è stata di una intensità che dall'Unità d'Italia non ha precedenti in periodo di pace ed è stata la determinante del calo dell'attività economica, dato che le esportazioni sono tornate sopra i livelli del 2007. In seguito alla caduta del reddito disponibile, che in termini reali è sceso dell'11,1 per cento, la contrazione dei consumi delle famiglie è risultata del 7,8 per cento;

              l'occupazione è caduta del 7,2 per cento, pari a 1,8 milioni di unità di lavoro in meno. Molte delle persone che hanno perduto l'impiego non riusciranno a ricollocarsi nel sistema produttivo;

              la produzione industriale è a un livello inferiore del 24,2 per cento rispetto al picco pre-crisi del terzo trimestre del 2007; in alcuni settori la diminuzione supera il 40 per cento;

              il credit crunch ha trasmesso la crisi dalla finanza all'economia reale. È stato particolarmente severo in Italia, soprattutto dall'estate 2011. Nell'agosto scorso il credito erogato alle imprese italiane è risultato dell'8,0 per cento più basso che nel settembre 2011, con una contrazione media mensile dello 0,4 per cento. In valore si tratta di una riduzione di 74 miliardi di euro;

              la restrizione creditizia sta proseguendo. Tante imprese faticano a ottenere prestiti bancari: l'indagine ISTAT indica che a settembre l'11,4 per cento di quelle che ne hanno fatto richiesta non li hanno ricevuti, molto più del 6,9 per cento registrato nella prima metà del 2011. Altre imprese hanno rinunciato a domandare credito a fronte di costi troppo alti;

              la carenza di credito ostacola l'operatività di molte imprese, anche finanziariamente solide;

              nel manifatturiero la disponibilità di liquidità resta molto ridotta rispetto alle esigenze e le aziende continuano a prevederla in calo, anche se c’è stato un miglioramento negli ultimi mesi, verosimilmente a seguito dell'immissione di liquidità derivante dal pagamento di oltre 11 miliardi di debiti commerciali della pubblica amministrazione;

              le iniziative che il Governo avrebbe dovuto perseguire al fine di risollevare la condizione economica delle imprese appaiono del tutto deludenti, anche a seguito delle modifiche introdotte dal Senato, a partire di quanto previsto in materia di riduzione del cuneo fiscale e contributivo per aumentare il reddito disponibile delle persone, restituire competitività alle imprese e mantenere la coesione sociale, sostegno agli investimenti privati in ricerca e innovazione, con interventi semplici da gestire, rilancio della domanda pubblica e privata di beni di investimento, allentamento del patto di stabilità interno, rinnovo degli incentivi all'edilizia, sostegno alla liquidità del sistema e allentamento della morsa del credit crunch;

              il cuore economico e politico della Legge di Stabilità consiste nella riduzione del cuneo fiscale, cioè della differenza tra il costo che mediamente le imprese sostengono per ogni lavoratore e il salario

netto che entra nelle tasche del lavoratore stesso. Una differenza dovuta, naturalmente, al peso di tasse e contributi che gravano sulle tasche degli imprenditori e dei lavoratori, e che in Italia è piuttosto elevato (secondo l'OCSE il cuneo assorbe il 47,6 per cento del costo del lavoro, contro una media del 35,6 per cento dell'insieme dei Paesi OCSE). La riduzione del cuneo fiscale nella misura in cui riduce il costo del lavoro per le imprese, determina una contrazione dei costi di produzione e quindi dei prezzi di vendita delle merci e dei servizi, facendo aumentare la competitività dell'industria nazionale. In questo modo, si rilanciano le esportazioni e si invogliano i consumatori a un maggiore acquisto di merci nazionali, e ciò porta a una riduzione delle importazioni. Dall'altro lato, nella misura in cui aumenta il reddito disponibile dei lavoratori, il taglio del cuneo fiscale determina una crescita della domanda di beni di consumo e ciò spinge le imprese ad aumentare la produzione e l'occupazione. Insomma, l'abbattimento del cuneo fiscale fa crescere la competitività e alimenta la domanda interna, tutte cose di cui abbiamo assoluto bisogno per riprendere la via dello sviluppo;

              ma il beneficio in busta paga per un lavoratore dipendente inferiore a 200 euro in un anno. Non si può certo definire utile una simile misura per far ripartire i consumi nel nostro paese. Non dobbiamo dimenticare che la stessa arriva dopo un biennio in cui le politiche di rigore hanno letteralmente stremato il sistema produttivo, fatto lievitare a dismisura il carico fiscale e calare vistosamente il livello della domanda interna;

              l'intervento dunque è solo teoricamente buono. Va chiarito, infatti, che l'intervento del governo – tra sgravi Irpef e Irap, e decontribuzioni Inail – taglia il cuneo di 10,6 miliardi nel triennio, appena 2,5 miliardi nel 2014. A ben vedere, si tratta di un intervento estremamente contenuto, che nel 2014 metterà nelle tasche di un lavoratore medio solo una manciata di euro al mese e ben poco respiro darà alle imprese che non vedranno variare significativamente il costo del lavoro per unità di prodotto. Considerata la sua entità, si tratta dunque di un intervento che avrà effetti limitatissimi e che avrebbe potuto cominciare ad avere un qualche rilievo solo se l'intero importo previsto nel triennio avesse riguardato il solo 2014;

              la manovra per il 2014, nel suo complesso, vale circa 15 miliardi. Le risorse provengono soprattutto da tagli di spesa pubblica, da dismissioni, da qualche maggiore entrata e dal solito blocco della contrattazione e del turnover nel pubblico impiego;

              ma i tagli della spesa pubblica, gli aumenti delle tasse e la mannaia sui lavoratori pubblici portano con loro una minore domanda di merci e servizi proveniente direttamente o indirettamente dal settore pubblico e da quello privato, e questo azzera i già risicati effetti positivi dell'aumento del reddito disponibile delle famiglie assicurato dal taglio del cuneo. Se, infatti, il taglio del cuneo alimentava la domanda, tagli e tasse la riducono in misura maggiore. E se la domanda complessiva non torna a crescere non possiamo sperare che l'economia riparta. A riguardo è bene ricordare che dal 2002 al 2012 l'Italia ha registrato una dinamica della domanda interna complessivamente negativa (-1,6 per cento), contro valori significativamente in crescita nell'area euro (più 9 per cento) e soprattutto negli USA (più 15 per cento);

              in questo quadro risulta altrettanto risibile la previsione di una riduzione della pressione fiscale di un punto percentuale in tre anni, come è stato fatto osservare, giustamente, dalle stesse associazioni degli imprenditori, a maggior ragione se si considera che l'Iva è appena passata dal 21 al 22 per cento;

              manca una politica concentrata sulla domanda di lavoro mentre si continua ad operare, e con misure minime, sull'offerta di lavoro. Invece di Piano del lavoro incentrato sul dissesto idrogeologico (per il quale si destinano 30 milioni!), la

messa in sicurezza delle scuole, l'innovazione tecnologica, di 10-20 miliardi, si insiste su lo spot puramente pubblicitario della riduzione delle tasse sul lavoro;

              lo scopo principale della manovra è restare dentro i tanto discussi vincoli europei, e in particolare tenere il deficit pubblico (la differenza annua tra uscite ed entrate pubbliche) entro il limite del 3 per cento del Pil. In Europa sono in atto processi cumulativi di divergenza territoriale alimentati dalle politiche di austerità. Questi processi portano a una divaricazione drammatica tra aree centrali in crescita (in primis, la Germania) e aree periferiche in declino (l'Italia e gli altri Piigs);

              qualunque manovra si muova dentro la cornice attuale dei vincoli non può riuscire a invertire i processi di divergenza in atto, e quindi a metterci al passo delle aree centrali d'Europa. Con la certezza che presto o tardi, in assenza di un cambiamento delle politiche europee, il gioco dell'euro salterà;

              dobbiamo registrare, inoltre, la falsa disubbidienza di Letta e Saccomanni rispetto a Bruxelles. Dopo che la Commissione europea ha espresso la sua preoccupazione sul progetto di bilancio invitando le autorità italiane «a prendere le misure necessarie» per assicurare che la Finanziaria per il 2014 rispetti le norme del Patto di stabilità e crescita relative alla diminuzione del debito pubblico, Letta rispose affermando che «di troppa austerità si muore». Ma neanche una settimana dopo ha presentato un nuovo Programma per la revisione della spesa: infatti, la legge di stabilità, sanciva che «nessun risparmio» è previsto per il 2014 mentre negli anni successivi i risparmi sono pari a 3,6 miliardi nel 2015, 8,3 miliardi nel 2016 e 11,3 miliardi a decorrere dal 2017;

              adesso il Programma della spending review arriva a quota 32 miliardi nel solo triennio 2014-2016 (prima erano previsti 11,9 miliardi); ed inoltre si prevede un piano di privatizzazioni di 12 miliardi;

              è importante ricordare che per la prima volta, dalla nascita dell'Europa di Maastricht, il progetto di legge di stabilità sarà prima vagliato dalla Commissione europea, che potrà imporre correttivi e comminare sanzioni in caso di inadempienza, e poi discusso ed approvato dal Parlamento;

              con l'entrata in vigore del cosiddetto «two-pack», il pacchetto di due regolamenti approvato dal parlamento di Strasburgo nel maggio scorso, si è infatti chiuso il cerchio in tema di «sorveglianza» europea sui bilanci dei Paesi dell'Eurozona, con tutto quello che ciò comporta per la «sovranità» e l'autonomia politica degli stessi;

              dentro un meccanismo così congegnato la funzione dei parlamenti nazionali è quasi del tutto esautorata: le forze politiche parlamentari non avranno grandi margini di manovra per modificare l'impianto e la filosofia del documento di bilancio se alla Commissione europea è stato riconosciuto un sostanziale diritto di veto sui bilanci nazionali;

              la legge di stabilità ed i provvedimenti collegati a differenza che nel passato, sono in primo luogo manovre contabili atte a correggere l'andamento dei conti pubblici, e solo secondariamente strumenti attraverso cui incidere sui processi economici e sociali;

              in Europa c’è un problema di risorse insufficienti, e c’è un problema di democrazia. La linea dell'austerità, combinata con l'esautoramento della democrazia, sta arrecando danni gravissimi alle nostre società, dove crescono disagio sociale e sfiducia nelle istituzioni. Gli unici che finora sembrano guadagnarci da questa situazione sono, su un versante, banche speculatori, sull'altro versante populisti e demagoghi;

          considerato che, per quanto riguarda le parti di competenza della XIV Commissione:

              sono disciplinati i cofinanziamenti a titolarità di Regioni e province autonome

(comma 151), delle Amministrazioni centrali (comma 152) e i cofinanziamenti relativi ad interventi complementari (comma 153);

              sono disciplinate inoltre la concessione di anticipazioni delle quote comunitarie e di cofinanziamento nazionale e la possibilità la possibilità di recupero, nei confronti delle Amministrazioni o altri organismi titolari di interventi, delle risorse precedentemente erogate dal Fondo di rotazione anche mediante compensazione di altri importi spettanti alle medesime Amministrazioni o organismi (commi 154 e 155);

              il comma 156 pone in capo alla Ragioneria generale dello Stato il monitoraggio degli interventi cofinanziati, mentre il comma 157 dispone in ordine al controllo preventivo di regolarità amministrativa e contabile dei provvedimenti che li riguardano;

              il comma 158 prevede che le amministrazioni statali titolari di programmi cofinanziati che intendono avvalersi di una centrale di committenza per l'acquisizione di beni e servizi in relazione ai suddetti programmi, si avvalgono di Consip SpA stipulando apposite convenzioni. Anche le altre amministrazioni titolari di programmi cofinanziati hanno la possibilità di avvalersi della stessa Consip;

              il comma 159 prevede la possibilità di destinare risorse del Fondo di rotazione per programmi di cooperazione allo sviluppo dell'Unione europea, mediante trasferimento al bilancio del Ministero degli affari esteri. La disposizione destina un importo massimo di 60 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016, a valere sulle disponibilità del fondo di rotazione di cui alla legge n. 183 del 1987, risorse a favore delle azioni di cooperazione allo sviluppo realizzate dal Ministero degli affari esteri, in coerenza ed a complemento della politica di cooperazione dell'Unione europea. Le somme annualmente individuate sono versate dal fondo di rotazione all'entrata del bilancio dello Stato per essere destinate al pertinente capitolo di spesa del Ministero degli Affari Esteri che provvede al relativo utilizzo in favore delle azioni stesse. Dunque questo fondo permette allo Stato di finanziare la quota dei fondi dell'Unione Europea destinati alla cooperazione allo sviluppo;

              il comma 160 dispone in ordine al pagamento, da parte della Presidenza del Consiglio, delle somme dovute per mancato o imperfetto recepimento della normativa comunitaria;

              l'obbligo di ricorrere alla Consip spa, di cui al comma 158, anche a seguito delle recenti e recentissime rivelazioni degli organi di informazione, come centrale di committenza, non appare conforme alle esigenze di economicità ed efficienza delle pubbliche amministrazioni interessate;

              mentre parecchi dubbi emergono sulla reale utilizzabilità dei fondi di cui al comma 159 e sui meccanismi pratici attraverso cui il Ministero Affari Esteri (MAE) e la Direzione Generale Cooperazione e Sviluppo (DGCS) possano accedere e gestire le risorse del Fondo di Rotazione. È da segnalare che questo fondo si aggiunge ai 171 milioni che sono stati destinati alla cooperazione allo sviluppo per il 2014 (legge n. 49 del 1987), con una riduzione del 28 per cento rispetto al 2013 (le risorse stanziate erano pari 228 milioni di euro),

      delibera di

RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO.