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Atto a cui si riferisce:
C.1/00292 premesso che: come noto il Consiglio europeo nel 2011 ha varato un nuovo sistema di governance economica europea. Esso è imperniato su sei pilastri principali: a) un...



Atto Camera

Mozione 1-00292presentato daCIPRINI Tizianatesto diSabato 21 dicembre 2013, seduta n. 143

La Camera,
premesso che:
come noto il Consiglio europeo nel 2011 ha varato un nuovo sistema di governance economica europea. Esso è imperniato su sei pilastri principali:
a) un meccanismo di discussione e coordinamento ex ante delle politiche economiche e di bilancio nazionali, realizzato mediante l'adozione a livello nazionale di un ciclo di procedure e strumenti di programmazione previsto e disciplinato a livello comunitario e concentrato nei primi sei mesi dell'anno (da qui la denominazione di «Semestre Europeo»), che vede una più stringente interazione tra istituzioni comunitarie e nazionali e che è destinato a integrarsi con i cicli di programmazione e di bilancio nazionali, al fine di consentire di valutare contemporaneamente le politiche strutturali e le misure di bilancio in un quadro di complessiva coerenza e sostenibilità, quale presupposto per una più efficace vigilanza e integrazione delle politiche economiche e di bilancio nazionali nell'Eurozona e nella Unione europea;
b) una più stringente applicazione del patto di stabilità e crescita, realizzata in virtù del rafforzamento sia del suo braccio preventivo sia di quello correttivo, attraverso l'adozione di tre appositi regolamenti;
c) l'introduzione, mediante due appositi regolamenti, di una sorveglianza sugli squilibri macroeconomici degli Stati membri che include meccanismi di monitoraggio, allerta, correzione e sanzione;
d) l'introduzione di requisiti comuni per i quadri nazionali di bilancio, mediante l'adozione di una apposita direttiva;
e) l'istituzione di un meccanismo permanente per la stabilità finanziaria della zona euro (MSE), attraverso una modifica dell'articolo 136 del Trattato sul funzionamento della Unione europea, adottata dal Consiglio europeo del 24-25 marzo 2011 e da recepirsi ad opera degli ordinamenti nazionali;
f) il patto «Europlus», adottato con una dichiarazione dei Capi di Stato e di Governo dell'11 marzo 2011, che impegna gli Stati aderenti (Eurozona e alcuni altri Stati) a porre in essere ulteriori interventi in materia di crescita, occupazione, sostenibilità delle finanze pubbliche, competitività e coordinamento delle politiche fiscale;
tali princìpi sono stati tradotti in corrispondenti cinque regolamenti e una direttiva (cosiddetta Six Pack). Inoltre, il 23 novembre 2011 la Commissione europea ha presentato due ulteriori proposte di regolamento (two pack) volte al rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati membri che affrontano o sono minacciati da serie difficoltà per la propria stabilità finanziaria nonché il monitoraggio e la valutazione dei progetti di bilancio che assicurino la correzione dei disavanzi eccessivi degli Stati membri dell'eurozona. In tale contesto, ha visto luce il «Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria, noto anche come fiscal compact, firmato a Bruxelles il 2 marzo 2012, che prevede, tra l'altro, l'introduzione della regola del pareggio di bilancio oltre ad un meccanismo automatico per l'adozione di misure correttive, qualora necessarie;
nel più ampio silenzio mediatico che si sia mai registrato (con l'assenza di servizi radiotelevisivi pressoché assoluta e il silenzio della quasi totalità dei giornali), il Parlamento italiano ha ratificato, sul finire dello scorso anno, il cosiddetto fiscal compact, con grande zelo e senza alcun dibattito significativo e con l'opposizione o l'astensione di un gruppo assai sparuto di parlamentari;
in linea molto generale e prima di entrare nei dettagli del suo contenuto, si può affermare che il meccanismo introdotto dal Trattato significa per il nostro Paese la definitiva cancellazione di ogni ipotesi di ruolo pubblico nello sviluppo, con un preciso obbligo al rientro del 50 per cento dell'ammontare complessivo del debito pubblico che eccede il 60 per cento del prodotto interno lordo;
dal 2013, oltre alle normali manovre di riduzione del deficit di bilancio, al finanziamento dell'ESM e di probabili altre misure a salvataggio di altri Paesi della «zona euro», l'Italia è chiamata ad aggiungere la somma impressionante di ulteriori 50 miliardi di euro all'anno;
il meccanismo del Trattato renderà vincolante questo obbligo, non per un anno, ma per i prossimi venti anni, con il risultato evidente che il futuro di due e più generazioni di italiani è ipotecato e ancorato ad una nuova e permanente dimensione di miseria sociale;
accanto a questa ratifica, peraltro, con la legge 24 dicembre 2012, n. 243, approvata a maggioranza assoluta dai componenti di ciascuna Camera ai sensi del nuovo sesto comma dell'articolo 81 della Costituzione, sono state dettate le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni;
la legge citata reca disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio, ai sensi del nuovo sesto comma dell'articolo 81 della Costituzione, introdotto dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, il quale prevede che il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e dei criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni siano stabiliti da una apposita legge «rinforzata», in quanto deve essere approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale;
il Capo VII della legge reca l'istituzione dell'organismo indipendente previsto dall'articolo 5, comma 1, lettera f), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, che viene denominato «Ufficio parlamentare di bilancio», avente le funzioni di analisi e verifica degli andamenti di finanza pubblica e valutazione dell'osservanza delle regole di bilancio;
l'Ufficio ha una composizione collegiale di tre membri, di cui uno con funzioni di presidente, nominati d'intesa dai Presidenti delle Camere nell'ambito di un elenco di dieci soggetti con competenza a livello sia nazionale che internazionale in materia di economia e finanza pubblica indicati dalle Commissioni bilancio di ciascuna Camera, a maggioranza dei due terzi dei rispettivi componenti; i membri durano in carica 6 anni, salvo che siano revocati per gravi violazioni dei doveri d'ufficio, e non possono essere confermati;
tutto il complesso legislativo posto in essere con l'approvazione della ratifica del Trattato sul fiscal compact, unito alle legge costituzionali e ordinarie sopra richiamate, finisce per introdurre vincoli penetranti all'attività del legislatore nazionale;
occorre, dunque, ripensare il contenuto del Trattato del marzo 2012;
entrando nel dettaglio del suo contenuto, si osserva che, il Trattato è composto da un preambolo e da 16 articoli, suddivisi in un titolo I, relativo all'oggetto e all'ambito di applicazione, in un titolo II, relativo alla coerenza e al rapporto con il diritto dell'Unione, in un titolo III, relativo proprio al fiscal compact o patto di bilancio, in un titolo IV, relativo al coordinamento delle politiche economiche e convergenza, in un titolo V, relativo alla governance della zona euro, e in un titolo VI, relativo alle disposizioni generali e finali. Il trattato non è stato sottoscritto dal Regno Unito, come emerso nel Consiglio europeo del 9 dicembre 2011, dalla Repubblica Ceca, che ha negato il suo consenso dal momento dell'approvazione del Trattato, il 30 gennaio 2012, in occasione del Consiglio europeo informale a Bruxelles;
è da rilevare che, al riguardo, il Parlamento europeo, il 18 gennaio 2012, nell'approvare una risoluzione fortemente critica nei confronti del testo sino allora disponibile, ha espresso perplessità su un siffatto accordo intergovernativo, ritenendo più efficace il quadro del diritto dell'Unione e il «metodo comunitario» per realizzare gli stessi obiettivi di disciplina di bilancio e per realizzare una vera unione economica e fiscale. In tale occasione il Parlamento ha richiesto una maggiore valorizzazione del proprio ruolo e del ruolo dei parlamenti nazionali in tutti gli aspetti del coordinamento e della governance in ambito economico. Il Parlamento ha, inoltre, richiesto l'impegno a integrare l'accordo nei trattati europei al più tardi entro cinque anni, ha reiterato i propri appelli per un'Unione improntata non solo alla stabilità, ma anche alla crescita sostenibile, attraverso misure destinate alla convergenza e competitività, project bond, un'imposta sulle transazioni finanziarie ed ha espresso formalmente la riserva di avvalersi di tutti gli strumenti politici e giuridici per difendere il diritto dell'Unione qualora l'accordo definitivo dovesse prevedere elementi incompatibili con il diritto dell'Unione;
il sopra detto monito del Parlamento europeo è rimasto però inascoltato nonostante la strada intrapresa lasci ormai chiaramente emergere tutta una serie di squilibri in Europa tra i paesi del Nord, in particolar modo la Germania, che guadagnano in termini di competitività ed eccedenze commerciali, e i paesi del Sud, travolti da una bolla immobiliare e dall'aumento del debito privato;
le principali disposizioni del nuovo trattato, infatti, estendono e radicalizzano i trattati precedenti, in particolare il patto di stabilità e crescita. Nell'articolo 1, il trattato riprende infatti le affermazioni abituali degli organismi europei. Le regole sono «volte a rafforzare il coordinamento delle politiche economiche». Ma vincoli numerici sui debiti e sui deficit pubblici, che non tengono conto delle differenti situazioni economiche, non possono di certo favorire un reale coordinamento di politiche economiche. Allo stesso modo, il trattato afferma di rafforzare «il pilastro economico dell'Unione europea al fine di realizzare gli obiettivi in materia di crescita duratura, occupazione, competitività e coesione sociale», ma al di là delle parole, niente di concreto viene previsto per facilitare la realizzazione di tali obiettivi, anzi si favorisce il contrario. Il fiscal compact richiede ai Paesi di seguire un sentiero di convergenza rapida verso l'equilibrio di bilancio, definito dalla Commissione, senza tener conto della situazione congiunturale;
i Paesi perdono dunque ogni possibile libertà d'azione. Come precauzione supplementare, un meccanismo «automatico» dovrà essere messo in pratica per ridurre il deficit. Se la Commissione stabilisce che un Paese ha raggiunto per esempio un «deficit strutturale» pari a tre punti percentuali del prodotto interno lordo, questo dovrà mantenere un «deficit strutturale» limitato a 2 per cento l'anno successivo, amputando in tal modo la domanda (attraverso una riduzione delle spese e un aumento delle imposte) di un punto del prodotto interno lordo, indipendentemente dal livello di disoccupazione;
certamente, come per il patto di stabilità e crescita, sarebbe comunque possibile prevedere uno scarto temporaneo in caso di circostanze eccezionali, come in caso di un «tasso di crescita negativo o un declino cumulativo della produzione per un periodo prolungato», ma le misure correttive dovrebbero essere sempre pianificate e adottate rapidamente. Quando un Paese ha superato i limiti prescritti ed è soggetto a una procedura per deficit eccessivi (Pde), deve presentare un programma di riforme strutturali alla Commissione e al Consiglio, i quali dovranno approvarlo e monitorarne l'attuazione;
oggi, la quasi totalità dei Paesi dell'Unione europea (23 su 27) è soggetta a una procedura per deficit eccessivi. Oltre ai piani di riforma delle pensioni (aumento dell'età pensionabile), si vogliono imporre un abbassamento del salario minimo, minori prestazioni sociali (Irlanda, Grecia, Portogallo), la riduzione delle protezioni contro il licenziamento (Grecia, Spagna, Portogallo), la sospensione della contrattazione collettiva a favore della contrattazione d'impresa, più favorevole ai datori di lavoro (Italia, Spagna e altro), la deregolamentazione delle professioni chiuse;
la convinzione è che queste «riforme strutturali» creeranno un nuovo potenziale di crescita economica nel lungo periodo. Tuttavia niente assicura che sarà così. Ciò che è certo invece è che nella situazione attuale queste riforme determineranno un aumento delle disuguaglianze, della precarietà e della disoccupazione;
in nessun passaggio, purtroppo, l'espressione «riforma strutturale» riguarda l'adozione di misure volte a rompere il dominio dei mercati finanziari, ad aumentare l'imposizione fiscale sui più ricchi e sulle grandi imprese, a organizzare e finanziare la transizione ecologica;
il risultato di dette strategie è l'annullamento delle politiche fiscali, la rinuncia a politiche economiche con qualsiasi potere discrezionale;
il trattato secondo i firmatari del presente atto di indirizzo non ha alcun altro obiettivo se non quello di ostacolare le politiche di bilancio nazionali. Ciascun Paese deve quindi adottare misure restrittive: ridurre le pensioni, ridurre le prestazioni sociali e il numero dei funzionari, aumentare le imposte (principalmente l'Iva, che pesa sulle famiglie più povere). Non si prende minimamente in considerazione la situazione congiunturale specifica di ciascun Paese, né i bisogni sociali in termini d'investimenti e occupazione, né le politiche degli altri Paesi. Ciò implica che, oggi, tutti i Paesi stanno adottando di fatto politiche di austerità, mentre i deficit sono dovuti alla recessione che ha avuto origine con lo scoppio della bolla finanziaria e all'aumento degli squilibri causati dall'errata architettura della zona euro;
il rischio concreto, oramai tradottosi in realtà, è che le teorie che ispirano il fiscal compact propongono di fatto di limitare gli interventi anticiclici dello stato talora ritenute responsabili dell'inflazione e soprattutto della riduzione della quota dei profitti sul reddito nazionale; si vuole convincere i cittadini a rinunciare definitivamente all'obiettivo di piena occupazione, considerato causa di un aumento dell'inflazione;
questo genere di politica è teso a sottrarre le politiche economiche dalle mani dei Governi democraticamente eletti, mentre tutto è affidato a organismi indipendenti composti da esperti e tecnocrati, che non sono responsabili di fronte al popolo e ai cittadini. La politica economica deve essere paralizzata con regole vincolanti. Pertanto, la banca centrale, dichiarata «indipendente», ha il principale obiettivo di mantenere l'inflazione al di sotto del 2 per cento ogni anno. E in futuro la politica di bilancio sarà affidata a Commissioni indipendenti, sotto l'egida del patto e della Commissione, con il solo obiettivo di garantire il mantenimento dell'equilibrio di bilancio;
l'instabilità dell'economia renderebbe invece necessaria una politica attiva. Per questo, negli Stati Uniti, la Federal Reserve ha abbassato praticamente a zero il tasso di interesse e ha comprato massicciamente titoli privati e pubblici, in totale contrasto con tutto il pensiero ortodosso: il deficit pubblico ha superato il 10 per cento del prodotto interno lordo nel periodo tra il 2009 e il 2011 senza sollevare alcun allarme;
nonostante tutto ciò, gli attuali fini delle autorità europee vengono costantemente ribaditi e concettualmente alimentati attraverso l'imposizione di politiche «automatiche», attraverso delle soglie che determinano l'applicazione di misure che stanno «affamando» i cittadini comprimendo i consumi,

impegna il Governo:

ad avviare da subito negoziati in ambito europeo per rivedere l'impostazione del complesso dei vincoli derivanti all'Italia dal trattato sul fiscal compact e dagli altri strumenti giuridici ed economici (a partire dal meccanismo europeo di stabilità) ad esso correlati, in modo da avviare una politica di crescita sostenibile e di ripresa economica e produttiva, in assenza della quale il Paese rischia di piombare in una situazione finanziaria e di bilancio, ma soprattutto in una crisi economica e sociale, di livello insostenibile;
a sostenere in ogni possibile sede europea e internazionale, anche a livello bilaterale, la necessità di un alleggerimento dei vincoli finanziari e di recupero di politiche di sviluppo e di crescita;
ad assumere una propria, forte, iniziativa per la revisione della legislazione italiana sulla materia di cui in premessa, con particolare riferimento all'esigenza di rendere meno opachi e più fruibili, anche per i cittadini italiani, i meccanismi introdotti con la legge costituzionale n. 1 del 2012 e con la legge n. 243 del 2012, in questo ambito promuovendo una revisione degli strumenti di controllo affidati al Parlamento dalla predetta legge n. 243 del 2012, anche intervenendo, sempre in via normativa, per una maggiore funzionalità dell'Ufficio parlamentare di bilancio, che dovrà rappresentare un reale strumento democratico a disposizione delle Camere, ai fini dell'esercizio della propria sovranità.
(1-00292) «Ciprini, Tripiedi, Rizzetto, Rostellato, Cominardi, Baldassarre, Bechis, Chimienti, Cancelleri, Barbanti».