• C. 1071 Proposta di legge presentata il 28 maggio 2013

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Atto a cui si riferisce:
C.1071 Modifica all'articolo 61 del codice penale, in materia di circostanza aggravante comune per i reati commessi per motivi di discriminazione
approvato con il nuovo titolo
"Disposizioni in materia di contrasto dell'omofobia e della transfobia"


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 1071


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
BRUNETTA, CARFAGNA, PRESTIGIACOMO
Modifica all'articolo 61 del codice penale, in materia di circostanza aggravante comune per i reati commessi per motivi di discriminazione
Presentata il 28 maggio 2013


      

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Onorevoli Colleghi! Il divieto di discriminazione è previsto, in ambito internazionale ed europeo, nei principali trattati e convenzioni: la Dichiarazione universale dei diritti umani, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, approvato a New York il 19 dicembre 1966, a Convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) n. 143 fatta a Ginevra il 24 giugno 1975, il Trattato di Amsterdam del 1997 (che introduce, all'articolo 13 del Trattato che istituisce la Comunità europea, la prima clausola antidiscriminatoria che travalica i confini tradizionali dei divieti di discriminazione – nazionalità e sesso – per sancire, quali motivi illeciti, anche la razza, l'origine etnica, la religione, le convinzioni personali, l’handicap, l'età e le tendenze sessuali), la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea firmata a Nizza nel 2000 e, da ultimo, il Trattato di Lisbona, ratificato dall'Italia il 31 luglio 2008 (legge 2 agosto 2008, n. 130), il quale ha posto, fra gli obiettivi fondamentali dell'Unione europea la lotta all'esclusione sociale e alle discriminazioni.
      Con la direttiva 2000/43/CE, del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, e con la direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, viene ulteriormente affermata la progressiva tendenza a un allargamento di tipo universalistico della tutela antidiscriminatoria.
      Le citate direttive sono state recepite in Italia rispettivamente con il decreto legislativo n. 215 del 2003 e con il decreto legislativo n. 216 del 2003, le cui disposizioni sono state poi riprese anche nel codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo n. 198 del 2006.
      Nella nostra Carta costituzionale la norma fondamentale in materia di non discriminazione è rappresentata dall'articolo 3, il quale sancisce il principio di uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
      In conformità alla normativa internazionale, europea e nazionale, la discriminazione consiste in una violazione della dignità della persona e si verifica quando una persona è trattata in modo deteriore rispetto a come, nelle medesime circostanze, sarebbe trattata un'altra persona a causa dell'esistenza di un fattore discriminatorio vietato.
      L'estensione dei divieti di discriminazione ad ambiti che spaziano dalle differenze immutabili, come la razza o l'età, alle differenze scelte, come la religione o le convinzioni personali, rendono quindi necessario adeguare l'attuale quadro normativo anche in ambito penalistico, tenendo ben presente la necessità di ancorare tale esigenza al principio di materialità del reato e alla determinatezza della fattispecie penale.
      Il nostro ordinamento penale già prevede (articolo 3 del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205), la circostanza aggravante speciale applicabile ai reati punibili con pena diversa dall'ergastolo, commessi con finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso.
      L'etnia, la nazionalità, la razza e la religione non costituiscono, tuttavia, come rilevato, gli unici odiosi fattori di discriminazione vietati.
      Ai sensi dell'articolo 10 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), risultante dalle modifiche apportate al Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1o dicembre 2009, costituiscono fattori di discriminazione vietati il sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le condizioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale.
      Con la presente proposta di legge si introduce pertanto, un'aggravante comune, da aggiungere a quelle elencate all'articolo 61 del codice penale, applicabile ai reati commessi per tutti i motivi di discriminazione previsti dal citato articolo 10 del TFUE: «l'avere commesso il fatto per i motivi di discriminazione di cui all'articolo 10 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea».
      In tal modo sarà aumentata fino a un terzo la pena edittale per quei reati in cui la discriminazione per i fattori indicati rappresenta il motivo – e la finalità – della condotta criminosa, già di per sé costitutiva di reato.
      Dall'attuazione della presente proposta di legge non derivano oneri per la finanza pubblica.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.

      1. All'articolo 61 del codice penale è aggiunto, in fine, il seguente numero:
      «11-quinquies) l'avere commesso il fatto per i motivi di discriminazione di cui all'articolo 10 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea».