• C. 3869 EPUB Proposta di legge presentata il 27 maggio 2016

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Atto a cui si riferisce:
C.3869 Modifiche alla disciplina concernente la destinazione dell'importo corrispondente alle scelte non espresse da parte dei contribuenti nella ripartizione della quota dell'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche attribuita alla Chiesa cattolica e alle altre confessioni religiose


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
Testo senza riferimenti normativi
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 3869


PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE
d'iniziativa dei deputati
MELILLA, SCOTTO, PAGLIA, MARCON, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, FAVA, FERRARA, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARTELLI, NICCHI, PALAZZOTTO, PANNARALE, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZACCAGNINI, ZARATTI
Modifiche alla disciplina concernente la destinazione dell'importo corrispondente alle scelte non espresse da parte dei contribuenti nella ripartizione della quota dell'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche attribuita alla Chiesa cattolica e alle altre confessioni religiose
Presentata il 27 maggio 2016


      

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Onorevoli Colleghi! – Lo scorso 26 ottobre 2015, la Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato della Corte dei conti, con la deliberazione n. 8 del 2015, nell'ambito di un'approfondita disamina del meccanismo del cosiddetto «otto per mille» e in perfetta continuità con il passato, ha replicato il suo pesante «j'accuse» allo Stato italiano per non aver ancora provveduto ad attivare le procedure di revisione, che pure erano previste con cadenza triennale, di un sistema, quello della destinazione della quota inoptata dell'otto per mille dell'IRPEF, che nel solo ultimo trentennio, sempre secondo la magistratura contabile, «ha contribuito ad un rafforzamento economico senza precedenti della Chiesa italiana».
      In primis la relazione dei magistrati contabili sottolinea le problematicità legate alla scelta non manifesta da parte dei contribuenti. Invero, secondo il meccanismo attualmente vigente previsto dall'articolo 47 della legge 20 maggio 1985, n. 222, recante disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi, una quota pari all'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, dev'essere destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica. La destinazione però non avviene solo sulla base delle scelte espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione annuale dei redditi, ma anche con riferimento a tutte le rimanenti scelte non espresse e in misura proporzionale a quelle espresse. In sostanza, in forza di tale sistema, tutti i contribuenti che non esprimono alcuna scelta ai fini del riparto della quota dell'otto per mille (e che sono la maggioranza, rappresentando quasi il 60 per cento del totale) contribuiscono, senza volerlo espressamente, con una parte dell'imposta sui redditi versata allo Stato, al sostentamento sia della Chiesa cattolica sia di tutte le confessioni religiose, circa undici, che successivamente all'entrata in vigore della legge n. 222 del 1985 hanno stipulato con lo Stato italiano un'intesa, ai sensi dell'articolo 8, terzo comma della Costituzione.
      In realtà, con il riparto delle scelte non espresse (in cui, peraltro, rientrano non solo le dichiarazioni non presentate ma anche le scelte irregolari e quelle dei defunti) sono stati avvantaggiati, con un effetto moltiplicativo con fattore pari a 2,5, i maggiori destinatari delle opzioni, in primis la Chiesa cattolica che, essendo a sua volta la confessione religiosa maggioritaria, riceve aiuti che vanno oltre il suo peso e le sue necessità istituzionali, acquisendo dal riparto più del doppio rispetto a quanto risulterebbe invece dal calcolo operato sulla base delle sole scelte espresse. A titolo esemplificativo, nel solo anno 2014, la Conferenza episcopale italiana ha conseguito l'82 per cento dell'intero ammontare da ripartire, a fronte del 38 per cento delle opzioni espresse sul totale dei contribuenti, ossia oltre un miliardo di euro anziché 485 milioni.
      Tale modalità, sempre secondo la Corte dei conti, rischia di alimentare una forma di «affermazione di un pluralismo confessionale imperfetto» e di disattendere, di contro, il «principio di laicità, quale emerge dagli articoli 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, che implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato, per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale» (Corte costituzionale, sentenza n. 203 del 1989).
      Di più. Dalla circostanza che la percentuale di preferenza nelle scelte espresse determina l'allocazione della complessiva quota di gettito deriva che le confessioni religiose destinatarie vengono paradossalmente a ricevere più dalla quota non espressa che da quella espressa: insomma, i soli contribuenti optanti decidono per tutti, un po’ come accade nelle consultazioni elettorali, laddove i seggi vengono ripartiti a prescindere dal numero dei votanti e dalla percentuale di astensione.
      Altra considerazione, che dovrebbe destare ulteriore perplessità, è quella che molti dei contribuenti non optanti sono indotti a ritenere, in buona fede, che la loro quota resti nella disponibilità dell'erario, presumendo che il proprio contributo serva ad interventi quali la cooperazione internazionale, la lotta alla fame nel mondo, gli interventi educativi, culturali e artistici nel nostro Paese. A tale proposito la stessa Corte dei conti ha sostenuto che, proprio sotto il profilo oggettivo, le somme computabili in base alle scelte non espresse dovrebbero essere considerate denaro pubblico a tutti gli effetti e, conseguentemente, riassorbite nel bilancio dello Stato o, al più, computate tra quelle destinate a scopi sociali a diretta gestione statale. Si tratterebbe peraltro di cifre altissime, visto che le somme raccolte sono salite da 290 milioni di euro nel 1990 a 1,2 miliardi di euro nel 2014 (l'82,3 per cento dei quali, come si è visto, rimessi alla Chiesa cattolica).
      Nelle sue deliberazioni la Corte dei conti ha addebitato al governo una culpa in vigilando e rivolto un monito al Ministero dell'economia e delle finanze, responsabile della vigilanza sui fondi e sulla loro erogazione, nonostante che le cifre coinvolte siano importanti: la Conferenza episcopale italiana, ad esempio, nel 2014 ha incassato 1.054.310.702,18 euro, di cui circa 388 milioni utilizzati per il sostentamento del clero, circa 433 milioni per le esigenze di culto e 245 milioni di euro per gli interventi caritativi. Critiche sono state rivolte anche alla Presidenza del Consiglio dei ministri che, dal canto suo, non ha garantito la dovuta trasparenza, benché i contribuenti siano direttamente coinvolti nelle scelte, sulle erogazioni da parte delle amministrazioni statali, né ha riportato, nell'apposita sezione del sito internet istituzionale, le attribuzioni annuali alle varie confessioni religiose e la destinazione che queste, nella loro discrezionalità e nell'ambito degli impieghi ammessi nei patti stipulati con lo Stato, danno ai contributi ricevuti. Al contrario, la rilevanza degli importi e il diretto coinvolgimento dei cittadini imporrebbero un'ampia pubblicità e la messa a disposizione dell'archivio completo delle contribuzioni versate negli anni, al fine di favorire forme diffuse di controllo. Gli stessi magistrati contabili hanno tenuto a stigmatizzare che, «in violazione dei princìpi di buon andamento, efficienza ed efficacia della pubblica amministrazione, lo Stato mostra disinteresse ad incentivare la quota di propria competenza, cosa che ha determinato, nel corso del tempo, la drastica riduzione dei contribuenti a suo favore [scesi nel 2014 a soli 170 milioni di euro] dando l'impressione che l'istituto sia finalizzato – più che a perseguire lo scopo dichiarato – a fare da apparente contrappeso al sistema di finanziamento diretto delle confessioni».
      Mentre il sistema era nato originariamente come meccanismo per garantire il sostentamento del clero, tale voce è diventata percentualmente sempre meno rilevante (il 34,1 per cento del totale). Parrebbe infatti che la Chiesa cattolica preferisca destinare il 47 per cento dei fondi ricevuti dallo Stato a mezzo dell'otto per mille alle cosiddette «esigenze di culto» e cioè al finanziamento delle catechesi, dei tribunali ecclesiastici e della costruzione di nuove chiese, alla manutenzione dei propri immobili e alla gestione del proprio patrimonio: tutte finalità alle quali, naturalmente, non sarà mai dedicato alcuno spot televisivo, che sarà piuttosto dedicato agli aiuti al terzo mondo, ai quali invece, guarda caso, viene destinato un misero 8 per cento dell'intero gettito garantito dall'otto per mille.
      In conclusione la Corte dei conti ha voluto soprattutto far emergere tutti gli elementi di debolezza intrinseci nella normativa e nella gestione di un istituto, quello dell'otto per mille, definito dalla stessa come opaco, esente dai dovuti controlli e discriminante dal punto di vista della pluralità religiosa, poco rispettoso dei princìpi di proporzionalità, di volontarietà e di eguaglianza, tutti rilievi che impongono valutazioni e iniziative da parte del legislatore, che – occorrendo superare mediante un atto unilaterale la tutela costituzionale apprestata dall'articolo 7 della Costituzione alle forme pattizie di regolazione dei rapporti con la Chiesa cattolica e, contestualmente, le intese con le altre confessioni religiose regolate dall'articolo 8 della Costituzione medesima – si ritiene conveniente promuovere con iniziativa di rango costituzionale.
      Con la presente proposta di legge costituzionale si è voluto cogliere questo invito, eliminando dall'attuale impianto normativo il vulnus rappresentato, come abbiamo visto, dall'effetto controverso derivante dall'allocazione anche della quota delle scelte non manifestate, che deve rimanere di pertinenza esclusiva dello Stato affinché esso la impieghi per finanziare attività aventi finalità sociale.
      L'articolo 1 dispone quindi che nell'applicazione del meccanismo di destinazione della quota dell'otto per mille, nei riguardi sia della Chiesa cattolica sia delle altre confessioni religiose, le destinazioni siano stabilite esclusivamente in base alle scelte espresse dai contribuenti, restando riservata allo Stato la parte corrispondente alle scelte non espresse.
      Conseguenti sono le modificazioni apportate dall'articolo 2, nella forma meramente abrogativa corrispondente alla natura dello strumento qui impiegato, alla legge 20 maggio 1985, n. 222, che nella regolazione dei rapporti finanziari tra lo Stato e la Chiesa cattolica ha istituito il meccanismo dell'otto per mille dell'IRPEF, e alle leggi di approvazione delle intese successivamente stipulate, ai sensi dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione, tra lo Stato e le varie confessioni religiose quali l'Unione italiana delle chiese cristiane avventiste del 7° giorno, le Assemblee di Dio in Italia, la Chiesa evangelica valdese – Unione delle chiese valdesi e metodiste, la Chiesa evangelica luterana in Italia, l'Unione delle comunità ebraiche italiane, la Sacra arcidiocesi ortodossa d'Italia ed Esarcato per l'Europa meridionale, la Chiesa apostolica in Italia, l'Unione cristiana evangelica battista d'Italia, l'Unione buddhista italiana e l'Unione induista italiana.
      L'articolo 7 della Costituzione stabilisce il regime pattizio mediante il quale sono regolati i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica, quali soggetti indipendenti operanti al livello della sovranità, attribuendo speciale tutela costituzionale alle norme dei Patti lateranensi e alle loro modificazioni concordate tra le parti; invece, a tenore dell'articolo 8, terzo comma, i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diversa dalla cattolica, che agiscono sul piano dell'autonomia garantita ad esse dall'ordinamento interno, «sono regolati, per legge, sulla base di intese con le relative rappresentanze». Pertanto, la presente iniziativa è volta ad affermare un principio, anche per via unilaterale, sollecitando tuttavia, nel rispetto della sistematica costituzionale, il ristabilimento del regime pattizio attraverso una rinegoziazione dei sistemi, unilateralmente incisi, con le confessioni religiose interessate, anche su una base diversa da quella dei meccanismi vigenti di regolazione dei rapporti finanziari.
      L'articolo 3 della presente proposta di legge costituzionale stabilisce pertanto un termine congruo a tale fine, differendo di un anno l'entrata in vigore delle disposizioni introdotte, in modo da consentire che attraverso la negoziazione tra le parti – per la cui attuazione si precisa che non è richiesto il ricorso a fonti normative di rango costituzionale – possa giungersi a un diverso assetto da cui far derivare l'accettazione o il superamento dei princìpi posti nella presente proposta di legge costituzionale. In mancanza di ciò o nelle more dell'applicazione di nuovi accordi o intese, il nuovo meccanismo sarebbe applicabile a decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data della sua entrata in vigore.
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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE
Art. 1.

      1. La destinazione della quota dell'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche di cui al terzo comma dell'articolo 47 della legge 20 maggio 1985, n. 222, è stabilita esclusivamente sulla base delle scelte espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione annuale dei redditi, attribuendo la quota corrispondente alle scelte non espresse da parte dei contribuenti alla gestione dello Stato, che la impiega per il finanziamento di iniziative aventi finalità sociali.
      2. Le disposizioni del comma 1 si applicano anche per la ripartizione della quota dell'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche disciplinata dalle leggi di approvazione di intese, stipulate con le confessioni religiose diverse dalla cattolica ai sensi dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione, le quali prevedano tale istituto.

Art. 2.

      1. Il secondo periodo del terzo comma dell'articolo 47 della legge 20 maggio 1985, n. 222, è soppresso.
      2. Il comma 3 dell'articolo 30 della legge 22 novembre 1988, n. 516, è abrogato.
      3. Il secondo periodo del comma 2 dell'articolo 23 della legge 22 novembre 1988, n. 517, è soppresso.
      4. Il comma 3 dell'articolo 4 della legge 5 ottobre 1993, n. 409, è abrogato.
      5. Il secondo periodo del comma 2 dell'articolo 27 della legge 29 novembre 1995, n. 520, è soppresso.
      6. Il secondo periodo del comma 2 dell'articolo 2 della legge 20 dicembre 1996, n. 638, è soppresso.
      7. Il comma 3 dell'articolo 2 della legge 12 marzo 2012, n. 34, è abrogato.


      8. Il comma 3 dell'articolo 21 della legge 30 luglio 2012, n. 126, è abrogato.
      9. Il comma 3 dell'articolo 25 della legge 30 luglio 2012, n. 128, è abrogato.
      10. Il secondo periodo del comma 2 dell'articolo 20 della legge 31 dicembre 2012, n. 245, è soppresso.
      11. Il secondo periodo del comma 2 dell'articolo 21 della legge 31 dicembre 2012, n. 246, è soppresso.
Art. 3.

      1. Le disposizioni degli articoli 1 e 2 entrano in vigore decorsi dodici mesi dalla data di pubblicazione della presente legge costituzionale nella Gazzetta Ufficiale, successiva alla sua promulgazione. Esse si applicano a decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data della loro entrata in vigore.
      2. Entro il termine indicato al comma 1, il Governo promuove negoziati con le competenti autorità della Chiesa cattolica e con le rappresentanze delle altre confessioni religiose che hanno stipulato intese ai sensi dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione per la revisione degli accordi e delle intese che prevedono la partecipazione alla ripartizione della quota dell'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, di cui all'articolo 1 della presente legge costituzionale.
      3. Le modificazioni degli istituti relativi al finanziamento di attività religiose e caritative della Chiesa cattolica e del sostentamento del clero, anche mediante la destinazione della quota dell'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche applicata nello Stato, di cui al comma 1 dell'articolo 1 della presente legge costituzionale, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.
      4. Le modificazioni degli istituti relativi al finanziamento di attività religiose e caritative delle confessioni religiose diverse dalla cattolica e del sostentamento dei ministri di culto, anche mediante la destinazione della quota dell'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone

fisiche applicata nello Stato, di cui al comma 2 dell'articolo 1 della presente legge costituzionale, possono essere approvate con legge ordinaria sulla base di intesa ai sensi dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione.