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Atto a cui si riferisce:
C.3852 Introduzione del divieto di utilizzo di microparticelle di plastica nei prodotti cosmetici
approvato con il nuovo titolo
"Disposizioni in materia di composizione dei prodotti cosmetici e disciplina del marchio italiano di qualità ecologica"


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
Testo senza riferimenti normativi
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 3852


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
REALACCI, ABRIGNANI, ALBANELLA, ARLOTTI, BARADELLO, BRAGA, CARNEVALI, CASTIELLO, CENNI, CERA, COMINELLI, D'AGOSTINO, D'INCECCO, FEDI, FOSSATI, GIUSEPPE GUERINI, TINO IANNUZZI, KRONBICHLER, LA MARCA, LATRONICO, LODOLINI, MAGORNO, MALISANI, MAZZOLI, MILANATO, MINNUCCI, MONGIELLO, PALESE, PASTORELLI, PATRIARCA, PELLEGRINO, POLVERINI, RIZZETTO, ROSTAN, GIOVANNA SANNA, SCHIRÒ, SCUVERA, SGAMBATO, VELLA, VENITTELLI, VEZZALI, ZACCAGNINI, ZANIN, ZARATTI
Introduzione del divieto di utilizzo di microparticelle di plastica nei prodotti cosmetici
Presentata il 23 maggio 2016


      

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Onorevoli Colleghi! — Negli ultimi decenni la plastica è stata prodotta e utilizzata dall'uomo con sempre maggiore frequenza, tanto che, ad oggi, questo materiale è diventato il principale detrito antropogenico inquinante presente nei fiumi, nei laghi, nei mari e negli oceani. Dagli anni ’50 alla prima decade degli anni 2000, la richiesta mondiale di plastica è passata da 1 milione e mezzo di tonnellate a oltre 290 milioni di tonnellate. A questo dato va aggiunto l'incremento demografico della popolazione umana: negli ultimi 50 anni la densità di popolazione mondiale è aumentata del 250 per cento. Con circa la metà della popolazione mondiale residente entro un raggio di 80 chilometri dalla costa, i rifiuti plastici prodotti in queste aree hanno un'alta probabilità di essere immessi direttamente nell'ambiente marino tramite i fiumi e i sistemi di acque reflue. Gli impianti di trattamento delle acque sono in grado di intrappolare macroplastiche e frammenti di varie dimensioni mediante vasche di ossidazione o fanghi di depurazione, tuttavia una larga porzione di microplastiche riesce a evitare questo sistema di filtraggio, giungendo in mare. Anche le navi hanno rappresentato e rappresentano tutt'oggi una rilevante fonte di rifiuti marini. I più recenti studi internazionali, riconosciuti anche dalla Commissione europea e dal Programma delle Nazioni unite per l'ambiente (UNEP), stimano che più di 299 milioni di tonnellate di plastica sono state prodotte in tutto il mondo nel 2013, alcune delle quali sono inevitabilmente finite in mare, con un costo di circa 13 miliardi di euro all'anno in danni ambientali per gli ecosistemi marini. Nel 2014, i rappresentanti di oltre 150 Paesi, all'Assemblea delle Nazioni Unite (UNEA), hanno adottato, per la prima volta, una risoluzione sui detriti di plastica marina e sulle microplastiche, osservando con preoccupazione l'impatto di tali materiali sull'ambiente marino e la sua biodiversità, la pesca, il turismo e lo sviluppo e chiedendo un'azione rafforzata, in particolare affrontando tali materiali alla fonte. La risoluzione ha incaricato l'UNEP di condurre uno studio in tutto il mondo su detriti di microplastica nell'ambiente marino, nonché di proseguire il lavoro sulla riduzione alla fonte e sulla mitigazione del loro impatto a livello globale. Anche l'edizione 2016 della giornata mondiale degli oceani «Oceani sani, pianeta sano», sarà dedicata alla lotta all'inquinamento prodotto dalla plastica, attualmente una delle principali piaghe dei nostri mari.
      In generale, la plastica presenta una densità inferiore a quella dell'acqua di mare ed è per questo motivo che galleggia in superficie. Solo in seguito alle interazioni con gli organismi, come la creazione di microfilm intorno ai singoli frammenti o l'insediamento di organismi bentonici sui rifiuti più grandi, questi materiali possono affondare. Convenzionalmente, i rifiuti plastici sono stati suddivisi in quattro classi dimensionali: le macroplastiche (>200 millimetri); le mesoplastiche (4,76-200 millimetri); le microplastiche di medie dimensioni (1,01-4,75 millimetri); le microplastiche più piccole (0,33-1,00 millimetri). A queste classi è necessario aggiungere le nanoplastiche, le cui ridottissime dimensioni rendono tuttavia impossibile il loro campionamento tramite metodi tradizionali: secondo alcuni autori è definito nanoplastica un frammento plastico di dimensioni inferiori a 20 nanomillimetri, cioè un millesimo di millimetro.
      Anche se a destare più clamore sono i rifiuti di maggiori dimensioni, ultimamente si sta acquisendo la giusta consapevolezza di come i frammenti plastici più piccoli e apparentemente insignificanti siano ancora più nocivi e pericolosi. Ci ammonisce di tale rischio la campagna di sensibilizzazione «Mare Nostro» promossa dall'associazione Marevivo. Si tratta di particelle di origine antropica di dimensioni comprese tra 5 millimetri e 330 pm.
      È questo il caso dei cosmetici in cui il contenuto in microplastiche talvolta supera in peso la plastica del tubetto o della boccetta in cui sono venduti. In alcuni cosmetici le microplastiche rappresentano dall'1 al 90 per cento del peso del prodotto stesso: specialmente negli scrub, i bagnoschiuma, i dentifrici ma anche i rossetti, le maschere, i mascara, gli idratanti, gli spray per capelli, le creme lenitive e le schiume da barba. In Europa, nel solo 2013 per i prodotti di bellezza ne sono state impiegate quasi 5.000 tonnellate finite quasi tutte in mare, con possibili conseguenze per la salute umana.
      Per comprendere più adeguatamente come le microplastiche entrino nella catena trofica bisogna parlare del bioaccumulo o biomagnificazione, ovvero quel processo che porta negli organismi che direttamente o indirettamente ingeriscono le microparticelle a un aumento in maniera esponenziale dei livelli tossici man mano che si sale di livello. Sono moltissime le specie affette da questa forma di inquinamento, dai filtratori, come i molluschi bivalvi (le classiche cozze e vongole che frequentemente arricchiscono i nostri pasti) e i crostacei cirripedi (balani), agli invertebrati detritivori, come oloturie, isopodi, anfipodi e policheti (in particolar modo marina). È quindi frequente che gli animali a vita bentonica accumulino direttamente microplastiche anche di cospicue dimensioni, mentre le particelle più piccole possono essere ingerite anche da organismi planctonici, come i copepodi e gli eufasiacei, ma ovviamente l'accumulo diretto è riscontrabile anche ai livelli più alti della catena trofica, come nella balenottera comune (Balaenoptera physalus), che accumula notevoli quantitativi di ftalati, cioè sostanze tossiche utilizzate per la lavorazione della plastica (in media circa 45 nanogrammi per grammo (ng/g) di grasso), o nello squalo elefante (Cetorhinus maximus). È implicito che il processo di biomagnificazione riguardi anche il trasferimento trofico in predatori attivi quali uccelli, rettili, mammiferi marini, pesci e cefalopodi.
      Come ci ricorda l'associazione Legambiente nel recente dossier «Plastic free sea», ridurre l'impatto delle plastiche e dei rifiuti sull'ecosistema marino (internazionalmente conosciuto come marine litter) e costiero non solo gioverebbe all'ambiente ma consentirebbe di ridurre i costi ambientali che questo fenomeno comporta per la collettività: 500 milioni di euro l'anno è la stima dei costi del marine litter per l'Unione europea, considerando solo i settori del turismo e della pesca. La prevenzione e la corretta gestione dei rifiuti a monte rappresentano gli unici elementi in grado di invertire la tendenza, ma in questa partita è importante che non manchino i controlli per evitare quello che si sta verificando in Italia. Nonostante il nostro Paese sia stato un esempio virtuoso in Europa per la riduzione delle buste di plastica «usa e getta», approvando nel 2011 la legge che vieta l'uso di shopper non compostabili, ad oggi il 50 per cento dei sacchetti «usa e getta» circolanti è ancora illegale sebbene la normativa preveda multe molto alte. È importante e urgente far rispettare una legge che permetta di ridurre l'inquinamento derivante dalla plastica, di migliorare la raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti e la produzione di compost di qualità e, soprattutto, di ridurre il marine litter che interessa pesantemente anche i mari italiani.
      La presente proposta di legge si compone di tre articoli. Il primo reca la definizione di microplastiche, il secondo prevede il divieto di commercializzazione di prodotti contenenti microplastiche e il terzo prevede le relative sanzioni.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.

      1. Ai fini di cui alla presente legge sono definite microplastiche le particelle plastiche di misura uguale o inferiore a 5 millimetri.

Art. 2.

      1. Dal 1° gennaio 2019 è vietato produrre e mettere in commercio prodotti cosmetici contenenti microplastiche.

Art. 3.

      1. Il trasgressore del divieto di cui all'articolo 2 è punito con la sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma da 100.000 euro a 500.000 euro e, in caso di recidiva, con la reclusione non inferiore a tre anni e con la sospensione dell'attività produttiva non inferiore a dodici mesi.